Boccaccio

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Testo

Boccaccio Giovanni

Il suo nome è Giovanni Boccaccio e bisogna contestualizzarlo nel periodo in cui hanno piena fioritura i mercanti. Probabilmente è figlio illegittimo di Boccaccino, socio della Banca dei Bardi. Proprio per questi scambi tra Bardi e regnanti, Boccaccia si trasferisce col padre a Napoli perché il padre vorrebbe che il figlio si dedicasse alla mercanzia, ma Boccaccio entra a contatto con la vita di corte.
Siamo in età comunale (comune: forma di auto- governo della città in Italia Settentrionale, politicamente sotto il Sacro Romano Impero Germanico, ma realmente autonomi, in contrapposizione agli antichi poteri feudali e come espressione di nuovi classi sociali: BORGHESI [Burgens,colui che abita il borgo], svolgono un mestiere e maneggiano denaro).
Il sistema feudale era un mondo agricolo,militare e verticale (fortemente gerarchizzato). Il comune è un mondo cittadino,mercantile e orizzontale (tutti i cittadini partecipano al governo). Nel comune contano i mestieri ed emergono i borghesi. L’età comunale ha un’economia viva e attiva → intensa attività di scambio; il mondo feudale produce solo per sé stesso.
Siccome i Bardi vanno in crisi, Boccaccio si trasferì da Napoli a Firenze; ha nostalgia della corte napoletana di Roberto d’Angiò e passa anni bui da cui scaturisce il Decameron, poiché nel 1348 scoppia la peste nera. Nella corte angioina entra a contatto con tantissima gente a livello di scambio,ma passa le sue giornate anche a contatto con la letteratura (francese → siciliana → siculo- toscana → stilnovo). All’interno di questa corte ci sono quindi dame e cavalieri, il tenore divita è alto e ci sono quindi feste e balli. La figura della donna è quella da osannare. Boccaccio scopre l’amore per i classici, anche Ovidio, studia latino e greco. Di questo periodo (1340) le opere sono “Le Rime”, “Il Filocolo” e “Il Teseida” (storia di Teseo contro le Amazzoni). Tutti e tre i nomi sono greci. A Napoli Boccaccio crea intorno a sé un mito letterario. Inventa di essere nato a Parigi e inventa completamente la storia d’amore con Fiammetta (colei che arde d’amore), presumibilmente la figlia del re Roberto d’Angiò, probabilmente sposata. Nella prima parte della sua vita Boccaccio non lega la sua passione amorosa alla religione.
Nel 1340 i Bardi vanno in crisi e Boccaccio torna in Toscana col padre. Il ritorno a Firenze è traumatico per lui, abituato alla vita di corte. In più nel 1348 si scatena la peste. Boccaccio scrive un’opera per ricordare il periodo napoletano, “Elogio a Madonna Fiammetta”. Chi parla è una donna, Fiammetta, che è stata abbandonata dal suo amante Panfilo, che è Boccaccio stesso e Fiammetta rappresenta la donna che lui avrebbe abbandonato. Il punto di vista dell’opera è di Fiammetta, che in una lunga lettera rivolta a tutte le donne innamorate parla di Panfilo trasferitosi a Firenze. Parla del suo struggerti. La Fiammetta è sposata con un uomo che la ama e per consolarla, accortosi che è triste, la porta al mare e lei piange di più perché sono i posti suoi e di Panfilo. La forma di lettera Boccaccio la mutua da Ovidio (che ha scritto le Eroides, dove ci sono donne famose che parlano dei loro amori). In quest’opera, per la prima votla nella letteratura italiana, la parola viene data ad una donna e quindi non è più oggetto del desiderio, qui parla, è il soggetto attivo, confessa il suo amore sentimentale, ma soprattutto carnale e passionale [confronto V canto Inferno]: non c’è nulla di male a parlare del proprio amore anche se extraconiugale. Tutte le sue opere danno materiale per il Decameron.

