Le Bucoliche di Virgilio

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Latina

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Testo

Bucoliche di Virgilio
Il genere bucolico ha origine come canto collegato forse a feste religiose o campestri e proviene dall’ambiente siciliano. L’iniziatore di questo genere è teocrito nei cui idilli parla del mondo pastorale ponendolo tra mito e realtà. Nella letteratura latina Virgilio ne è il più grande rappresentante.
Le sue bucoliche vengono pubblicate intorno al 38 a c escritte tra il 42 e il 39 a. c. ; la raccolta è organizzata in 10 egloghe in esametri. Il termine bucolica deriva dal greco e significa “canto di bovari” mentre egloga vuol dire “poesie scelte”.
Il genere bucolica tratta temi pastorali ma è innovativo che vi si dedichi un intero libro ed in particolare nelle bucoliche di Virgilio si parla dell’espropriazione di terre.
La prima e la nona sono di carattere autobiografico e trattano dell’espropriazione, nella seconda e nell’ottava vi è descritto il dolore provato per un amante perduto, nella terza e settima i due personaggi gareggiano in un canto, nella quarta vien esaltato un fanciullo che darà inizio all’età d’oro (identificato per alcuni in Gesù facendo di Virgilio un profeta, per altri nei figli di Pollione o in quello nascituro di Augusto), nella quinta troviamo l’iniziatore del canto bucolico Dafni, nella sesta Sileno, nella decima il dolore di Cornelio Gallo per la perdita della donna amata.
A Bologna nel 42 a c , i triumviri decidono di dividere il territorio espropriato in Italia e Gallia cisalpina tra i veterani come segno di riconoscimento dopo la battaglia di Filippi. Anche Virgilio subisce l’espropriazione delle sue terre a Mantova ma per poco tempo in quanto grazie all’aiuto di amici quali Pollione, Varo, Mecenate; riottene i campi paterni che così tornano al legittimo proprietario che in particolare nella I egloga si mostra riconoscente ad Ottaviano.
Titiro e Melibeo sono due pastori; il primo ha avuto la fortuna di non vedersi confiscate le terre mentre il secondo deve lasciarle a qualche veterano.
L’intero libro si apre con un dialogo tra i due personaggi che si incontrano.
Questa prima parte delle bucoliche di Virgilio è sottoforma di canto amebeo cioè eseguito da due personaggi che sono appunto Titiro e Melibeo. Si nota la situazione di contrasto tra il primo che può continuare la sua vita tranquilla nel suo podere grazie all’aiuto di un potente, e tra il secondo che invece si vede costretto ad abbandonare tutto ciò che possedeva e che gl era caro.
Secondo molti critici il personaggio di Titiro si identifica con lo stesso Virgilio in quanto anch’egli si vede prima spodestato e poi proprietario dei suoi averi. Questo ha fatto leggere l’intera opera in chiave allegorica in quanto si può cogliere in ogni personaggio e situazione un aspetto della realtà virginiana. Possiamo anche dire che ogni personaggio non ha un individualità propria ma ci appaiono tutti come Virgilio stesso in quanto in ognuno di essi si può ritrovare qualcosa della condizione passata o presente ma anche della personalità dell’autore; infatti troviamo il suo amore per la vita, la sua sensibilità, l’avversione per ogni forma di violenza. Tutto sembra allegoria ma può essere considerato anche come simboli della condizione umana in essi rappresentata in quanto soprattutto nello sfondo, troviamo lo scontrarsi della realtà con l’arcadica perfezione di quel mondo.
Titiro viene descritto come
* “lentus” cioè tranquillo grazie alla condizione economica e sociale favorevole,
* “fortunate senex” è così che lo definisce Menibeo riferendosi alla sua condizione favorevole, “inertem” cioè indolente,
* “recubans” cioè sdraiato quasi sempre all’ombra di grosse piante, innamorato di Amarillide e critico nei confronti di Galatea,
* vede in Ottaviano un “deus”.
Egli ci appare come felice della sua situazione tanto da non concedere nessuna parola di conforto nei confronti di Menibeo.
Menibeo invece è
* rassegnato al destino che lo aspetta, destino che comprende l’allontanamento dalle sue terre,
* affaticato dal lavoro della pastorizia.
Da egli è rappresentata la parte tragica della vicenda. Più di Titiro Menibeo è un simbolo realistico e rappresenta tutti coloro che non sono stati fortunati come Virgilio o Titiro ma che si sono visti cacciati dalle proprie case e “derubati” dei propri averi.
Il paesaggio di sfondo ha un ruolo importante specialmente in questa parte dell’opera.
Oltre al tipico “locus amenus” vale a dire un paesaggio tipico del genere bucolico, pieno di vita e prospero; vi è una natura che riporta a luoghi reali.
La vicenda è ambientata in Arcadia, il locus amoenus dei pastori virgiliani, terra del dio Pan, un luogo carico di significati metaforici: è un riparo, un luogo dove vivere e cantare l'amore, anche deluso, ed è il luogo della civiltà contrapposta alla barbarie. E' un simbolo di felicità, un'immagine reale ma intatta dalla realtà.
Egli fa riferimento al Menalo, al Peneo, alla pianura padana e alle correnti dei corsi del Mincio.
In particolare tre volte fa riferimento alla Valle padana, cioè la campagna del poeta stesso, una volta alla Sicilia precisando l’imitazione teocritea.
Dalle piante, il clima, l’ombra, gli animali, le castagne ecc, si pensa che le bucoliche siano ambientate in autunno o quanto meno nel periodo di settembre.
