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Categoria: | Italiano |
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Testo
GIOVANNI BOCCACCIO
Nasce a Cerbello, vicino Firenze, nel 1313 da una relazione adulterina di Boccaccino che era un importante funzionario della banca dei Bardi. Boccaccino riconosce il figlio e lo porta con sé a Napoli dove era stato mandato dalla banca dei Bardi. Vivendo alla corte del Re di Napoli s’innamora di varie donne ma soprattutto di Fiammetta (è uno pseudonimo), una parente del Re. Inizia lo studio letterario. Quando la banca dei Bardi fallisce il padre torna a Firenze e lui lo segue. Non sa fare il lavoro del padre perché non ha studiato. Le lettere non possono assicurargli abbastanza soldi così inizia a lavorare nel Comune e fare da ambasciatore. Fa il primo commento alla Commedia di Dante (chiamandola Divina Commedia) e fa una serie di lezioni su questo. L’amicizia con Petrarca lo porta agli studi umanistici e sente l’influsso sei classici. L’ottava rima viene attribuita a Boccaccio perché è il primo ad usarla, è una strofa di otto versi in cui le prime 6 hanno rima alternata e gli ultimi due a rima baciata. L’ottava rima avrà un gran successo nei poemi epici sia in Italia sia all’estero. Il Decameron diventa un modello in tutta Europa come lo dimostrano i racconti di Canterbury di Chaucer. Boccaccio viene anche preso come modello della prosa, soprattutto nel 1500, perché la sua prosa si rifà al cursus (ritmo) del periodo latino. Il cursus latino è una tecnica oratoria molto complessa e Boccaccio l’applica al volgare. Strutture:
• Ipotattica complessa → con molte subordinate, è un ragionamento, la proposizione principale viene messo alla fine, con suspense
• Periodo del ragionamento → struttura incalzante, è un periodo spezzato da interrogative ed esclamative
• Periodo narrativo senza costruzione complessa → è un periodo intermedio con poche subordinate, la proposizione principale è alla fine
DECAMERON
Decameron vuol dire dieci giorno (è un errore) e diventa molto importante prima in Italia e poi in tutta Europa. All’inizio del secolo la critica italiana (come Croce) tendeva a sminuire la cornice del Decameron (la peste) perché veniva visto come un residuo medioevale nella novità umanistica (per il contenuto e nello stile). La critica successiva (soprattutto il filologo Cortini) ammette la connessione tra la cornice e la storia perché Boccaccio cercadi adattarsi al narratore, quindi solo ad una lettura superficiale le novelle sono tutte uguali. Le novelle sono nuove per la narrazione matura (ambiente e ritratto psicologico del personaggio). Il Decameron è una commedia (inizia male e finisce male), secondo la concezione medioevale. Nel Decameron dieci ragazzi vanno a Fiesole, lasciando Firenze, per ricostruire i rapporti sociali che non ci sono più nella società. La peste viene vista come portatrice di barbarie sociali. La libertà per Boccaccio non è abbandonarsi all’inciviltà ma è darsi un ordine preciso perché è la prima regola della società civile. Per dieci giorni i dieci ragazzi si raccontano delle novelle. Raccontare significa rievocare i tempi felici prima della peste. L’uomo deve fare affidamento sulle proprie forze e non su Dio (trascendenza). Le risorse dell’uomo sono intelletto e volontà, le ha date Dio e gli uomini virtuosi le sviluppano. Cambia il concetto di virtù, che diventa il potenziamento delle capacità umane (soprattutto intelletto e volontà) in vista di uno scopo. Lo scopo di Boccaccio è la felicità terrena, ha un orizzonte materialistico. Le virtù dell’intelletto sono astuzia, furbizia, conoscenza pratica, l’inganno e il raggiro mentre le virtù della volontà: intraprendenza, coraggio, spregiudicatezza, volere il raggiungimento di un obiettivo senza badare agli ostacoli.Tra la virtù e l’obiettivo s’intrappone la fortuna (il caso, l’imprevisto, l’incalcolabile). La fortuna è una dea bendata che da senza merito e toglie senza demerito (è intesa sia come buona sia come cattiva). La fortuna fa il suo gioco negli avvenimenti. L’uomo con le sue virtù può raggiungere i suoi obiettivi se aiutato e non ostacolato dalla fortuna. Per Boccaccio è intelligente chi ha i piedi per terra mentre lo sciocco (come Calandrino) è chi crede nella magia ed è giusto che sia punito dalla vita e dai furbi.
