Sofocle

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Categoria:Letteratura Greca
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Testo

LA TRAGEDIA GRECA II
SOFOCLE
Il nome stesso ( κλης = gloria ) indica famiglia aristocratica. Nasce intorno al 497 e muore a 93 anni pochi mesi dopo Euripide. Era così bello che a 17 anni durante la δογμασια fu incaricato di guidare il coro. Fece carriera politica e divenne stratega con Pericle e Nicia; dopo la disfatta di Sicilia partecipò all’elezione dei 400 saggi, ma non brillò di grandi gesta. Ospitò a casa sua la statua di Asclepio ( mentre essa viaggiava di città in città ), perché casa sua era grande e lui era molto onorato. Ospitò pure Erodono. Secondo la leggenda sarebbe morto soffocato da un acino d’uva e in vita si sarebbe dato molto da fare sia con uomini che con donne; aveva un figlio illegittimo, Sofocle il giovane, tragico anche lui, che intentò contro il padre una causa per incapacità mentale. Nel processo allora il padre recitò un coro appena fatto. In sostanza Sofocle è un uomo pio ed ospitale, che però incarna bene il pensiero ateniese ( “sappiamo apprezzare la vita ”), si gusta tutto ciò che è bello e non si fa mancare niente. Vinse 17 volte ( somma delle vittorie di Eschilo ed Euripide ), è strano. Con lui abbiamo tre attori e più coreuti. Il suo mondo è ormai diverso. Vede la sconfitta ateniese e l’inizio della sofistica, nasce il dubbio sulla giustizia degli dei: perché l’innocente soffre ? Secondo Sofocle i personaggi sono isolati in quanto eroi con valori molto diversi da quelli delle persona normale ( il coreuta ): l’eroe soffre in modo speciale non sapendo di aver commesso colpa e tutto gli pare ingiustificato. Il problema del dolore è molto profondo.
AIACE
La scena si apre con Atena i Odisseo: sono stati trovati sgozzati i montoni ( uccidere animali è disonorevole ) e anche due pastori ( meno disonorevole ), ed Aiace è stato visto correre sporco di sangue. Non credendo Odisseo, che conosce il valore del rivale, va a vederne la tenda. Si parla di “ultime navi”: i due più grandi guerrieri erano ai limiti del campo ( si sottolinea l’onore di Aiace ). Atena racconta con soddisfazione, mentre in Odisseo c’è un tono di grande rispetto , oltre che la fede e l’affidarsi al Dio. Sticotomia: Odisseo fa sette domande e la dea risponde; ma le sue risposte fredde e distaccate sono in realtà unitarie perché la dea racconta rivivendo. Dice che è lei a salvare gli atridi, nel monologo cambia tono: è contenta di aver reso pazzo Aiace ( l’eroe sopporta tutto tranne il ridicolo ), il dio si è accanito contro di lui che non aveva fatto nulla. Frattanto arriva il folle Aiace, che saluta Atena contento perché crede di aver ucciso i capi greci ( ironia tragica ) e crede che la dea sia arrivata per festeggiare al momento opportuno, ma lei è arrivata giusto in tempo per deriderlo. Non vede però Odisseo ( la dea lo sottrae alla vista del pazzoide ): dice che lui ha legato l’itacese nella tenda, Atena fa un’ironia molto sottile e lo mette alla prova, e lui non si dimostra obbediente alla richiesta del dio, segue quindi il disprezzo da parte della dea. Perché tale accanimento ? Odisseo il pio prova pietà vedendo che l’uomo è in balia del destino. Sopraggiunge il coro , i marinai di Salamina amici di Aiace, che vengono perché spaventati: l’eroe ora è ancor più solo nel dolore. Il coro è preso da un grande tormento e condivide la sofferenza per la