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Categoria: | Letteratura |
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Testo
Manzoni, Alessandro (Milano 1785-1873), scrittore italiano. Era figlio del conte Pietro Manzoni e di Giulia Beccaria, figlia del grande giurista Cesare Beccaria, la quale nel 1782 si separò dal marito per poi (1795) stabilirsi a Parigi con Carlo Imbonati, lo stesso a cui Giuseppe Parini aveva dedicato l'ode L'educazione. Manzoni negli anni giovanili studiò presso i padri somaschi e i padri barnabiti, pur essendo educato in collegi religiosi, il giovane nobile lombardo manifestò idee tipicamente illuministe, forse per avversione contro il padre, molto legato alla tradizione, o per influenza della madre, collegata agli intellettuali del Caffè.Le sue idee giacobine e anticlericali trovarono espressione in Il trionfo della libertà (1801), poemetto che celebra la sconfitta del dispotismo e della superstizione per opera della libertà portata da Napoleone con la Repubblica Cisalpina. Le prime esperienze letterarie (1800-1804) sono coerenti col dominante gusto neoclassico: sono sonetti, quattro Sermoni e l'idillio Adda (1803), dedicato a Vincenzo Monti. Nel 1805, poco dopo la morte di Carlo Imbonati, si recò anch'egli a Parigi, dove scrisse e pubblicò il carme In morte di Carlo Imbonati (1806), in cui con stile classicheggiante esalta la funzione civile della poesia: "il santo Vero mai non tradir”,un dialogo morale di sapore pariniano. Fu il soggiorno a Parigi a rappresentare la decisiva mutazione della sua sensibilità umana e culturale. Frequentando i salotti dei colti intellettuali parigini (gli ideologi), fu indotto ad approfondire, il significato profondo della storia e della vita interiore dell’uomo. Durante il soggiorno a Parigi il Manzoni, la cui vivace vita culturale contribuì non poco a sprovincializzare le vedute del giovane poeta lombardo, mettendolo in contatto con i rappresentanti del movimento romantico.
Egli divenne amico del letterato Claude Fauriel, che lo introdusse nel circolo dei filosofi sensisti, soprannominati "ideologi", i quali certamente esercitarono su di lui una certa influenza, ma di gran lunga dominante per la formazione del pensiero manzoniano dovette essere la lettura dei grandi illuministi, soprattutto di Voltaire, che formò in Manzoni l'attitudine al pensiero concreto e rigoroso.
A Parigi egli si riconfermò nelle idee che gli venivano dalla famiglia materna, quei principi che rimasero parte imprescindibile della sua etica di scrittore e di uomo.
Il culto della libertà e della giustizia sono già elementi portanti del Carme in morte di Carlo Imbonati, ma il contatto con gli amici parigini svelava l'urgenza di una loro applicazione politica. A Parigi rimase fino al 1810 e si accostò, stabilendo anche forti amicizie, all'ambiente degli ideologi, che ripensavano in forme critiche e con forti istanze etiche la cultura illuminista, e acquisendo abitudini mentali quali la chiarezza e il rigore del ragionamento insieme a una propensione per l'analisi psicologica, che sarebbero rimaste sue per tutta la vita.
La conversione
Manzoni tornò a Milano nel 1807 e qui sposò, nel 1808, Enrichetta Blondel, di fede calvinista. Il matrimonio venne celebrato inizialmente secondo il rito della moglie e nel febbraio 1810 venne convalidato secondo quello cattolico.Marito e moglie vissero una fase di profonde meditazioni spirituali, finchè Enrichetta, nel maggio del 1810, abiurò e Manzoni, nel settembre, manifestò la sua conversione al cattolicesimo, accostandosi alla comunione per la prima volta.E' famoso l'episodio che si pone all'origine della conversione manzoniana.Per le vie di Parigi, durante i festeggiamenti per le nozze tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria, Manzoni perse la moglie tra la folla e, frastornato, entrò nella chiesa di S.Rocco per chiedere aiuto a Dio. Uscito, ritrovò facilmente la sposa.
Nella vicenda Manzoni vide un segno divino. Certamente questa non fu l'unica causa a determinare la conversione di Manzoni, che già da tempo si era rivolto a persone di fede per approfondire la sua ricerca interiore. Fu determinante la scoperta di un cristianesimo diverso da quello che gli era stato imposto nella fanciullezza e nella giovinezza.Il problema forse era originato dalla inconciliabilità che Alessandro scorgeva tra i principi astratti del cristianesimo convenzionale, al quale si appoggiava il privilegio, e le sue idee di giustizia sociale e libertà. Questo contrasto venne conciliato dalle conversazioni con il padre Degola, un colto sacerdote di tendenza giansenistica, che portò Manzoni a scoprire le istanze sociali che si celavano nel messaggio cristiano.La conversione manzoniana non fu comunque un fenomeno sentimentale, si fondò piuttosto sulla lettura dei maggiori pensatori cattolici come Bossuet e Pascal e sull'analisi dei testi sacri.Alla conversione corrispose un profondo ripensamento quanto al ruolo dello scrittore nella società. Al tempo dei suoi carmi giovanili egli aveva ispirato la sua opera a modelli neoclassici ed aveva avuto come scopo il raggiungimento della fama, dopo il 1809 la sua attenzione si concentrò sulle vicende storiche viste come lo sfondo della lotta e del travaglio degli umili ed il suo modello divenne la tradizione didascalica lombarda del '700. Manzoni diveniva così uno scrittore di impronta educativa, che intendeva rivolgersi non ai pochi eletti che condividevano i suoi nobili ideali, ma ad un pubblico di lettori quanto più vasto possibile.
Così nella sua nuova concezione il soggetto della poesia, pur essendo tale da poter rivolgersi alle persone dotte, doveva anche avere in sè quanto è necessario per interessare un largo pubblico e deve contenere elementi che siano nati "dalle memorie e dalle impressioni giornaliere della vita."
