Machiavelli e le sue opere

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

N.MACHIAVELLI
PREMESSA
Nicolò Machiavelli, grande fiorentino, è il primo grande “politico” italiano, il primo scrittore di politica e il primo a capire la distinzione tra leggi politiche e morali. E’ inoltre l’inventore della cosiddetta “scienza politica”. L’altro grande politico italiano, anche lui fiorentino è Guicciardini. Con loro si ha una svolta del pensiero politico moderno.
Machiavelli è stato inoltre uno dei più grandi commediografi rinascimentali (infatti la “Mandragola” è considerata il capolavoro teatrale dell’età rinascimentale). Le sue 2 opere più famose (la “Mandragola” e la “Clizia”) sono composte secondo un’imitazione estensiva.
Machiavelli è stato definito “l’ultima grande figura di intellettuale engagèe”, in contrapposizione ad Ariosto che è la prima figura di intellettuale cortigiano.
VITA
Machiavelli nacque a Firenze nel 1469, al passaggio del potere nelle mani di Lorenzo il Magnifico, e morì nel 1527, anno in cui ci fu il “sacco” di Roma ad opera dei Lanzichenecchi. Egli vide dunque, come Ariosto, la fine della libertà italiana, con la differenza che lui era un politico e Ariosto un letterato.
Nato da una famiglia borghese agiata, Machiavelli ebbe la sua formazione nella Firenze di Lorenzo e quindi ricevette un’istruzione umanistica che lo portò, non sapendo il greco, allo studio dei classici latini e italiani (copiò tutto il “De rerum natura”; la sua grande passione era Tito Livio). Dopo l’espulsione dei Medici, nel 1498 diventò segretario della repubblica fiorentina, carica che ricoprirà fino al 1512. Faceva parte della 2°cancelleria, la cosiddetta “stanza dei bottoni”, perché era un funzionario che si occupava della politica interna ed esterna. Ciò lo portò a viaggiare in tutta Europa (signorie d’Italia, Roma, Francia, Germania, ecc…). In questo modo riuscì a “tessere” dei rapporti diplomatici molto importanti, tipo quello con Cesare Borgia.
Machiavelli era il braccio destro di Pier Soderini, gonfaloniere di giustizia, e si pone come erede dei cancellieri quattrocenteschi) (Bruni, Bracciolini, Salutati).
Durante questi anni egli mise in rilievo la questione delle milizie mercenarie, sostenendo che la debolezza dell’Italia era data dalla presenza di queste truppe e battendosi per dotare la repubblica di armi proprie, come aveva potuto vedere in uno stato nazionale come la Francia.
Nacque così la “magistratura dei nove della milizia”, che aveva come scopo la formazione di milizie proprie e di cui Machiavelli era componente e segretario. Di conseguenza, mentre nel resto d’Italia ci si appoggiava ai mercenari, Firenze era l’unica ad avere un esercito proprio.
Nel 1512, a 43 anni, venne destituito dall’incarico di segretario della repubblica fiorentina in seguito al ritorno della dinastia medicea e fu inviato al confino per un anno.
Nel 1513 fu sospettato di congiura antimedicea, incarcerato, torturato, liberato e poi esiliato nella sua tenuta dell’Albergaccio, dove entrò in una condizione di staticità che sfociò nell’otium litterarum e nell’esternazione e nella continuazione della sua vocazione politica. Qui trovò anche il tempo per lo studio dei classici e per la corrispondenza con l’amico Vettori, nonché per la produzione della quasi totalità delle sue opere.
Essendo un politico, Machiavelli tentò di riallacciare i contatti con i Medici: a questo proposito dedicò il “Principe” a Lorenzo dei Medici, nipote del Magnifico, sperando così di entrare nella grazia della dinastia fiorentina. Contemporaneamente frequentò, nei suoi pochi spostamenti, il circolo degli “Orti Oricellari”, ambiente notoriamente repubblicano. Questo potrebbe sembrare un comportamento molto ambiguo, ma non è così perché Machiavelli incarna la figura ante litteram del “tecnico della politica”, personaggio immutabile che sussiste anche con il cambio di governo in virtù delle sue competenze e non della sua ideologia politica. Nessuno fu in grado di comprendere questa portata innovativa, incarnata poi da Guicciardini.
Nel 1519 Machiavelli ottiene da Giuliano dei Medici l’incarico di scrivere una storia di Firenze.
Nel 1521 ottiene degli incarichi minori e stringe un’amicizia con Guicciardini.
Nel 1527 ci fu il sacco di Roma, che portò a una nuova “cacciata” dei Medici da Firenze e alla restaurazione della repubblica. A questo punto Machiavelli chiese la reintegrazione, ma questa gli venne negata a causa dei suoi precedenti rapporti con i Medici. Deluso per questo avvenimento, morì improvvisamente in quello stesso anno.