perdita della gloria. Tecmessa è una nobile fatta prigioniera che ha dato ad Aiace il figlio Eurisace, avendo paura affida il piccino al pedagogo e si libera. La sera Aiace si riarma per uscire, la moglie chiede perché e lui la manda a quel paese ( sono passati secoli dall’Iliade e dal non-greco Ettore che prova affetto per Astianatte, anche se manda comunque via la moglie che sarà la futura regina di Troia, figlia di re e pure lei nemica di Achille; anche Tecmessa è figlia di re, però di un re non alleato bensì sconfitto, inoltre a risponderle in quel modo è un Aiace folle; qui non è misoginia né Omero era un femminista ). Tecmessa racconta al coro che il marito, rientrato, si porta appresso nella tenda dei capri, ne uccide due chiamandoli Atridi e ne tortura un terzo chiamandolo Odisseo. Tecmessa ha paura per sé ,per il figlio ( che non a caso manda via subito ) e per il marito, ma rimane lì. Dopo la strage, la follia abbandona Aiace che rinsavitosi si trova coperto di sangue e di viscere, ma non ricordandosi nulla chiede alla moglie, lei ha paura per lui ( non di lui, dal momento che è tornato sano ) ma infine cede. Il marito “muggisce come il toro”, ossia emette lamenti bestiali perché non riesce più a parlare. Soffre, perché l’eroe omerico sopporta il dolore e l’odio ma non il ridicolo perché da quello l’eroe non può più riprendersi. Aiace, offeso per la questione delle armi di Achille, aveva ragione di vendicarsi su Odisseo, ,ma ha commesso l’errore di scambiare un animale per un uomo in un mondo antropocentrico e il suo è un dolore insopportabile. Il coro lo compiange ma non sa cosa fare. Arriva quindi il vero Aiace, l’eroe offeso e coperto di ridicolo che soffre moltissimo e che quindi non ha altra scelta che morire. L’eroe deve scegliere tra il ben vivere e il ben morire, e lui può solo ben morire, e chiede al coro di aiutarlo in quest’ultima azione. Ma né i marinai né la moglie possono capire il suo tormento e gli consigliano di accettare il destino, perché la loro è la saggezza dell’uomo comune ( quasi due mondi diversi ), ma Aiace quasi non sente tanto è rinchiuso nella sua vergogna. C’è il continuo ridere dei suoi nemici. Il coro e Tecmessa hanno paura perché capiscono la sua decisione ( ma non il perché ). Tecmessa racconta il suo declino che lei ha accettato pienamente, anche lui deve farlo, e almeno godrà degli affetti. Aiace nel monologo medita razionalmente tre soluzioni: andarsene via e tornare a casa ( ma il padre è eroe e lui non può tornare disonorato ); gettarsi inerme nella mischia ( ma non cadrà senza colpo ferire, e uccidendo qualche nemico darà gloria ai greci ); suicidarsi ( il ben morire ). La moglie gioca la carta degli affetti: Aiace viva per i doveri verso il figlio e la moglie, senza di lui sarebbero esposti alla vendetta di Odisseo. Aiace chiede di vedere il figlio per salutarlo: è il suo unico affetto e il suo “ prodotto ”. Astianatte aveva avuto paura del padre che si era dovuto perciò togliere l’elmo. Ma Aiace è più “ duro e puro ” e deve avere un figlio come lui. Tecmessa teme che il figlio si spaventi perché il padre è sporco di sangue; ma Eurisace ( 5 anni ) arriva camminando, mentre la madre ha paura il padre dice che se è figlio suo non avrà paura del sangue ( teme però che sia lento per esitazione ), il figlio non si spaventa, Aiace gli augura di essere un eroe senza soffrire come ha sofferto lui, lo abbraccia per l’ultima volta, pensa alla moglie ( in