Decameron
E’ la raccolta di 100 novelle. Il titolo viene al greco DECA → dieci, MERA → giorni. I dieci giorni sono la cornice in cui si svolge la materia dell’opera. Nel 1348 scoppia la peste nera e nella chiesa di Santa Maria Novella si incontrano dieci amici (sette donne e tre uomini); una propone agli altri (la brigata) di fuggire da Firenze, di ritrarsi in campagna per sfuggire al contagio della peste e tutti accettano (gli uomini accettano anche perché sono innamorati di tre donne della brigata). L’età dei componenti varia tra i 18 e i 28 anni. Si ritirano in questa casa di campagna, probabilmente a Fiesole, posta su un colle e da cui si vede Firenze, e qui trascorrono 14 giorni. Quattordici perché ritiratosi in questa villa, i ragazzi decidono di raccontare ciascuno una novella dove si eleggeva il re o la regina che decideva l’argomento, tranne uno. Tutti i giorni si racconta tranne il venerdì (santo) e il sabato, dedicato all’igiene: tolti i venerdì e i sabati restano 10 giorni. Ogni novella ha una rubrica, il riassunto della giornata e ogni giornata ha una sua rubrica (1 rubrica per ogni giornata e una rubrica per ogni novella). I dieci personaggi hanno nomi parlanti.
La prima donna è Pampinea (la rigogliosa, l’esaberante), la più grande di tutta la brigata; questo personaggio è già presente nel Ninfale.
Filomena (colei che ama il canto, la poesia) è colei a cui viene dedicato il Filostrato.
Neifile (la nuova innamorata) raffigura la poesia stilnovista.
Filostrato (l’innamorato perso, colui che viene abbattuto dall’amore), è protagonista dell’ononima opera.
Fiammetta (colei che arde d’amore) è lo pseudonimo della donna amata da Boccaccio ed è protagonista dell’Elogia.
Elissa (è il secondo nome di Didone→ sedotta e abbandonata da Enea.
Dioneo [radice Dione, madre di Venere], questo personaggio ha il carattere della lussuria ed è colui che nelle giornate può parlare di tutt’altro.
Lauretta, ripresa da Laura (coronata con l’auro) di Petrarca.
Emilia, regina delle Amazzoni, protagonista del Teseide.
Panfilo (“TUTTO AMORE” → il perfetto innamorato), è l’uomo innamorato di Fiammetta in cui Boccaccio si rispecchia.

Reggimenti
I.Pampinea. Argomento: libero.
II. Filomena. Argomento: storie a lieto fine.
III. Neifile. Argomento: la conquista di ciò che si desidera o si ha perduto.
IV. Filostrato. Argomento: amori tragici.
V. Fiammetta. Argomento: il lieto fine degli amanti dopo mille tribolazioni.
VI. Elissa. Argomento: tutti coloro che sono scampati ad un pericolo grazie all’uso della parola.
VII. Dioneo. Argomento: i tradimenti delle donne nei confronti dei mariti.
VIII. Lauretta. Argomento: scherzi che gli uomini si fanno tra loro, che siano donne o uomini.
IX. Emilia. Argomento: ciò che più piace al narratore.
X. Panfilo. Argomento: opere di bene fatte per amore e non.

Proemio
Boccaccio parla in prima persona per esprimere gli intenti della sua opera e per indicare a chi è dedicata quest’opera: alle donne, quelle in grado di amare → secondo criterio stilnovistico. Boccaccio spiega perché la scrive, a chi e la Fortuna avversa alle donne.
“E’ umano aver compassione degli afflitti: ciò è un dovere per chi ne ha avuto bisogno e ciò è opportuno per tutti e fra essi io sono uno di questi. Nella mia giovinezza sono stato innamorato di una donna nobile e non idonea alla mia condizione. Questo amore mi ha fatto soffrire tanto, non per cattiveria della donna, ma per mia eccessiva passione. In questo dolore mi sono stati di conforto gli amici e senza di loro sarei probabilmente morto. Ma poiché Dio, che è infinito, ha creato tutte le cose terrene e finite, anche il mio amore è terminato. Ma finita la pena non mi sono dimenticato di chi mi ha dato conforto, e quindi per non sembrare ingrato ho deciso di voler dare conforto io stesso. Mi rivolgerò a chi ne ha più bisogno. Esse, le donne, nel cuore delicato, poiché si vergognano, tengono nascosta la passione: ristrette dai voleri, dai piaceri e dai comandamenti dei padri, fratelli,madri e mariti, se ne stanno sempre chiuse in quelle camere oziose e non possono trovare occupazione che le distolga dai pensieri dolorosi. In più queste sono molto meno forti degli uomini a sopportare dolore: essi se ne sono afflitti hanno molte distrazioni → vanno a caccia, pesca, cavallo, in piazza, ecc. Affinché da parte mia si porga rimedio al torto fatto dalla Fortuna alle donne, in soccorso e rifugio di quelle che amano intendo raccontare 100 novelle che saranno o favole, o parabole, o storie, raccontate da un’onesta brigata di sette donne e tre uomini in dieci giorni, durante il tempo passato della peste, e alcune canzonette cantate dalle donne”.
Nella parte finale esplicita gli argomenti.
“In queste novelle si parlerà di amore e di altri avvenimenti appartenenti sia al passato sia al presente, così le donne che leggeranno queste novelle troveranno diletto e ne trarranno utili consigli così come conosceranno ciò che è bene evitare e ciò che invece è meglio seguire nella vita.”
Alla fine Boccaccio ringrazia Amore per averlo liberato dai suoi vincoli. Dopo il proemio c’è l’introduzione, che presenta la cornice delle novelle. La cornice è quella narrazione che racchiude le altre narrazioni. Le altre narrazioni del Decameron sono le novelle mentre la cornice è ciò che fanno i ragazzi. Si vede bene nell’introduzione perché i ragazzi scelgono la fuga.

