Materie: | Appunti |
Categoria: | Letteratura |
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Data: | 08.02.2008 |
Numero di pagine: | 24 |
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Testo
I Malavoglia
Giovanni Carmelo Verga è nato il 2 settembre a Catania, appartenente alla nobiltà antica di un grosso borgo, egli è considerato il nostro più grande narratore che sia nato dopo il Manzoni. Esordì con romanzi a sfondo autobiografico. Verso i quarant’anni volse la sua visione alla vita della provincia.
Lasciati gli studi di legge per entrare nel 1861 nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane un grande interesse per la letteratura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico “I carbonari della montagna”.
Fu a Roma, a Firenze, a Milano dove frequentò il famoso salotto della contessa Maffei e, ritirandosi a Catania, vi morì nel 1922, chiuso in austera solitudine, forse anche perché non era riuscito a conquistarsi la popolarità che meritava.
Verrà la gloria, ma dopo la sua scomparsa.
Gli scritti della sua prima giovinezza sono romanzi storici: “I carbonari della montagna” (ispirato ad un episodio di guerra contro Gioacchino Murat) e “Sulle Lagune” (1863) (che parla di Venezia soggetta all’Austria). Lo troviamo a Milano, dal 1866 al 1875, dove pubblica i romanzi ambientati nella vita dei salotti mondani, in cui Verga si dedica allo studio della vita borghese, romanzi tramanti torbidi amori come: “Storia d’una peccatrice” (1866); “Storia d’una capinera” (1871); “Eva” (1873); “Tigre reale” (1873); “Eros” (1875) e la raccolta “Primavera e altri racconti” (1876).
La svolta letterale si può datare 1874, l’anno in cui fu pubblicata “Nedda”, l’ambiente non è più urbano ma rurale. La storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia. I protagonisti sono umili contadini. Da quel momento in poi la Sicilia contadina fu al centro del lavoro dello scrittore. Si apre così il doloroso ciclo dei vinti che prosegue con “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo”, due romanzi che costituiscono l’opera maggiore del Verga. Nel 1880 “Vita dei campi”, nel 1882 “Il marito di Elena”, nel 1883 le raccolte di novelle “Per le vie” e “Novelle rusticane” tutti racconti di gelosia, di sfrenata passione che si manifesta con episodi di eccezionale violenza. Nel 1884 vede rappresentata in teatro una sua novella contenuta in Vita dei campi, la “Cavalleria rusticana”, tramutata poi in opera lirica nel 1890. La stessa opera “I Malavoglia” offrirono lo spunto per il film “La terra trema” (1948). Nel 1888 esce “Mastro don Gesualdo”.
Altre opere conosciute sono “L’amante di Gramigna”, “Rosso Malpelo”, “Jeli il pastore”, “Cos’il re”, “Malaria”, “La roba”.
Raggiunta l’agiatezza economica e la tranquillità sentimentale nel 1894 si ritira a Catania e pubblica ancora una raccolta di novelle “Don Candeloro”; nel 1903 esce il dramma “Dal tuo al mio”, nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo dei vinti “La duchessa di Leyra” che però rimane fermo al primo capitolo.
Possiamo considerare Giovanni Verga il massimo esponente del verismo italiano. Dopo un periodo nel quale era rimasto prigioniero di temi convenzionali, sollecitato dalla nuova maniera degli scrittori francesi, che avevano accolto i suggerimenti del positivismo, si orientò verso la tendenza di moda e creò i suoi capolavori. Il positivismo consigliava di studiare la realtà senza tradirla, il che significava non intervenire coi proprio sentimenti per non alterare la fisionomia dei personaggi, che andavano osservati per quello che erano nella realtà.
Il Verga volse così lo sguardo all’intera umanità, dannata alla sofferenza da un comune destino, per questo i personaggi dello scrittore siciliano hanno risonanza universale e dall’umile orizzonte di Aci Trezza, dai confini angusti di una zona della Sicilia essi fanno sentire la loro voce angosciata agli uomini di ogni terra ed età, perché il loro dramma investe tutti i mortali invano protesi alla conquista di un’introvabile felicità.
IL ROMANZO:
I Malavoglia è un romanzo del tutto diverso dagli altri. Con esso Verga passa dal romanzo storico e passionale ad un racconto di semplice orditura. Un cammino contrario a quello tenuto nella sua precedente vita letteraria.
Questo capolavoro uscì nel 1881, postumo. Il pubblico fece “accoglienze freddine” forse perché l’arte di Verga consentiva poco ai piaceri della libera immaginazione.
Verga stesso voleva che nel romanzo “la mano dell’artista rimanesse assolutamente invisibile” e che il romanzo stesse in piedi “per ragion propria”.
Verga è uno scrittore sempre tormentato, porta spesso il suo lettore dentro un problema di teoria senza dare a quest’ultimo un modo per uscirne, non dà spiegazioni sul modo di ragionare che ha la società che lui descrive.
Nei Malavoglia nessun personaggio ha una storia individuale che lo distingue, ma un’unica vita sociale a cui ognuno si adegua tanto è vero che tutti sono posti sullo stesso piano: i famigliari Malavoglia come gli altri paesani.
Il romanzo testimonia come la miseria sia il fattore principale di tante rovine e il motivo per cui le famiglie si disgregano fino a dimenticarne gli effetti più sacri.
RIASSUNTO:
I Malavoglia volevano essere uno studio sincero e spassionato, come avverte l’autore nella prefazione, del nascere e dello svilupparsi delle prime inquietudini per il benessere, nell’anima della povera gente. L’insoddisfazione delle proprie umili condizioni, doveva trascinare una casa patriarcale di pescatori alla rovina. L’errore di uno solo segnerà la catastrofe di tutta la famiglia. Alle sventure dei poveri Malavoglia parteciperanno tutti quelli del paese, che fungono da coro.
