La Certosa di Parma

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

La Certosa di Parma(1839) di Stendhal

La Certosa di Parma è uno dei due capolavori letterari di Henri Beyle (nome reale di Stendhal) che si pone quasi certamente come la massima espressione del romanticismo francese. L’opera è un romanzo a sfondo storico ambientato in Italia nei primi anni dell’ 800, a partire dalla campagna di Napoleone a Waterloo. Principale teatro del continuo evolversi degli eventi è l’Italia settentrionale, inizialmente nei pressi del lago di Como, quindi nella corte di Parma.
Il protagonista, Fabrizio Valserra del Dongo, è un giovane discendente della dinastia dei del Dongo.Cresce vedendo purtroppo tutti gli sforzi del resto della famiglia nello sfoggiare finti benessere e nobiltà.In questo contesto familiare, con la totale assenza di affetto da parte del padre e del primogenito, intenti nelle loro occupazioni di spie austriache, Fabrizio vede crescere il suo interesse nelle imprese napoleoniche che lo portarono all’età di sedici anni a fuggire dalla sua tenuta di Grianta per servire l’Imperatore francese nella campagna di Waterloo. Qui il giovane protagonista scopre suo malgrado non l’aspetto onorevole e fascinoso della guerra, bensì la sua faccia più cruda e macabra. Purtroppo i suoi sogni di partecipare alla battaglia nell’esercito francese sembravano svanire a causa delle sue origini italiane e della mancanza di una certificazione che lo attestasse soldato. Così si impossessò della divisa e del passaporto di un soldato morto in carcere e coraggiosamente si affiancò all’esercito non con lo scopo di uccidere o di guadagnare prestigio ma di soddisfare un giorno il suo desiderio di incontrare Napoleone. Dalla corrispondenza epistolare con sua madre Fabrizio apprese la notizia di una denuncia da parte di suo fratello maggiore per la sua evasione, e l’adesione all’esercito francese sotto falsa identità.
La zia di Fabrizio,tale contessa Gina Pietranera del Dongo, era una donna molto stimata presso i personaggi più altolocati della nobiltà e della borghesia milanese e godeva, grazie anche al suo stato di vedova, di un’ esimia cerchia di ammiratori e pretendenti. Tra di essi, la contessa iniziò una relazione di forte amicizia con in conte Mosca, ministro del principe di Parma Ernesto IV. La contessa fu infine convinta dal Mosca a un matrimonio di comodo con un nobile di Parma, che le dava diritto, anche in un altro regno, a tutto ciò che un titolo nobiliare comporta.
Fabrizio intanto restava confinato nei presi di Novara sotto un’ulteriore falsa identità per sfuggire alla polizia austriaca. La zia, acquisita ormai una certa influenza sulla corte parmense, cercava con il conte Mosca suo amante una soluzione per garantire al nipote di lei la salvezza dalla persecuzione della legge e inoltre una carriera fruttuosa e l’unica soluzione plausibile fu quella di avviarlo verso una carriera arcivescovile, come tre discendenti della dinastia del Dongo avevano già avuto nella città di Parma. Fabrizio andò quindi a studiare a Napoli per alcuni anni, dove suo malgrado si scoprì particolarmente inetto di amare, se non capace di provare un forte sentimento a suo dire improprio mai rivelato per sua zia, che in suor suo ricambiava in silenzio.
