"La locandiera" di Carlo Goldoni

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Testo

La peggiore delle storie d‘amore
la migliore delle beffe del destino
Ironia della sorte, La Locandiera non fu mai tra le preferite del Goldoni. Eppure spesso quando si parla di Goldoni la nostra mente va subito ad afferrare quest’opera, forse una della più riuscite, una delle più popolari. La critica dice che La Locandiera rappresenta il raggiungimento della maturità artistica di questo autore… “assoluta padronanza del mezzo scenico”… “sapiente organizzazione delle varie scene” … “attenta caratterizzazione di tutti i personaggi” …. “dialoghi ben calibrati” … e ancora “chiaro delineamento dell’ambiente sociale dove si svolge l’azione”. Insomma pare che sia una vera e propria rivoluzione teatrale “questa” Locandiera. In un periodo di accesi dibattiti (non solo in Italia..) su come fare teatro, mentre Diderot (in Francia) e Lessing (in Germania) influenzano il teatro illuminista attraverso il dramma “borghese”, ecco l’italiano Goldoni che non solo se la deve vedere con le nuove influenze borghesi ma anche con vecchie “conoscenze” all’italiana, le “Commedie dell’Arte”, che rendevano le cose un po’ più difficili. Goldoni proponeva quindi un nuovo modello in un teatro ormai decaduto: non più improvvisazioni tanto amate dagli attori, ma un testo scritto. Non più la stessa maschera ormai ingiallita di Arlecchino, Pantalone o Colombina, ma personaggi nuovi e ben preparati. Così la Locandiera toglie le “maschere” ai nostri attori che mostrano personaggi fragili e forti, reali, vicini alle persone. Mirandolina così non è solamente lo stereotipo della donnina misteriosa che serve il padrone, ma ha anche i suoi interessi e affari. Chi l’avrebbe mai detto che alla fine la bella locandiera sposasse Fabrizio? Viene quasi un colpo quando si leggono le intenzioni di Mirandolina, che sconvolgono gli stereotipi della nostra mente che già si vedeva la Locandiera tra le braccia del Cavaliere. Una commedia che non solo dipinge i valori borghesi, ma anche fa di ogni singolo personaggio una vera e propria scoperta, e mette in questione l’importante questione della figura della donna, che, attraverso Mirandolina, per una volta rimane indomata. Per metà.
La trama
Paolo Cavara con Claudia Mori
Goldoni scrisse “La locandiera” nel dicembre del 1752. La commedia venne rappresentata al teatro Sant’Angelo di Venezia durante la stagione carnevalesca 1752-53, e vide la pubblicazione nell’edizione Paperini (Firenze 1753, tomo II) e quindi in quella Pasquali (Venezia 1762). La protagonista della vicenda è Mirandolina, che ha ereditato dal padre una locanda a Firenze, e con essa la promessa di sposare il cameriere Fabrizio. La locandiera è variamente corteggiata dal marchese di Forlipopoli e dal conte d’Albafiorita, ma la sua attenzione è attratta da un altro avventore, il misogino cavaliere di Ripafratta che apertamente si dimostra a lei ostile. Punta nel vivo Mirandolina decide di vendicare se stessa e il suo sesso: seduce con le sue straordinarie doti verbali e di maniera il malcapitato nobile, gettandolo nella più completa disperazione. Si muove insomma tra quattro corteggiatori; impone le capacità e le potenzialità pratiche della sua condizione e della sua classe; deride e sconfigge gli esponenti di quella aristocratica. Eppure non compie, alla fine, il passo successivo: obbediente ai voleri del padre, sposa Fabrizio, rinunciando a stipulare un matrimonio d’interesse con una delle sue nobili vittime, impedendosi cioè il salto di classe.