CISTI FORNAIO
La novella di Cisti Fornaio è inserita nella giornata dei leggiadri motti e delle pronte risposte. Cisti è un ricco fornaio che ogni giorno vedeva passare davanti alla sua bottega Geri Spina, un ambasciatore di Papa Bonifazio con un’ambasceria che ospita. Vorrebbe invitarli nella sua bottega ad assaggiare un po’ del suo vino ma non può perché sa che Geri è di una classe sociale più elevata, così fa di tutto perché Geri si inviti da solo, così ogni giorno verso l’ora in cui passano sta sulla porta del negozio e assapora il suo miglior vino in bicchieri che sembrano d’argento e con le sue vesti più bianche, così Geri in una giornata più calda del solito gli chiede del vino e dopo averlo assaporato ammette che è così buono che farebbe resuscitare i morti. Per la partenza dell’ambasceria Geri decide di fare un banchetto e invita anche Cisti, ma lui non accetta così Geri manda un servo da Cisti con un fiasco ma Cisti per due volte dice che quel fiasco non è per lui ma per Arno, il servo torna dal padrone e quello capisce che era un fiasco troppo grosso per un vino così buono, sgrida il servo e lo rimanda con un fiasco molto più piccolo, Cisti lo riempie e in seguito va da Geri con il restante vino per fargli capire che non era per avarizia che non gliel’aveva consegnato. Da allora Geri lo considerò sempre un suo amico.
Cisti svolge un lavoro umile ma è nobile d’animo. Mantiene sempre la coscienza del proprio status (tanto da rifiutare il banchetto dato da Geri). È più in alto degli altri plebei e artigiani sia per ricchezza materiale sia per intelligenza. Cisti riesce a fare un’alleanza con Geri contro i servi, a cui invece doveva essere legato. Il suo scopo è di attirare i rappresentanti del ceto più alto nel proprio spazio (tranne nella conclusione in cui Cisti entra brevemente e simbolicamente nello spazio di Geri), senza mai però perdere la propria dignità.
CHICHIBIO E LE GRU
Questa novella è inserita nella giornata dei leggiadri motti e delle pronte risposte. Chichibio è il cuoco veneziano di Currado Gianfigliazzi. Quando sta cuocendo una gru che il suo padrone ha cacciato arriva una ragazza, Brunetta che gli chiede una coscia ma lui gliela nega ma lei lo convince e Chichibio, per non inimicarsi la serva gliela offre senza preoccuparsi delle conseguenze. Il padrone si arrabbia ma lui subito gli risponde che è normale che le gru abbiano una gamba sola e per non farsi sgridare ulteriormente gli dice che gliene avrebbe fatta vedere una viva, Currado, per buona creanza con i suoi ospiti accetta. Il giorno dopo vanno avedere le gru e Chichibio vedendole nella loro solita posa dice al padrone che aveva ragione lui, ma Currado gridando le fa volar via facendo vedere anche l’altra gamba. Chichibio però gli risponde che avrebbe dovuto gridare anche alla gru dell’altra sera se voleva mangiare anche l’altra coscia. Il nobile ammette che è una bella risposta così non lo punisce e si riappacifica con lui.
Chichibio, che durante tutta la novella si è comportato da irresponsabile è reso intelligente dalla paura (lui stesso se ne meraviglia), sa cogliere l’occasione propizia per dare una buona risposta che Currado sa valorizzare. Chichibio viene così accettato dalla cultura raffinata di Firenze a cui fino ad ora era rimasto estraneo. È presente il tema della beffa e della passione (Chichibio non sa resistere alla tentazione dell’amata). Il padrone è un pigmalione perché perdona le furberie tipiche dei borghesi. Si vede la nascita e la consacrazione di un borghese.
