Orazio e Dante

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Categoria:Letteratura Latina

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Testo

O navis, referent in mare te novi fluctus. O quid agis? fortiter occupa portum. Nonne vides, ut nudum remigio latus

et malus celeri saucius Africo antemnaeque gemant ac sine funibus vix durare carinae
possint imperiosius

aequor? non tibi sunt integra lintea, non di, quos iterum pressa voces malo. quamvis Pontica pinus,
silvae filia nobilis,

iactes et genus et nomen inutile: nil pictis timidus navita puppibus fidit. Tu, nisi ventis
debes ludibrium, cave.

nuper sollicitum quae mihi taedium, nunc desiderium curaque non levis, interfusa nitentis
vites aequora Cycladas.

O nave, nuovi flutti ti riporteranno in mare. O che fai? Occupa a tutta forza il porto. Non vedi come il fianco sia privo di remi

E come l’albero sia danneggiato dal celere Africano e come le antenne cigolano e come senza le funi le carene a stento possono sopportare il mare troppo agitato?

Non ti assistono le vele integre, tu non hai l’appoggio degli dei, che tu, oppressa dalla tempesta, possa invocare. Sebbene costretta con pino del Porto, figlia di nobile selva,

vanti un inutile genere e un inutile nome: il marinaio timido non ha fiducia nelle poppe dipinte. Tu se non devi essere lo zimbello per i venti, evitalo.

(O nave), che poco prima fosti per me una preoccupazione angosciante, che ora sei il desiderio e la preoccupazione non lieve, evita i mari che si incanalano tra le spendenti Cicladi.

Nota politica:

L’allegoria, riguarda il pericolo che Roma (nave), come stato, sta correndo a causa del marasma politico.
Non conoscendo l’esatta data di composizione dell’ode, non possiamo stabilire a quale precisa crisi politica Orazio allude;
• La crisi tra il governo di Roma e Sesto Pompeo (55 a.C.);
• La forte tensione tra Ottaviano e Antonio (41 a.C. – Battaglia di Perugia);
• Il timore di Orazio di un ritiro di Ottaviano dalla scena politica;
• I tempi della crisi interna che seguì la battaglia di Azio (31 a.C.), in cui Roma vinse contro Marcantonio e Cleopatra dei Tolomei.

Nota culturale:

Orazio esorta i romani alla pace dirigendosi alla Repubblica, la quale non scamperà alla rovina né per la sua origine, né per la sua gloria. Essa viene rappresentata come una nave sbattuta dalla tempesta: figura il destino umano, i pericoli, le discordie politiche, mentre il porto rimane l’unica salvezza. La navigazione risulta pericolosa, in quanto ci si avventura verso nuove realtà (impero dei Tolomei) o verso il governo di terre infide e lontane e ingannevole, poiché le Cicladi biancheggianti interpretano il miraggio fulgido e insidioso delle terre d’Oriente.

L’“allegoria della nave” però, è da collegare al greco Alceo, il quale originariamente la compose. Dopo di lui, difatti, l’allegoria della nave diverrà un “locus” molto usato. Alceo creò l’allegoria della nave per indicare una situazione politica gravemente compromessa. Egli nelle sue opere, documenta l’uso di metafore marittime, come la nave in questo caso, simboleggiante la città di Mitilene in pericolo. Le immagini sono desunte dalla viva esperienza di rischiosi viaggi per mare.
I frammenti più noti e significativi sono:
• Il 208 Voigt (ripetutamente ripreso da altri autori);
• Il Lobel Page.


Non comprendo la direzione dei venti, da questa nave rotola un'onda di là, un'altra e poi in mezzo
siamo portati con la nera nave fiaccati dal violento turbine;
l’acqua della sentina ricopre la base dell’albero la vela è tutta un cencio trasparente, grandi squarci la solcano,
le sartie cedono, i timoni
e rimangono legati
restino saldi nelle scotte i due piedi (della vela): questo soltanto può salvare anche me; il carico è devastato, una parte va alla deriva, l’altra …

Voigt

Ecco, di nuovo un’onda del precedente vento Avanza, sarà duro per noi vuotare la sentina Se l’acqua invade la nave. Al più presto sbarriamo le fiancate Corriamo in un porto sicuro, non (vi) colga la fiacca esitazione; è in vista un grande rischio innanzi a voi siate memori delle passate (pene), ora ciascuno dia prova di coraggio e non disonoriamo (per viltà) i nostri nobili padri
che giacciono nel grembo della terra…