La peste e la “cornice”
La narrazione, nell’Introduzione alla I giornata, ha inizio con una lunga descrizione della peste che devasta Firenze. Boccaccia esprime angoscia per il disgregarsi e il degenerare di quelle norme sociali, di qui civili e raffinati costumi per i quali egli ha un vero e proprio culto. L’iniziativa dei dieci giovani ha proprio la funzione di ricomporre la socialità minata e sconvolta dal flagello. La cornice è un elemento essenziale alla scrittura del libro e al suo significato, la disgregazione sociale superata nella socialità serena e decorosa della brigata è uno schema in cui si riflette il motivo centrale del Decameron, l’osservazione degli ostacoli che la natura e la fortuna oppongono all’esistenza umana e la celebrazione della forza e dell’intelligenza dell’uomo, che sa affrontare e superare quegli ostacoli. La vita serena e armoniosa ritratta nella cornice esprime la fiducia boccacciana nella possibilità di imporre un ordine umano alla realtà, travagliata da forze avverse che portano alla disgregazione e al caos. La cornice documenta il clima di civiltà e di gusto da cui nascono e a cui si rivolgono le novelle. La cornice è distaccata, imparziale e oggettiva rispetto alle novelle e dà un’idea di uniformità dell’opera → tutti nelle stesse condizioni. Boccaccio nelle novelle si immerge in quel mondo brulicante e caotico, ma al tempo stesso, nella cornice, si solleva al di sopra di esso, guardandolo da lontano. La cornice ha la funzione essenziale di obiettivare questo bisogno di dominare intellettualmente il caso del molteplice.

La realtà rappresentata: il mondo mercantile cittadino
Le città sono i luoghi in cui ci si incontra, si fa politica, si svolge l’attività economica, si fa cultura. L’attività fondamentale diviene quella mercantile, basata sulla produzione di merci. L’economia urbana è un’economia aperta,fondata sullo scambio e sulla rapida e intensa circolazione di capitali. L’economia urbana rappresenta quindi un’alternativa radicale a quella feudale e introduce una vera e propria rivoluzione nella vita economia e sociale. La figura sociale tipica della nuova età è quella del mercante, che ora diviene la figura veramente centrale e dominante nella vita cittadina. Originariamente il mercante è un semplice intermediario nello scambio di merci tra un venditore e un compratore distanti fra loro. Con i proventi di questa intermediazione il mercante accumula un capitale, che reinveste nell’acquisto di nuove merci. E’ questo il carattere distintivo dell’economia di scambio: il denaro non giace infruttuoso, né è destinato allo sperpero,ma p continuamente reinvestito, e negli investimenti successivi si accresce indefinitamente. Il capitale acquisito può anche essere investito in proprietà immobiliari, case, palazzi cittadini, che, affittati, offrono una rendita. Quella della città medievale è una forma di economia mobiliare che non ha ancora perso i legami con la terra. Anche quando il mercante diviene proprietario terriero e redditiere, la mentalità cambia radicalmente rispetto al tradizionale sistema feudale:il mercante divenuto proprietario si preoccupa di far fruttare le terre , controllando il lavoro dei contadini. Per questi ultimi la situazione muta in peggio, e si accresce lo sfruttamento. Di qui nascono odi e diffidenze tra borghesia cittadina e abitanti del contado,che in letteratura troveranno espressione nella “satira del villano”. Vi è anche un altro modo in cui il mercante può investire i suoi profitti: prestando denaro ad interesse strettamente legata all’attività mercantile è quindi quella bancaria. Nelle città del Due e Trecento la figura del mercante e quella del banchiere di regola coincidono.
Sono novelle reali. Il mondo raffigurato è a volte quello feudale (→ corte napoletana), ma spesso sono in un contesto cittadino. Le sue tematiche sono molto più moderne rispetto ai predecessori. L’avidità viene marchiata da Dante come una gravissima colpa; con Boccaccio viene vista in modo positivo → caratteristica del mercante. La fortuna è considerata come VOX MEDIA. L’attività del mercante fa riferimento alla capacità dell’uomo e Boccaccio gli dà molta importanza alla capacità umana. Boccaccio non guarda l’attività umana positiva,ma anche quella negativa →troppo attaccamento al denaro e al buon nome = situazioni drammatiche.
Uno dei temi centrali del Decameron è l’”industria”,l’umana iniziativa che sa superare le avversità opposte dalla fortuna e dagli uomini, che sa dominare, con il calcolo accorto e con l’azione energetica,la realtà oggettiva e piegarla ai propri fini: questo valore dell’industria è chiaramente il prodotto della civiltà mercantile, che esalta l’iniziativa dell’individuo e la sua capacità di creare autonomamente tutto un mondo. Egli ne sa vedere anche i limiti.