CALANDRINO E L’ELITROPIA
Questa novella parla della beffa. Due amici ridono sempre della stupidità di Calandrino così decidono di divertirsi alle sue spalle. Chiamano Maso e gli chiedono di andare in Chiesa da Calandrino e inizia a parlare di alcune pietre che avevano proprietà particolari, come l’elitropia (una pietra magica, simile allo smeraldo, di cui si favoleggia la virtù di sanare dai serpenti e di rendere invisibili chi la portasse) nel torrente Mugnone lui dice di aver altro da fare ma poco dopo va dai suoi amici quasi correndo per convincerli ad accompagnarlo. Loro però non hanno intenzione di perdere il loro tempo così si accordano per domenica all’alba in modo che nessuno li veda. Calandrino raccoglieva tutte le pietre nere mentre gli altri ne raccoglievano solo una ogni tanto. Poco prima dell’ora di pranzo fanno finta di non vederlo e iniziano a dire che li aveva beffati e tirano sassi colpendolo. Calandrino soffre in silenzio perché crede di aver trovato l’elitropia, ma il suo eroismo è inutile e quindi ancor più comico. Buttarono le pietre raccolte e tornarono a Firenze. Quando arrivano ai gabellieri chiesero di stare alla beffa e questi fecero finta di non vederlo. Mentre è sulla strada nessuno gli rivolge la parola e lui crede davvero di essere invisibile ma quando entra in casa, la moglie lo riconosce così lui crede che la moglie ha pregiudicato la virtù dell’elitropia così va in una stanza, lascia tutte le pietre e inizia a picchiare la moglie fino a che non viene fermato dai due amici, così Calandrino racconta cos’è successo e loro dicono che la colpa non è della moglie ma sua perché ha cercato d’ingannarli, così la provvidenza gli ha tolto l’elitropia.
Calandrino è un borghese stupido che crede nelle cose perdendo di vista la realtà, anche se non è religioso crede nella superstizione, quindi ha ancora una mentalità contadina legata anche alla credenza di luoghi immaginari come il Bengodi (il paese della cuccagna) e all’idea della donna come una creatura diabolica. È un credulone ma non perché è un innocente, anzi è in concorrenza con i borghesi ma non vuole ottenere i meriti guadagnando o rubando, ma solo con metodi senza rischi. La beffa è per Boccaccio una punizione per i più stupidi.
ANDREUCCIO DA PERUGIA
Andreuccio, insieme ad altri mercanti arriva da Perugia a Napoli per comprare dei cavalli. Inesperto però gira nel mercato mostrando la borsa contenente fiorini. Una vecchia si avvicina e si abbracciano, lui le da il nome del posto dove alloggia e le chiede di farle visita. La padrona della vecchia serva però le chiede di chi si tratta e dopo un grande resoconto torna a casa e chiede a una sua giovane inserviente di raggiungere Andreuccio in albergo per invitarlo a casa sua, mentre la vecchia serva viene riempita di lavoro per non farla tornare da Andreuccio. Lui segue la giovane, credendo che la donna fosse stata incantata dalla sua bellezza, fino alla casa nel quartiere del Malpertugio. Arrivato la donna gli racconta di essere sua sorella, mangiano insieme e accetta di dormire a casa sua perché a Napoli è pericoloso girare di notte, ma per una trappola cade nel chiassetto sporcandosi tutto. Nessuno nella casa lo fa entrare e un uomo gli intima di andarsene se non vuole essere preso a bastonate. Intanto la donna s’impossessa della borsa contenente le monete d’oro. Così puzzolente si dirige verso il mare ma incontra due uomini che lo portano a lavarsi in un pozzo per poi fare un colpo che lo avrebbe ripagato dai soldi rubati. Ma calato dentro il pozzo arrivano delle guardie e i ladri scappano. Ma anche le guardie scapparono quando vedono apparire, al posto del secchio pieno d’acqua, un uomo. Andreuccio si afferra al parapetto e riesce ad uscire, incontra i due ladri che stavano andando a tirarlo fuori dal pozzo. I tre s’incamminano verso il duomo per spogliare la salma di un vescovo, che conteneva anche un anello con un rubino che valeva molto. I due ladri fanno entrare Andreuccio e si fanno passare fuori tutte le cose di valore ma Andreuccio decide di non passare l’anello, così, convinti che non ci sia i due ladri lo chiudono dentro insieme al morto. Convinto di morire Andreuccio si abbandona alla disperazione ma sente arrivare nuovi ladri, capeggiati da un prete, così da uno strattone a quello che sta per entrare così i ladri scappano impauriti e lui può uscire con in tasca un anello del valore dei soldi con cui era arrivato a Napoli. Raccontate le avventure di quella notte ai compagni, l’oste consiglia di andarsene da Napoli e così fanno.
La novella è ambientata a Napoli ed è ambientata in un preciso sfondo storico e cittadino che riflette le esperienze giovanili dell’autore. Andreuccio ha un doppio guadagno: sia materiale (per il gran valore del rubino) sia psicologica. A Napoli si dimostra subito stupido perché è credulone. La Fortuna (caso, sorte) lo aiuta quando è audace ma lo ostacola quando si comporta da stupido. Il principio di realtà chi si ottiene quello che si era prefissato mentre chi ci va contro viene punito.
