Analisi del testo "se questo è un uomo" Primo Levi

Materie:Riassunto
Categoria:Letteratura
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Testo

Analisi del testo “Se questo è un uomo”
Primo Levi

Dati Editoriali:

➢ Autore: Primo Levi
➢ Titolo del libro: “Se questo è un uomo”
➢ Data, luogo di pubblicazione e casa editrice: Se questo è un uomo viene pubblicato nel 1947 dalla casa editrice De Silva, stampando circa 2500 copie. Non riscontra il successo che avrebbe meritato e quindi viene accantonato. Successivamente nel 1956 ad una mostra a Torino sui campi di concentramento, il chimico Primo Levi viene assediato da giovani che lo interrogano sulla sua esperienza, lo scrittore riprende fiducia nei suoi metodi di narrazione e pubblica una seconda volta il libro, ma con la casa editrice Einaudi (che in precedenza lo aveva respinto), il dattiloscritto viene pubblicato nella collana “Saggi” e da allora viene ancora pubblicato. Nel 1959 il racconto viene tradotto in Inghilterra e negli Stati Uniti, due anni dopo anche in tedesco e in francese. Se questo è un uomo, ebbe così successo che nel 1964 venne ridotto per la radio.

Genere:
il racconto “Se questo è un uomo”, è un racconto di tipo storico, infatti, l’autore non inserisce nel contesto frasi personali contro i suoi persecutori, il suo compito è quello di raccontare ciò che è accaduto in modo che non succeda più.

Presentazione dell’autore:
Primo Levi nasce a Torino nel 1919 dove trascorrerà l’infanzia e la prima giovinezza, nel 1934 s’iscrive al primo anno di liceo, successivamente nel 1941 si laurea in chimica.
Nel 1942 Primo Levi si trasferisce a Milano per ragioni di lavoro da dove, nel 1943, scappa per andare sulle montagne sopra Aosta unendosi ad altri partigiani; viene quasi subito catturato dalla milizia fascista.
Nel 1944 Primo Levi viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e successivamente deportato ad Auschwitz; dove il 27 Gennaio 1945 viene liberato in occasione dell’arrivo dei russi al campo. Il suo rimpatrio avverrà soltanto nell’Ottobre.
Primo Levi muore, nella sua casa di Torino dopo aver subito un’operazione chirurgica, l’11 aprile del 1987.
Primo Levi giunse alla letteratura attraverso la tragica esperienza vissuta nei lager che lo segnò fino al punto di diventare per lui un’ossessione che lo portò dopo tanti anni al suicidio.
Il racconto delle traversie subite ad Auschwitz è consegnato a se questo è un uomo, che denuncia la tragica e subumana vita nel lager.

