Elsa Morante - La Storia

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura Italiana
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Testo

Elsa Morante
La Storia
“Uno scandalo che dura da diecimila anni”
Biografia
Elsa Morante nacque a Roma nel 1912, figlia illegittima di Irma Poggibonsi (una maestra ebrea) e di un impiegato delle poste, Francesco Lo Monaco. Il padre legittimo fu Augusto Morante, sorvegliante in un istituto di correzione giovanile. Trascorse l'infanzia nel quartiere romano "Testaccio" in condizioni economiche ristrette e per questo motivo, dopo aver concluso gli studi liceali, fu costretta ad abbandonare la facoltà universitaria di lettere.
Essendo dotata di un grande talento artistico, iniziò giovanissima a scrivere filastrocche e favole per bambini, poesie e racconti brevi, pubblicati a partire dal 1933 fino all'inizio della seconda guerra mondiale su riviste di vario genere, tra cui Il Corriere dei Piccoli, Il Meridiano di Roma, I Diritti della Scuola e Oggi. Nel 1936 conobbe lo scrittore Alberto Moravia, che sposò nel 1941; insieme incontrarono e frequentarono i «massimi scrittori e uomini di pensiero italiani del tempo», come lei stessa affermò, tra cui Pier Paolo Pasolini, con cui entrambi strinsero una salda amicizia.
Il suo primo libro fu una raccolta di alcune sue storie giovanili, intitolato Il Gioco Segreto e pubblicato nel 1941. Nel 1942 fu seguito da un libro per ragazzi, Le Bellissime Avventure di Caterì dalla Trecciolina, poi riscritto nel 1959 con il titolo Le Straordinarie Avventure di Caterina).
Verso la fine della seconda guerra mondiale, per sfuggire alle rappresaglie dei nazisti, la Morante e il marito lasciarono Roma, occupata dai tedeschi, e si rifugiarono a Fondi, un paesino nell'area intorno a Cassino. Tale zona dell' Italia meridionale comparirà spesso nelle opere narrative successive dei due scrittori e in particolare, per quanto riguarda la Morante, nel romanzo La Storia. Durante questo periodo iniziò a tradurre il diario di Katherine Mansfield (una scrittrice neozelandese vissuta tra la fine dell’800 e i primi 20 anni del ‘900), le cui influenze sono riscontrabili nelle opere successive. Dopo la fine della guerra, Morante e Moravia incontrarono il traduttore statunitense William Weaver, che li aiutò a raggiungere il pubblico americano.
Nel 1948 Elsa Morante pubblicò il suo primo romanzo Menzogna e sortilegio, grazie al quale vinse il Premio Viareggio. Il romanzo fu poi pubblicato negli Stati Uniti con il titolo House of Liars nel 1951. Successivamente pubblicò L'isola di Arturo 1957, riscuotendo grande successo di pubblico e di critica, che le fece conquistare il Premio Strega. Dal romanzo fu tratto anche un film omonimo, diretto da Damiano Damiani. Al 1958 risale invece una raccolta di poesie, dal titolo Alibi.
Durante gli anni sessanta la scrittrice rifletté a lungo sulla sua narrativa, distruggendo molto di ciò che aveva scritto nel frattempo, ad eccezione di poche cose, tra cui una poesia, L'Avventura. Nel 1961 si separò da Moravia e in quel periodo scrisse solo sporadicamente. Lavorò inoltre ad un romanzo che non vide mai la luce: Senza i conforti della religione. Nel 1963 pubblicò una seconda raccolta dei suoi racconti, con il titolo Lo scialle andaluso. L'opera successiva, Il mondo salvato dai ragazzini, un misto di poesia, canzoni e commedia, apparve nel 1968.
Nel 1974 usci il romanzo La Storia, una storia ambientata a Roma durante la seconda guerra mondiale, ottenendo fama internazionale, ma anche attacchi spietati da parte dei critici. Luigi Comencini ne trasse uno sceneggiato TV interpretato da Claudia Cardinale.
L'ultimo romanzo di Elsa Morante fu Aracoeli, pubblicato nel 1982. Ammalatasi in seguito ad una frattura al femore, tentò il suicidio nel 1983. Nel 1984 ricevette il Prix Médicis per Aracoeli. Morì nel 1985 a seguito di un infarto dopo una seconda operazione chirurgica.