La Fortuna
La vita dei mercanti è sottoposta continuamente all’imprevisto, che può favorire un’iniziativa o portarla al fallimento. Propria del nuovo mondo dei traffici e degli scambi è l’idea che la realtà è dominata da una forza capricciosa e imprevedibile, la Fortuna. L’idea della Fortuna era già presente nella coscienza medioevale, ma essa era ritenuta una forza subordinata al superiore disegno della provvidenza divina. Nella visione della società mercantile la Fortuna diviene solo un complesso accidentale di forze, non più regolato da alcuna volontà superiore. È una visione omai laica,che non esclude certo l’esistenza di Dio nel mondo, ma che ritaglia una sfera autonoma,avente in sé i suoi fini, la sfera terrena dell’agire umano. La Fortuna è la risultante oggettiva di una serie multiforme e complessa di forze e di agenti, naturali e sociali: può manifestarsi attraverso i fenomeni naturali oppure attraverso il combinarsi imprevisto di azioni umane. La fortuna può essere avversa o favorevole, può contrastare o assecondare l’agire dell’uomo. Essa è la grande antagonista dell’industria umana, che per misurarsi con essa deve dar prova di saper calcolare, prevedere in anticipo, porre difese, ma deve anche sapersi dimostrare rapida a escogitare ripari dinnanzi a colpi subitanei, decisa ed energetica nel mettere in atto decisioni.

L’amore
L’altra grande forza che anima l’universo del Decameron è l’amore: è essa che costituisce il tema centrale di molte novelle e muove l’iniziativa di molti personaggi. Anche l’Amore è visto in una prospettiva tutta laica e terrena. È una forza che scaturisce dalla natura. È una forza in sé sana e positiva, che è assurdo e vano frenare o reprimere. Anzi, soffocarla è una colpa, che può generare sofferenza e morte. Boccaccio vede con favore gli eroi che adoperano ogni mezzo per raggiungere il loro fine amoroso, e soprattutto guarda con intenerita e sorridente approvazione lo sbocciare del desiderio naturale nei giovani. La concezione naturalistica dell’amore che anticipa quella che sarà propria del Rinascimento. L’amore nel Decameron ripresenta nelle più varie forme. Può essere fonte di ingentilimento portando individui rozzi ad una superiore sensibilità e altezza d’animo, oppure può costituire uno stimolo all’industria, aguzzare le capacità dell’individuo per il raggiungimento dei propri fini. L’amore può dare origine alla commedia dei sensi,animando una serie di novelle licenziose, fondate sulla beffa e l’adulterio; però può dare origine anche alle situazioni più tragiche, sublimi e patetiche.
L’argomento erotico di numerose novelle ha contribuito nei secoli a creare intorno a Boccaccio una fama di oscenità. Al contrario essendo considerata come manifestazione di una forza di natura fondamentalmente spontanea e innocente, è sempre contemplata da Boccaccio con occhio sereno e privo di malizia. Non vi è mai in lui grossolanità oscena: pur manifestando un contegno di aperta disponibilità nei confronti della vita del sesso, anche negli aspetti più materiali, egli sa mantenere un superiore, distaccato equilibrio di fronte alle situazioni più audaci.

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