La vicenda si svolge tutta attorno ad una famiglia di pescatori: c’è il vecchio padron ‘Ntoni che comanda, uomo scarso di parole che si esprime per abitudine con motti e proverbi. Segue Maruzza, la nuora. ‘Ntoni, suo figlio, senza vero amore per il lavoro. Poi vengono Luca e la Mena. Infine i due piccini Alessi e la piccola Lia.
Il primo colpo grave della sorte arriva quando il giovane ‘Ntoni lascia la casa partendo per la leva di mare. Così da indebolire un po’ la resistenza di ciascuno e rendere più difficile tutta la vita. Il vecchio padron ‘Ntoni, in un momento critico, tenta un affare, comprando a credito dallo zio Crocifisso, l’usuraio del paese, un carico di lupini da vendere a Riposto. Una sera di sabato, la , ossia la barca dei Malavoglia, parte con il suo carico affidato a Bastianazzo e a Menico della Locca. L’indomani è una giornata d’inferno. Padron ‘Ntoni e sua nuora sono senza pace. La gente comincia a circondare Maruzza di attenzioni insolite finché la sventurata comprende che Bastianazzo è morto nella provvidenza. Tutti sono presenti alle esequie di Bastianazzo in chiesa. Poi la visita di tutti i conoscenti. Alla fine tutti se ne vanno. La vedova, pallida, perde tutte le speranze ma padron ‘Ntoni le dice di reagire e di non cedere fin che non sia stato pagato il debito allo zio Crocifisso.
I poveri Malavoglia, rovinati, vedono con terrore avvicinarsi il termine fissato per il pagamento del debito dei lupini. La Provvidenza viene ripescata e riportata a riva. Con questo ritrovamento e il ritorno di ‘Ntoni da soldato, tutto sembra cambiato in meglio. Tornato ‘Ntoni ha portato con se soltanto un gran desiderio di godere il più possibile della sua giovinezza: va in giro, in cerca d’avventure. Ma alla sera il nonno gli annuncia subito d’avergli trovato lavoro: la cosa non garba a ‘Ntoni che riprende subito a brontolare, seccato della dura fatica. Intanto la famiglia si arrabatta in tutti i modi per far quattrini. Nonostante tutti gli sforzi, la miseria sembra sempre più nera e ‘Ntoni non sopporta di dover lavorare notte e giorno solo per lo zio Crocifisso. Intanto costui minaccia l’usciere se non sarà pagato alla scadenza fissata. Intanto ‘Ntoni pensa alla figliola del calafato, Barbara. Alla vigilia di Natale l’usciere viene realmente dai poveri Malavoglia, non per conto dello zio Crocifisso, ma del sensale Piedipapera, cui il primo ha finto d’aver venduto il suo credito, allo scopo di salvare la propria reputazione. I poveretti vanno allora da un avvocato che li assicura: non potranno prendergli nulla, perché la casa è dotale, e per la barca faranno il reclamo in nome di Mastro Turi Zuppiddo. Ma alla coscienza dei Malavoglia appare chiara una cosa sola: i lupini sono stati loro dati e bisogna pagarli. La soluzione è che Maruzza rinunci all’ipoteca della dote e il parere è subito accolto. Inducono lo zio Crocifisso ad aspettare fino a Pasqua. Luca parte per la leva. La Provvidenza viene rimessa in mare ed è giornata di festa per tutto il paese. Il solo che sembra non dividerne in pieno l’allegria è Alfio Mosca il quale sente che, tornata in mare la Provvidenza, padron ‘Ntoni vorrà maritare la nipote, dandola, al figlio del ricco padron Cipolla.
Ma una sera, per chiacchiere fatte da Piedipapera sugli Zuppiddi, ‘Ntoni, attaccabrighe, va ad aggredirlo. I Malavoglia temono più che mai l’usciere, giacché Pasqua è vicina, e dei denari del debito ne hanno raccolti appena una metà. Si prepara ormai una vera festa per i Malavoglia: quel matrimonio di Mena che dovrebbe dar sesto a tante cose. Padron Cipolla viene insieme al figliolo a far visita ai Malavoglia. Il giovanotto è contento e soddisfatto e così pure tutti gli altri, compreso padron ‘Ntoni, più contento anzi degli altri. La stessa sera della visita Nunziata annuncia che compare Alfio se ne va domani. Mena si fa bianca e smette di tessere; ed ecco, poco dopo, Alfio in persona, venuto a congedarsi e a salutare i vicini. Più tardi la Mena esce di casa e parla con Alfio di tutto quello che da tanto tempo hanno in cuore l’uno per l’altra. Infine Mena se ne va a piangere sotto il nespolo. Padron ‘Ntoni dopo aver pregato e ripregato i suoi creditori ottiene ancora una dilazione al pagamento del debito. Si giunge al fidanzamento. Ma un nuovo colpo terribile colpisce i poveretti che si credevano . Proprio in quello stesso giorno, mentre in casa loro si ride e si canta, si sparge nel paese, portata da due marinai forestieri, la tragica notizia della battaglia di Lissa, dove c’era anche il figlio di Maruzza. Il povero Luca è morto infatti nella sconfitta. La povera madre ne viene a conoscenza dopo più di quaranta giorni dal disastro. Adesso la Zuppidda non vuol più sentire parlare di matrimonio di sua figlia Barbara con ‘Ntoni, lo zio Crocifisso non vuole più aspettare di essere pagato e don Silvestro dà allora il gran consiglio a padron ‘Ntoni di dargli la casa. Eppure Mena in mezzo alla povertà e alle disgrazie della sua famiglia, è tranquilla