Trama e analisi
“La Storia” è uno degli ultimi e più celebri romanzi scritti da Elsa Morante. Fu composto tra il 1971 e il 1973 e pubblicato nel 1974, suscitando numerosi consensi ma anche accese polemiche a causa del suo carattere originale e anticonformista. Infatti, sebbene sia costruito secondo una struttura tradizionale, si presenta come un romanzo neorealista quando il neorealismo è stato già abbandonato da diversi anni. Una peculiarità del racconto è l’estrema minuziosità con cui viene narrata la vera storia nell’arco di tempo che va dal 1900 al 1967. All’interno di questa narrazione trovano ampio spazio le vicende della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, nelle quali emergono le figure dei protagonisti del romanzo: Ida Ramundo e i suoi figli e il misterioso Davide Segre.
Ida Ramundo è una maestra elementare originaria del meridione ed ebrea da parte di madre. Rimasta vedova, trova la sua unica ragione di vita nel figlio Nino, un adolescente esuberante e spavaldo che durante la dittatura di Mussolini milita nelle squadriglie fasciste per pura spavalderia. Rincasando un pomeriggio del gennaio 1941 Ida subisce una violenza da parte di un giovane soldato tedesco ubriaco, da cui nascerà un bambino, Giuseppe detto Useppe. La vita di Ida subisce ulteriori traumi in seguito alla partenza di Nino per la guerra e alla distruzione della sua casa dopo il bombardamento di San Lorenzo nel 1943. Si susseguono vari trasferimenti, prima a Pietralata dove Ida e Useppe condividono uno stanzone con una numerosa famiglia romano-napoletana (I Mille), poi in subaffitto presso una famiglia e infine in un piccolo appartamento a Testaccio. La sua storia si intreccia con quella di Davide Segre, inizialmente conosciuto come Carlo Vivaldi, a Pietralata, dove il giovane conosce anche Nino, fuggito dai campi di battaglia e arruolato come partigiano. I due stringeranno una solida amicizia, che durerà fino alla morte di Nino in un incidente stradale durante il trasporto di merci di contrabbando. La vita di Davide sarà invece stroncata da un’overdose di morfina, sostanza di cui era diventato dipendente. Poco tempo dopo giunge un funesto epilogo anche per Useppe e Ida. Useppe viene stroncato a circa 5 anni da una grave forma di epilessia e Ida, impazzita dal dolore, finisce in un manicomio, dove morirà 9 anni dopo.
L’intento con cui la Morante compone il romanzo è reso esplicito già nel titolo e nella copertina. La storia viene infatti considerata “uno scandalo che dura da diecimila anni”, in quanto secondo l’autrice essa non è altro che una serie di prevaricazioni dei potenti ai danni dei poveri e degli indifesi. Questa tesi è espressa in modo chiaro da uno dei personaggi del romanzo, Davide Segre, che fa da portavoce alle idee della Morante, affermando che “la storia è tutta fascista” e che “l’unica vera rivoluzione” sarà quella anarchica, che cancellerà il potere, causa millenaria della disuguaglianza tra gli uomini.
L’autrice sceglie di raccontare le vicende della seconda guerra mondiale per evidenziare il paradosso storico per cui coloro che non volevano la guerra, che non l’hanno né preparata né decisa, sono costretti a subirne le conseguenze in modo pesantissimo. In questo romanzo la storia viene affrontata in modo diretto e i suoi crimini sono denunciati in modo diretto. Alla base del male vi è il Potere, che si contrappone agli umili e agli emarginati, considerati figure positive. Ida, la protagonista, è in questo senso una figura significativa. È una donna insignificante, invecchiata prima del tempo, rassegnata, sofferente e nella sua vita non ha scopi da raggiungere, al di là della propria sopravvivenza e della difesa dei suoi figli. È una creatura dominata dalla paura, vive costantemente in allarme nel timore di sventure improvvise e nel terrore che il suo segreto, ovvero l’essere per metà di origine ebrea, venga scoperto in un modo o nell’altro. (pag 165) Alcuni suoi atteggiamenti ricordano quelli degli animali, a cui spesso l’autrice paragona i suoi personaggi. Ciò è dovuto non ad una tendenza ad “animalizzare” gli uomini ma ad umanizzare gli animali, i quali costituiscono figura positive, in quanto sono i più vicini all’istintività naturale non contaminata dal Potere. È un esempio il cane Bella, trovato da Nino durante la guerra e affidato a Ida e Useppe. Questa viene spesso descritta come dotata di un’istintività atavica, che le fa ricordare le sue lontane origini e la sua vicinanza alla natura.