OPERE
EPISTOLARIO: Si richiama alla tradizione epistolare. Sono lettere familiari, pluritematiche, non destinate alla pubblicazione. La più importante è quella al Vettori del 10 dicembre 1513, dove Machiavelli descrive la sua giornata tipo all’Albergaccio.
SCRITTI POLITICI LEGATI AL SEGRETARIATO: Sono un insieme di riflessioni, descrizioni e ritratti.
Sono molto importanti perché c’è una vera e propria analisi sulla cosiddetta “realtà effettuale”. In queste opere viene fuori il classicismo umanistico di Machiavelli, che dà molta importanza alla storia antica, che viene vista come “magistra vitae”.
Grande è anche l’importanza data all’esperienza.
Da qui viene fuori la personalità di Machiavelli: un uomo vigoroso, onesto, intraprendente, ecc…).
IL “PRINCIPE”: Il “Principe” è un trattato politico monologico scritto in 26 capitoli, il cui titolo in latino era “De principatus”. Fu scritto di getto nel 1513 e dedicato in seguito a Lorenzo dei Medici, nipote del Magnifico.
A questo proposito interessante è l’ultimo capitolo, che è considerato utopico in quanto c’è un appello di Machiavelli ai Medici affinché ripristinino la libertà.
Nella lettera al Vettori Machiavelli spiega perché ha scritto quest’opera, che cos’è un principato, quante specie di principato ci sono, come si acquista e come si perde.
Il “Principe” è un trattato monologico di stampo operativo e politologo: infatti con quest’opera Machiavelli vuole trovare una soluzione alla crisi dell’Italia. Egli sottolinea la necessità d’istituire in Italia uno stato assoluto per risolvere la crisi politica e vede nei Medici la possibile soluzione.
Ma in ciò vi è un’utopia, perché non è possibile che in Italia si riesca a costituire uno stato assoluto. Dietro al “Principe” c’è una lunga tradizione di opere medievali e umanistico-rinascimentali: Machiavelli si rifà agli “specula principis”, trattati che davano l’idea del principe virtuoso; questa tradizione si ritrova sia nel periodo umanistico, dove i signori ideali assumono in sé le virtù di masserizia e cortesia, sia nella trattatistica medievale, che comprende alcuni promemoria scritti per consigliare il principe a comportarsi in modo adeguato.
Il “Cortegiano” di Baldesar Castiglione dà un’immagine utopica del principe; Machiavelli si insinua in questa tradizione precedente, ma introduce delle novità: non descrive il principe ideale ma il principe reale; parla di un uomo che deve fare i conti con la realtà effettiva; effettua una distinzione tra le leggi della politica e quelle dell’etica; dice che il principe deve avere come fine il bene dello stato e sostiene anche che, se il principe si comporta in maniera “non buona” per il bene dello stato, non è criticabile. In questa maniera Machiavelli pone le basi per la “scienza politica”, affermando che la morale del principe è fare il bene dello stato.
Machiavelli non dice che il fine giustifica i mezzi in generale, cosa che sarebbe di spunto egoistico, ma dalle sue considerazioni possiamo dedurre che secondo lui ”il fine giustifica i mezzi in virtù del bene dello stato” .
1° e 26° capitolo: fanno da cornice. Il 1° è dedicato a Giovanni dei Medici, il 26° a tutta la dinastia.
1°blocco (1°-11°capitolo): comprende la descrizione dei vari tipi di principato: secondo Machiavelli i principati sono ereditari (di padre in figlio) e nuovi (principati conquistati con le armi e virtù proprie, come quello di Francesco Sforza, o principati conquistati con armi altrui e fortuna propria, come quello di Cesare Borgia). Questi principati nuovi si distinguono a loro volta in misti ed ecclesiastici: quelli ecclesiastici sono quelli di possesso di uomini della chiesa, quelli misti sono principati ereditari a cui si aggiungono nuovi principati conquistati.
In questo primo blocco Machiavelli parla anche dello Stato ecclesiastico e delle forze militari.
2°blocco (12°-14°capitolo): Machiavelli pone il problema delle milizie mercenarie: secondo lui il principato deve disporre di armi proprie, poiché le milizie mercenarie sono la causa della crisi degli stati italiani.
3°blocco (15°-18°capitolo): Machiavelli si sofferma sui comportamenti e le virtù del principe, il quale deve essere valutato in base alla realtà effettuale. Si ha una capovolgimento dei criteri etico-politici: Machiavelli arriva a dire che tutti i mezzi sono adeguati in virtù dello stato.
4°blocco (19°-23°capitolo): tratta dei comportamenti dei cortigiani del principe, i quali devono essere scelti attentamente e accuratamente dal principe stesso.
