Giacomo Leopardi: vita e pensiero

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana

Voto:

2.5 (2)
Download:1328
Data:18.07.2005
Numero di pagine:12
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
giacomo-leopardi-vita-pensiero_1.zip (Dimensione: 15.13 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_giacomo-leopardi:-vita-e-pensiero.doc     84.5 Kb


Testo

GIACOMO LEOPARDI
(1798-1837)
I FASE: L’ERUDIZIONE (1798-1815)
VITA
➢ Giacomo Leopardi nasce il 28 giugno 1798 a Recanati, borgo di uno degli Stati pontifici più arretrati d’Italia, dal conte Monaldo e da Adelaide Antici, antica famiglia nobile in gravi carenze economiche. Il padre è un uomo colto ma di cultura accademica, cioè arretrata, non lavora e lascia tutto ai suoi amministratori. La madre è una donna autoritaria, impegnata a contenere le spese del marito e a fare quello che questi non si preoccupava di fare.
➢ “Il gobbo de Leopardi”, come lo definivano i recanatesi, è il primo di sette fratelli, tra i quali spiccano Carlo e Paolina per maggiore affinità con esso. Vive in un mondo chiuso, arretrato e bigotto, privo di rapporti di amicizia, isolato e incompreso anche dalla madre. In una lettera del 1817 infatti scriverà: “Qui tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità. Letteratura è un vocabolo inudito”, con evidente riferimento al suo “natio borgo selvaggio”, ovvero alla tanto odiata Recanati, lontano dalla quale però confessa (in una lettera alla sorella Paolina) di non riuscire mai a sognare: dopotutto quel luogo resta pur sempre la culla dei suoi versi migliori. L’ambiente in cui cresce è conservatore e avverso a novità e a rivoluzioni e, com’è tipico dei nobili, ha i precettori in casa, il che contribuisce a non avere rapporti con i suoi coetanei.
➢ Dimostra però un’intelligenza precoce: a undici anni (nel 1809) non ha più bisogno dei precettori (il padre infatti racconta che “il precettore non aveva più altro da insegnargli”) e inco0mincia quei “sette anni di studio matto e disperatissimo” che lo partano a leggere tutta la biblioteca familiare e ad impara pian piano il greco, il latino e l’ebraico.
PENSIERO
➢ Il pensiero è un riflesso dell’ambiente in cui ha vissuto per tanti anni, cioè accademico e tradizionalista.
POETICA
➢ L’arte è per lui imitazione o erudizione. Leopardi in questo periodo traduce infatti testi greci.
OPERE
➢ A quindici anni comincia già a scrivere alcune opere filologiche, ovvero alcuni confronti e/o commenti di testi.
➢ Per imitare l’erudizione compie alcune traduzioni dal greco, come quelle dell’Eneide e dell’Odissea, e di latino, come alcune odi di Orazio e di Catullo.
➢ Scrive anche diverse canzonette e tragedie di poca importanza.
II FASE: DALL’ERUDIZIONE AL BELLO (1815-1821)
VITA
➢ In questo periodo entra in contatto col Romanticismo e con i suoi esponenti. Si accosta infatti alla letteratura romantica e scopre i classici, legge le opere di Madame de Stael e conosce Pietro Giordani (classicista di idee democratiche e laiche), personaggio col quale inizia una fitta corrispondenza (costruisce un epistolario) e che diventerà per lui come una guida.
➢ Percepisce la rigidità dell’ambiente familiare e di Recanati dove, sentendosi soffocato, tenta la fuga. Nel 1819 fugge ma poi viene scoperto. C’è da dire che anche se la fuga fosse andata a buon fine Leopardi non avrebbe saputo però come mantenersi, data la mancanza di denaro della famiglia e l’ambiente dai rigidi costumi.
➢ In questi anni contrae anche una malattia agli occhi che gli impedisce la lettura e l’applicazione intellettuale. Ha quindi come un periodo di crisi che egli definisce “nera, orrenda e barbara malinconia” che però lo aiuta, nel suo isolamento, a concentrarsi meglio nella riflessione e nel pensiero.