LISABETTA DA MESSINA
Questa novella ha come tema principale l’amore senza esito felice. Vivevano a Messina tre fratelli mercanti assai ricchi poiché avevano ereditato tutte le fortune del padre.Hanno anche una sorella, Lisabetta, che nonostante la sua bellezza e il suo fascino non è ancora marita.Per i tre fratelli lavorava un ragazzo, Lorenzo, bello e aggraziato. Lorenzo e Lisabetta si innamorano,ma una notte mentre la ragazza entra furtivamente nella camera del ragazzo uno dei fratelli di lei li scopre. La mattina racconta la scoperta agli altri due fratelli e insieme decidono, per mantenere alto l’onore della famiglia, di far finta di niente e di agire quando se ne presenterà l’occasione.Questa si verifica quando i ragazzi dovendo uscire dalla città portano con loro Lorenzo e arrivati in un luogo isolato lo uccidono e lo seppelliscono. Lisabetta, preoccupata per l’assenza dell’ amante, chiede ai due fratelli dove egli sia e questi gli rispondono che era in viaggio per una loro commissione:La ragazza piange in continuazione per il suo amore e una sera dopo essersi addormentata le appare in sogno il giovane, pallido, con i capelli arruffati e i vestiti in brandelli, dicendo a Lisabetta di essere stato ucciso dai suoi fratelli e rivagliandoli il posto della propria sepoltura. Alla mattina Lisabetta raccontando di andare a fare un giro con una serva esce di città e si reca al luogo mostratele in sogno. Vista una zona in cui la terra era meno dura inizia a scavare riportando alla luce il cadavere dell’amato. Senza piangere stacca con un coltello la testa dal corpo e nascondendola la porta con se a casa e la mette tra la terra in un vaso di basilico. Questo per la concimazione dovuta alla testa in putrefazione e l’acqua provenente dalle lacrime della fanciulla cresce rigoglioso. I tre fratelli venendo a sapere dai vicini che Lisabetta passa intere giornate curando il basilico, consumando la propria bellezza, glielo sottraggono di nascosto. La povera Lisabetta per la disperazione si ammala, i fratelli vedendo che Lisabetta continuavano a chiedere il vaso, incuriositi lo svuotano per vederne il contenuto. Riconosciuto il capo di Lorenzo putrefatto, i fratelli traslocano da Messina a Napoli per tenere nascosto il loro reato. Dopo breve Lisabetta muore. Del loro amore rimane però una canzone, a testimoniare che l’amore vero non finisce mai.
Lisabetta rappresenta l’amore irregolare e segreto, contrastato dall’istituzione familiare, che va incontro ad una sorte tragica, ma resta saldo fino alla morte. La protagonista di fronte al suo amore non compie gesti eroici di rivolta:la sua risposta all’oppressione familiare è quella dell’accettazione silenziosa e delle lacrime, attraverso le quali ella dimostra la sua fedeltà incrollabile all’amato. È una vittima che mai prende la parola contro i suoi fratelli e che alla fine, per il dolore causatogli dall’ultimo prepotente gesto dei fratelli-padroni, ella muore. Nella novella si trovano due mentalità,i fratelli che badano al nome della famiglia che in questo modo potrebbe essere danneggiato,Lisabetta e guidata dalla forza irresistibile dell’amore. Il mondo borghese non riesce a spiegare l’amore che manda all’aria la concezione della vita da parte dei borghesi e va contro il principio di realtà. L’amore supera le classi sociali perché Lisa è la figlia dei padroni mentre Lorenzo è un servo che aspira a diventare borghese ma non ce la fa. Il mondo borghese si rivela pienamente nel carattere dei due fratelli che fanno di tutto per non rovinare il nome della famiglia e quindi mandare all’aria tutti gli affari. Non c’è possibile comunicazione tra il mondo dell’amore e il mondo spietato dei mercanti. L’amore supera prima la morte di uno dei due amanti perché l’altro gli appare in sogno e poi la morte di entrambi gli amanti perché l’amore si materializza in una canzone.