perché, mentre tutti voltano le spalle ai Malavoglia, ella, liberata da ogni legame, torna a sperare. Intanto però la Barbara ha definitivamente respinto ‘Ntoni che si abbandona allo scoraggiamento, egli lavora adesso senza volontà, lasciandosi andare man mano all’ozio. Adesso è un periodo di relativa calma e serenità per i Malavoglia che, lavorando, vanno raggranellando di nuovo il gruzzolo sul quale fondano le loro speranze, fisse soprattutto sul miraggio del riscatto della casa. Ma il destino sembra accanirsi su quei valorosi. Viene un giorno in cui il mare va ad un pelo dall’inghiottirli tutti, durante una paurosa tempesta. Per vero miracolo, le guardie doganali hanno udito le voci dei naufraghi e accorrono così da render possibile la loro salvezza. Padron ‘Ntoni è soltanto tramortito. Ma pochi giorni dopo, assalito da una febbre violentissima, sembra non possa riuscire a sopravvivere. Dopo essere arrivato proprio agli estremi egli torna come per miracolo alla vita. Per un pezzo si trascina a stento, al sole; poi chiede qualche lavoraccio e riprende a rattoppare le reti per passare il tempo, finché un bel giorno ritorna al mare. Così, vien pagato a mastro Turi l’ultimo rattoppo della Provvidenza e torna ad accumularsi il gruzzolo per la casa da riscattare, sogno continuo di padron ‘Ntoni. Intanto due giovanotti che s’erano imbarcati qualche anno prima a Riposto, per andare a cercar fortuna, ritornano in condizioni di visibile benessere. In paese si accendono le invidie. Per ‘Ntoni, questa è una provocazione fatale: lavorare per qualche tempo, lontano dal povero paese e godere poi per tutta la vita. Ma parlando col nonno, la madre e la sorella poi si convince a rimanere. A Catania c’era il colera che arrivò fino ad Acitrezza e colpì Maruzza. Ella se ne va così in poche ore, sola con i suoi cari dopo aver raccomandato a ‘Ntoni di badare ai suoi fratelli. E la famiglia si sfascerà davvero questa volta. ’Ntoni parte a cercar fortuna. Ormai padron ‘Ntoni è rimasto da solo con Alessi per il governo della barca, ed è costretto a prender qualcheduno a giornata. Quando, per pagare il suo aiutante, il vecchio si vede costretto ad intaccare il famoso gruzzoletto prende l’amara decisione di disfarsi della provvidenza che, sempre bisognosa di qualche riparazione, non rende nulla e si mangia le giornate di chi è stato preso in aiuto. Padron ‘Ntoni ottiene che lo zio Crocifisso compri la povera vecchia barca. Deve poi chiedere a padron Cipolla di esser preso a giornata insieme ad Alessi. In casa dei Malavoglia almeno c’è l’ordine, la pace, l’armonia; Mena provvede a tutto e ora che non si toccano più i denari della casa tornano a fiorire le vecchie, tenaci speranze nel cuore di padron ‘Ntoni: maritare le ragazze e ricomprare la casa e la barca e poi chiudere gli occhi contento. Intanto fiorisce l’amore fra Alessi e la Nunziata. ‘Ntoni ritornerà più presto di quanto non si potesse prevedere, ma non nelle condizioni sperate, bensì senza scarpe ai piedi e amareggiato dalla propria sconfitta sempre più scontento della vita si affretta verso la propria rovina. I dolori del povero vecchio e delle sorelle, i richiami, il pensiero della vergogna non hanno poter ormai sopra di lui. Il povero padron ‘Ntoni non osa più farsi vedere per le strade dalla vergogna, mentre le ragazze stesse vanno per la bocca di tutti per colpa del fratello. Qualcuno comincia a dire che don Michele vuol rubare la sorella a ‘Ntoni. Lia cresce ma non come Mena che invano la riprende. Don Michele insiste nella sua opera di seduzione della Lia, intanto ‘Ntoni è caduto ormai nel fondo, legandosi vergognosamente alla Santuzza, dalla quale si fa mantenere. È sempre all’osteria, adesso, con il pretesto che così non costa nulla ai suoi. Intanto lo zio Crocifisso ha sposato sua nipote la Vespa. Ma in mezzo a varie vicende del paese, emerge lo sviluppo del contrabbando, nel quale a poco a poco Rocco Spatu e altri riescono a trascinare anche ‘Ntoni, attratto dalla prospettiva del guadagno. Don Michele ha già avvertito le ragazze Malavoglia della nuova, pericolosa attività del fratello, e le esorta a dirgli di fuggire da quella compagnia, ‘Ntoni peraltro non ascolta nulla. Nega tutto e seguita a far come prima. Ma la Santuzza si stacca da lui. Infine ritorna a don Michele e scaccia ‘Ntoni come un cane. Questi allora va a cercare un giorno don Michele nella stessa osteria, e i due si affrontano in una lotta furibonda, nella quale il giovane Malavoglia ha la peggio. Egli promette che gli darà il resto quando l’incontrerà. Era una notte che diluviava. Don Michele ha ripetuto a Mena di avvertire suo fratello affinché non vada di notte al Rotolo (dove dovevano ritirare della merce di contrabbando) con gli altri. Ma ecco che al posto di coloro che dovevano portare la merce arrivano le guardie e proprio ‘Ntoni si trova faccia a faccia con don Michele che brandisce la pistola dalla quale parte un colpo in aria, ma il brigadiere stramazza, colpito al petto