Lobel Page
L’allegoria riguarda le lotte
politiche nell’isola di
Mitilene, durante il dominio
di Mìrsilo e quello di
Pittaco, prima alleato e poi
traditore degli alceidi. A
questo momento risale il
cosiddetto “primo esilio” di
Alceo, che, secondo le fonti
fu confinato a Pirra, non
distante da Mitilene. È
probabile che alla morte di
Mìrsilo, Alceo e i suoi,
abbiano potuto far ritorno in
patria: ma nuovi esili
dovettero verificarsi durante
il violento periodo di guerra.
Tale frammento è
prevalentemente
moraleggiante ed incitativo,
infatti dai versi 4 – 12, si
evince l’esortazione a
difendersi e reagire, a
differenza del frammento
208 (Voigt), il quale è
descrittivo ed indica un
pericolo collettivo alla prima
persona plurale. La
conclusione del Lobel Page,
richiama il valore degli
antichi padri (orgoglio
nazionale). Il linguaggio è
decisamente marinaresco,
con terminologia specifica,
ove il racconto coglie il
momento più drammatico.

non donna di
province, ma bordello!
v. 76 canto VI Purgatorio:
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello.”

La metafora della nave senza guida in mezzo alla tempesta, è adoperata anche da Dante. Essa trova spiegazione nei tre canti politici della Commedia, cioè il sesto canto di ciascuna cantica. Ragion per cui, il sesto canto del Purgatorio va letto unitamente al sesto del Paradiso, perché il discorso è corrispondente. Nella trattazione della tematica politica, vi è un progressivo allargamento di orizzonte: da Firenze (Inferno), all’Italia (Purgatorio), all’Impero (Paradiso). Il sesto canto del Purgatorio riveste un significato centrale, sia per quanto riguarda la persona di Dante, perché matura il progressivo affrancamento dai peccati più gravi, sia perché introduce alla convinzione dantesca che l’Impero, per natura e per entità, rappresenta la suprema situazione politica; sia perché evidenzia quei mali di Firenze che già nel sesto canto dell’Inferno erano stati stigmatizzati per bocca di Ciacco.
Infine Dante, ribadisce la necessità della separazione assoluta:
• del potere temporale da quello religioso;
• del dovere di collaborazione da parte del papa e dell’imperatore per concorrere, ciascuno nella propria sfera, alla felicità terrena e alla salvezza celeste del genere umano, secondo un provvidenziale disegno divino e inoltre, lavorare alacremente per assicurare la pace tra i popoli.
La causa di tanto dolore di Firenze, dell’Italia e dell’Impero sono:
• la precarietà e l’inconsistenza delle leggi;
• il vuoto del potere ufficiale che a causa della sua debolezza consente il prevalere della prepotenza.
Il canto VI del Purgatorio è caratterizzato dagli artifici retorici e dal linguaggio figurato. Frequentissime sono le metafore (oltre a quella della nave sopra citata).

v. 78:

Non signora di province. Si allude alle leggi di Giustiniano, secondo le quali l’Italia non era “provincia”, sed domina provinciarum. Il bordello inoltre, è luogo di corruzione dove si fa commercio di cariche pubbliche.

v. 88:

Che val perché ti racconciasse il freno Iustiniano, se la sella è vota? Sanz'esso fora la vergogna meno.

e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode di quei ch'un muro e una fossa serra.

O Alberto tedesco ch'abbandoni Costei ch'è fatta indomita e selvaggia e dovresti inforcar li suoi arcioni..

L’Italia giardino de lo Imperio

Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m'accompagne?».
È una metafora equina: a che giova che Giustiniano riordinasse il Corpus delle leggi ("il freno") se nessuno le fa rispettare (" se la sella è vota ").

v. 82:

Indica la disunione, la lotta armata: i cittadini della medesima città, combattono l’un l’altro.

v. 97:
L’aggettivo “tedesco” è un appellativo spregiativo per l’imperatore del Sacro Romano Impero, il quale non sa reggere le sorti dell’Italia e non sa frenare gli appetiti della Chiesa temporale, eccessivamente mondanizzata.

v. 105:
La parte più bella dell’Impero, ormai è lasciata in rovinoso abbandono. v. 112:
L’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo non si cura degli affari d’Italia, in preda all’anarchia ed alla avidità.

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