Nell’incredibile sequela di astuzie, di abilità "diplomatiche", Mirandolina può tutto; ma nel momento in cui deve decidere cosa fare della sua vita, ella ha preclusa la strada: deve sottostare ai suoi doveri di donna e di figlia, accettando l’imposizione fattale dal padre; e deve sottomettersi alle barriere sociali che comunque, secondo la visione "moderata" dell’autore, garantiscono la stabilità del mondo. Da questo punto di vista La locandiera è una splendida meditazione sul concetto della differenza (di sesso, di classe, ma anche tra le psicologie singole) così presente alla cultura illuministica. Nella maturità e perfezione della sua costruzione, l’opera rappresenta quasi un unicum, di cui è difficile rintracciare suggestioni e modelli. Certo presenti all’ideazione goldoniana sono alcuni suoi capolavori precedenti, come La donna di garbo, La Castalda e La vedova scaltra, ma non mancherebbero secondo alcuni (secondo Franca Angelini, ad esempio) precisi riferimenti al modello-mito del Don Giovanni (soprattutto della commedia di Molière), che verrebbe da Goldoni rovesciato nella seduttrice borghese e "controllata". Al motivo ideologico di fondo, quello delle differenze, è anche legato il meccanismo che suscita il comico, e che dunque rende fruibile l’opera: l’incontro tra personaggi così diversi (i tre aristocratici, le tre donne, oltre alla protagonista, le comiche Ortensia e Dejanira, e i tre servi, tra cui Fabrizio). In tale contesto si incontrano e stridono l’etica aristocratica del titolo con quella borghese del lavoro; il concetto di passione che tutto sconvolge e l’istituzione matrimoniale che tutto aggiusta e appiana.
In tutto questo un ruolo decisivo è giocato dalla lingua, intrisa di toscanismi, mai difficile o preziosa, sempre piana e colloquiale, eppure curatissima nelle sfumature, visto che il perno della vicenda, la seduzione portata avanti da Mirandolina, utilizza strumenti essenzialmente verbali.
Storie di una commedia
Sulla Locandiera leggiamo il passo dalle Memorie di Goldoni:
Arrivato alla novena di Natale dell'anno 1751, mi parve tempo di far risovvenire Medebac che il nostro impegno stava per terminare, e di prevenirlo che non facesse fondamento sopra di me per l'anno seguente.
Gliene parlai amichevolmente e senza formalità. Mi rispose con tutta pulitezza che gli dispiaceva, ma che io era il padrone della mia volontà. Fece però tutto il possibile per impegnarmi a rimanere con lui, e mi fece parlare da molte persone; ma io aveva già risoluto, e nei dieci giorni di riposo mi era accordato con S. E. Vendramini, nobile veneto e proprietario del Teatro San Luca.
Doveva lavorare ancora pel Teatro sant'Angelo sino al termine del carnevale 1752; e soddisfeci al mio dovere sì bene che diedi al Direttore più Commedie di quel che potesse nel carnevale suddetto rappresentare, e gliene restarono alcune che fece valere dopo la nostra separazione.
Madama Medebac era sempre ammalata. I suoi vapori divenivano sempre più nojosi e ridicoli: rideva e piangeva in una volta, mandava grida, faceva mille smorfie e mille contorsioni. La buona gente di sua famiglia, credendola affascinata, fece venir Esorcisti, e carica di reliquie, giuocava e scherzava con quei monumenti pii come una fanciulla di tre o quattro anni.
Vedendo la prima Attrice fuor di stato d'esporsi sopra la scena, all'apertura dal carnevale feci una Commedia per la cameriera o servetta. Madama Medebac si fece veder in piedi ed in buon essere il dì di Natale; ma quando seppe che si era affissata per giorno appresso la Locandiera, Commedia nuova fatta per Corallina. andò a rimettersi in letto con convulsioni di nuova invenzione, che facevano impazzire sua madre, suo marito, i suoi parenti ed i suoi domestici.
Aprimmo dunque lo spettacolo il dì 26 dicembre con la Locandiera. Questa vien da Locanda, che in italiano significa la stessa cosa che hôtel garni in francese. Non vi è termine proprio in lingua francese per indicar l'uomo o la donna che tien locanda. Se si volesse tradurre questa Commedia in francese, converrebbe cercar il titolo nel carattere, e questo sarebbe senza dubbio la Femme adroite. Mirandolina tiene una locanda a Firenze, e colle sue grazie e col suo spirito guadagna, ancor senza volerlo, il cuore di tutti quelli che alloggian da lei.
Di tre forestieri che sono alloggiati in questa locanda, ve ne son due che sono innamorati della bella Locandiera; ma il cavalier Ripafratta, ch'è il terzo, non essendo capace d'alcun attacco per le donne, la tratta rusticamente e si burla de' suoi compagni.
È giustamente contra quest'uomo selvatico e rustico, che Mirandolina addirizza tutte le sue batterie. Essa non l'ama; ma è punta e vuole per amor proprio e per onor del suo sesso sommetterlo, umiliarlo e punirlo.