5°blocco (24°-26°capitolo): tra le cause della crisi dell’Italia viene inserito anche il comportamento dei principi (visione negativa). C’è anche una riflessione sulla fortuna (cap.25): la fortuna è l’arbitro di metà delle azioni umane; l’altra metà è di competenza propria dell’uomo. L’opera si chiude con l’esortazione finale verso i Medici a prendere le redini del principato per poter garantire la fine della crisi.
I “DISCORSI SULLA PRIMA DECADE DI TITO LIVIO”: Quest’opera è strettamente legata al “Principe”. Infatti si pensa che sia stata interrotta verso il 18°capitolo del primo libro per far posto alla composizione del trattato monologico, che rispondeva a bisogni di maggior urgenza riferiti alla situazione attuale dell’Italia.
I “Discorsi” sono dedicati a coloro che frequentarono con Machiavelli gli “Orti Oricellari” e sono formati da un proemio e da tre libri: nel 1°libro Machiavelli riflette sulla politica interna romana, nel 2° parla della politica estera e dell’espansione dell’impero, nel 3° esalta le azioni dei singoli cittadini che hanno fatto grande Roma.
In quest’opera Machiavelli concepisce la storia come “magistra vitae” e di conseguenza dà molta importanza agli “exempla” degli antichi, sostenendo che la storia antica può essere di insegnamento per il presente.
In fondo ai “Discorsi” Machiavelli sostiene, in apparente antitesi al suo pensiero politico esposto nel “Principe”, che la forma di governo migliore e preferibile è la repubblica. Questa non è però una contraddizione, perché il “Principe” è un’opera militante a carattere operativo legata al contingente, scritta da Machiavelli come soluzione a quel preciso momento storico, mentre i “Discorsi” sono un’opera che si proietta nel futuro: infatti, una volta liberata l’Italia dallo straniero con il principato, bisogna tendere, ispirandosi alla res publica romana, verso la repubblica, che conferisce la libertà e stimola i cittadini a comportarsi bene nei confronti dello stato.
L’”ARTE DELLA GUERRA”: l’”Arte della guerra” è un trattato dialogico, il cui dialogo s’immagina tenuto presso gli “Orti Oricellari”. In quest’opera Machiavelli parla del problema delle milizie mercenarie e della necessità di un esercito proprio. Questo esercito deve avere un proprio valore militare e deve essere organizzato sul modello di quello romano.
LE “ISTORIE FIORENTINE”: Quest’opera, commissionata a Machiavelli da Giuliano dei Medici, parla della storia d’Italia e di Firenze fino al 1492.
Machiavelli, non essendo uno storico, non vaglia criticamente tutte le fonti e dà delle interpretazioni abbastanza tendenziose: egli vede la storiografia come “opus oratorium maxime”, secondo la definizione ciceroniana, ovvero come un’opera essenzialmente oratoria. Questo ribadisce che Machiavelli non è uno storiografo ma bensì un politologo.
LA “VITA DI CASTRUCCIO CASTRACANI”: Quest’opera è il ritratto di Castruccio Castracani, condottiero lucchese del trecento, ed è dedicata agli amici degli “Orti Oricellari”. Può essere inoltre vista come un vero e proprio tributo alle biografie classiche e a quelle umanistiche, caratterizzate dalla volontà di presentare le persone in questione come personaggi leggendarie.
PENSIERO POLITICO E TEORIA POLITICA
Machiavelli è l’iniziatore della scienza politica: il suo pensiero politico è legato agli anni del segretariato, che sono alla base della sua attività di politologo. Infatti in questo periodo diviene cosciente dei grandi cambiamenti istituzionali europei, della crisi dell’Italia e dell’eventuale imminente “ruina” dell’Italia stessa. Nonostante tutto all’Albergaccio Machiavelli vuole comunque continuare ad operare per l’Italia e questa volontà sfocia nella produzione delle opere a carattere politico, come il “Principe”, i “Discorsi” e l’”Arte della guerra”.
Egli ha in mente di progettare un sistema che dia delle indicazioni per risolvere la crisi dell’Italia; si può dunque parlare di un Machiavelli “operativo”, non speculativo.
Secondo lui la soluzione è il principato, ovvero lo stato in mano a un principe che si comporti secondo alcune regole e che agisca per il bene dello stato. In particolare Machiavelli vede nella dinastia medicea la possibile soluzione alla crisi dell’Italia.
La figura del principe è una figura innovativa: il suo fine deve essere operare per il bene dello stato e le sue azioni non devono essere giudicate secondo le leggi morali.
Questo non significa che il principe sia amorale: infatti il principe non è amorale, ma ha una morale politica, secondo la quale tutte le azioni, anche quelle “non buone”, sono giustificate in vista del bene dello stato.