da una coltellata di ‘Ntoni. I due più astuti fra i quattro compagni riescono a scappare mentre Malavoglia e il figlio della Locca vengono portati in caserma. Ritorna in ballo l’avvocato Scipioni. Padron ‘Ntoni senza pensare più alla casa di cui ormai i Malavoglia “non hanno più bisogno” si mette a buttargli dietro, con avvocati, quei soldi. La scena si sposta a Catania dove ha luogo il processo. Quando l’avvocato esce a dire che don Michele se la intendeva con la Lia, padron ‘Ntoni non ode più nulla e cade come colpito a morte. Il processo si conclude e ‘Ntoni è condannato a cinque anni di carcere. Lia che si sentiva colpevole di chissà quale colpa ripete che vuole scappare, vuole andarsene. La sera stessa infatti, come portarono il nonno sul carro, e Mena era corsa ad incontrarlo, Lia uscì nel cortile e poi nella strada e se ne andrà davvero; e nessuno la vide più. Nulla più sembra interessare padron ‘Ntoni: neppure il tenace arrabattarsi di Alessi che va a lavorare fuori del paese ritornando soltanto il sabato. Intanto ritorna al paese Alfio Mosca, che viene a trovare i Malavoglia, egli sa tutto, perfino dove si trova la Lia che ha veduto un giorno in città, passando davanti a un certo uscio, mentre ella diventava rossa, riconoscendolo. La malattia ha inchiodato padron ‘Ntoni in letto dove “mangia i denari della settimana”. Nonostante ciò si rifiutano di mandarlo all’ospedale sapendo come fosse questa cosa da lui temuta e ripugnante. Andare a vivere e morire lontano da casa. Essi non cedono; ma un giorno è lo stesso padron ‘Ntoni che chiede ad Alfio Mosca di portarlo all’ospedale sul suo carro durante un’assenza di Mena. Alfio Mosca domanda alla Mena di accettarlo ora che ella non ha più nulla. La giovane però si rifiuta sempre. Alessi e la Nunziata sono ormai sposati da un pezzo e hanno già dei figlioli, dei quali Mena ha cura. Poi ella dice finalmente ad Alfio il vero motivo del suo rifiuto; se ella si maritasse la gente tornerebbe a parlare di sua sorella Lia, giacché nessuno oserebbe prendersela dopo tutto quello che è successo. Alfio dà ragione a Mena e accetta il consiglio di mettersi il cuore in pace. La casa del nespolo è stata riscattata e in essa ora vivono Alessi e la Nunziata con i loro piccini e la Mena. Ma il vecchio nonno non ha fatto in tempo a ritornarci sebbene abbia avuto la consolazione di sapere della resurrezione dei Malavoglia. Verrà un giorno il giovane ‘Ntoni a ricercare i suoi, arriva sul tardi, al buio. Alessi che va ad aprirgli non lo riconosce, tanto è mutato e malandato. ‘Ntoni si guarda intorno. Ora egli sa che non può rimanere con loro. È come un estraneo in quella casa. Egli sa che non deve rimanere. E se ne va col cuore stretto. Ma non lascerà , almeno finché le tenebre lo proteggono, il paese, il suo paradiso perduto, la marina che lo conosce. E così si strappa da tutto quello che avrebbe potuto essere suo e che non ha mai sentito suo come in quest’ora.
PERSONAGGI PRINCIPALI:
PADRON ‘NTONI: umile pescatore siciliano, patriarca onesto e laborioso, piccolo, sentimento che lo sorregge e che egli comunica agli altri finché ha forza e autorità. Uomo scarso di parole abituato ad esprimersi con motti e proverbi. Egli ha influito su tutti i famigliari, sulla nuora, sui nipoti, dove troviamo i proverbi prima sentiti pronunciare dal vecchio. Carattere piuttosto fisso, , un po’ remota. Rappresenta la tradizione domestica, Egli nella casa comanda, però non è prepotente bensì uno che sa comandare perché ha saputo a suo tempo ubbidire. Devoto alla casa e ai suoi cari. È il vero pater familias. Egli ha una sua meta dalla quale nulla e nessuno verrà a distoglierlo.
‘NTONI: Mite e silenzioso, pigro, debole, ghiotto, laborioso ma non sempre, e senza vero amore per il lavoro, sognatore, vinto dall’ambiente d’egoismo individuale. E’ veramente il grande infelice, la figura forse più drammatica tra gli altri “vinti” che lo circondano; perché solo in lui il destino è inesorabile e cattivo; egli non ha avuto soddisfazione né del lavoro, né della ricchezza, né dell’amore. ‘Ntoni non ha mai ripudiato la famiglia, anzi l’ha sempre sentita come una necessità. Perciò nel pericolo e nella colpa ha guardato ad essa con la rassegnazione di chi se ne sente indegno e ormai irrimediabilmente lontano. Il suo cuore non è cattivo né insensibile, ma la pigrizia, l’avidità lo rendono egoista e gli tolgono la forza per ogni sentimento gentile.
PERSONAGGI SECONDARI:
MENA E ALFIO MOSCA: assistono alla distruzione della loro giovinezza senza la forza e il desiderio della ribellione.
ALESSI E LA NUNZIATA: due creature idilliche, la cui sofferenza è sempre serena perché accettata con bontà. Ad essi è serbata la gioia di ricostruire la fortuna dei Malavoglia.
MARUZZA: Vero tipo di donna siciliana del suo tempo (silenziosa, da un’instancabile laboriosità, dedizione assoluta di sé alla famiglia, amore sconfinato per ciascuno dei figlioli). Dedita in silenzio a tutte le necessità casalinghe. Buona massaia.