Esposizione sintetica della vicenda:
“Se questo è un uomo”, narra le sue esperienze di deportato nel lager nazista di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz.
L’autore viene arrestato nella notte del 13 dicembre 1943, quando venne sorpreso in montagna insieme ai suoi compagni da una reparto della milizia fascista.
Viene deportato nel campo di concentramento di Fossoli, qui a breve apprende la notizia del suo trasferimento, insieme ad altri italiani, nel campo di sterminio di Auschwitz, e precisamente di Buna-Monwitz, questa notizia però gli viene data parzialmente, infatti gli viene detto che devono partire per la Polonia.
Il viaggio è preceduto da vari “rituali d’addio”, c’è chi prepara il pranzo per i propri figli, chi prega, chi cerca di passare le sue ultime ore da deportato felice.
I prigionieri vengono ammassati su un treno composto da dodici carri chiusi dall’esterno, in cui, uomini, donne e bambini vengono pressati come sardine, e per giunta senza acqua da bere;
Giunti a destinazione, il meccanismo dell’annientamento si mette subito in moto: è il primo episodio di una lunga serie di eventi analoghi il cui unico scopo è quello di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati.
Coloro che sono in grado di essere utilizzati come mano d’opera fino allo sfruttamento completo di ogni risorsa umana, vengono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini, avviati invece alle camere a gas.
Gli “abili”, caricati su un autocarro, vengono trasportati nel campo di lavoro che è stato loro assegnato. Una insegna vivamente illuminata dove spiccano le parole: ARBEIT MACHT FREI ( il lavoro rende liberi), sovrasta la porta del campo. Sotto questo vessillo beffardo e grottesco che getta una luce ancora più tragica sul destino già segnato dei prigionieri, ha inizio il lungo apprendistato dei nuovi arrivati alla disumanizzazione, all’avvilimento e alla morte. Spogliati, e non solo in senso metaforico, di ogni dignità umana, rivestiti con casacche a righe, calzati di zoccoli, tatuati sul braccio sinistro con il numero di matricola che d’ora in avanti sostituirà il loro nome e quindi anche servirà a cancellare la loro identità personale sotto l’anonimato di una cifra, si trasformano da uomini in Haftlinge, vale a dire in prigionieri, dove però questo nome si carica, all’interno del lager e per quanto riguarda gli ebrei, di un significato particolarmente spregiativo. Da questo momento il nome dell’autore non è più Primo Levi bensì: 174517.
La narrazione prosegue addentrandosi nella descrizione di quell’inferno, difficilmente immaginabile per chi non ne abbia fatta esperienza, che è la vita in un lager. Il campo in cui viene rinchiuso l’autore è costituito da una sessantina di baracche, dette blocks, destinate agli ebrei, e da altri alloggiamenti in cui risiedono i Kapos e i Reichsdeutsche, vale a dire i comandanti del campo e i prigionieri tedeschi di razza ariana, sia politici che criminali. Le tre categorie di Haftlinge si distinguono tra loro per il diverso contrassegno che portano cucito sulla giacca: gli ebrei una stella rossa e gialla, i politici un triangolo rosso, i criminali un triangolo verde.
Tutti gli internati vengono trasferiti durante il giorno presso una fabbrica di gomma, chiamata la Buna (da cui prende il nome appunto il lager), e sotto la sorveglianza di un kapo, svolgono un lavoro massacrante. I più deboli soccombono ben presto alla fatica, alle privazioni, alle malattie, al freddo.
All’interno del lager si riproducono, come in un modello in scala ridotta ma non per questo meno drammatico, anzi esasperato dalle condizioni di estremo avvilimento in cui vivono i prigionieri, le medesime strutture che governano qualsiasi tipo di società dove il privilegio, l’ingiustizia, il sopruso, l’abilità personale, l’astuzia, l’intrigo svolgono un ruolo determinante dando luogo a una gerarchia di oppressori e oppressi. Le privazioni, anziché fiaccarli, inferociscono gli animi, e la degradazione non più tenuta a freno dalle leggi e dalle formalità del consorzio civile, travalica ogni limite.
Non è trascorso molto tempo dall’arrivo di Resnyk nel campo quando Levi, trasportando un carico pesante dalla ferrovia al magazzino della fabbrica di gomma, cade e si ferisce un piede. Quella stessa sera si presenta all’infermeria dove resterà per una ventina di giorni in attesa di riprendere il lavoro non appesale sue condizioni saranno tali da permetterglielo. Ed è proprio nell’ospedale del campo dove accanto ai malati curabili si affollano gli incurabili, che l’autore assiste alla sbrigativa procedura con cui le SS, irrompendo nella baracca, prescelgono coloro da inviare alle camere a gas.
Viene quindi destinato ad un altro Block dove ha la fortuna di imbattersi in Alberto, il migliore amico che si è fatto nel campo, un uomo forte e mite ad un tempo, che gli resterà vicino fino al giorno in cui, avvicinandosi il fronte russo, il campo sarà evacuato, e condividerà con lui il privilegio di essere assegnato al kommando chimico.