Comincia coll'adularlo, fingendo d'approvare i suoi costumi ed il suo disprezzo per le donne: affetta ancor ella il medesimo disgusto per gli uomini, e detesta i due forestieri che l'importunano: non è che nell'appartamento del cavaliere, che essa entra con piacer grande, essendo sicura di non essere annojata da sciocchezze ridicole. Guadagna tosto con quest'astuzia la stima del cavaliere, che l'ammira e la crede degna della sua confidenza: egli la riguarda come una donna di buon senso, e vedela con piacere. La Locandiera si approfitta di questi favorevoli istanti, e raddoppia le sue attenzioni per lui.
L'uomo duro comincia a concepire sentimenti di gratitudine: divien amico d'una donna che trova straordinaria, e che gli par rispettabile. S'annoja allorchè non la vede, va in traccia di lei, in una parola, innamorasi.
Mirandolina è nel colmo della gioja, ma la sua vendetta non è ancor soddisfatta. Ella vuol vederlo ai suoi piedi. Vi giugne; ed allora tormentalo, lo desola, lo fa disperare, e finisce sposando sotto gli occhj del cavaliere un uom del suo stato, a cui ella aveva data la sua parola d'onore da lungo tempo.
L'incontro di questa Commedia fu così splendido, che la misero al pari, ed al di sopra ancora di quanto aveva fatto in tal genere, in cui l'artificio supplisce all'interesse.
Non si crederà forse, senza leggerla, che i progetti, le direzioni ed il trionfo di Mirandolina siano verisimi nello spazio di ventiquattr'ore.
Mi avran forse adulato in Italia; ma mi han fatto credere che non aveva fatta Commedia più naturale e più ben condotta, e che l'azione trovavasi perfettamente sostenuta e completa.
Dietro alla gelosia che producevano nell'animo di madama Medebac i progressi di Corallina, quest'ultima Commedia avrebbe dovuto mandarla sotterra; ma siccome i suoi vapori erano d'una specie singolare, essa abbandonò il letto due giorni dopo, e domandò che si tagliasse il corso delle rappresentazioni della Locandiera, e che si rimettesse sul Teatro Pamela.
L'attrice Corallina era Maddalena Raffi Marliani, e ottenne un grande successo, ma per intervento della stessa 'madama Teodora Medebac', attrice principale della compagnia Medebac, la recita fu interrotta dopo sole quattro repliche, per farla tornare in teatro con il suo cavallo di battaglia Pamela
La locandiera al Teatro Eliseo di Roma, regia di Luchino Visconti (1952)

I personaggi
Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia, comica
Dejanira, comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore del Cavaliere e Servitore del Conte
Il cavaliere di Ripafratta: disprezzatore delle donne, si imbatte nella gentilezza e bellezza di Mirandolina, che abilmente lo porta alla pazzia d’amore.
Il marchese di Forlipopoli: nobile ma senza denaro. Finge di disprezzare il denaro e promette a Mirandolina protezione. E’ il simbolo della società aristocratica decaduta. Lui pensa quasi che Mirandolina sia un suo possesso e non vuole che nessun altro la corteggi.
Il conte d’Albafiorita: a differenza del marchese, è un uomo molto ricco che cerca di conquistare Mirandolina con i gioielli. Molto interessanti i “ligiti” tra il conte e il marchese, che rendono la storia ancora piàù movimentata.
Mirandolina: è la locandiera. E’ una donna molto intraprendente, che gestisce da sola la locanda dopo la morte del padre. Ama stuzzicare gli uomini. Attraverso la seduzione si prende la rivincita sul cavaliere che disprezzava le donne. Il suo fascino non lascia indifferente nessuno. Ridicolizza gli uomini che diventano pazzi per lei. Rappresenta la borghesia che all’epoca era molto forte. E’ una figura molto affascinante e rende l’intera commedia ricca di colpi di scena. Mirandolina è una “bisbetica indomata”, che non accetta nessun corteggiamento di cavalieri e tanto meno marchesi o conti. La sua sdrada è una vita modesta con Fabrizio, il cameriere della locanda.
Fabrizio: il padre di Mirandolina prima di morire disse che lui era il marito giusto per Mirandolina. In realtà Fabrizio è un servitore molto fedele (e geloso) che sopporta questa donna dagli atteggiamenti intraprendenti. Sopporta i corteggiatori che si avvicinano a lei e alla fine risulta l’uomo più fortunato tra i tanti della locanda.
Ortensia e Dejanira: sono due commedianti che giocano a fare le dame. Sono spettatrici di fronte a Mirandolina, ma allo stesso tempo acquistano un loro spazio nella commedia attraverso alcuni dialoghi brillanti. Attrici di attrici. Una commedia all’interno della commedia.