Machiavelli non dice esplicitamente che “il fine giustifica i mezzi” perché questa affermazione sarebbe egoistica e favorevole al tiranno, ma sostiene piuttosto che “il fine giustifica i mezzi in virtù dello stato”.
Machiavelli effettua dunque una distinzione tra leggi della politica e leggi della morale, che gli vanta il “titolo” di iniziatore della cosiddetta scienza politica.
Machiavelli trae le proprie conclusioni osservando la cosiddetta “verità effettuale”, ovvero la realtà storica immediata e concreta. Questo atteggiamento è detto “realismo politico” e nasce necessariamente dall’osservazione della realtà effettuale.
Questo realismo porta Machiavelli a delle riflessioni da un lato pessimistiche, dall’altro ottimistiche.
Il suo pessimismo riguarda principalmente il genere umano toutcourt, anche se lui è ottimista per quanto concerne l’”industria” umana.
Machiavelli, in seguito all’osservazione della realtà storica, dice che “così si vive, ma non si dovrebbe vivere così”. Per lui gli uomini sono malvagi ontologicamente, ovvero nasce malvagio per natura, similmente a ciò che sosteneva Lutero, che però vedeva come rimedio la grazia divina. Di conseguenza il principe può anche essere “non buono”, sempre che lo faccia per il bene dello stato.
Secondo Machiavelli la storia dell’umanità si muove secondo regole fisse che ricorrono sempre. Bisogna dunque far appello alla lezione degli antichi perché la storia è “magistra vitae”.
Naturalismo machiavelliano: sempre osservando la realtà effettuale, lui nota che l’agire umano è legato a certi meccanismi fissi, che possono essere studiati come si studiano i fenomeni naturali e arriva così a paragonare il comportamento dell’uomo a un vero e proprio fenomeno naturale.
Nell’ambito del rapporto virtù-fortuna, Machiavelli si inserisce nel dibattito cinquecentesco, in particolar modo in relazione ad Ariosto che vedeva l’uomo come “zimbello della fortuna”.
Lui invece fa un distinguo.
Fortuna: per lui la fortuna non è solo il caso, ma è un insieme di cose, in particolare gli avvenimenti storici, il caso stesso e quelle condizioni che determinano l’”humus” in cui l’uomo può esprimere la sua industria. La fortuna è arbitra di metà delle cose umane; l’altra metà è di pertinenza dell’uomo (in questo senso si ha una visione ottimistica rispetto a quella ariostesca).
Virtù: per Machiavelli la virtù è sia l’insieme delle qualità che consentono di reagire alla fortuna, ovvero l’energia fattiva dell’uomo, sia la capacità si saper valutare le situazioni e cambiare il comportamento in base alla convenienza.
Il principe deve essere dotato di virtù per il bene dello stato. Egli non può essere accusato di essere “non buono” perché l’uomo è malvagio per natura. Deve anche possedere milizie proprie, avere la propria morale politica (bene dello stato) e utilizzare la religione come “instrumentum regni” (la religione preferibile sarà quella pagana, perché celebrava l’eroismo, l’amore per la patria e l’impegno civile, a differenza di quella cristiana che privilegiava un generale allontanamento dall’attivismo).
In Machiavelli abbiamo un aspetto rinascimentale (fiducia nell’industria umana) e uno classicista (recupero della lezione degli antichi).
Contraddizioni: 1 Machiavelli riduce tutto alla separazione tra leggi della politica e leggi della morale, ma così facendo la ragion di stato potrebbe sembrare l’unico criterio di valutazione. In realtà questo non è vero perché bisogna considerare che il “Principe” è un’opera che si presenta come una soluzione immediata che giustifica la prevalenza della ragion di stato, mentre nei “Discorsi” Machiavelli individua la repubblica come forma di governo migliore, passando da un atteggiamento operativo ad uno speculativo.
2 tema delle milizie mercenarie: c’è il rifiuto delle milizie mercenarie, per cui il principe si deve servire di milizie formate necessariamente da cittadini, ma in un principato non esistono cittadini ma sudditi.
De Santis: Machiavelli si sofferna soprattutto sui diritti dello stato, ma non sui quelli dei sudditi.
Stile: Lo stile machiavelliano è uno stile abbastanza innovativo. Con la sua prosa lui vuole aderire alla realtà effettuale. A questo proposito imita il periodare ciceroniano e la sua concinnitas. Il risultato è comunque uno stile icastico (pieno di metafore e immagini), uno stile concreto che si richiama alla quotidianità e che talvolta diventa uno stile gnomico, con Machiavelli che non esita a deliberare sentenze.
Lingua: Si parla d “soluzione machiavelliana”: prevale il fiorentino d’uso, con termini gergali e colloquiali, ma ci sono anche riferimenti al fiorentino proposto dal Bembo.

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