Al ritorno da Napoli Fabrizio fu costretto a fronteggiare i problemi con la polizia austriaca insieme a delle pericolose relazioni con donne già promesse. Proprio il compagno di una di queste donne, il Giletti intendeva vendicarsi del disonore causatogli da Fabrizio.Incontrandolo un giorno per strada, il Giletti aggredì Fabrizio e tentò di ammazzarlo, se non che ne rimase ucciso lui. A Parma questo episodio fu strumentalizzato dal partito dell’opposizione che vedeva in una condanna di Fabrizio, come un modo di diminuire i favori del principe sulla contessa, quindi sul conte Mosca e sull’ intero partito governativo. Alla fasulla condanna di Fabrizio ebbe un’importante funzione il conte Rassi, ministro della giustizia nel principato di Parma che fu facilmente corrotto. Fabrizio fu quindi costretto a un secondo esilio, soggiornando principalmente a Bologna e intrattenendo sempre un fitto rapporto epistolare con sua zia.La stessa contessa tentava continuamente di intercedere presso il principe per dichiarare falsa l’accusa di omicidio e graziare suo nipote. Il principe invece mandò dei soldati a Bologna e fece catturare Fabrizio e lo rinchiuse nella cittadella, una immensa prigione fortificata simile alla Bastiglia francese.
Nella sua sventura qui Fabrizio trovò la felicità poiché si innamorò della figlia del governatore della cittadella, Clelia Conti.Poiché la finestra della sua cella si affacciava sul giardino della ragazza per la maggior parte dei suoi nove mesi di detenzione intrattenne lunghe conversazioni no verbali con ogni stratagemma possibile fino a confidare alla fanciulla il suo amore, tra l’altro ricambiato. A corte la prigionia di Fabrizio era usata anche dallo stesso principe per controllare la popolarità e il forte carisma della contessa Pietranera. Attraverso alcuni stratagemmi la contessa era riuscita ad avere alcune conversazioni con Fabrizio, a cui propose un piano per evadere dal carcere. Fabrizio non fu molto contento di ciò poiché sapeva che al di fuori della cittadella, benché libero,sarebbe stato lontano da Clelia, il che lo avrebbe fatto star molto male.In ogni modo decise di evadere anche perché i carcerieri avevano pianificato di avvelenarlo a sua insaputa. Fabrizio nei mesi successivi fu triste, avendo il pensiero sempre rivolto alla giovane ragazza che gli aveva reso così piacevole il suo “soggiorno” in cella, rendendo a sua volta infelice la zia che sentiva di amarlo fortemente e soffriva nel vedere il suo sentimento non ricambiato.Dopo molte peripezie(tra cui un rapporto sessuale disonorevole della contessa con il principe) e una seconda breve detenzione, Fabrizio fu libero e ben presto completò la sua ascesa ecclesiastica fino a diventare coadiutore prima e arcivescovo poi, grazie anche all’appoggio incondizionato del conte e della contessa(che si erano sposati) e del larghissimo favore che aveva acquisito nei riguardi del principe e della città intera.
La sua esperienza di vita, il suo amore per Clelia(che si sposò con un marchese),il dolore che provava, furono molto rilevanti quando iniziò ad essere predicatore, poiché i suoi discorsi carichi di pathos e di sentimenti veri, crearono un enorme coinvolgimento nei concittadini di qualunque ceto sociale e di ogni appartenenza politica.
Clelia, che durante le prima prigionia di Fabrizio aveva fatto voto alla Madonna di non rivedere Fabrizio, aveva più volte infranto la sua promessa solenne, sino a trovare un diversivo, cioè di incontrare Fabrizio di notte, nell’oscurità per sentire solamente la sua voce. Da tali conversazioni, una sera i due innamorati non resistettero al richiamo d’amore e dopo alcuni mesi l’arcivescovo si ritrovò con un figlio che però non gli era dato incontrare e degnarlo dell’affetto tipico di un padre.La conclusione è alquanto tragica: il bambino muore dopo poco tempo, seguito in pochi mesi da Clelia. Fabrizio decide quindi di entrare nella Certosa di Parma, anche se passava moltissimo tempo nella nuova residenza della zia. Purtroppo il soggiorno nella Certosa durò solo un anno, poiché ne uscì “con i piedi in avanti”.
Le ultimissime righe, dopo la descrizione della morte dei protagonisti, sono alquanto ambigue poiché sembrano celare quasi con rammarico che le uniche cose che alla fine possono raggiungere la vera felicità sono le cose materiali e corrotte:
“Le prigioni di Parma erano vuote, il conte immensamente ricco, Ernesto V adorato dai suoi sudditi, che comparavano il suo governo a quello dei granduchi di Toscana.”