Religiosità e ideologie
In tutte le opere del Manzoni è presente una profonda religiosità, perchè vede dovunque la presenza della Provvidenza divina e considera la vita come una missione perchè ognuno di noi dovrebbe pensare a fare del bene. Ancora, la sua religiosità si dimostra con l'amore verso gli umili, i deboli e gli infelici. Il Manzoni, ed in questo è romantico, vede la vita come dolore, però mentre il Foscolo crede nelle illusioni il Manzoni crede in DIO, e quindi, il Manzoni, vede nel dolore la necessità che serve all'uomo per diventare migliore. (Il cristianesimo del Manzoni è stato detto "Cristianesimo democratico", perchè grazie al fatto che ognuno di noi è figlio di Dio, tutti siamo uguali nello spirito.[provvida sventura , dolore - provvidenziale - necessario) Il Manzoni si può considerare romantico sia perchè lui stesso scrive a favore del romanticismo e sia per la sua religiosità. Però abbiamo anche altri aspetti come quello classico e illuminista che si vedono nella chiarezza della lingua ed anche nelle idee sulla rivoluzione francese che lo rieducarono allo spirito di fratellanza e all'amore verso gli umili. Oltre alla religiosità, abbiamo in lui una grande moralità, cioè l'amore verso una letteratura che, utile, serve ad educare. Gli scritti che ci fanno vedere la sua poetica romantica sono: La lettera a Chauvet sulle unità della tragedia in cui il Manzoni condanna le tre unità e ama il vero, la verità storica, la storia, che è tutto ciò che succede, mentre la poesia ci aiuta a capire i motivi, i sentimenti più profondi dell'uomo. (Per Manzoni un'opera letteraria deve avere come scopo l'utile; come mezzo l'interessante e come contenuto il vero). Dell’illuminismo egli continuò ad accettare la polemica contro i privilegi dei nobili e del clero, la lotta per la tolleranza, l’uso della ragione per liberare l’uomo dalla superstizione, dai pregiudizi, dall’arbitrio, la funzione educativa dell’arte e della letteratura. Ne rifiutò invece la concezione materialistica e meccanicistica della realtà, contrapponendole una visione finalistica della vita e dell’universo. Per lui gli ideali, i valori che animano l’uomo non sono semplici illusioni, sia pur generose, ma hanno un reale fondamento in Dio, creatore e redentore dell’universo, che conduce tutta la storia umana ad un misterioso Fine, il trionfo dell’Amore, anche attraverso lo scandalo della sofferenza e dell’ingiustizia. L’uomo è un essere ragionevole, spirituale, partecipe della natura divina ed impegnato nella storia ad operare per il bene ed il progresso morale dell’umanità.Con tali idee Manzoni si differenzia dai cattolici radicalmente contrari all’evoluzione storica dell’epoca, ostili alla civiltà moderna, all’ipotesi di uno Stato unitario in Italia ed alla fine dello Stato pontificio. Egli è un cattolico liberale, che auspica l’abbandono del potere temporale e una Chiesa senza privilegi particolari nella società, convinto che l’aspirazione ad una società più democratica sia coerente con il messaggio evangelico.Questa nuova mentalità si riflette anche nella formazione letteraria. Accetta la cultura romantica e la sua adesione al vero, rifiutandone però la tendenza all’irrazionale, all’orrido, all’esotico, all’esaltazione dell’eroe solitario e titano. Crede in una letteratura ricca da valori morali, libera dalla mitologia, aderente alla mentalità collettiva dell’epoca: essa non deve essere divertimento per pochi, ma impegno e responsabilità a vantaggio di tutti.
Dagli Inni sacri alle tragedie
Inni Sacri
Nel 1808 Manzoni aveva sposato con rito calvinista la giovane (16 anni) ginevrina Enrichetta Blondel, la cui fede aveva indotto Alessandro ad approfondire il problema religioso. Il 1810 segna il definitivo approdo della famiglia Manzoni al cattolicesimo: Enrichetta, sotto la guida del padre Degola, abiurò il calvinismo e Alessandro abbandonò le posizioni deiste per aderire pubblicamente alla religione cattolica. La conversione religiosa si ripercosse anche nelle scelte letterarie: Manzoni abbandonò gli schemi neoclassici e cercò altre strade espressive, a cominciare dalla prima opera successiva alla conversione, gli Inni sacri, con i quali intendeva celebrare le principali festività dell'anno liturgico e insieme offrire un esempio di lirica nuova, che sarà di tipo corale e oggettiva (nel senso che il punto di vista è quello collettivo dei fedeli, mentre il tema è legato a una realtà storica oggettiva, la storia del cristianesimo).Inizialmente gli inni dovevano essere dodici, ma ne furono composti solo cinque: la Risurrezione (1812), il Nome di Maria (1812-13), il Natale (1813), la Passione (1814-15) e la Pentecoste (1822, terza stesura). In questi inni il motivo più importante è la discesa di Dio in mezzo agli uomini. L'inno sacro più importante è "La pentecoste", perchè riesce a rappresentare in modo completo l'unione dell'aspetto religioso e di quello umano, appunto per la profonda umanità che c'è; quest'inno è più poetico. Pentecoste significa cinquantesimo giorno dopo la Pasqua quando lo Spirito Santo discende sugli Apostoli, i quali da quel giorno iniziarono la predicazione delle dottrine di Cristo. Manzoni nello scrivere questa lirica pensò al Nuovo testamento. Nella Pentecoste il poeta chiede alla Chiesa dove lei si trovava dopo la crocifissione di Cristo, infatti la Chiesa allora era perseguitata e dimenticata fino a quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli che fanno conoscere la verità cristiana, per cui tutti gli uomini conoscono una nuova vita, fatta non di potenza, d'invidia, ma di amore e libertà spirituale. Alla fine dell'inno, Manzoni prega lo Spirito Santo affinchè scenda su tutti gli uomini. In quest'inno è presente il cristianesimo democratico, perchè di fronte a Dio siamo tutti uguali anche se in terra non c'è uguaglianza, quindi quella che dice il Manzoni non è un'uguaglianza sociale, rivoluzionaria, ma soprattutto spirituale.