BASTIANAZZO: un taciturno esemplare lavoratore, ha abbastanza giudizio. Sta, senza lagnarsi, sottomesso in tutto al proprio padre. Buono, ubbidiente lavoratore, un colosso.
ALESSI: ha tutte le qualità di tenacia e di saggezza di padron ‘Ntoni. E’ il ritratto del nonno, lavora come un cane.
MENA: detta Sant’Agata per le sue virtù. Buona, laboriosa, il ritratto della madre, ubbidisce e si rassegna facilmente.
ZIO CROCIFISSO: l’usuraio del paese. Egoista, padrone di barche.
ALFIO MOSCA: il silenzioso innamorato di Mena, il vicino solitario che quasi tutti disprezzano per la sua povertà. Orfano ma un buon giovane.
LUCA: buon figliolo, intento solamente a compiere il suo dovere fino alla fine. Il ritratto del padre
LIA: è la più giovane dei Malavoglia, subirà senza saperlo l’influenza di ‘Ntoni e ne seguirà l’esempio.
DON SILVESTRO: segretario comunale, astuto bellimbusto del villaggio.
LA VESPA: nipote dello zio crocifisso. Magra e bruna.
LA CUGINA ANNA: cugina di zio crocifisso, lavandaia, lavoratrice, coraggiosa e allegra.
ROCCO SPATU: (suo figlio) fannullone.
DON MICHELE: brigadiere delle guardie di finanza.
PIEDIPAPERA: sensale, arruffapopoli, maldicente, fannullone.
NUNZIATA: orfanella di madre una donna che lavora molto.
Sistema dei personaggi:
Verga volutamente non designa un personaggio protagonista ne I “Malavoglia” ma preferisce affidare il ruolo di primo attore alla collettività, all’insieme delle varie voci dei personaggi. Si può parlare di “un coro di parlanti popolari”. Il romanzo è strutturato su delle opposizioni tra personaggi positivi e personaggi negativi: ad una prima analisi si distinguono nella sfera dei “buoni” i Malavoglia, che già travagliati dalla sorte si imbattono in un nuovo nemico: il popolo. Ad attutire l’attacco dei compaesani intervengono personaggi legati ai Malavoglia come Alfio Mosca o La Nunziata. In una prima parte Padron N’Toni trova in Zio Crocifisso il suo diretto antagonista, mentre nella seconda parte del romanzo si scontra con N’toni. Il contrasto tra i due è carico di significati: uno rappresenta il mondo rurale, il vecchio, la tradizione…mentre l’altro rappresenta il nuovo, la voglia di ricchezza, il progresso. All’interno della famiglia Toscano i personaggi sono in antitesi fra loro: N’Toni contro Alessi, La Mena contro Lia. E’ la rappresentazione romanzata del contesto socio- economico in cui era immerso Verga.
ANALISI STILISTICA:
Il romanzo non è di facile lettura soprattutto perché contiene molti richiami al dialetto siciliano. Ogni personaggio nella storia ha il suo nomignolo e i suoi connotati che lo distinguono, appena egli si fa sulla scena. Le altre figure che completano l’ambiente non giungono mai ad interessare vivamente il lettore e sono figure del tutto comiche. Verga si astiene volutamente da ogni commento e non entra affatto nei personaggi. Non fa inoltre nessun minimo sforzo per spiegare la mentalità delle sue creature.
AMBIENTI E PAESAGGI:
La dimensione spaziale e temporale del romanzo è in funzione della sua struttura “corale”. Riprendendo la definizione del critico russo M. Backtin, “I Malavoglia” può essere considerato un perfetto modello di “romanzo polifonico”, dove ogni personaggio è insieme oggetto della parola del narratore e soggetto della propria parola.
Qui il dialogo diventa azione, strumento dinamico che costituisce il racconto sottoponendolo a più punti di vista.
Lo spazio non si definisce mai nella sua oggettività, ma nel modo in cui appare ai personaggi. Esso coincide con il villaggio di Acitrezza, ordinato in una serie di piccoli frammenti di mondo, compiuti in se stessi: la casa del nespolo e il mare, l’osteria di Santuzza e la bottega dello speziale, la piazza e la spiaggia, gli scalini della chiesa e il negozio del barbiere, la casa del beccaio e gli scogli del Rotolo.
Acitrezza diventa così il luogo dove ciascuno vede esente i gesti e le parole degli altri, attua e subisce giudizi e commenti sulle persone e sugli eventi.
Solo saltuariamente la scena si sposta ai paesi vicini o alla città (Catania); essa diventa, per i “poveri diavoli” di Acitrezza, il luogo infernale della rovina e della catastrofe: qui Lia andrà a perdersi come prostituta e padron’Ntoni andrà a morire all’ospedale, lontano dai suoi familiari e dal suo mondo.
Il paesaggio non è mai descritto, ma sempre raccontato; questo rende l’idea della simbiosi esistente tra l’ambiente e i personaggi. Lo spazio del villaggio è dominato dalla presenza costante del mare, che sembra accompagnare come un sottofondo musicale le speranze e i dolori dei pescatori. Il mare è, nello stesso tempo, ragione di vita e di sopravvivenza economica e causa di sventura e di morte. Esso assume anche connotazioni antropomorfe, tipiche delle suggestioni e delle credenze popolari; il mare sembra, a tratti, una presenza quasi umana: sensibile alle condizioni meteorologiche, dorme, russa, muggisce e urla.