A causa di questa visione così negativa del potere in tutte le sue forme, i personaggi ai quali l’autrice si mostra più affezionata sono quelli da esso più lontani e quindi meno contaminati. È il caso di Ida Ramundo, la quale concepisce il Potere come un’entità astratta, remota e minacciosa da cui ci si deve aspettare ogni tipo di persecuzione e di colpo basso. Le uniche due istituzioni con cui entra in contatto, e che non percepisce come estranee, sono anche le due più elementari: la famiglia, basata su istinti naturali, e la scuola, prevalentemente formata da bambini. Essendo rimasta interiormente bambina, si trova a disagio nel mondo degli adulti e riesce a trovare la forza di reagire solo quando c’è di mezzo l’incolumità dei figli, soprattutto di Useppe, per il quale riesce addirittura a infrangere il suo codice morale e a compiere piccoli furti al fine di nutrirlo. (pag 331-333) Il tema della maternità assume un ruolo centrale per la Morante, che non ha avuto figli e che lo vede come un elemento misterioso e divino. Ida è particolarmente legata a questa tematica, in quanto quello materno è il suo sentimento più forte; ogni suo gesto è finalizzato al benessere dei figli, la sua unica ragione di vita. Quando questi vengono a mancare uno dopo l’altro, la sua personalità si sbriciola e Ida finisce per impazzire.
Come Pasolini, la Morante mostra una forte predilezione per i personaggi popolari, che anche se contaminati da vizi e bassezze sono destinati alla salvezza. Altri elementi di contatto con Pasolini sono la scelta di un linguaggio popolare colorito, l’ambientazione ( quella delle borgate e dei quartieri popolari di Roma), l’ideologia di fondo (anarchico-populista-cristiana) e la pietà per le tragedie dei personaggi più umili. Anche Pietro Scimò, una delle figure con cui entra in contatto Useppe, presenta dei legami con i personaggi pasoliniani, in particolare con i “ragazzi di vita”.
Al carattere neorealista che contraddistingue il romanzo si contrappone una vena fantasiosa e una tendenza all’esotico e al favoloso. Testimoni di questa capacità di trasfigurazione sono soprattutto Useppe e Nino, che emergono anche grazie alla loro pienezza di vita e di umanità. Nino, nonostante le caratteristiche negative del suo carattere (la tendenza alla tirannia e l’avventatezza, la volubilità e l’oziosità), grazie all’abilità della Morante diventa la rappresentazione stessa della voglia di vivere, testimoniata dalla sua simpatia travolgente e dall’irruenza con cui vive ogni esperienza. L’idea della guerra lo attira e non vede l’ora di parteciparvi, in quanto è convinto che questa sia un semplice gioco e che nulla di male possa accadergli. Invece, anche se in modo in diretto, proprio la guerra sarà la causa della sua morte. Il personaggio più apprezzato dalla critica è però Useppe, che rivela il suo desiderio di vivere già appena nato, venendo al mondo con gli occhi ben aperti e mostra subito interesse per tutto ciò che lo circonda. Ogni luogo è per lui paragonabile ad un paradiso terrestre, persino lo stanzone degli sfollati di Pietralata, dove insieme alla madre conosce “I Mille”. Useppe è caratterizzato da un misto di simpatia, intuizione e bontà. Se da un lato può essere considerato un po’ sciocco e ritardato per la sua difficoltà ad imparare a parlare e a fare ciò che gli insegnano all’asilo, dall’altro è dotato di una facoltà intuitiva quasi profetica che crea un contatto quasi mistico con la natura. Questa peculiarità del personaggio ha fatto parlare del carattere mistico e ispirato del romanzo, che influenza profondamente il taglio neorealistico dell’opera.