Tragedie
Nelle tragedie il Manzoni segue la verità e rifiuta le unità aristoteliche e un'altra novità delle tragedie è che Manzoni vuole mostrare soprattutto la verità più profonda, morale che la storia non racconta e cioè i pensieri, l'ansia dei grandi uomini. (Questa è la differenza fra poesia e storia). I cori delle tragedie servono al Manzoni per parlare delle sue idee. L'interesse di Manzoni per la tragedia è connesso alla lettura di Shakespeare, di Goethe e di Schiller, e, in accordo con l'avvio delle polemiche romantiche, Manzoni elaborò l'idea di una tragedia di ampie dimensioni storiche e di valore universale, capace di destare una nuova coscienza etico-storica. Cominciò con Il conte di Carmagnola (1820), tragedia accompagnata e pubblicizzata dalle polemiche letterarie a seguito dell'abbandono delle unità aristoteliche di tempo e di luogo. Questa tragedia, che si avvale del coro – momento di meditazione lirica, inteso come spazio riservato alla riflessione etico-storica dell'autore – propone un episodio della guerra tra Milano e Venezia nel XV secolo,nella quale, il Conte di Carmagnola fuggito da Milano a Venezia perchè perseguitato, deve ora combattere contro Milano prima da lui difesa; vince Venezia e poichè il Conte permette ai nemici di prendersi i prigionieri viene considerato traditore e condannato a morte.In questa tragedia vi è il sentimento della Patria e dell'unità del popolo italiano, la denuncia della violenza e della cecità della ragion di stato ed anche il sentimento religioso perchè per il Manzoni è un delitto che italiani uccidano altri italiani, perchè tutti gli uomini sono fratelli, perchè figli di Dio. L'Adelchi: Carlo Magno Re dei Franchi rifiuta la sposa Ermengarda dopo una lite con il padre di questa, Desiderio, Re dei Longobardi che non vuole dare al Papa un territorio occupato. Adelchi, figlio di Desiderio anche se capisce che il padre ha torto, combatte lo stesso la guerra che finisce con la sconfitta dei Longobardi; Desiderio è fatto prigioniero e Adelchi muore. Ermengarda, addolorata perchè ripudiata dal marito muore in un monastero. Adelchi ed Ermengarda sono i personaggi che meglio ci fanno capire il pessimismo di Manzoni e sono anche personaggi romantici; essi sono puri nel cuore e pur essendo degli infelici sulla terra, credono in un mondo migliore oltre la terra. Adelchi è un eroe romantico perchè è pieno di ansia fra il desiderio di ubbidire al padre e l'odio verso la guerra.La seconda tragedia, Adelchi (1822), è di materia medievale e ha una struttura più complessa e aperta, anche se contrappone in modo assolutamente netto, per la rigidità imposta dal genere, gli "eroi della forza" e gli "eroi della fede". Il tema è la fine della dominazione longobardica in Italia e la sconfitta del re Desiderio a opera di Carlo Magno. Particolarmente significativi sono i cori (in realtà due liriche) in cui Manzoni affronta il tema politico della libertà che non può non essere conquista degli italiani, e il tema della "provvida sventura", centrale nel successivo romanzo. La stesura dell'Adelchi fu accompagnata da un'approfondita ricerca storico-documentaria sulla dominazione longobardica in Italia, pubblicata col titolo di Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822).Nel periodo compreso tra la stesura delle due tragedie, Manzoni aveva anche affrontato nodi teorici sul teatro e sulle sue scelte in un testo importante, scritto nel 1820 e pubblicato, dopo la revisione dell'amico Fauriel, nel 1823: si tratta della Lettre à M. Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie, in cui giustifica il rifiuto delle unità classicistiche di tempo e di luogo e riflette sul rapporto tra veridicità storica e funzione morale della letteratura. In precedenza, nel 1819, aveva scritto le Osservazioni sulla morale cattolica (elaborate fino al 1855) che, a parte le ragioni ideologiche, sono un prezioso documento della sensibilità psicologica del Manzoni. Successiva, del 1823 (ma pubblicata solo nel 1846), è la Lettera sul Romanticismo, il bilancio teorico più importante fatto da uno dei protagonisti di quel movimento.
IL ROMANZO STORICO NELL’OTTOCENTO
Il romanzo storico è un genere letterario tipicamente romantico, perché nella scelta della materia e degli argomenti riflette l’interesse per la storia dei popoli che fu tipico di quella cultura, che si rivolgeva al passato per riscoprirvi i momenti cruciali della storia nazionale o per cercare nelle epoche remote un’evasione dalla delusione del presente. L’incontro tra realtà storica e romanzo poneva però oggettive difficoltà: la conciliazione tra la ricostruzione oggettiva dei fatti e la libertà della fantasia artistica, la possibilità di rendere la materia storica avvincente ed accessibile ai gusti di un pubblico eterogeneo, di media cultura.Per rispondere a queste esigenze, il romanzo doveva offrire un’immagine sufficientemente fedele del passato ed avvalersi di intrecci ricchi di vicende avventurose, con personaggi eroici, con il conflitto tra le forze del bene e del male, con vicende d’amore e di morte.Lo scrittore che meglio realizzò questa fusione fu l’inglese Walter Scott (1771-1832). Il suo modello narrativo prevede una certa documentazione sui fatti storici, ma è prevalente l’utilizzazione del patrimonio folklorico con le sue fiabe e leggende. In tale ambito si muovono personaggi che incarnano i valori del gusto romantico: la coscienza e l’orgoglio di appartenere alla propria tradizione storica, la fede nella possibilità del riscatto dei popoli oppressi, la ribellione contro un potere malvagio ed iniquo. La storia in tal modo diventa una specie di sfondo mitico, favoloso, in cui far agire i diversi personaggi. Manzoni invece tende ad una ricerca storica più approfondita, ad una ricostruzione più fedele dell’ambiente storico e culturale. Conserva, tuttavia, alcune caratteristiche di tecnica narrativa dello scrittore inglese, come le ampie descrizioni dei paesaggi che fanno da cornice all’azione, l’illustrazione minuziosa degli ambienti e l’intreccio tra vicenda individuale e storia collettiva. In lui però il romanzo storico si trasforma in un’opera di analisi ed interpretazione di un dato momento storico, utile per comprendere lo sviluppo di ogni vicenda umana, di ogni società