La casa e la barca, i due simboli della sopravvivenza economica dei Malavoglia e quindi della tradizione familiare, s’identificano soprattutto nei momenti di sventura e di miseria.
Per quanto riguarda il tempo, ne “I Malavoglia” esso procede secondo la cronologia dei fatti in sequenze parallele, per cui la narrazione acquista la stessa percezione che si ha della realtà. Lo sguardo dei personaggi crea l’unità temporale tra le sequenze: è lo sguardo che si sposta dai vicoli di Acitrezza al mare e dal mare alla casa del nespolo la tragica notte del naufragio della Provvidenza.
Per annullare la sensazione, da parte del lettore, di salti spaziali nel proporsi della vicenda, Verga usa la tecnica della concatenazione, cioè la ripetizione della frase da una sequenza ad un’altra. Questo è ancora più evidente nei passaggi da un capitolo ad un altro: -“Che disgrazia!” dicevano sulla via “E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!”-[fine cap. III]-“Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza”- [inizio cap. IV]; oppure –“Mio fratello Luca ci sta meglio di me a fare il soldato!” brontolò ’Ntoni nell’andarsene- [fine cap. VII]- “Luca poveretto non ci stava né peggio né meglio”- [inizio cap. VIII].
La vicenda sembra collocata in un non definito intervallo storico, della durata di quindici anni circa, anche se è presente qualche riferimento cronologico. I fatti storici di cui si parla nel romanzo; la battaglia di Lissa, la cacciata dei Borboni, l’impresa garibaldina, non hanno funzione di cronaca o sfondo, ma sono citati perché costituiscono motivo di guai per i Malavoglia o sono argomenti di conversazione o di polemica per la gente del villaggio; inoltre danno al racconto un sapore di “remota attualità” che rende i personaggi e le vicende ancora più vive nel ricordo.
TEMPO E SPAZIO:
Il tempo e lo spazio ne I Malavoglia interagiscono nelle vicende dei personaggi eliminando l’effetto di idillio che Aci Trezza porta con sé. Sul piano temporale sono distinguibili due soluzioni: la prima riguarda il tempo storico che inserisce l’intreccio del romanzo in un contesto storico delicato come lo era quello di fine Ottocento. I cambiamenti politici dell’età romantica portarono delle conseguenze ben definite: la guerra con l’Austria, la costruzione di ferrovie e di linee telegrafiche in Sicilia, terra borbonica fino a qualche decennio prima. Tutti elementi che si intrecciano con le singole storie dei personaggi. La seconda appartiene al mondo rurale ed è determinata dal tempo della natura, tempo ciclico delle stagioni che passano, tempo scandito dai proverbi, espressione di una saggezza antica che non cambia mai. Nella narrazione si alternano l’imperfetto, il tempo che rappresenta la ripetizione ciclica della natura, ed il passato remoto, che proietta il racconto sul piano aggressivo della storia: l’intromissione della storia è causa della distruzione della società patriarcale del paese siciliano.
Anche lo spazio è disposto su due piani diversi, nettamente contrapposti: spazio del paese e spazio della città. Se da una parte vi è una minuziosa descrizione geografica delle vicinanze di Trezza, dall’altra vi è una certa indeterminatezza nel riferire i particolari del paese, ancor più nel riportare le caratteristiche dei luoghi: le donne si riuniscono intorno alla fontana, gli uomini più importanti alla farmacia e gli sfaticati alla bettola; ma in nessun caso è descritto l’interno di questi ambienti né tantomeno l’interno della casa del Nespolo. La città rappresenta invece il negativo, il luogo della perdizione, del vagabondaggio: in conformità con l’ideale dell’ostrica, Verga connota attraverso l’ellissi narrativa tale spazio antitetico all’ambiente rurale. Anche Manzoni confronta lo spazio idillico del paese (“il mio Resegone” di Renzo) con lo stravolgimento del mondo cittadino (“la gran macchina del duomo”) dove “le cappe si inchinano ai farsetti”.
Secondo alcuni critici lo spazio assume per Verga una valenza simbolica: essi ritengono infatti che lo scrittore verista, basandosi sull’esperienza autobiografica, abbia incarnato la sua figura di emigrante in cerca di fortuna in N'toni. Chi lascia il “nido” in cerca di miglioramenti prima o poi è costretto a tornare, ma risulterà inevitabilmente escluso dall’ambiente di provenienza: perfino il cane abbaia a N’toni quando il giovane ritorna ad Aci Trezza ed il giovane si autoescluderà dalla comunità paesana. Verga ritornò a Catania dopo il successo e per venti anni non scrisse più nulla ma si dedicò alla fotografia, forse deluso o, secondo alcuni critici, consapevole dell’emarginazione e dell’impotenza dell’arte nella società contemporanea .
TECNICHE NARRATIVE:
Durante la narrazione Verga perde la propria identità a vantaggio di un nuovo punto di vista: quello del popolo rappresentato. Infatti, oltre al largo utilizzo di metafore e similitudini inerenti all’esperienza rurale, compaiono spesso tecniche narrative radicalmente innovative. Per rendere con maggiore effetto la voce del popolo senza ricorrere a monotone espressioni del tipo dice che, racconta che…viene qui utilizzato il discorso indiretto libero. Sempre per non fornire un’ottica filtrata dal suo punto di vista utilizza il canone dell’impersonalità: a differenza di Manzoni, che interloquiva con il lettore indicandogli con chiarezza il metro di giudizio, Verga non presenta mai il suo punto di vista né interviene mai durante il corso della narrazione.