maniera dura ) perché il figlio le possa dare delle gioie: sono parole non propriamente eroiche. Aiace rientra nella tenda, il coro esprime paura e affetto, quindi l’eroe ritorna con la spada che Ettore gli aveva dato nel loro duello, fa un discorso di sostanza ( non vuole abbandonare nessuno ) con molta ironia tragica. Dice che ha capito il suo errore e non si ucciderà ma cambierà modo di vivere ( il che è impossibile ) ,dice che si purificherà ( l’unico modo di purificarsi è uccidersi ) e che nasconderà tale spada ( perché la farà entrate nel corpo ). Chiude con un plurale maiestatis dicendo che accetterà il destino ( cedere agli dei = falso ) e gli Atridi. Insomma è un discorso a due sensi per morire senza che nessuno lo possa fermare. Si ritira così sulla riva del mare e fa un monologo straordinario. Finora abbiamo visto l’Aiace eroiche ha proclamato il ben morire, ma allora l’eroe sarebbe contento di crepare. Oramai solo non può tornare indietro e mentre affronta la morte torna uomo, perché l’eroe è in parte uomo e se per gli eroi la morte fosse normale non sarebbe nulla, ma lui deve far sentire quanto costi la morte anche per un eroe. Ora che ha preso la decisione può sfogare la debolezza umana, solo così il ben morire è glorioso, perché l’eroe deve saper soffocare la sua parte umana e sfogarsi solo dopo aver preso la decisione. Si pianta la spada davanti a sé, dice che quella spada odiosa in terra nemica ora gli è amica, per debolezza umana chiede di non soffrire. Prega Zeus che il fratello Teucro sappia della morte subito perché possa seppellirlo, prega Ermes che la sua morte sia rapida e indolore e chiede alle Erinni vendetta sugli Atridi. Dopo aver chiesto perciò rispetto del corpo e vendetta, dà l’addio al Sole, simbolo di vita. Sa che il dolore arriverà al padre, ma questi è un uomo, compiange di più la madre, si rivolge ad Atene, Salamina e Troia salutando quelle terre e poi si uccide ( ma non sulla scena ) avendo reso noto quanto anche per un eroe costi quella scelta. Arriva in ritardo il solito αγγελλος che parla al coro chiedendo di Aiace, il coro risponde che è andato a purificarsi da solo, l’ αγγελλος comunica che secondo una profezia di Calcante se Aiace fosse rimasto solo sarebbe morto, la collera di Atena durava solo fino a sera, ma Calcante interpretava tutto come un uomo comune: da domani Aiace vivrà felice perché senza più collera divina. Ma si sente l’urlo di Tecmessa che ha scoperto il cadavere: la collera divina è finita perché non può colpire un morto, Tecmessa chiede il perché della collera di Atena, e l’ αγγελλος spiega. Secondo Calcante Aiace fu superbo e tracotante per due volte: alla partenza il padre gli augurò l’aiuto divino e lui disse che non ne aveva bisogno; poi, quando Atena aveva detto “ vinceremo insieme ”, Aiace gli disse di andare a proteggere gli altri perché lui non ne aveva bisogno. Atena gli ha fatto capire che tutto deriva dagli dei e loro possono togliere ogni cosa. La prima preghiera di Aiace viene esaudita: arriva Teucro a proteggere il cadavere disprezzato dagli Atridi, e arriva pure Odisseo a fermare i due fratelli: lui riconosce la grandezza di Aiace che con la morte ha recuperato quella gloria che aveva creduto solo sua (dimenticandosi degli dei ) e che ora gli viene ridata dal suo più grande nemico: è il più grande riconoscimento e affermazione della giustizia divina, che premiano Aiace attraverso Odisseo ridandogli la gloria ora pagata.