nel fluire della storia.Dopo l’esperienza manzoniana, in Italia parecchi autori tentarono di imitare il modello proposto dallo scrittore lombardo, ma nessuno riuscì ad eguagliarlo per perizia narrativa e profondità di pensiero. Un solo scrittore si può accostare al romanzo manzoniano, Ippolito Nievo (1831-61). Egli appartiene ad una generazione successiva e si ispira alla coeva cultura francese (Stendhal, Balzac), che amava rappresentare la società contemporanea con le sue contraddizioni. Nel romanzo Le confessioni di un italiano, uscito postumo nel 1861, finge che la storia sia raccontata in prima persona da un ottuagenario, Carlo Altoviti, che rievoca il formarsi della sua coscienza nazionale di "italiano" attraverso le proprie esperienze di vita. La materia della narrazione è dunque offerta da un passato recente, il linguaggio è vivo e moderno, i personaggi sono colti nel loro vivace sviluppo psicologico. Sono tutte caratteristiche che aprono la via ad un altro tipo di romanzo, quello verista, legato alla rappresentazione del mondo contemporaneo ed alla concreta realtà sociale.La scrittura lirica e quella tragica si erano rivelate troppo condizionate, sul piano linguistico, dalla tradizione e incapaci di offrire una scrittura "popolare", secondo le ambizioni romantiche, e di catturare un pubblico "nazionale". Da qui la scelta di un genere letterario romantico, capace di fare presa su un largo pubblico, e la lunga costruzione di una prosa di tono medio e di ambizione nazionale. A ciò contribuì anche la suggestione dei romanzi di Walter Scott e in particolare dell'Ivanhoe, ma anche la lettura dell'Historia patria del milanese Giuseppe Ripamonti.La storia della costruzione dell'unico romanzo di Manzoni occupa più di un ventennio. Una prima redazione, sconosciuta fino al 1915, che prese il nome di Fermo e Lucia, occupò il periodo tra il 24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823. Subito dopo l'autore passò a una ristrutturazione del materiale (con eliminazione delle parti attinenti alla riflessione sul romanzo e sul lavoro letterario) e, attraverso il titolo provvisorio di Sposi promessi, arrivò al titolo definitivo, I promessi sposi, e alla prima edizione a stampa (in tre tomi) realizzata tra il 1825 e il 1827 a Milano. Subito dopo progettò una revisione sostanzialmente linguistica del romanzo, per eliminare i troppi lombardismi o francesismi (Manzoni parlava milanese o francese) e per dare un orizzonte nazionale al suo testo, orientandosi sulla lingua "viva", cioè parlata dai ceti colti della Toscana contemporanea. Per questo si recò a Firenze nel 1827 allo scopo di "risciacquare i panni in Arno".Ragioni familiari e di salute ritardarono fino al 1840-1842 la seconda edizione, quella definitiva; uscita a dispense, recava un nuovo sottotitolo, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta. In appendice alla seconda edizione venne pubblicata, in edizione ampliata rispetto all'originaria Appendice, la Storia della colonna infame, che, prendendo spunto dalle vicende della peste del 1630 narrate nel romanzo, ricostruisce documentaristicamente gli eventi e in particolare il processo agli untori, per concludere, diversamente da come aveva fatto Pietro Verri in un suo precedente riesame del processo, con la condanna dei giudici.Il romanzo, ambientato nei dintorni di Lecco, a Milano e nel Bergamasco, negli anni tra il 1628 e il 1630, presenta la struttura tradizionale dell'amore contrastato di due giovani che, dopo una serie di peripezie, riescono a sposarsi. Mancano gli elementi erotici e l'avventura è essenzializzata; in compenso il romanzo si colloca entro un sistema di valori etici e religiosi molto forti e dentro una realtà sociale e storica carica di elementi negativi (la storia come luogo del male e della "prova"), ma anche capace di rivelare nuove figure sociali (l'operaio-contadino intraprendente e capace di costruirsi un nuovo avvenire: Renzo padrone della filanda) che hanno a che fare con gli orizzonti sociali dell'Ottocento e, indirettamente, col Risorgimento. È il romanzo dei rapporti di forza nella storia, il romanzo del male e della sofferenza collettiva e individuale nella storia, ma è anche il romanzo del riscatto dell'individuo e della natura decaduta (ne è emblema la vigna di Renzo) che si salva. Insomma un grande esempio, materiato di storia, di come Dio agisce e conferisce senso al dolore. Ma la grandezza dell'opera sta soprattutto sul piano linguistico: con I promessi sposi Manzoni dette all'Italia l'istituto di una lingua nazionale, svolgendo un ruolo analogo, sul piano culturale, a quello che altri svolsero sul piano politico attraverso il compimento dell'unità d'Italia. Resta il fatto che la lingua di questo romanzo è diventata la lingua dei dizionari e delle grammatiche, oltre che un modello per gli scrittori successivi (col fenomeno del manzonismo), e ancora nel Novecento (con Riccardo Bacchelli). E siccome Manzoni, nel raccontare la sua storia, si fece per così dire occhio di Dio, visse con particolare scrupolo il problema della verità storica fino al punto, prima, di rinnegare sul piano teorico l'esistenza del romanzo storico (Del romanzo e in genere de' componimenti misti di storia e di invenzione, 1845) e poi di cercare una soluzione psicologicamente rassicurante nel dialogo filosofico Dell'invenzione (1850), in cui giunse a negare il concetto stesso di "invenzione".
Gli scritti linguistici
A margine del percorso verso l'edizione definitiva dei Promessi sposi, Manzoni sviluppò una serie di riflessioni teoriche sulle questioni linguistiche, consegnate nel trattatello Sentir messa (pubblicato solo nel 1923) e nel vasto trattato Sulla lingua italiana, con cinque redazioni, ma rimasto incompiuto. In vari scritti difese l'unità linguistica italiana centrata sul fiorentino: nella relazione al ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio, intitolata Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla (1868), che costituì la base della politica linguistica e scolastica dell'Italia nel secondo Ottocento; e negli scritti Lettera intorno al libro "De vulgari eloquio" di Dante Alighieri, Lettera intorno al vocabolario (anche questi del 1868) e Lettera al marchese Alfonso della Valle di Casanova (1871).