Altri due artifici per ricreare il punto di vista del popolo sono lo straniamento e la regressione. Il primo (straniamento= termine coniato dai formalisti russi degli anni ’20) soffoca il punto di vista singolo per dar voce alla collettività. Perciò anche quando qualcosa può sembrare assurdo, Verga non lo elimina, ma anzi lo sottolinea: in particolare la visione utilitaristica della realtà viene proposta in più episodi, come il naufragio della Provvidenza in cui muore Bastianazzo o la morte di Padron N’toni. In entrambi i casi, la perdita o il risparmio di denaro condizionano le scelte dei personaggi, rivelandosi nell’ottica paesana rappresentata ben più importanti dei valori degli affetti. Infine la tecnica della regressione permette al narratore di rinunciare ai propri metri di giudizio per adottare la prospettiva elementare del mondo rappresentato, utilizzarne il linguaggio e quasi, come sostiene Baldi, rifarne il verso. L’uso di proverbi è fondamentale in questa prospettiva: soltanto difficoltà tecniche hanno impedito a Verga di scrivere un romanzo in dialetto siciliano.
LO STRANIAMENTO:
Gli abitanti di Aci Trezza osservano e interpretano gli avvenimenti seguendo una logica che Verga non condivide anche se, lungo l’intero romanzo, non esiste una sola osservazione in proposito.
Tuttavia, nonostante non sia mai espresso in maniera esplicita noi siamo in grado di riconoscere il pensiero di Verga perché è lo stesso scrittore che ce lo rivela servendosi di una tecnica chiamata “straniamento”, consistente nel presentare ciò che è normale come strano e ciò che è strano come normale.
Il contrasto tra le due mentalità (i Malavoglia da un lato e il paese dall’altro) è così evidente che è impossibile non vedere la violenza che la società esercita nei confronti dei Malavoglia e di valori e comportamenti ritenuti oramai superati e privi di importanza.
La tecnica dello “straniamento” ci ha permesso di capire non solo che autore e narratore non coincidono, ma che l’autore ha una sua visione della realtà diversa rispetto a quella del narratore.
IL ROMANZO MODERNO:
Per spiegare l’insuccesso ottenuto presso la pubblica opinione, bisogna considerare che il romanzo di Verga conteneva alcune importantissime novità rispetto al modo di scrivere degli scrittori dell’epoca (Manzoni).
Verga si era proposto di introdurre anche in Italia quello che allora era considerato il romanzo moderno, le cui caratteristiche erano state elaborate in Francia dai naturalisti:
- i naturalisti intendevano descrivere la natura vera dell’uomo, cioè le radici più profonde del comportamento umano che per loro sono rappresentate dalle passioni, dagli istinti;
- queste “radici profonde” del comportamento si possono analizzare con maggior precisione se si prendono in considerazione gli atteggiamenti e i modi di fare delle persone appartenenti ai livelli più bassi della società, perché costoro non sono stai ancora condizionati dall’istruzione e dall’educazione e, quindi, sono più istintivi, più veri, più vicini a quelle radici profonde del comportamento umano di cui parlavamo prima;
- visti i risultati che la scienza e la tecnologia hanno raggiunto, i naturalisti ritenevano che il metodo scientifico doveva essere applicato anche nella letteratura;
- i naturalisti preferiscono i romanzi ciclici quelli, cioè, che descrivono le vicende di diverse generazioni
Verga al contrario di Manzoni, si propone come scopo quello di descrivere la realtà e di spiegarne il funzionamento, nel suo caso la realtà affrontata sarà quella meridionale.
Il narratore corale
Il narratore verghiano non esprime le idee dello scrittore né si sovrappone ai vari personaggi fornendo l’interpretazione esatta di quello che sta accadendo. Il narratore ne I Malavoglia non è da intendere come un personaggio singolo ma come un insieme di personaggi che svolgono la medesima funzione, quella di narrare. Si tratta quindi, di un narratore corale e questa funzione è svolta dagli abitanti di Aci Trezza.
IL DISCORSO DIRETTO, INDIRETTO E INDIRETTO LIBERO:
Il discorso diretto è il modo più chiaro per rappresentare la visione soggettiva che ogni singolo personaggio ci offre della realtà.
Nel discorso indiretto le parole e i pensieri del personaggio vengono riportati in terza persona e sono preceduti da espressioni tipo: diceva che, pensava che...
La forma di discorso indiretto libero è simile a quella indiretta ma privata delle formule introduttive impedendo quindi al lettore di capire se a parlare è un narratore indipendente dal personaggio o il personaggio stesso. Era questo il progetto di Verga: fare in modo che la storia venisse raccontata direttamente dai protagonisti.
DUE MONDI A CONFRONTO:
Il narratore corale presente ne I Malavoglia è una specie di “camaleonte” in quanto assume le caratteristiche di coloro che, di volta in volta, entrano in scena, esprime le loro paure e le loro invidie...
Questo mutare continuo potrebbe rappresentare un difetto perché mancherebbe ne I Malavoglia, una figura come quella che, invece, è presente nei Promessi Sposi: il “narratore onnisciente” di Manzoni conosce passato, presente e futuro dei suoi personaggi e, per questo, è in grado di costruire una (una sola) storia. In Verga si corre il rischio che il romanzo diventi una semplice somma di tante storie o manterrà le caratteristiche di una storia unica?
Esistono due elementi in contrasto dopo “il negozio di lupini”, occasione di cambiamento per i Malavoglia vista di mal umore dai paesani perché infrangeva quella regola secondo la quale ognuno doveva rimanere legato alla situazione nella quale si trova e non tentare di modificarla,: da un lato la famiglia Toscano, dall’altra il paese di Aci Trezza.