ANTIGONE
Sarebbe il seguito dei Sette a Tebe ed è ambientato all’indomani della guerra di Tebe; non essendoci nessuno regge il potere Creonte, un tiranno buono che però commette empietà perché segue leggi umane che lui considera divine. Fa una legge che permette di seppellire Eteocle ma non Polinice, ciò cozza con la legge divina secondo cui l’ira non può continuare dopo la morte. Il prologo inizia con Antigone e Ismene, la prima ( che è eroe ) dice che la legge di Creonte è empia e lei vuole seppellire ugualmente Polinice. Ismene è una persona normale che ha paura e non ha il coraggio di andare contro il potere. Antigone non cede , Ismene si propone di coprirla, ma la sorella non accetta questa pseudo - copertura: o si ha il coraggio di fare le cose o se ne rimane esclusi. Ismene con la sua σοφροσυνη media non può capire l’eroina Antigone e la crede pazza pur condividendo le sue idee. Il coro ( i consiglieri ) prova gioia per la recente vittoria. Arriva Creonte: lui e Antigone usano spesso parole simili che sottolineano la diversità dei punti di vista.. Creonte non pensa al passato ma guarda al futuro, ribadisce la sua nuova legge e vuole che il coro vigili su di essa , per chi contravviene c’è la morte per lapidazione. Arriva un αγγελλος, la guardia del corpo di Polinice: ad un tratto la nebbia avvolse il cadavere, non ci sono orme ma il cadavere è ricoperto di terra, e la guardia ha paura perché non ha eseguito la vigilanza. Creonte gli ordina di non tornare finché non avrà trovato il responsabile, accenna che possa trattarsi di un’opera divina, ma continua ad affermare la sua legge. Arriva il coro con un pezzo fantastico, usa la vox media δεινός ( lett. “ ciò che esce dal normale ”) che ha due significati:
1. positivo: l’uomo affronta il mare grosso e domina la Terra più antica, cattura gli animali alati e i pesci, doma cavalli e tori, ossia tutta la natura, affronta il futuro mai disarmato;
2. negativo: se si esalta credendo di poter fare tutto si contamina e viene scacciato.
È quindi un inno/rimprovero all’uomo; il coro si stacca da Creonte perché volge al male e crede di poter fare tutto. Arriva il guardiano ( che non credeva di riuscire a trovare il colpevole ) con Antigone. Disseppellito il cadavere, era tornata la nebbia, ma partì un pianto di Antigone per il disseppellimento del fratello, allora la nebbia si dirada e lei viene scoperta. Gli dei, dopo due aiuti, l ’hanno abbandonata: sono giusti? Avviene uno scontro tra Antigone ( che sta col figlio dello zio ) e lo zio Creonte, che rimane stupito che lei abbia osato andare contro la legge, lei risponde con sicurezza, il coro ( le persone normali ) non esprime giudizio ma mostra molta ammirazione, Creonte dice che in quanto sua nipote lei non dovrebbe disobbedire, ma Antigone esalta la sua azione e la ribadisce, allora lo zio crede che anche Ismene sia colpevole ( dato il suo notevole stato di agitazione ) e vuole obbedire perfettamente alla legge. Allora Antigone risponde con forza, dice che il coro le da ragione anche se non può affermarlo, anche Eteocle avrebbe voluto la sepoltura del fratello perché la collera non può andare oltre la morte. I due si controbattono e Creonte è particolarmente arrabbiato perché la ribellione avviene da parte di una donna. Antigone doveva ribadire la sua obbedienza ad una legge divina ma la sorella Ismene si autodenuncia trovando finalmente il coraggio. Antigone non vuole il suo sacrificio, tuttavia Creonte stabilisce la morte per entrambi, il coro dice che così sbaglia, lui capisce ( rimane pur sempre un re giusto ) e lascia libera Ismene. Ordina che Antigone sia chiusa in una caverna, che diventerà la sua camera nuziale perché morendo lì si sposi nell’Ade . Ismene gli ricorda che Antigone è la ragazza di suo figlio ma lui dice che “ci sono altri campi da arare”: non è disprezzo ma un pensiero comune. Prima aveva parlato di lapidazione e ora non più, dice di essersi ammorbidito ma la realtà è un’altra: il colpevole è una donna, e le donne venivano sempre punite in un determinato modo, cioè fatte morire dalla famiglia o nel carcere, in maniera ritirata e non pubblica, lontana dagli occhi degli altri. La lapidazione era per l’uomo.