Gli ultimi anni
Nel 1827 Manzoni pubblicò la prima edizione dei Promessi Sposi. Fra il 1821 ed il 1822, mentre attendeva alla stesura dell'Adelchi, aveva lavorato ad un romanzo che aveva il titolo provvisorio di Fermo e Lucia, che venne completato nel 1823 e poi sottoposto ad una decisa revisione. Il risultato dell'attento rimaneggiamento contenutistico fu l'edizione del 1827 dei Promessi Sposi, con la quale, però, il lavoro manzoniano non si concluse, tanto che l'ultima edizione, quella definitiva, che rivedeva profondamente il linguaggio usato nelle stesure precedenti, venne pubblicata nel 1840-42.
Gli anni successivi al 1827 non sono anni creativi, ma sono piuttosto dedicati al problema della lingua. Questa rinuncia manzoniana all'arte viene motivata nel saggio Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione, che venne scritto nel 1828 e pubblicato nel 1845.
In questi anni Manzoni seguì con interesse gli sviluppi politici che accompagnarono il Risorgimento. Nel 1848 firmò l'indirizzo dei milanesi a Carlo Alberto e, dopo i fatti del 1848, sperò nella unificazione italiana ad opera del Piemonte.Ammirò la politica del Cavour e, quanto ai rapporti fra Chiesa e Stato, fu favorevole alla condanna del potere temporale della Chiesa.
Con la seconda edizione dei Promessi Sposi apparve la Storia della Colonna Infame, che seguiva un filone di analisi storica iniziato nel 1822 con il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia.Manzoni si dedicò anche agli studi filosofici, ai quali venne in certo modo invogliato dalla sua amicizia col Rosmini, che portò i suoi frutti nel trattato Dell'Invenzione, del 1850.
In questo ambito è importante anche la lettera al filosofo francese Cousin sui rapporti fra linguaggio e conoscenza, del 1829.Manzoni morì a Milano il 22 maggio 1873, dopo aver votato nel 1861 a favore della legge che proclamava Vittorio Emanuele re d'Italia.Gli ultimi anni li aveva trascorsi in famiglia, con il conforto di una ristretta cerchia di amici.
I Promessi Sposi
Il Manzoni nell'introduzione del romanzo racconta di aver trovato un manoscritto anonimo; questi dice che mentre i grandi storici parlano solamente delle imprese di grandi uomini lui vuole parlare delle imprese di persone del popolo. Il Manzoni dice che la storia raccontata dall'anonimo gli piacque per cui vuole rifarla in una lingua più nuova. Manzoni fa finta che i Promessi Sposi raccontino una vicenda vera, raccontata da un anonimo e da lui tradotta in una lingua moderna. Il Manzoni dice tutte queste cose perchè vuole far vedere al lettore che la sua storia è vera e non è una semplice invenzione. Già nell'introduzione, dietro il pensiero dell'anonimo si nota la concezione della storia per il Manzoni, cioè la storia non è fatta solo dai grandi personaggi ma anche dal popolo. La storia secondo Manzoni è fatta di bene e di male, del peccato e della salvezza. A proposito di ciò, è molto importante l'idea cristiana: cioè la storia, per Manzoni, è importante perchè nella storia e nella vita di tutti gli uomini, egli vede sempre la provvidenza di Dio, quindi è una visione religiosa, provvidenziale, perchè Manzoni nel romanzo vuole parlare soprattutto del bene e del male. Anche se molte pagine storiche del romanzo (per esempio la peste, i fatti di San Martino, ecc.) sono state considerate poco esatte, bisogna ricordare che i Promessi Sposi non è un trattato di storia ma un'opera d'arte, perciò anche le pagine storiche sono ricche della moralità e poesia del Manzoni e queste pagine sono utili perchè danno ai vari personaggi una realtà concreta. Il Manzoni conobbe lo scrittore Walter Scott, scrittore di romanzi storici; ma mentre Scott pensava soprattutto a rallegrare gli spettatori, Manzoni parla dell'umanità in modo serio e morale. Abbiamo tre stesure. Il romanzo, la prima volta si chiamò "Fermo e Lucia" e presenta un maggiore pessimismo; poi con il titolo "Promessi Sposi" (II e III) il romanzo diventa più sereno ed equilibrato. Il carattere principale del romanzo è che le persone buone vengono sempre perseguitate ma alla fine il bene vincerà. I Promessi Sposi sono un romanzo romantico per l'amore della verità storica, per la grande religiosità e per l'amore di Manzoni verso gli umili. Il romanzo è un misto di storia e di invenzione in cui il Manzoni racconta un fatto privato e fatti più generali; questa unione fra la gente e la piccola storia rappresenta una novità. Si parla di un filatore di seta, Renzo, e di una popolana, Lucia, che non si può sposare perchè un signorotto prepotente, Don Rodrigo, si è invaghito di lei; ma alla fine i due si sposano dopo molte vicende dolorose. Oltre a questo fatto privato si parla pure della Lombardia dominata dagli spagnoli, della Spagna e di altre regioni: si parla pure della carestia a Milano e della peste. Ha una grande importanza nei Promessi Sposi la folla che viene considerata la vera protagonista del romanzo; ma protagonista viene pure considerata la provvidenza: appunto per questo la differenza fra i Promessi Sposi e tutte le altre opere è che il Manzoni nei Promessi Sposi vede sempre la provvidenza nella storia e negli uomini. I personaggi dove meglio vediamo la religione cristiana sono: Fra Cristoforo Borromeo; dobbiamo ancora ricordare la famosa conversione dell'Innominato, in cui vediamo la presenza di Dio nel cuore di un uomo; dobbiamo ancora ricordare Don Rodrigo soprattutto nelle pagine finali quando s'ammala di peste e grazie alla sofferenza si salva l'anima. (provvida sventura). Dobbiamo anche ricordare la famosa Monaca di Monza Gertrude, poichè il Manzoni con dolore segue la sua sventurata vicenda. Nella pagina finale del romanzo, Renzo e Lucia, i quali cercano di capire il vero significato di tutto ciò che è successo a loro, capiscono che anche se