PENSIERO
➢ La sua sofferenza e frustrazione lo costringe a meditare e questa riflessione lo porta al pessimismo. Concepisce la nullità di tutte le cose e quindi della realtà in genere, fondandosi su una serie di idee filosofiche sviluppate all’interno dello Zibaldone. Qualcuno dice che Leopardi era pessimista perché stava male ed era naturalmente portato a vedere “tutto nero”. La sofferenza però lo fa riflettere e la riflessione lo porta ad essere realista, e quindi pessimista, a vedere cioè le cose come stanno veramente. Egli considera la vita come sofferenza e dice che tutte le cose sono nulla perché sono piaceri effimeri e non esistono in eterno.
➢ Rimane fedele a un pensiero sensista (sistema filosofico per cui la sensazione è fondamentale per formare la psiche e la mentalità della persona; quindi l’assenza di sensazioni provoca la morte) ma anche, per certi versi, illuminista.
➢ Leopardi sostiene che il piacere fisico è portatore di felicità. L’uomo di per sé aspira ad un piacere infinito e che duri per sempre ma ciò non è possibile: si forma quindi il dolore, un vuoto nell’anima che porta a concepire il senso della nullità di tutte le cose. L’uomo è destinato per sua natura a essere infelice. C’è anche una contrapposizione tra l’età antica, nella quale l’uomo era più forte, vivo e le cose più belle, e quella moderna, nella quale la ragione ha spento le illusioni rendendo l’uomo più debole e incapace di grandi azioni. Questa fase può essere infatti chiamata anche del pessimismo storico: l’infelicità moderna è sempre esistita ma gli antichi non la concepivano o non se ne accorgevano. Il pessimismo storico è quindi il pensiero secondo cui l’infelicità moderna è sempre esistita, ma gli antichi non se ne accorgevano perché distratti dalle illusioni.
➢ Per Leopardi le epoche passate erano meglio di quelle presenti. La natura in questo periodo è considerata buona e, provando pietà per l’uomo, gli ha fornito l’immaginazione, ovvero le illusioni che rendono una felicità che non è reale perché maschera la vera realtà, la quale è fatta di dolore. Nella realtà moderna però queste illusioni sono andate perdute perché la ragione ha riconfermato la realtà.
➢ Il poeta di fronte a questa situazione o si erge e vuole il riscatto dell’Italia (spirito patriottico, anche con la poesia) o si rifugia nel titanismo, ovvero nell’auto-isolamento e nella solitudine.
POETICA
➢ Troviamo qui un passaggio dall’erudizione al bello che comprende sia la filosofia che la poesia. L’arte, che per lui era inizialmente imitazione o erudizione (quando traduceva opere dal greco), viene man mano scoperta e si trasforma in bello. Si ha quindi un passaggio dall’erudizione al bello, dalla filologia alla letteratura. Infatti se fino al 1815 i classici (di Omero, Virgilio, etc.) sono per lui solamente un passatempo ora diventano una vera e propria passione e un serio studio oltre che un reale motivo di vita.
➢ Propone quindi una poetica del vago e dell’indefinito che troviamo nello Zibaldone in chiave sensista. Viene qui sviluppata una teoria della visione e del suono, nella quale Leopardi si domanda cosa nell’uomo provochi felicità e appagamento. Le visioni sono piacevoli perché suscitano idee vaghe e indefinite e ciò che stimola nell’uomo l’immaginazione e il piacere è appunto ciò che non si vede e ciò che va oltre lo sguardo, ovvero il vago e l’infinito. Provocano però il piacere e la felicità anche i suoni, specie quelli lontani, quelli di qui non si sa la provenienza, quelli che si perdono, quelli vaghi e indistinti.
➢ Nella poesia tutto ciò si concretizza in parole che evocano ricordi (come il lontano, l’antico, l’eterno, la notte) e che fanno emergere in noi sensazioni piacevoli di quando eravamo fanciulli.
➢ Gli antichi erano più bravi nell’immaginare perché più vicini alla natura. Leopardi, seguendo Shiller, riprende la distinzione tra poesia d’immaginazione e poesia sentimentale (poesia romantica nutrita di idee e dalla consapevolezza del vero).
➢ Leopardi è consapevole dell’infelicità moderna ma cerca di reagire attraverso la poesia, che stimola l’immaginazione portando l’uomo alla felicità. La consapevolezza dell’infelicità dell’uomo moderno trova quindi in Leopardi una soluzione, ovvero lo sforzo, da parte dell’uomo, di reagire tramite la poesia, attività che lo aiuta a sviluppare l’immaginazione.
LEOPARDI E IL ROMANTICISMO
➢ Leopardi non si considera propriamente un romantico perché la sua formazione è prevalentemente classica: possiamo quindi definirlo un classico-romantico.