La prova che dovette sostenere per essere ammesso al laboratorio ci viene descritta in chiave grottesca e l’episodio si inserisce tra quelli che conferiscono una pausa distensiva. La prova consiste in un esame di chimica davanti a un dirigente del reparto polimerizzazione: il dottor Pannwitz, tipico esemplare di “ariano puro di razza tedesca”. Il dottor Pannwitz, siede dall’altra parte del tavolo, di fronte a lui, in piedi, c’è lo Haftlinge 174517, sporco lacero affamato, cioè l’ebreo italiano Primo Levi, laureatosi in chimica a Torino summa cum laude, ora non più che un numero da cancellare, da sopprimere, già destinato alle camere a gas.
Miracolosamente l’autore riesce a superare l’esame; Levi rimarrà aggregato al kommando chimico, ma passeranno diversi mesi, contrassegnati da sempre nuovi patimenti nonché da un’altra “selezione”, nel corso della quale i più vecchi e i più deboli verranno prescelti per le camere a gas, prima che l’autore, insieme ad altri due prigionieri, un belga e un rumeno che hanno ugualmente superato l’esame, entri a far parte del laboratorio e possa cominciare a nutrire la speranza, se non di sopravvivere, almeno di superare un altro durissimo inverno.
Uno dei tanti episodi atroci narrati riguarda la selezione avvenuta nell’Ottobre del ’44, alle soglie dell’inverno, quando le SS devono affrontare il problema di ridurre il numero dei prigionieri, in continuo aumento, che affollano il campo e che non possono più essere alloggiati nelle tende erette durante l’estate. Il sistema più sbrigativo e più pratico per risolvere la questione è ancora una volta quello di sbarazzarsi dei prigionieri meno validi inviandoli alle camere a gas. Levi descrive questa scena agghiacciante in pochissime pagine: agli internati viene consegnata una scheda, dovranno sfilare nudi davanti a un sottufficiale delle SS, il quale talvolta, per errore, coloro la cui scheda finisce a sinistra non sono nè vecchi né inabili, oppure accade il contrario.
Nel frattempo hanno inizio i bombardamenti alleati sull’alta Slesia, anche la fabbrica di gomma viene colpita, tutto fa presagire come prossima la catastrofe del terzo Reich, cominciano a filtrare dall’esterno le notizie riguardanti il decorso della guerra, ma non per questo il lavoro dei prigionieri subisce un rallentamento o le loro sofferenze si attenuano. Costretti a lavorare fra la polvere e le macerie, a ricostruire ciò che l’indomani sarà nuovamente distrutto, costantemente esposti ai pericoli delle incursioni aeree nonché fatti oggetto da parte dei loro oppressori e aguzzini di una raddoppiata ferocia a causa della tragedia che incombe sulla Germania, subiscono tutto il peso di una situazione che diventa ogni giorno più insostenibile.
Verso la fine del ’44, dei 96 italiani internati nel campo solo 21 sono ancora in vita ma le loro condizioni sono tali da far presumere che nel corso dell’inverno pochi di essi riusciranno a sopravvivere, E tra questi sicuramente l’autore se, in maniere del tutto inaspettata e quando aveva ormai rinunciato a sperare, non venisse destinato a laboratorio dove trascorrerà gli ultimi mesi di prigionia, in un ambiente riscaldato, relativamente al sicuro delle selezioni e a contatto con materiali e strumenti che gli ricordano i suoi studi, la sua professione, in altre parole l’uomo che era un tempo.
La narrazione di questo periodo, contrassegnato da alterne esperienze, si conclude con un episodio altamente drammatico: l’impiccagione di un uomo accusato di aver organizzato un complotto per l’ammutinamento simultaneo di tutti i prigionieri del campo.
Dopo l’episodio dell’impiccagione il racconto assume un ritmo diverso. Siamo ormai alle ultime fasi del dramma, il fronte russo si sta avvicinando, i tedeschi acquistano consapevolezza della catastrofe imminente e secondo le istruzioni impartite da Hitler si apprestano a far evacuare i campi di sterminio e a distruggere gli impianti affinché non rimanga traccia del lager.
E’ il gennaio 1945. Questi ultimi drammatici avvenimenti ci vengono narrati sotto forma di diario.
L’autore che nel frattempo si è ammalato di scarlattina ed è stato ancora una volta ricoverato nelle baracche adibite ad ospedale, assiste alla partenza dei suoi compagni. Sono circa 20.000, tra i quali Alberto: Moriranno tutti durante un’interminabile marcia attraverso la Germania, mentre i malati, circa 800, abbandonati a se stessi, rimarranno nel lager devastato, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di 20 gradi sotto zero, decimati dal tifo, dalla difterite e dalla dissenteria. Levi è tra i pochissimi che riesce a sopravvivere e le pagine conclusive del libro ci danno la cronaca allucinante di quello che accadde in qui terribili 10 giorni e precisamente dal 19 gennaio al 27 gennaio del ’45.
Quando all’alba del 27 gennaio arrivano i russi, lo spettacolo che si offre ai loro occhi è quello terrificante dei cadaveri che si ammucchiano sulla neve e dei pochi superstiti che si aggirano come spettri fra le rovine del campo. Uno spettacolo che suggella in termini emblematici l’opera di sterminio programmatico messa in atto dal nazismo.