nella vita si soffre, basta aver fiducia in Dio e così anche la sofferenza ci aiuta a diventare migliori (provvida sventura). Questo concetto è il "sugo di tutta la storia", cioè lo scopo. Per capire questa idea si pensi all'addio ai monti del capitolo VIII, in cui si dice che Dio non toglie mai una gioia se non per dare agli uomini una gioia più grande. Nei Promessi Sposi è pure presente il motivo della giustizia presente sia in terra che in cielo. Lucia, prima, era giudicata negativamente come un personaggio senza forza (De Sanctis) mentre Russo vede in Lucia una figura con una forza delicata che lotta con dolcezza. Riguardo alla politica del romanzo Manzoni fa capire che condanna la politica, perché vede in essa la forza e l'astuzia e quando la condanna lo fa in modo ironico. Nel romanzo si hanno vari tipi di cultura, quella di Don Abbondio che non ha nessun amore verso la povera gente come Renzo e Lucia. (Renzo: la figura di Renzo si ricorda perché è impulsivo e spesso focoso ma sempre in lui c'è un sentimento fresco e sincero). Poi abbiamo Fra Cristoforo in cui vi è una cultura religiosa; il Dottor Azzeccagarbugli, che si serve della cultura per fare i propri comodi; il Cardinale Federico Borromeo, la sua cultura profonda gli serve per far conoscere la verità cristiana: è proprio questo tipo di cultura che il Manzoni ama, infatti la cultura deve servire a migliorare gli uomini e a far conoscere la verità. Si ricordi pure Don Ferrante che rappresenta la cultura del '600, piena di scienze inutili. Il periodo storico di cui i Promessi Sposi parlano è il '600: il Manzoni sceglie questo secolo perché è un periodo in cui si ha soprattutto il contrasto fra la ricchezza e la miseria, tra la schiavitù e la libertà, tra il bene ed il male; infatti come nel '600 gli italiani erano oppressi dagli spagnoli, così nell'800 (periodo del Manzoni) gli italiani sono oppressi dagli austriaci. Una grande importanza del romanzo è l'umorismo, che serve al Manzoni per dare un carattere medio giusto al suo racconto; cioè quando un fatto sta per diventare troppo tragico, il Manzoni con l'ironia e l'umorismo lo riporta a una certa normalità, facendo perdere a quel fatto l'eccessiva tragicità; per esempio: quando nel castello dell'Innominato abbiamo la figura di Lucia sofferente c'è anche la figura un po' comica della vecchia, la quale serve a rendere meno drammatica tutta la scena. Si ricordi il suo scritto "Della lingua italiana". Manzoni, mentre si preparava a scrivere, cercava una lingua popolare e nello stesso tempo letteraria; decide di usare la lingua fiorentina parlata dalle persone colte, poiché in Italia solo Firenze, dice Manzoni, ha una lingua nazionale, perché vi sono poche parole straniere ed è già stata usata dai grandi trecentisti ( Dante, Petrarca, Boccaccio). Il romanzo, quindi, è romantico anche per la lingua che è popolare pure se in modo moderato. A proposito della lingua, non ci sono espressioni parlate come ci saranno, invece, nel Verga. Un'altra differenza dal Verga e dai "veristi" è questa: tutti i personaggi parlano allo stesso modo di come parlerebbe il Manzoni, cioè il Manzoni non fa parlare i personaggi come parlerebbero veramente nella realtà, non si abbassa lui ai personaggi come farà Verga ed i veristi, ma li innalza a lui; per esempio, nell'addio ai monti le espressioni non sono certo quelle di due popolani. Bisogna anche dire che c'è ancora nel Manzoni un certo paternalismo, cioè lui tratta gli uomini come un padre tratta i figli, poiché crede che non sanno decidere da soli e hanno sempre bisogno di qualcuno, mentre nel Verga i personaggi sono più liberi. Anche se prima veniva criticata la presenza eccessiva dell'aspetto religioso, ormai i Promessi Sposi vengono giudicati opera di grande poesia e anche, soprattutto, per gli aspetti religioso, morale e sociale.E’ probabile che l’idea di scrivere un romanzo sia scaturita dalla lettura di alcune cronache del ‘600 e di documenti d’epoca. La prima stesura (redatta dal 1821 al 1823), rimasta sempre manoscritta e mai pubblicata, va considerata un’opera a sé, in quanto è molto diversa dall’edizione pubblicata nel 1827. Porta il nome di Fermo e Lucia ed è un romanzo vicino al modello scottiano. Vi trovano, infatti, largo spazio gli elementi romanzeschi e spettacolari, con vicende analizzate con minuzia (alla storia della monaca di Monza sono dedicati ben sei capitoli, contro i due dell’edizione definitiva) e con l’insistenza sui particolari più impressionanti. Lo scrittore si rese conto che questa narrazione era poco equilibrata, sia per il contenuto (la sproporzione tra le diverse parti) sia per lo strumento linguistico, che utilizzava un linguaggio artificiale, costruito con elementi di differente provenienza (lombardismi, francesismi, arcaismi). Lo scrittore si accorse del carattere anomalo di quanto aveva scritto (tanto che scherzosamente definì il romanzo "un composto indigesto") e l’opera di revisione cominciò subito parallelamente all’elaborazione teorica della sua concezione del Romanticismo. Lo attesta la famosa lettera a Cesare D’Azeglio, in cui enunciò la nota affermazione secondo cui l’arte ha per "soggetto il vero, per mezzo l’interessante e per fine l’utile". I Promessi Sposi furono pubblicati nel 1827 e si caratterizzano per la concentrazione psicologica dei personaggi ed una diversa disposizione della narrazione. Il modello linguistico prescelto fu il fiorentino colto, una lingua d’uso, parlata dalla borghesia di Firenze, ma anche erede della tradizione letteraria. Per meglio conoscere tale lingua, Manzoni soggiornò a lungo a Firenze. Nel 1840 pubblicò l’edizione definitiva, che non presenta particolari modifiche di contenuto o di struttura, ma che tiene conto dell’esperienza linguistica acquisita negli anni.