➢ S’inserisce così nella polemica classico-romantica avviata da Madame de Stael e scrive una Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana (1816) e un Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1818), scritti dai quali si ricava che:
- le posizioni di Leopardi sono originali rispetto a quelle del movimento romantico preso nel suo insieme; egli non abbandona la classicità e ama la spontaneità ed è quindi un classico-romantico;
- egli critica il classicismo accademico, che impone regole rigide, e ciò che, nelle opere dei romantici, rientra nell’artificioso, condannando anche l’abuso di mitologia, l’artificiosità dei romantici europei e gli aspetti più cupi e ritrosi della poesia romantica; è invece d’accordo sul fatto che la poesia debba essere spontanea, non bloccata dalle regole ed espressione dei sentimenti del poeta;
- Leopardi privilegia la lirica perché è più personale e suggestiva, prediligendo quindi una poesia intima e spontanea;
➢ In questa polemica Leopardi si dimostra d’accordo sul fatto che la poesia debba essere spontanea e rispondere al sentimento intimo del poeta. Egli è infatti il primo a infrangere le regole della metrica (usando, fra l’altro, l’endecasillabo sciolto) in nome dell’esaltazione di questa spontaneità. Anche in questo senso è possibile definirlo un classico-romantico, poiché ama leggere i classici (che per lui sono spontanei) ma in chiave romantica.
➢ Leopardi sceglie la lirica, rifiutando cioè la letteratura filosofica, scientifica e realistica (i saggi), quella per capirci fondata sul vero e con intenti civili, anche se però scrive lo Zibaldone.
➢ E’ inoltre lontano dal concetto utilitaristico della letteratura (quello manzoniano del vero, dell’utile e dell’interessante) sostenendo che essa deve dilettare e commuovere e che il suo intento principale non deve essere quello di insegnare.
➢ In linea col Romanticismo ammette la tensione verso l’infinito, il culto della fanciullezza, il senso del dolore e quello dell’inadeguatezza dell’uomo moderno.
OPERE
➢ Nel 1817 comincia a scrivere lo Zibaldone, una specie di diario intellettuale, fatto di idee e problemi, appunti e progetti, che continuerà a scrivere fino al 1832. E’ una raccolta di riflessioni e pensieri soprattutto di natura filosofica e di considerazioni sulla vita e sull’uomo.
➢ Scrive anche delle canzoni (alcune delle quali già cominciate a scrivere precedentemente a questo periodo) e degli idilli, tutti componimenti che raccoglie sotto il nome di Canti.
Canzoni
➢ Scritte tra il 1818 e il 1823 le canzoni sono un genere in forma lirica molto antico e già adoperato da Petrarca.
➢ L’impianto di questi componimenti è classico e il tono (linguaggio) aulico-solenne. La metrica richiama l’esametro latino facendo uso dell’endecasillabo sciolto. I temi sono prevalentemente civili e c’è nuovamente la constatazione che il presente è triste e avvilente e che gli uomini sono meno coraggiosi e forti di quelli del passato (siamo nella piena fase del pessimismo storico).
➢ I principali titoli di queste liriche sono:
- All’Italia;
- Alla sua donna;
- Sopra il monumento di Dante;
- Ad Angelo Mai;
- Nelle nozze della sorella Paolina;
- A un vincitore del pallone.
➢ Diverse dalle altre sono Bruto minore e Ultimo canto di Saffo (poetessa che si suicida, con una grande sensibilità ma con un brutto corpo), perché mentre nelle altre è il poeta che parla in prima persona in queste è proprio il personaggio che parla. Esse sono inoltre di passaggio tra i due tipi di pessimismo:
- quello storico, dove l’uomo è infelice perché la ragione ha scoperto la sua nudità;
- quello cosmico, dove l’uomo è per sua natura destinato all’infelicità.
➢ Altre canzoni sono Alla Primavera, Alla sua donna e Inno ai patriarchi.
Idilli
➢ Sono molto diversi dagli altri canti. Già Leopardi aveva tradotto gli idilli di Mosco (poeta greco). Gli idilli sono una poesia pastorale dove si parla molto del mondo dei pastori, ovvero della pace e della tranquillità. Leopardi però descrive di campagne serene ma fa riflessioni pessimistiche. Sono diversi anche dall’idillio borghese (nel quale ci sono i quadretti familiari). Essi sono delle “affezioni, avventure storiche del mio animo” e, in virtù di ciò, sono autobiografici e personali, nei quali a Leopardi preme di descrivere la sua vita che è inferiore e la natura.