TRACHINIE
E cioè le donne di Trackis, il coro. Questa tragedia parla di Eracle, uno dei dodici dei, figlio di Zeus e Alcmena, ha subito un trattamento speciale benché contaminato dalla natura umana. Eracle ebbe due mogli sulla terra e una ( Ebe ) in cielo. La prima moglie fu uccisa da lui impazzito dalla gelosia di Era. Qui si tratta della morte di Eracle e si parla della sua seconda moglie Deianira, figlia di re e bellissima. Il prologo è di tipo euripideo, ossia chiarisce la variante del mito utilizzata, oppure è un prologo semplice che vuole chiarire lo stato d’animo di Deianira. Comunque nel prologo Deianira racconta alla nutrice che da giovane, bella e ricca, era oggetto dell’amore di un fiume che prendeva le sembianze di un toro o di un uomo con la barba di fiume: un mostro. Lei aveva paura di nozze simili, ma arrivò il figlio di Zeus a liberala dal brutto ceffo. Quella vittoria fu momentaneamente lieta, ma da lì cominciarono i disastri maggiori. Secondo la morale non si può dire che un uomo sia felice fino alla sua morte, ma Deianira afferma già di essere infelice. Marito e moglie erano sempre stati ospiti, ora lui non c’è mai. Ha dovuto fare da padre ai figli ( Illo, il primo, ha 20 anni ) e quindi è stata lei a educarli ( ciò spettava al padre ). Ora Eracle è via da 15 mesi e per la prima volta ha redatto un testamento, e Deianira è tormentata. La nutrice è una schiava( può consigliare solo chiedendo scusa ), suggerisce di mandare Illo. Lei accetta è arriva l’amato figlio che non è per nulla preoccupato perché sa che il padre sta vincendo in Eretria. Deianira impaurita spiega l’oracolo di Zeus ( Dodona ): se dopo 15 mesi d’assenza fosse sopravissuto ad Eretria, per Eracle sarebbero cessati gli affanni. Ovviamente Deianira interpreta l’oracolo alla cazzo di cane, in maniera felice. Illo, desideroso di informazioni, parte. Giunge il coro che cerca di confortare la donna dicendo che c’è alternanza di dolore e di gioia, lei ha sempre sofferto quindi ora godrà di felicità. Ma lei risponde che non possono capirla perché lei è sposata e il matrimonio è un tormento. Da fanciulle si vive in una felice incoscienza ( quindi non-vita ) poi ci si affanna per il marito e i figli ( e questa è una vita riflessa ), quindi la donna non ha mai una vera vita. Sopraggiunge l’αγγελλος, un uomo di Trackis, che sa che Ercole avendo vinto sta tornando col bottino; lo dice perché Deianira è affannata, ma anche perché desidera una ricompensa . Il coro esprime gioia per una vita che finalmente si prospetta felice. Giunge frattanto Licaone, amico di Eracle mandato in avanguardia con un po’ di bottino. Deianira ha sofferto per la schiavitù e ora si sente vicina alle schiave, specialmente ad una tristissima e bellissima. Licaone cerca di stare zitto, ma l’uomo di Trackis ingenuamente si scaglia contro Licaone e dice che quella ragazza è Iole( figlia del re Eurito ) di cui Eracle si è innamorato. Licaone non voleva che ciò si sapesse ma Deianira lo tranquillizza dicendo che Eracle ha una “malattia”, ossia è fortissimo anche nelle passioni e la moglie ci è abituata. Licaone racconta che inizialmente Eracle fu accolto bene da Eurito, ma poi fu sbattuto fuori di casa ubriacato e insultato. Il semidio si vendica uccidendo il figlio del re, ma Zeus per punire quest’atto fa diventare il figlio schiavo di una donna ( massima offesa ). Scontata la pena, Eracle si vendica pienamente espugnando la città dopo un assedio, ma è mosso anche dalla passione per Iole. Deianira riesce a controllarsi e invita tutti a ristorarsi, ma Licaone deve tornare da Eracle che vuole sacrificare al padre. Mentre tutti sono dentro, Deianira esce a sfogarsi col coro dicendo l’accaduto. Prima ha definito gli amori del marito una malattia, ora è diverso perché gli affanni sono finiti e lui non è più in giro, così lei rischia di non essere più il riferimento; Eracle la ripaga