La figura della donna nel 7oo
Il ‘700 viene definito il secolo della donna. Infatti essa comincia la sua lotta per l’uguaglianza. Nella società dell’epoca ci si aspettava che la donna lavorasse per potersi mantenere da sola, eppure una donna totalmente indipendente era vista come innaturale e detestabile. Infatti erano il padre e il marito a dover provvedere per il suo mantenimento. Il fatto di essere nutrita e alloggiata si ripercuoteva sul salario che le veniva corrisposto. Il lavoro maggiormente eseguito dalle donne delle basse classi sociali era il lavoro domestico a servizio di altre famiglie. L’80% delle bambine non poteva godersi l’adolescenza, perché già a 12 anni partiva da casa per cercarsi un lavoro o entrare in una charity school, consapevole del fatto che solo una dote cospicua o una specializzazione nel lavoro avrebbero attratto un potenziale marito. Le charity school insegnavano alle ragazze il rispetto per le gerarchie e inoltre le istruivano alla cura della propria persona, molto importante nell’ambiente lavorativo. Infatti una domestica che, anche dopo aver svolto per diversi anni i lavori più umilianti, manteneva un aspetto curato, poteva aspirare a compiti più importanti, come servire a tavola, diventare cameriera o addirittura cameriera personale. Ma qui si fermavano le aspirazioni di una donna di basso ceto sociale. Le donne dell’alta borghesia non lavoravano, a meno che non si considerino lavori attività come il cucito, la pittura o la musica. Dal momento in cui una bambina veniva al mondo, aveva accanto un uomo (prima il padre poi il marito) che era legalmente responsabile per lei e al quale doveva onore, rispetto ed obbedienza. La sistemazione matrimoniale dei figli era l’affare più impegnativo a cui una famiglia dovesse fare fronte. Il matrimonio di una figlia era una questione negoziata accuratamente, perché dava alla famiglia una possibilità per innalzare la propria posizione nella scala sociale. In un matrimonio non solo il marito, ma anche il padre erano responsabili per la ragazza che si era appena sposata: la situazione matrimoniale dei figli si considerava infatti tra le più impegnative. La donna delle classi sociali lavoratrici doveva comunque mantenersi da sola sia prima sia dopo il matrimonio non ottenendo mai però l’indipendenza. Al contrario, il matrimonio nelle classi sociali aristocratiche veniva considerato un pesante sforzo sul bilancio anche delle famiglie più benestanti: infatti le famiglie degli aristocratici non solo dovevano avere una dote, ma essa doveva essere degna della loro ricchezza, in questo modo così molte figlie restavano zitelle perché la famiglia non poteva permettersi uno sforzo così grande per tutte le figlie che aveva. Il matrimonio doveva essere tra persone di uguale ceto sociale e le prescelte erano le figlie primogenite. Il matrimonio era ritenuto un’istituzione concepita per dare aiuto e sostegno da entrambe le parti, in cui il marito doveva provvedere al mantenimento della moglie e proteggerla. Se la donna aveva un ruolo specifico nella vita adulta era quello di madre e procreatrice. Le famiglie dell’aristocrazia erano molto numerose, mentre nelle classi più basse il numero dei figli era determinato da qualsiasi elemento, carestie, epidemie, scarsi raccolti… In ogni caso, l’altissimo tasso di mortalità infantile preoccupava le madri di ogni classe. Le donne aristocratiche, quelle del ceto medio e alcune lavoratrici utilizzavano la balia, figura all’epoca piuttosto importante, ma mentre le famiglie benestanti cercavano una donna sana, ben nutrita, che vivesse in una bella fattoria, a livelli più bassi della scala sociale chi aveva bisogno di una balia ricorreva a donne povere. Superata l’infanzia, la madre assumeva il ruolo di educatrice: insegnava ai figli come muoversi nel mondo dove entrambi vivevano. A una giovane aristocratica veniva insegnato come presentarsi, vestirsi, parlare, dirigere la servitù, danzare, cantare, suonare uno strumento. Per una ragazza della classe media invece era importante sapere amministrare la casa, anche tenendo i conti e i libri mastri. Esistevano alcune scuole femminili, ma erano spesso una sorta di servizio di baby sitting e consideravano l’alfabetizzazione meno importante del cucito di base. La conclusione comunque è che la figlia rifletteva l’immagine della casa.

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