Manzoni: tra fede e storia, la Provvidenza

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Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

Italiano: Manzoni. Tra fede e storia, la Provvidenza.

L’antistoricismo manzoniano. La storia è una rassegna interminabile di oppressioni, soprusi, violenze, ingiustizie che generano nell’animo del Manzoni un profondo pessimismo. Ma il pessimismo dell’autore è di natura morale, perché coinvolge la responsabilità dell’individuo che, pur comprendendo la negatività del dolore e del male ama causarli per non soffrire, per aggiudicarsi il titolo di oppressore piuttosto che di oppresso. Per questo i protagonisti delle opere di Manzoni (soprattutto quelli delle tragedie come Ermengarda o Adelchi), inorriditi dalla malvagità del mondo, si abbandonano alla sofferenza e trovano conforto nella morte.
(…)“Sgombra, o gentil, dall’ansia
Mente i terrestri ardori;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
fuor della vita è il termine
del lungo tuo martir.”(…)
(Adelchi, coro dell’atto IV)
Il pessimismo manzoniano emerge appunto nella constatazione della presenza del male, dell’irrazionalità dell’agire umano: l’uomo è ontologicamente legato al male perché si fa vincere dall’egoismo, dalle passioni e dalla paura della sofferenza.
Come scrive infatti Caretti, Manzoni “coerentemente afferma – sotto la presunta fatalità degli accadimenti umani, dei soprusi, delle violenze – l’effettivo sviamento delle coscienze, il loro responsabile farsi, per ignoranza o per egoismo, sorde alla voce della realtà.”
Ma l’antistoricismo finisce, quando prevale la sua fede, infatti, se nel mondo trionfa il male, non bisogna disperare perché Dio vigila sui sofferenti e fa trionfare la giustizia.

La fede del Manzoni. La fede è l’alimento quotidiano del suo pensiero, del suo sentimento che vede nella religione un conforto e un mezzo di salvezza per tutti gli uomini. Il cristianesimo di Manzoni è attivo, agonistico, caratterizzato da un rigore morale che impegna costantemente il credente. Ne “I Promessi Sposi” questo cristianesimo militante è rappresentato da Padre Cristoforo, dal Cardinale Borromeo e dallo stesso Innominato dopo la conversione. Mentre è fatto oggetto di condanna il cristianesimo di Don Abbondio, che rinuncia alla lotta per paura e per egoismo. È importante che questa chiesa militante si metta al servizio dell’uomo, poiché questo non è abbastanza forte per agire da solo senza l’aiuto e la guida dei rappresentanti di Dio. Tuttavia la vera chiave religiosa di Manzoni è Pascal e il movimento dei Giansenisti: l’umanità, prostrata al peccato non può sollevarsi se non con l’aiuto di Dio che tuttavia non lo concede a tutti, ma solo a una ristretta cerchia di predestinati. In particolare questo concetto di predestinazione, insieme alla convinzione che il progetto di Dio non è comprensibile dalla mente umana, fanno leva su Manzoni che delinea la sua credenza e ne impernia le sue opere. In particolare il Dio manzoniano è un deus absconditus, cioè non è possibile conoscere il suo progetto sull’uomo e il suo disegno per il mondo. Questo Dio, che è nascosto all’uomo peccatore, che è avvolto in un alone di mistero, misericordioso e terribile, di cui non si può conoscere la volontà, predestina alcuni uomini piuttosto che altri a prescindere dalle opere buone che questi compiono.
(…)”nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creatore suo spirito
Più vasta orma stampar”(…)
(Il Cinque Maggio, v. 32-36)
Per esempio nel caso di Napoleone o dell’Innominato, predestinati alla potenza, ad essere grandi nel mondo, che Dio salva: l’uno dalla disperazione dell’esilio con la morte, l’altro dalla malvagità con l’incontro con la casta Lucia.

La Provvidenza. Ma tra la concezione di storia, come luogo del male e delle ingiustizie cui sono sottoposti gli uomini, e quella di religione come fede in un Dio nascosto e potente che può salvare l’uomo, trova inevitabilmente spazio il concetto di Provvidenza come azione divina di salvezza per l’uomo di fede dai mali della storia: scrive Sapegno: “L’intervento di Dio negli accadimenti piccoli e grandi è in ogni momento così forte che ti sembra poterlo toccare con mano: è una presenza paterna, amorosa e severa, che palpita in ogni cosa”(…)
La provvidenza divina interviene prontamente per salvare l’uomo buono, di fede, sofferente, dai mali della storia e dai mali ontologici ed è sempre attiva per il bene dell’umanità e, in modo particolare, per quella parte di umanità che è costituita dagli oppressi. Già nelle tragedie, ne “Il Conte di Carmagnola” così come ne “L’Adelchi”, Manzoni riserva primaria importanza al concetto di Provvidenza, in particolare di Provvida Sventura che interviene a salvare gli oppressi dalle dinastie di oppressori.
“Te collocò la provvida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida,
scendi a dormir con essi.”
(Adelchi, Coro dell’atto IV)
Nel caso di Adelchi e della sorella Ermengarda è “provvidenziale” già che essi godano della possibilità della sofferenza, che siano potuti passare dalla parte degli oppressori a quella degli oppressi: è il progetto divino che dà ristoro a questi con la morte, dopo aver patito tanta sofferenza. Ma quello della provvida sventura è anche il caso di Napoleone che, esasperato dalla solitudine e dall’ozio dell’esilio, grazie all’intervento di Dio, trova ristoro nella morte. È ne “I Promessi Sposi” però, che si evidenzia, nella sua forma più compiuta, l’importanza della Provvidenza per Manzoni: “ogni singolo accadimento” grande e piccolo è imperniato dell’intervento divino: tutto è frutto della Provvidenza. A proposito di ciò il Sapegno aggiunge: “L’opera di Dio la senti soprattutto nelle tribolazioni, negli affanni, e in quegli spiragli di luce che s’aprono improvvisi in mezzo alle tenebre dell’angoscia e chiudono le porte alla disperazione”. Manzoni è abile nel rendere la Provvidenza la vera protagonista del romanzo che interviene su tutto e fa sì che la pace e la serenità, alla fine, si compiano nella vita di Renzo e Lucia, ormai felicemente uniti in matrimonio.
Ma il romanzo mette forse in luce un diverso punto di vista dell’autore. La critica moderna, diversamente da Spegno, riallacciandosi alle tesi di Raimondi e Calvino, vede il romanzo sotto una luce di problematizzazione nella quale il pessimismo storico, la fede cattolica, gli interventi della Provvidenza sui personaggi e il finale dell’opera che sembra idilliaco, o più che altro un Idillio Comico, come lo definisce Raimondi, evidenziano un carattere contraddittorio e una questione irrisolta: Manzoni, in fondo, non è capace di trovare un punto d’incontro fra i mali storici e la speranza nella fede. Il pensiero dell’autore resta sospeso fra pessimismo e fede e non trova spazio qui un disegno divino a più largo respiro e provvidenziale per l’umanità. Solo il caso della Grazia individuale è giustificato. “Le ragioni della scienza, anche qui, – afferma Calvino – sono anche le ragioni d’una nozione dell’incommensurabilità di Dio, d’una religiosità che nel suo nocciolo non è più ottimista dell’ateismo di Leopardi”.
In sostanza, nel pessimismo storico, Manzoni non riesce, in realtà, a giustificare la fede consolatrice e non riesce a trovare un progetto provvidenziale di salvezza: sempre Calvino aggiunge: “Più contraddittorio e cauto Manzoni nel rifiutare una religiosità consolatoria, dissimulatrice della spietatezza del mondo.”

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