Descrizioni dei personaggi:
Gattegno: questo personaggio viene incontrato da Primo Levi nel campo di concentramento di Fossoli, egli è un vecchio capo di una famiglia composta da: una moglie, molti figli e nipoti, venivano tutti da Tripoli ed erano tutti falegnami, avevano portato sempre con loro i ferri del mestiere, la batteria di cucina, le fisarmoniche e i violini per allietare le sere dopo il duro lavoro.
Emilia: figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, fu uccisa dalla milizia tedesca, lei era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente, durante il viaggio, i suoi genitori erano riusciti a fargli il bagno in un mastello di zinco con dell’acqua tiepida.
Flesch: questo personaggio era il provvisorio traduttore delle frasi dette dai tedeschi al campo di concentramento di “Buna”; era un ebreo tedesco sulla cinquantina, portava sul viso una vistosa cicatrice di una ferita riportata combattendo contro gli italiani sul Piave.
Diena: era il compagno di cuccetta di Primo Levi quando era stato assegnato al block 30.
Steinlauf: era un vecchio amico dell’autore aveva circa cinquant’anni; questo personaggio ha un’incredibile forza di volontà, e lo dimostra quando si sta lavando anche senza sapone, infatti non si fa annientare dal campo, o almeno cerca di non farlo.
Null Achtzehn: anche lui è un prigioniero del campo, ma non è uguale a tutti gli altri, infatti quando lavora, lo fa fino a quando non riesce a reggersi in piedi, e nessuno del campo vuole lavorare con questa persona, lui ha dimenticato il suo nome, ora infatti si chiamo come un numero: Null Achtzehn, cioè zero diciotto, come le ultime cifre del suo numero di matricola. È quello che lavora più di tutti, il protagonista finisce spesso in coppia con lui.
Chajim: è il nuovo compagno di letto di Primo Levi, lo stesso scrittore ha una fiducia cieca in lui, lui è un polacco, ebreo, studioso della legge, ha pressa poco la stessa età dello scrittore, il suo mestiere è l’orologiaio e nel campo di concentramento fa il meccanico di precisione.
Walter Bonn: un olandese civile e abbastanza colto, molto generoso, è uno dei due vicini di letto di Primo Levi nella Ka-Be.
Schmulek: è il compagno di letto di Walter, è un ebreo polacco, albino dal viso scarno e bonario, non più giovane, è un fabbro.
Alberto: è il migliore amico di Primo Levi, ha ventidue anni, due in meno dello scrittore, è una persona che si è adattato meglio tra tutti gli italiani del campo. Lui sostiene che la vita nel Lager è una guerra, le sue virtù principali sono l’intelligenza e il suo istinto, insomma è una persona che non si vuole far annientare dal campo di concentramento.
Resnyk: è polacco, ha vissuto vent’anni a Parigi ma non ha tanta dimestichezza con il francese, ha trent’anni. È il nuovo compagno di letto di Primo Lei, egli non è molto contento perché il nuovo arrivato è molto alto, lui non dormirà bene e il lavoro sarà ancora peggio, perché il peso graverà solo sulle spalle del basso scrittore, ma non è stato così perché il compagno si è dimostrato gentile e premuroso, già dall’inizio si è offerto di rassettare il letto.
Wachsmann: è il più debole e maldestro “ospite” del campo, è un Rabbino, un Melamed cioè un dotto della Thorà e, nel suo paese, la Galizia, aveva la fama del taumaturgo.
Sigi: è diciassettenne e la sua casa è a Vienna, è anche lui un compagno di Primo Levi, è nello stesso Block dello scrittore.
Bèla: anche lui e una persona che alloggia nello stesso Block di Primo Levi, lui viene dalla campagna Ungherese.
Shepshel: egli vive in lager da quattro anni. Aveva una moglie e cinque figli e un negozio da sellaio. Shepshel non è molto robusto, ne molto coraggioso non è neppure particolarmente astuto.
Alfred L: egli dirigeva nel suo paese una importantissima fabbrica di prodotti chimici, essa era nota in tutta Europa. Era un uomo robusto sulla cinquantina. Era l’addetto alla pulitura giornaliera della marmitta degli operai polacchi, non si lamentava mai.
Elias Lindzin: era un nano, non più alto di un metro e mezzo ma aveva una muscolatura molto sviluppata. Sotto il suo cuoio capelluto, le suture craniche sporgevano smisurate. Il cranio è massiccio e dava l’impressione di essere di metallo. Il naso, il mento, la fronte, gli zigomi sono compatti e duri; lavora come nessun’altro.
Henri: non ha nemmeno 22 anni, è intelligentissimo, parla francese, tedesco, inglese e russo, ha un’ottima cultura scientifica e classica. Suo fratello è morto in Buna e da quel momento, Henri non ha più affetti, si è chiuso in se stesso. Circuisce molta gente per sopravvivere.
Mendi: egli è rabbino, è della Russia subcarpatica, parla sette lingue, sa moltissime cose, oltre ad essere un rabbino e sionista militante, glottologo, è stato partigiano ed è dottore in legge.
Panwitz: egli è alto, magro, biondo; ha gli occhi, il naso e i capelli come tutti i tedeschi, è il capo del Kommando 98.
Jean: era il pikolo del kommando dello scrittore, pur avendo già 24 anni, era l’Haftilinge più giovane del kommando chimico, era il fattorino-scritturale, addetto alla pulizia della baracca, delle consegne degli attrezzi, alla lavatura delle gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del kommando. Perlava il francese e il tedesco.
Lorenzo: è un civile che aiuta in qualche modo Primo Levi, lo stesso scrittore afferma che è vivo grazie a Lorenzo e che gli ha ricordato di essere un uomo.