Le sventure che colpiscono la famiglia sono interpretate come la giusta punizione che si abbatte sui trasgressori delle regole sulle quali si regge “l’intera società”. Quella società nella quale i Malavoglia erano perfettamente integrati dopo la perdita del carico e il naufragio della barca, li guarda con disprezzo: ad un tipo di emarginazione (quella economica) ne corrisponde anche un’altra, quella sociale.
TEMI PRINCIPALI:
La qualità principale di Verga non è l’immaginazione cara ai romantici, ma la capacità di esprimere il senso del reale: come afferma lo stesso Zola, “Far muovere personaggi reali in un ambiente reale, offrire al lettore un brandello di vita umana; il romanzo naturalista è tutto qui”.
Legata all’importanza della TRADIZIONE è sicuramente la presenza di circa centocinquanta PROVERBI, hanno un valore simbolico, esprimono angosce, desideri e concezioni di un mondo che non trova altro modo di manifestarsi.
I proverbi contengono la sintesi del pensiero della povera gente che “I Malavoglia” intendevano esprimere, inoltre rimangono tali nel tempo ,immersi in una sfera di fissità ideologica e morale che li rende sempre attuali.
La concezione patriarcale della famiglia è espressa completamente nei proverbi di padron ‘Ntoni: “Gli uomini sono fatti come le dita di una mano, il dito grosso deve fare da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo”, “Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro”, “Fa il mestiere che sai, se non t’arricchisci, camperai”.
“Boia” della tradizione, il PROGRESSO diventa, agli occhi di Verga, la macina impietosa della storia che calpesta i più deboli, quelli che non sanno subordinare la purezza dei valori all’egoismo dell’utile senza scrupoli. Verga non crede nel progresso e nelle rivoluzioni, la sua visione del mondo esclude sia la speranza in un miglioramento futuro della società, sia il rimpianto di un ritorno al passato, ma si traduce in un’analisi lucida e oggettiva del reale. Il suo avvilente pessimismo offre solo una tragica panoramica di quella che è la quotidianità: le sofferenze prodotte dalla lotta per l’esistenza, l’oppressione che rende schiavi in casa propria, la miseria che soffoca la povera gente e non lascia spazio a nessuna rivincita sul destino.
Anche la rovina dei Malavoglia sembra segnata dal destino, da un FATO cupo e crudele, in realtà dipende da un complesso gioco di intrighi in cui l’usuraio, il sensale e il segretario comunale si muovono da maestri. Non è il fato a determinare vinti e vincitori, ma la legge del guadagno che fa perdere alle persone il rispetto dei valori.
Concludendo quest’analisi vorrei riproporre l’epilogo del romanzo, in cui ‘Ntoni coglie il senso del suo viaggio:
“Anch’io allora non sapevo nulla, e qui non volevo starci, ma ora che so ogni cosa devo andarmene!”.
Prima non conosceva il valore delle radici familiari e della tradizione dei padri, e voleva partire alla ricerca di una felicità utopica, nascosta tra i veli dell’ozio e del benessere; ora che ha capito, invece, riconosce di aver perso le sue radici, di dover morire per rinascere diverso.
Il mondo continua la sua corsa senza sosta, sta soltanto alla caparbietà di ciascuno fare in modo che non si dimentichi del nostro passaggio.
Verga, con “I Malavoglia”, ha assolto questo arduo compito, e certamente ci rimarrà, ascoltando il suo nome, il rumore di un mare in tempesta e la luce di una casa che aspetta nel tramonto.
CONCLUSIONE E GIUDIZI FINALI:
I Malavoglia, un romanzo pervaso dal primo all’ultimo attimo di pessimismo, rappresentano l’altro aspetto dell’Ottocento: se da un lato infatti il Romanticismo aveva imposto nella prima metà del secolo la sua filosofia basata su sogni e speranze, il Naturalismo e il Verismo analizzano la realtà quotidiana nelle sue peculiarità siano esse positive o negative. Questa poetica così concreta credo che sia l’altro piatto della bilancia della vita umana: non ci si può a mio giudizio nutrire di effimere illusioni e negare il brutto e il male. Fondamentale risulta poi la rivoluzione operata da Verga sul piano dello stile ed il suo apporto alla creazione del romanzo moderno.
L’idea generale di questo romanzo è “l’ideale dell’ostrica”, infatti l’ostrica (i Malavoglia) quando esce dal guscio (il paese) muore. I Malavoglia volevano cambiare la loro condizione sociale e invece hanno perso tutto. Appartenendo al genere letterario del Verismo, questo romanzo ci mostra la realtà “così com’è”, e ci fa notare le dure leggi della vita. Il narratore aderisce completamente ai personaggi e addirittura parla come loro. L’autore si stacca dal narratore e tra i due vi è una differenza di ceto sociale. Il linguaggio è dialettale con termini e sintassi tipiche siciliane che rendono più difficile la comprensione del romanzo. Le tecniche narrative usate sono: l’uso di similitudini e metafore tratte dal linguaggio dei paesani; la continua citazione di proverbi, soprattutto da parte di padron ‘Ntoni; l’uso del discorso indiretto libero, con il quale le parole dei personaggi non sono indicate da verbi o virgolette.
Concludo dicendo che ho affrontato la lettura di questo libro nel migliore dei modi e alla fine la storia non mi ha per niente deluso…mi aspettavo un bel romanzo e un bel romanzo è realmente.
Mi è piaciuto questo libro così come mi era piaciuto leggere le “Novelle” di Verga…spero quindi di aver presto la possibilità di leggere “Mastro Don Gesualdo”, sperando che sia altrettanto interessante come i suddetti dello stesso Verga.