Virgilio scrive le bucoliche su modello di teocrito. Teocrito viene considerato l’inventore del genere bucolico e Virgilio come uno degli ultimi suoi continuatori. I due bucolici presentano delle differenze dal punto di vista formale e dei contenuti; il loro modo di rappresentare il mondo agreste è diverso in quanto teocrito descrive la natura in modo luminoso, mediterraneo, ridente; mentre i paesaggi di Virgilio spesso vengono descritti al calar della sera quindi sono soffusi e malinconici.
Mentre teocrito cerca nella natura tutti quegli elementi piacevoli, Virgilio la sente con una nota di nostalgia; si può dire che in Virgilio la campagna perde sensualità per arricchirsi di sentimento.
Mentre per teocrito il mondo pastorale non assume un significato proprio, per Virgilio diventa l’Arcadia, una regione accogliente in mezzo ad una realtà ostile. Virgilio parla di un amore, quello per i campi, che non è elemento letterario ma qualcosa di personale; egli ha conosciuto la campagna direttamente e non dai libri. È per questo motivo che troviamo malinconia e poesia che in teocrito non può esserci; il personaggio di menibeo ricorda le gioie perdute, il canto dei pastori, il gemere della tortora, elementi si presenti in teocrito ma che non assumono un significato particolare.
Inoltre nelle bucoliche troviamo accenni alla vita di Virgilio o menzionati personaggi del tempo che potevano essere poeti, amici, protettori.
I pastori di Virgilio si differenziano da quelli di teocrito in quanto per loro bocca vengono espressi i sentimenti dello stesso Virgilio o almeno vieni trasferita in essi la sua malinconia. Virgilio doveva avere una profonda conoscenza della cultura greca in quanto le immagini, i personaggi e i motivi teocritei sembra gli appaiano con una certa familiarità.
Mentre Teocrito guarda i pastori da lontano e con distacco, quasi come se si considerasse superiore, Virgilio si immedesima in loro. Teocrito fa leva sull’ironia mentre in Virgilio vi è partecipazione; i pastori virginiani partecipano di più alle vicende, sentono maggiormente ciò che accade loro, sono sempre caratterizzati da un'ombra di malinconia, che trova collocazione anche nel paesaggio.
l'ambientazione delle Bucoliche è infatti fredda, e nebbiosa, spesso raffigurata al crepuscolo; quella degli Idilli è la Sicilia, dove la natura è rigogliosa, e c'è sempre sole e caldo.
La principale differenza dal punto di vista lessicale sta nella scelta di Teocrito di un lessico elegante; infatti negli Idilli un capraio viene descritto come tale ma si esprime in modo elegante e particolare per questo definito “colto cittadino travestito”.
I pastori di Virgilio non compiono lavori ma cantano coni loro flauti sottili, vivono in un loro mondo sereno che gli permette di rifugiarsi dalla tragica realtà; non sono ne troppo cruenti ne troppo eleganti.
Leggendo i versi si capisce la forte influenza che l’autore greco ha avuto su Virgilio; in effetti quasi tutta l’opera è modellata su Teocrito, ai quali Idilli, dei piccoli quadretti di vita campestre, da Virgilio ha tratto spunto. Bisogna sottolineare che non è però semplicemente imitazione di Teocrito ma qualcosa di strettamente connesso con la sua indole e le sue esperienze: la guerra, dell'ingiustizia dell'esproprio, le vicende politiche; tutto ciò che lo portò ad avere una concezione della vita come dominata dal dolore, dall'ingiustizia, che è propria delle Bucoliche.
lo stile delle bucoliche è molto elaborato. I toni sono malinconici in quanto rispecchiamo la malinconia presente nell’opera.
Lo stile viene definito umile rispecchiando quello che può essere il linguaggio pastorale. Dal punto della vista della metrica viene utilizzato l’esametro che riesce ad essere modellato sui diversi livelli espressivi e da un tono di eleganza.
Virgilio fa ricorso a varii artifici metrici e retorico-stilistici, come le censure, le anafore, le antitesi, i chiasmi, le assonanze e le allitterazioni.
I periodi appaiono brevi, non più di quattro esametri in modo da essere più conformi ad esprimere concetti elaborati da personaggi quali pastori.
Il linguaggio utilizzato è appropriato al contenuto pastorale in quanto troviamo parole che sono del gergo di coloro che vivono a stretto contatto con la natura vivendo con e in essa e quindi è strettamente collegato alla personalità di Virgilio.
L’opposizione dei due piani si presenta subito nei primi cinque versi, con la drastica antitesi fra il tu e il nos, fra la riposante felicità degli otia bucolici a cui si abbandona Titiro, e l’infelicità dell’esule, antitesi su cui è appunto costruita l’egloga. La medesima opposizione ricompare negli ultimi cinque versi, dove il
poteras requiescere in bocca a Titiro, evoca indirettamente l’irrevocabile destino di chi è costretto a voltare le spalle alla propria felicità ( ché tale è sentita la vita nei campi e fra i campi dei pastori virgiliani ), proprio nell’ora in cui le ombre della sera, allungandosi quasi a proteggere l’intimità domestica di chi rimane, acuiscono la disperazione dell’esule.
Proprio perchè Melibeo deve allontanarsi per sempre dai suoi campi, egli è tutto chiuso nel cerchio dell’hic. Al contrario Titiro, che è rimasto padrone della sua proprietà vive nel cerchio dell’ille; il ricordo lo lega a ciò che è lontano, a Roma
( anche se sentimentalmente vicina , al punto da essere designata col dimostrativo di prima pers. Haec , v. 24 ), e allo iuvenis.
---la doppia antitesi TU / NOS : ILLE / MIHI. Il contrasto fra l’ hic di Melibeo e l’ille di Titiro riappare nell’antitesi tu/ nos, dominante nelle parole del primo e nella giustapposizione ille / mihi in cui si articola il ricordo di Titiro.

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