➢ Ne fanno parte:
- L’infinito;
- Alla sera del dì di festa;
- Alla luna, il primo dove Leopardi fa uso della ricordanza;
- Il sogno;
- La vita solitaria;
- Il passero solitario e il Canto notturno, che sono però di passaggio tra la seconda e la terza fase.
III FASE: DAL BELLO AL VERO (1821-1830)
VITA
➢ E’ una fase di viaggi, nella quale Leopardi va a Roma ma ne rimane deluso. E’ un periodo di aridità, nel quale non riesce a scrivere poesia e quindi si dedica alla prosa.
➢ Nel 1825 ha la possibilità di uscire da Recanati come critico letterario di autori italiani per un editore. Soggiorna così a Milano, Bologna e Firenze e fa amicizia con gli intellettuali che si riuniscono intorno alla rivista L’antologia, un giornale intellettuale in cui avevano teatro dibattiti moderni.
➢ A Pisa conosce il suo periodo migliore, ha la serenità che gli fa tornare la voglia di scrivere versi. Finito l’inverno non ha però più soldi e gli occhi gli danno ancora fastidio. Così nel 1828 torna a Recanati.
PENSIERO
➢ Il pensiero leopardiano subisce un’evoluzione dovuta alla riflessione sul ruolo della natura che prima era considerata benigna mentre ora è vista negativamente. Leggendo le canzoni si capisce come anche i personaggi del passato soffrissero, e ciò fa pensare a Leopardi che ci sia un fato che destina alcuni uomini alla sofferenza. Alla fine è quindi la natura a essere colpevole del mali dell’uomo, poiché essa è vista come un organismo che non si preoccupa della sofferenza dei singoli e che prosegue incessante e non curante il suo compito di riproduzione ed evoluzione della specie. Leopardi ha quindi una visione più meccanicistica della natura, una natura che egli volgarmente definisce matrigna.
➢ Si perviene così al pessimismo cosmico. Mentre in quello storico la natura aveva dato all’uomo le illusioni affinché fossero felici (quindi gli uomini del passato erano illusoriamente felici), in quello cosmico l’infelicità è di tutti gli uomini, anche di quelli del passato.
➢ L’uomo di fronte a questa constatazione deve rendersi conto della realtà e contemplarla, come un saggio stoico che pratica l’atarassia e la lucida contemplazione del reale. Il suo destino, ovvero la sua malattia, è lo stesso degli altri uomini.
➢ In questa fase non ci sono reazioni titaniche perché Leopardi ha capito che è inutile ribellarsi e che bisogna invece raggiungere l’atarassia e l’equilibrio con se stessi. C’è inoltre equilibrio tra vero e immaginazione, la quale porta alla felicità.
POETICA
➢ Si ha un passaggio dal bello al vero nel senso che la poesia è più realistica.
OPERE
➢ In questo periodo scrive le Operette morali e alcuni idilli.
Operette morali
➢ Scritte nel 1824, in un periodo di aridità, anche se non appartengono tutte a questa fase. Sono prose filosofiche nelle quali Leopardi espone il suo pensiero (ad esempio quello della natura come organismo meccanicistico) sottoforma di invenzioni fantastiche, paradossi e spesso dialoghi.
➢ I personaggi sono veri o inventati ma anche personificazioni (come quella della natura). In alcune di queste personificazioni è Leopardi stesso che si inserisce in un personaggio, che diventa quindi portavoce delle idee del poeta.
➢ La filosofia esposta tratta temi come il pessimismo, l’importanza di raggiungere il piacere, il male, la noia, il genere narrativo. La posizione è comunque di pessimismo cosmico e di distacco.
➢ Leopardi scrive in una prosa che è a tratti nitida e a tratti ha caratteristiche liriche. Si trova in una posizione di classico nitore.
Canti
➢ Scritti tra il 1828 e il 1830 vengono cronologicamente dopo le Operette morali e fanno quindi parte dell’ultima parte della terza fase.
➢ La sorella Paolina dice che questi canti sono stati scritti con il cuore di un tempo: Leopardi ha quindi avuto come una rinascita poetica, ha ritrovato cioè l’ispirazione perduta.
➢ Ne fanno parte:
- A Silvia, che è la poesia più alta di questa fase;
- Il sabato del villaggio;
- Le ricordanze;
- La quiete dopo la tempesta.