FEDERICO DEGLI ALBERIGHI
Federico degli Alberighi, un ricchissimo nobile di Firenze si innamorò di monna Giovanna, una delle donne piu belle della Toscana. Per sedurla organizzo feste in suo onore e le fece doni fino a sperperare tutti i suoi averi e senza suscitare in lei nessuna attrazione. Si ridusse cosi a possedere solo un piccolo podere ed un falcone, uno dei migliori che gli permettevano di sopravvivere Avvenne però che il marito di monna Giovanna morì e questa andò a trascorrere l’estate con il figlio in una tenuta vicino a quella di Federigo. Questo e il ragazzo fecero presto conoscenza, grazie al grande interesse del giovane per il falcone. Il figlio di Giovanna si ammalò e quando gli chiese cosa lui desiderasse ,quello rispose che se avesse avuto il falcone di Federigo sarebbe sicuramente guarito. Il giorno dopo la madre si recò da Federigo con un'altra donna , non senza vergogna di andare a chiedere a lui che a causa sua si era ridotto in miseria una cosa cosi preziosa , l’accoglienza fu calda, le donne dissero che si sarebbero fermate per pranzo, ma l’uomo non trovando niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servi a tavola .Il pasto trascorreva piacevolmente fino a quando monna Giovanna, trovato il coraggio, chiese il falcone per il figlio moribondo. Federico scoppia a piangere davanti a lei e le spiega che glielo avrebbe donato volentieri se non lo avessero appena mangiato, uccidendolo proprio perché non aveva niente di adatto ad una donna come lei. Giovanna torna a casa commossa per il gesto dell‘uomo, ma sconsolata. Nel giro di pochi mesi il suo unico figlio muore. Essendo ancora giovane Giovanna viene spinta dai fratelli a rimaritarsi per dare un erede ai beni acquisiti dal suo defunto marito.La donna essendo obbligata a scegliere un marito sceglie Federigo per la sua generosità, facendolo felice, ma i beni furono amministrati dai fratelli in modo che Federigo non sperperi anche il loro denaro.
Federigo nella parte iniziale assume pienamente gli ideali cortesi. Lui spende tutti i suoi possedimenti per la donna amata,consapevole di non potere ottenere nulla. Federigo diviene poverissimo, al contrario del modello cavalleresco dove i cavalieri godono di una proprietà economica illimitata. Possiamo ancora notare un atteggiamento cortese quando monna Giovanna gli chiede il suo unico avere il falcone,che lui inconsapevolmente ha cucinato per la donna amata. Questo suo gesto può considerarsi come un ultimo affannoso, ansante appello alla donna amata, questo suo sacrificio è un elemento tipico della società feudale e assume in questa prospettiva un significato simbolico. In questa novella c’è un tema nuovo, la nobiltà, ma intesa come nobiltà d’animo. I borghesi (come i fratelli di monna Giovanna) sono egoisti e pensano sempre al tornaconto personale. La nobiltà invece ha un ideale altruistico e questo fa sorgere una vaga nostalgia per un mondo che non esiste più.
SER CIAPPELLETTO
Ser Ciappelletto è descritto da Boccaccio come il peggior uomo che mai nascesse, è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi e contrasti all’interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato, anzi avvezzo a deliziarsi di ogni colpa e piacere mondani. Viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui, inaspettatamente, è vittima di un malore. I due proprietari, timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l’estrema unzione avrebbe comportato, cominciano a interrogarsi sul da farsi. I loro dialogo, però, non sfugge alla orecchie vigili del moribondo, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Proprio per questo motivo, ordina di far venire al suo capezzale un parroco, il più “santo” possibile, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo timoroso di Dio, assiduo frequentatore della Chiesa nonché cristiano abituato a fare l’elemosina, ad ammonire i peccatori più spudorati a calibrare accuratamente ogni più piccola azione ed ogni più minuscolo pensiero in base alle leggi del Signore. Il frate, stupito da tanto candore e da una simile purezza, dopo la morte dell’uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di tessere le lodi del defunto. I due usurai, intanto, preparano, servendosi dei soldi di Ciappelletto stesso, il suo funerale. Alla straordinaria cerimonia, posteriore ad un’altrettanto solenne veglia funebre, partecipa un gran numero di persone che adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato ed adorato.
È una novella dissacratoria in quanto Ser Ciappelletto ha molti vizi ma riesce lo stesso a beffarsi della Chiesa ed essere venerato come un santo, infatti come ultimo spregio nei confronti di una società cristiana fa una falsa confessione e viene giudicato santo. Lui non crede a nessuna fede se non quella del proprio tornaconto e la nobiltà verso i banchieri per cui lavorava. Sa che se fa una vera confessione avrebbe disonorato anche la famiglia per cui lavorava. È una beffa verso un mondo di creduloni, infatti il prete, e la religione in generale, non rispetta il principio di realtà.
decameron VOGLIO LA SPIEGAZIONE SE POTETE DIRMI TUTTI I MINI PARTICOLARI