Il romanzo è scritto in un lessico molto semplice, che rimane tale senza alcuna differenziazione tra la lingua popolana e la lingua aulica usata nella corte. Ma sembra che l’autore abbia avuto qualche problema nella scelta della lingua, infatti l’opera oltre a utilizzare il francese esprime moltissimi termini principalmente il lingua italiana, accompagnando nella maggior parte dei casi la narrazione con commenti alquanto positivi sull’efficacia della nostra lingua nell’esprimere determinati concetti. Il giudizio positivo riguardo l’Italia non è circoscritto solamente in ambito linguistico: la descrizione quasi fiabesca dei paesaggi, in particolare del Lago di Como, dà l’idea di una idealizzazione neoclassica dell’immagine che l’autore ci ha tramandato, mentre è evidenziato molto spesso (anche con commenti che esulano dal corso narrativo) il carattere caldo, passionale, socievole della nazione italiana, quasi sferrando un attacco indiretto alla Francia quale epicentro del pensiero illuminista.
Nel quadro di confronto italo-francese che l’autore ha celato tra le righe della sequenza narrativa vi è anche una considerazione (forse compassionevole) che criticava la frammentazione degli stati italiani(riguardo all’eccessiva importanza che avevano i passaporti nella vita quotidiana) in opposizione all’unità francese. Ma in tale pensiero, Stendhal tende a non dare una colpa alla popolazione dell’Italia, poiché ha sviluppato una descrizione viva e dettagliata della politica del terrore delle forze di polizia austriache.
Riguardo lo stile, il romanzo è attraversato da una continua tensione narrativa, con un evolversi degli eventi dinamico,forse eccessivamente e quasi irrealmente continuo, esposto con la tecnica del narratore onnisciente esterno dai fatti ma presente riguardo i commenti della narrazione, che compie dei cambiamenti cronologici indifferentemente nel passato e nel presente.
La componente dominante tra le pagine del romanzo è l’amore, che nella narrazione è posizionato in un climax continuo che inizia nei primi capitoli sino a raggiungere l’apice nel monologo della contessa riguardo l’amore di Fabrizio nel sedicesimo capitolo.Ciò si nota anche nel processo di romanticizzazione di Fabrizio che prima appare come incapace di amare, fino a innamorarsi perdutamente di Clelia Conti. Dal sedicesimo capitolo sino alla fine del libro è quasi totalmente assente ogni forma di razionalità: sono evidenziati i comportamenti comandati dalla forza irrazionale dell’amore prima della contessa e del conte Mosca quindi di Fabrizio e di Clelia. Purtroppo, secondo Stendhal, l’amore è anche la fonte dell’infelicità del genere umano. I lunghi monologhi dei protagonisti fanno emergere un continuo stato di irrequietudine, i loro drammi interiori, la loro incapacità di fronteggiare con la ragione gli impulsi dettati dal cuore.
Attraverso i suoi personaggi l’autore dà un idea della vita come dolore e infelicità. L’uomo in questo mondo non può essere pienamente felice, infatti è spesso dominato da passioni che lo privano da quell’idea apparente di libertà e che lo riducono solamente ad essere un burattino guidato in ogni sua azione dalla irrazionalità del cuore; questo stato di illusoria felicità tramonta e sprofonda nel dolore nel momento in cui l’individuo amato si allontana. Nella vita terrena è impossibile raggiungere appieno la felicità, se non al di fuori della normalità. Infatti, nel racconto, Fabrizio, detenuto nella cittadella, è più che felice poiché può continuare a vedere e a discorrere segretamente con Clelia, che una volta libero non potrà più rivedere (qui Stendhal rende più chiara la situazione facendo recitare a Fabrizio un componimento del Petrarca:”Felice allor che triste ero creduto, ed ora assai mutata è la mia sorte! ”).