➢ I temi sono ripresi da quelli dei canti precedenti, ovvero: il senso del tempo, la descrizione del paesaggio (cfr. teoria del suono e della visione), il confronto fra giovinezza e maturità.
➢ Sembra quindi che in Leopardi non sia cambiato niente ma non è così. Questi canti sono infatti scritti dopo la crisi, ovvero dopo la fase di passaggio tra pessimismo storico e cosmico. Leopardi ora ritiene che le illusioni siano destinate a cadere per tutti ma, nonostante ciò, egli continua testardamente a sognare. Le immagini sono ora rarefatte, come se viste attraverso dei filtri, ma sono ancora delle immagini piacevoli e in tutte c’è il richiamo alla morte.
➢ Nella forma abbandona l’endecasillabo. Non c’è più uno schema fisso di rime (contemporaneamente Manzoni scrive La Pentecoste, ma lui è più legato ad una forma rigorosa). Usa inoltre molti enjambements che modificano il ritmo della lirica.
IV FASE (1830-1837)
VITA
➢ E’, per Leopardi, un periodo ancora brutto e di disagio, in cui la malattia peggiora sempre più. Nell’aprile del 1830 accetta però un’offerta (una colletta) da alcuni amici di Firenze che gli offrono un assegno mensile per uscire da Recanati e vivere a Firenze.
➢ La sua situazione quindi un po’ migliora. Leopardi ha rapporti sociali più intensi e si inserisce nel dibattito politico e culturale del tempo anche se si dimostra critico e contrario al progressismo, all’ottimismo positivista, al patriottismo all’idealismo e allo spiritualismo dell’ambiente napoletano.
➢ Conosce anche l’amore per Fanny, ma rimane deluso e questa sua delusione gli suggerisce gli ultimi canti del Ciclo di Aspasia (l’amante di Pericle), nome con cui vuole fare riferimento alla suo amore Fanny.
➢ A Firenze stringe amicizia con Antonio Ranieri, più giovane di lui, e assieme andranno a vivere a Napoli dove morirà di colera nel 1837.
PENSIERO
➢ Alla fine della terza fase abbiamo trovato un Leopardi rassegnato che parla di atarassia e di contemplazione dell’inutilità. Egli comunque non si abbandona alla rassegnazione ma cerca bensì di reagire sempre al male e al dolore contro le false illusioni e contro il materialismo ateo.
➢ Si scaglia quindi contro l’idealismo, lo spiritualismo e il patriottismo, cioè contro coloro che credono che l’uomo possa migliorare. Si dimostra perciò polemico verso queste forme di ottimismo perché Leopardi è sempre dell’idea e constata sulla sua pelle che la vita è sofferenza. Ne La ginestra giunge a una conclusione nella quale propone una soluzione: dice che l’unica cosa che l’uomo può fare di fronte al male è essere solidale con gli altri e non combattere il prossimo.
POETICA
➢ Assistiamo ad una nuova poetica, che è anti-idillica. Mentre infatti negli idilli si avevano immagini vaghe, poetiche e il dolce rimembrar, ora non c’è più niente di tutto questo. La poesia è nuda, severa, fatta di puro pensiero (come nel Canto del pastore) e priva di immagini sensibili. Essa deve dilettare ma allo stesso tempo commuovere.
➢ La posizione di Leopardi è quindi più energica: egli reagisce e critica le illusioni. Il suo linguaggio è più aspro e antimusicale, con una sintassi più complessa e spezzata (non più scorrevole e fluida).
OPERE
➢ Compone in questi anni il Ciclo di Aspasia, nel quale troviamo le seguenti poesie:
- Il pensiero dominante;
- Amore e morte;
- Aspasia;
- Con Salvo;
- A se stesso.
➢ Altre opere sono:
- la Palinodia (= satira) al marchese Gino Capponi, una satira un po’ pariniana sulla fede nel progresso e sulla società moderna;
- Ad Arimane, un inno incompiuto di natura crudele;
- i Paralipomeni (= aggiunta, continuazione) della batracomiomachia (= lotta dei topi con le rane, aiutate dai granchi), una satira della rivoluzione napoletana nella quale Leopardi critica i borbonici (le rane), gli austriaci (i granchi) e i liberali napoletani (i topi). E’ un poemetto che Leopardi aveva già tradotto (si credeva fosse di Omero) e che riprende facendo le opportune aggiunte.
- La ginestra, una poesia.
1

Esempio