Perché dopo le tragedie Manzoni si rivolse al romanzo?
Già in un’opera storiografica scritta in preparazione dell’Adelchi, lo scrittore aveva osservato che gli storici si erano occupati solo dei potenti, ignorando la vita, i sentimenti, gli ideali degli uomini comuni, del popolo. Manzoni invece voleva entrare in contatto con questa zona sconosciuta, cercando di comprendere la mentalità ed il carattere di questi dimenticati, dando loro voce e, quindi, dignità. Nel primo coro dell’Adelchi, infatti, fa emergere il popolo latino, anche se deluso e sconfitto. Il romanzo offriva proprio l’occasione di togliere al personaggio letterario il carattere "illustre", il prestigio dell’eroe, abbassandolo all’umile piano della quotidianità, della comunità, inserendolo in un mondo brulicante di oggetti, di voci, di situazioni disparate. L’autore inoltre poteva sentirsi più libero, meno vincolato alla fedeltà storica nel narrare le vicende di umili e sconosciuti popolani. Con questa scelta Manzoni passa dal dramma della storia, dove è impossibile il trionfo della virtù, alla speranza di una società nuova, in cui è possibile avvertire i "segni" dell’opera provvidenziale di Dio.
Perché il romanzo è ambientato nel ‘600?
Quest’epoca, già nella tradizione illuminista milanese, rappresentava non solo il secolo della dominazione spagnola, ma una vera e propria età negativa, sia dal punto di vista politico (il malgoverno, la corruzione, l’ipocrisia) sia dal punto di vista artistico e culturale (il barocco). Anche Manzoni condivide tale giudizio fortemente critico, come si vede nei profili che dedica ai governanti, insipienti ed incapaci di fronte alla rivolta popolare per il pane o alla peste, impotenti di fronte all’ingiustizia ed alle soperchierie tanto da non saper far rispettare le leggi da loro emanate (le famose "grida"). Egli inoltre non apprezza la cultura barocca, ritenuta astrusa ed inconcludente, come si vede dalla figura di don Ferrante o dallo stile ampolloso dell’ipotetico manoscritto. A ben vedere, però, il ‘600 non è altro che una metafora della storia, perché i meccanismi che regolano tale società sono esemplari, appartengono ad ogni realtà umana e sociale. Va pure notato che la presentazione negativa del dominio spagnolo consentiva di alludere indirettamente all’ingiustizia della dominazione austriaca contemporanea, che feriva il crescente sentimento d’unità nazionale.
Che senso ha la scelta degli umili?
L’aver preso come protagonisti una donna ed un uomo del popolo non ha un significato sociale, di contestazione della struttura classista della società, ma ha un valore morale. Gli umili sono portatori di quei valori che fondano e costituiscono il vivere civile in contrapposizione all’ipocrisia dei potenti. Nelle loro disavventure Renzo e Lucia sanno scorgere un disegno divino che, ponendoli di fronte al mondo dell’intrigo, della menzogna, della violenza, ha fatto loro comprendere il valore della rettitudine della coscienza e la bellezza della vita nell’amore, nella fedeltà e nel bene.
Renzo e Lucia sono personaggi simili?
I due protagonisti sono caratterialmente diversi: Renzo è un giovane intraprendente, mentre Lucia è timida e riservata, ma la differenza più profonda è nel tipo di cammino cui sono destinati. Renzo è un personaggio dinamico. Uscito dal paese natio, affronta una serie di peripezie che lo cambiano, lo fanno maturare. Da giovane ingenuo ed impulsivo, diventa esperto della vita e dei suoi inganni, come si può notare dal confronto tra il primo ingresso in Milano ed il ritorno, mentre infuria la peste, alla ricerca di Lucia. Lucia invece ha una vicenda più interiore, senza rilevante differenza tra la prima presentazione e la conclusione della sua avventura. Ella non conosce che ambienti "illustri" (il monastero, il castello, il palazzo nobiliare) e vive in un confidente abbandono in Dio. Tale esperienza interiore la rende forte moralmente ed addirittura capace di cambiare le persone che incontra, come si vede con Gertrude e con l’Innominato.
Perché un critico ha proposto la definizione di "romanzo senza idillio"?
Nella tradizione dei romanzieri europei la conclusione della storia era del tutto felice, in quanto segnata da una pace riconquistata all’interno della comunità del villaggio, espressione di un ideale ritorno alla natura, alla quieta, alla perfezione. Manzoni invece fa abbandonare ai due protagonisti il villaggio natio, trasferendoli in un’altra realtà, anche per motivazioni economiche. Non presenta una soluzione di conciliazione tra i due ceti sociali (il successore di don Rodrigo ci tiene a mantenere le distanze) né nel sistema dei valori che guida Renzo e Lucia: altri guai potrebbero capitare, solo la fiducia in Dio li può addolcire. C’è quindi un’inquietudine nascosta, memore e carica delle tribolazioni passate, ma anche cosciente di nuove possibili prove, che non consente di ritenere ormai tutto finito e pacificato.
Come è stato valutato il romanzo manzoniano?