Anche quando, una volta in libertà Fabrizio rivede Clelia, il loro amore è ostacolato dal voto alla madonna, rendendoli ancora più infelici. Anche la contessa, che era infelice durante la detenzione di Fabrizio, permane in quello stato dopo la sua evasione poiché il cuore del ragazzo è totalmente pieno d’amore per Clelia. Nessuno dei protagonisti riesce a raggiungere pienamente l’amore massimo: Fabrizio diventa arcivescovo e Clelia sposa solo per denaro il marchese, la contessa non riesce a conquistare Fabrizio e sposa il conte Mosca che a sua volta non sposa la donna che ha amato, poiché la contessa era stata disonorata dalla meschinità del principe. Il grande amore causa solo rimorso, rimpianto e dolore poiché nessuno in futuro, ricordando il passato, non riuscirà mai a soddisfare quel desiderio dettato dal cuore, che apparterrà solamente alla persona amata per quello che è e non come tentativo di dimenticare.
Quindi la fonte eterna di felicità assoluta è la morte. Nel testo si trovano in particolare due riferimenti al filosofo Seneca: 1) “tedio della vita”(cap.27) 2)”Benedico la morte perché è a lei che devo la mia felicità”. Ma in questa considerazione che traspare, viene rinnegato il suicidio:“Fabrizio era troppo innamorato e troppo credente per ricorrere al suicidio:sperava di ritrovare Clelia in un mondo migliore, ma sentiva anche che molto aveva ancora da riparare in quest’altro.”
Dopo l’amore, dalla narrazione emergono due temi secondari: la corruzione della politica e la religione.
Per ciò che concerne la politica, il modo in cui è descritta la corte parmense è quasi ripugnante. I ministri e lo stesso principe potevano essere facilmente manipolati ottenendo i loro favori, il partito di opposizione era pronto a strumentalizzare ogni avvenimento o a inventare falsità infondate pur di tentare di rovesciare il partito governativo, anche corrompendo il ministro della giustizia che fece imprigionare Fabrizio. La contessa riuscì a convincere il principe a liberare il ragazzo (presunto assassino) solo offrendogli mezz’ora di sesso.
La religione, in questo romanzo, non ha un assoluto valore di purezza a differenza di quanto invece può emergere da “i Promessi Sposi” di Manzoni.Nessun protagonista ostenta una religiosità incondizionata, Fabrizio divenne arcivescovo non per vocazione ma solo attraverso a oculati intrighi di corte,era molto diffusa la pratica di avere oltre al coniuge un amante, con cui si era soliti incontrarsi nella Chiesa di San Giovanni a Parma. Il particolare più emblematico viene dalla differenza tra Lucia e Clelia nel fare voto alla Madonna: Lucia rispetta la sua promessa, anche a costo di rinunciare all’uomo amato;Clelia invece infrange più volte il voto, arrivando perfino ad avere un figlio da Fabrizio.
L’influenza manzoniana ne La Certosa di Parma si nota in molte analogie con “I Promessi Sposi”: innanzitutto l’ambientazione iniziale è nei pressi del Lago di Como, poi i protagonisti maschili(Renzo e Fabrizio) sono entrambi ricercati ingiustamente dalla polizia della nazione dominatrice (Spagna e Austria), nel 6° capitolo la contessa pronuncia “mio divino lago di Como…addio!addio!”ricordando il celebre passo dell’8° capitolo de “I Promessi Sposi” dell’addio di Lucia al paese natale.
L’opera stendhaliana racchiude in sé gli ideali e gli stili tipici del romanticismo europeo(la predominanza della passione, l’infelicità umana, la conclusione tragica del romanzo, la critica alla vita cortigiana, l’importanza dell’unità nazionale) e può ben adattarsi ai nostri tempi, essere assunto come strumento per indurre ad un’analisi profonda della realtà e della vita non dal punto di vista ristretto della razionalità, ma con il cuore.

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