La morte di Useppe a causa dell’epilessia (“il Grande Male”, come viene più volte definita nel libro) fa vacillare la tesi della Morante, in quanto la malattia non è provocata dalla storia o dalla guerra, né può essere attribuita alla paura delle persecuzioni razziali di cui è stata vittima la madre. La responsabile è in questo caso la natura, descritta come regno del bene. Ciò mostra come l’ideologia della Morante, basata sulla contrapposizione tra Storia e Natura, non sia valida per spiegare la totalità del mondo e di questo fatto sembra esserne cosciente l’autrice stessa. Il suo sospetto viene rappresentato in modo emblematico da Davide Segre, il cui sistema di idee è continuamente smentito dai fatti: vuole essere un non-violento per opporsi al “fascismo” della storia ma durante la sua esperienza partigiana giunge persino alla crudeltà; odia la droga, considerata un vizio borghese, ma ne finisce vittima. Quella di Davide Segre è una figura sofferta, oltre che il testimone di un fallimento ideologico; è tormentato dal dolore e dal male che costituiscono l’essenza dell’esistenza, non solo dalla Storia e dal Potere.
L’anarchia della Morante risulta valida nella sua tendenza a schierarsi dalla parte del popolo, degli umili e degli oppressi, ma quando l’autrice tenta di farla diventare uno strumento per spiegare ogni cosa vengono a galla tutti i suoi limiti.

Critica
Come già detto, la pubblicazione de “La Storia” suscitò un forte interesse nella critica, che si schierò sia a favore che contro l’opera.
Positivo fu l’intervento di NATALIA GINZBURG, da parte della quale vi fu un consenso istintivo prima ancora che critico. Secondo la sua opinione, “La Storia” è un romanzo scritto per essere letto da tutti. Da un punto di vista prettamente critico sostenne l’impossibilità di inserire “La Storia” nel filone neorealistico a causa della presenza di elementi mistici e misteriosi, rappresentati soprattutto dal personaggio di Useppe.
Anche CARLO BO e PIERO DALLAMANO si espressero positivamente riguardo all’opera, il primo apprezzando la capacità dell’autrice di «restituire vitalità all’albero secco del romanzo tradizionale», il secondo mettendo in evidenza la presenza di lietezza e misteriosa luminosità in un libro «pur così pieno di aria di tragedia».
PIETRO CIMATTI, in un articolo comparso sul “Messaggero” nel luglio del ’74, sottolineò il carattere anticonformista de “La Storia”, che come tutte le altre opere della Morante è stata scritta di getto e presenta un carattere profetico. CESARE GARBOLI apprezzò invece l’abilità della Morante nello svolgere la narrazione conservando la tendenza, già presente nelle opere precedenti, alla trasfigurazione leggendaria.
Numerose furono anche le critiche negative, fondate su osservazioni di diverso genere. GIULIANO GRAMIGNA, ad esempio, contestò alla Morante l’uso di uno schema tradizionale, non più interessante perché troppo sperimentato. FERDINANDO CAMON sottolineò la debolezza ideologica del libro, evidente là dove vorrebbe fornire un’interpretazione generale della storia, e il disinteresse della Morante a spiegare le ragioni storiche che avevano prodotto nazismo e fascismo, «enucleate dal processo storico» e identificate con il “Male assoluto”. Inoltre sostenne l’illusorietà del contrasto tra la Storia e le vicende quotidiane degli emarginati, «perché nessuno vive del tutto fuori della storia, neppure il Robinson più isolato».
Di natura più complessa sono le affermazioni di PIER PAOLO PASOLINI che, nonostante l’amicizia con la Morante, denunciò la debolezza dell’ideologia morantiana, composta da elementi di altre diverse ideologie con risultati impossibili da accettare e la cui debolezza si rivela quando questa concezione cerca di tradursi in grande romanzo popolare. Furono inoltre evidenziate le insufficienze linguistiche e filologiche nel momento in cui si fa ricorso ad espressioni dialettali. Le critiche più pesanti furono tuttavia quelle relative alla sostanza narrativa e ai personaggi, giudicati in gran parte «manieristici», ossia non colti dal vero, e spesso «banalmente neorealistici». Un giudizio simile arrivò anche da MARIO MICCINESI, che evidenziò la contraddizione ideologica del romanzo, fondata sulla pretesa di far credere che i poveri e i diseredati siano al di fuori dell’ideologia di cui sono vittime, oltre che il manierismo che caratterizza i personaggi e la «sconcertante povertà del linguaggio rilevabile in tutto il romanzo».
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