Nel giudizio su tale opera evidentemente ciascuno si lascia trascinare dalla propria sensibilità artistica, dalle personali convinzioni ideologiche, dall’ambiente culturale in cui vive. Lo scrittore tedesco Goethe, pur apprezzandolo molto, giudicò artisticamente infelici le lunghe digressioni storiche. Don Bosco criticò la presentazione troppo negativa di don Abbondio, sacerdote in cura d’anime. C’è chi ha parlato di "epopea della Provvidenza", come se il chiaro intento educativo manzoniano compromettesse la qualità artistica dell’opera, ridotta ad una specie di libro di propaganda. La critica marxista, poiché nel romanzo non si presenta la contestazione della struttura sociale né si invita alla ribellione, lo ha ritenuto "organico" al mondo borghese, espressione di una mentalità paternalistica verso la povertà e l’ingiustizia. Se però si riflette con attenzione, il romanzo sfugge alle classificazioni ideologiche abituali. La fede manzoniana è lontana dall’integralismo, è aperta, in un certo senso anche problematica: di fronte alle tragedie del vivere, è pronta a mettersi in discussione e non si affida a soluzioni predeterminate. Manzoni non difende "il palazzo", ma ne mette in risalto gli intrighi, gli inganni, l’ipocrisia e la violenza. Per lui essere nel mondo vuol dire vivere e soffrire la precarietà della storia, un mistero di contraddizioni, in cui ogni uomo personalmente è chiamato ad una precisa responsabilità etica. Grazie allo scrittore milanese la letteratura italiana ha avuto il primo romanzo "popolare" ed "europeo".
Il cinque Maggio
La notizia della morte di Napoleone giunse a Milano solo nel luglio del 1821 e suscitò un’enorme impressione. Sotto l’emozione di tale evento Manzoni scrisse, quasi di getto in soli tre giorni, un’opera che in seguito non si sentì di riprendere o modificare, pur giudicandola artisticamente imperfetta.Durante la vita di Napoleone, o nel trionfo della gloria o nell’umiliazione della sconfitta, mai lo scrittore milanese aveva espresso giudizi. Conclusa l’esistenza terrena dell’uomo che aveva tenuto nelle sue mani le sorti dell’Europa, Manzoni non esitò a parlarne, non per esaltarlo o condannarlo, ma per cercare di comprenderne la parabola esistenziale. Come i protagonisti delle sue tragedie, l’esule di sant’Elena è un’altra delle "personalità eccezionali" attraverso cui si può cogliere il significato profondo delle vicende storiche collettive e dell’esistenza individuale. Manzoni non vuole esprimere un giudizio storico, ma comprendere il significato che questa figura ha avuto per l’umanità nel misterioso disegno della Provvidenza che guida la storia. L’avventura di Napoleone, infatti, con i suoi momenti di esaltazione e di gloria, di umiliazione e di sconfitta, consente anche ad ogni uomo di riflettere sui veri valori della vita: "fu vera gloria"?. Tracotante nella vittoria, nella disperazione della solitudine Napoleone ha ritrovato la via della salvezza e del perdono di Dio, meritandosi, anche lui ormai vittima, il diritto alla compassione di tutti gli uomini. In un senso più profondo rivive in lui il dramma di ogni uomo che, attraverso la coscienza della caducità della gloria terrena, trova la consolazione nella misericordia e nella pace di Dio. L’ode ripropone la meditazione sulla storia che costituisce l’argomento privilegiato della riflessione manzoniana di quegli anni. In essa torna ad emergere la distanza tra la realtà della storia ed il piano della Provvidenza, che si svela solo al termine della vicenda terrena. Come il conte di Carmagnola, Adelchi ed Ermengarda, anche Napoleone si affida alla speranza nell’eterna giustizia di Dio, capace di sanare le miserie morali che accompagnano l’uomo nella storia terrena. Protagonista della poesia non è Napoleone, ma Dio, che si è servito di lui per il Suo misterioso disegno e poi l’ha atteso al varco per salvarlo e dimostrare la Sua misericordia. Con una certa gradualità, tuttavia, Manzoni comincia a scorgere nella storia quotidiana il concreto dispiegarsi dell’azione di salvezza: la presenza di Dio è avvertita più vicina, più amica, come si vede nell’ultimo Inno Sacro (la Pentecoste) e nella prima stesura del romanzo.
L’ode è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19 luglio 1821) subito dopo la notizia della morte di Napoleone, giunta a Milano il 16 luglio, che doveva provocare nel Poeta una notevole impressione che creò quello sgomento che sempre coglie gli uomini quando muoiono i Grandi che sembrabo indistruttibili, una certa commozione che nel Manzoni si traduce nella meditazione sulla vita e sulla morte, sulla fragile transitorietà delle glorie umane e terrene, sulla dolorosità della solitudine acuita dal ricordo delle grandezze passate e dall’ansietà di un desiderio, talvolta potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone che scruta l’orizzonte lontano sul mare), e infine la pacificazione nella Benefica Fede, con una preghiera "a speredere ogni ria parola" superando la condizione umana contingente nell’attesa di raggiungere il premio / che i desideri avanza.
Possiamo dividere l’ode manzoniana, composta da 18 sestine per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche, comprendenti ciascuna 9 sestine:
la prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell’uomo di fronte a se stesso, alla sua storia terrena, alla sua gloria umana, al premio / ch’e follia sperar; domina Napoleone e la sua storia, per il quale Manzoni non si era prodigato in elogi negli anni in cui dominò l’Europa, e non aveva neanche pensato un codardo oltraggio quando il destino dell’uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta restano muti nella meraviglia un po’ dolorosa di una morte "incredibile".
la seconda dal v. 55 alla fine, dominata dall’incontro tra l’uomo e Dio, la benefica / Fede ai trionfi avvezza, che sola può dare quel premio / che i desideri avanza, / dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò. I verbi al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso l’intervento di una Forza esterna all’uomo. Per questo, finita l’escalation verso la disperazione, si impone una presenza diversa.
Entrambe cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone (Ei fu al v. 1, E sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due centri costitutivi dell’ode (l’altro è Dio). Ciò che colpisce l’immaginazione e la spiritualità del Manzoni non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, o la storia dei fatti o delle idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell’isola di Sant’Elena, e la possibilità di un profondo pentimento maturato nella meditazione sulla sua vita passato e di un affidamento alla pietà di Dio all’avvicinarsi della fine dei propri giorni.
Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei popoli e che racchiuse in sé le aspettative di un’epoca; e allora non può che ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere del mondo e della vita, lascerà nella storia un’orma altrettanto grande. E quegli ultimi attimi sono fusi nell’ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede nel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola.
differenza tra opera storiografica e opera letteraria
differenza tra opera storiografica e opera letteraria