Analisi dell’ambiente e del tempo:
il campo di concentramento della “Buna” sorge su una zona dove le precipitazioni nevose non sono rare, infatti il campo è costantemente coperto da una coltre banca di neve, il campo di concentramento è delimitato da due reti di filo spianato in cui passa la corrente elettrica ad alta tensione, al centro del campo vi è un grande spiazzo per l’appello della mattina e della sera, dove tutti i kommandi si ritrovano prima dell’inizio del lavoro. Le latrine sono distanti dallo spiazzo e per raggiungerle bisogna camminare per lungo tratto nella neve.
Il paesaggio sembra grigio, cupo e questo è dovuto all’attività che si svolge al campo cioè la metallurgia, il terreno è fangoso e ovunque ci sono resti della lavorazione.
In mezzo al campo passa la ferrovia, lo stesso binario con cui Primo Levi e i suoi compagni sono giunti al campo, e sempre su questi binari passa la tratta che porta i pezzi da lavorare in campo.
Il lavoro è molto difficoltoso a causa del fango, infatti esso si attacca sotto gli zoccoli, e tutto d’un tratto si stacca lasciando i lavoratori in un equilibrio precario.
Nel campo non cresce un filo d’erba, il terreno è impregnato di succhi velenosi del carbone e del petrolio, non vi è nessuna forma vivente all’infuori dei prigionieri e delle macchine, quest’ultime sono le più vive.
All’interno del campo vi un’infermeria, chiamata Ka-Be, qui entrano i lavoratori che non siano in grado temporaneamente di svolgere il proprio lavoro, chi entra in Ka-Be e non riesce a rimettersi in sesto velocemente, rischia di finire nelle camere a gas.
Ovunque, in qualsiasi muro sono appese o scritte delle frasi con l’unico scopo di annientare psicologicamente il prigioniero, per esempio nelle latrine c’era appeso una foto di un uomo sporco e sotto vi era scritto “così vai alla morte”, ma il bello era che non c’era il sapone e l’acqua era sporca di fango; inoltre c’era la foto di un pidocchio e sotto vi era scritto “con questo addosso vai al gas”.
Le strade e gli edifici si chiamavano con numeri come i prigionieri.
I prigionieri alloggiavano in baracche chiamate Block, all’interno potevano trovarsi circa 145 prigionieri, i letti dovevano essere divisi in due persone, la baracca era talmente stretta che non potevano rimanere in piedi al centro più della metà de prigionieri.
All’interno del Lager ci sono circa 10000 prigionieri, essi hanno costruito la Torre del Carburo la cui sommità è raramente visibile a causa della nebbia.
Ci sono molti Lager che fanno da corona alla Buna tra i quali il Lager dei prigionieri di guerra inglesi, il Lager delle donne Ucraine, il Lager dei francesi volontari e molti altri.

Tecniche narrative:
Lo scrittore adotta una tecnica di narratore onnisciente come nei Promessi Sposi, ma a differenza di essi, lo scrittore è il protagonista della vicenda.
La storia è basata sul solo racconto dei fatti accaduti, lo scrittore decide di raccontare e basta, senza offendere e senza esprimere opinioni sui fatti accaduti, il suo compito somiglia a quello di uno storico.

Stile e scelte linguistiche:
Lo scrittore adotta un linguaggio semplice e moderno, adatto ai ragazzi, appunto perché il suo messaggio deve arrivare a tutti e parire chiaro ai lettori.
Usa delle frasi brevi, vuole far arrivare il messaggio in modo essenziale e preciso. Fa spesso uso di termini tedeschi per rendere più partecipe il lettore.
Non vuole raccogliere le emozioni degli altri, non vuole denunciare ciò che è accaduto, ma vuole far venire all’attenzione dei lettori, la condizione disperata a cui l’uomo è stato sottoposto da altri uomini.

Commenti finali:
il libro di Primo Levi è, secondo me, uno strumento molto importante per chi vuole capire cosa è stato dei prigionieri ebrei della seconda guerra mondiale.
Questo strumento è molto utile per non dimenticare ciò che è accaduto e per non ripetere questo immane errore dell’ umanità nel futuro.
Questa opera racchiude in sé miriadi di emozioni, sentimenti, dolore, ma anche speranza per la sopravvivenza.

Esempio



  


  1. chiara

    il riassunto destinazione auschwitz

  2. ana

    se questo e' un uomo di primo levi