portando in casa una donna giovanissima e lei verrà messa in ridicolo anche se moglie legittima, Eracle si sarebbe ritrovato di fatto con due mogli: la felicità di Deianira veniva distrutta. Essendo venuta in cerca di consiglio, prende un provvedimento perché aveva un solo modo di riprendersi il marito. Chiede se è osare troppo ma il coro risponde di no .Deianira racconta la storia del centauro Nesso: di nuovo la sua bellezza era stato motivo di problemi. Eracle colpì il centauro con frecce bagnate del sangue dell’Idra, allora Nesso consigliò alla donna di prendere il suo sangue e usarlo per riavvicinarsi al marito. Deianira ha intriso di ciò un mantello e lo manda al marito per mezzo di Licaone ( “ Eracle risulterà nuovo sacrificatore ”: da indossare in un sacrificio, ma è ironia tragica perché Eracle sacrificherà sé stesso ). Rientra in casa ma poi ne esce terrorizzata: aveva seguito le indicazioni del centauro, ma il batuffolo di cui si era servita era bollito al contatto con la luce. Così capisce ( la preoccupazione l’aveva distratta ) che il filtro era in realtà un veleno e che lei è stata sciocca a proposito di quel dono, si sente stupida e vorrebbe uccidersi, il coro cerca di confortarla dicendo che la morte di Eracle non è causa sua e forse può salvarlo, ma arriva Illo che racconta il fattaccio. Il coro dice che Deianira è la prima vittima, ma per il greco la colpa è tale anche se commessa involontariamente. Illo è tornato per prendere una barella e spiega cosa è successo: una volta ricevuto il mantello da Licaone durante il sacrificio, lo indossa ma il tessuto gli corrode la pelle. Pieno di θυμος scaglia l’innocente Licaone contro gli scogli, poi arriva un momento di calma e lui, indebolito, prega il figlio di ucciderlo, e al suo rifiuto chiede una barella per andare a morire sul monte vicino al padre. Illo accusa Deianira e la vuole morta, ma anche questa volta la donna non controbatte. Rientra in casa per uccidersi, il coro capisce l’oracolo. Arriva la nutrice a raccontare: vagando inebetita per la casa Deianira tocca oggetti che le facevano ricordare i tempi felici, erano ricordi brutti ma comunque migliori della situazione odierna.Si getta sulla spada nella camera del letto che ha tentato di difendere, è un suicidio maschile. La nutrice spiega l’inganno del centauro anche a Illo, che cerca di correre ai ripari ma ormai è troppo tardi. il figlio si sente colpevole della morte della madre, l’attore che la impersonava ora recita la parte di Eracle portato sulla barella, il cui arrivo è annunciato da un vecchio che consiglia a Illo di stare zitto. Il dolore è a cicli, quando è meno forte Eracle perde i sensi e quasi rimprovera il padre per il dolore e chiede il perché non capendo quale sia la sua colpa. Prega Illo di ucciderlo e il figlio capisce che alle spalle c’è Zeus e lui deve intervenire. Eracle chiede di vedere Deianira per vendicarsi, ha vinto tante prove imposte da Era in cui morire sarebbe stato glorioso, ma questo dolore è straziante anche perché veniva ucciso subdolamente da una donna, e una morte simile metteva in gioco la sua gloria. Ma Illo racconta la verità e Eracle non maledice più la moglie ma non ne ha compassione:
1. dimentica subito Deianira che è innocente quindi non gli interessa più per la vendetta;
2. scatta un secondo oracolo che non aveva mai capito “ non per mano di un vivente sarei morto ma per mano di un morto ”, tutto si spiega, anche Deianira è stata una vittima ma non prova pietà anche perché si divinizza allontanandosi dal mondo.
Eracle chiede di preparare una grossa catasta sul monte Ida per uccidersi, avendo capito il suo destino,non vuole una morte veloce e debole ma attraverso il fuoco purificatore ( catarsi ) per bruciare ciò che gli impedisce di salire sull’Olimpo, ossia la mortalità corporea. Ma rimane un problema: Iole che fa ? Il padre ordina al figlio di sposarla e lui rifiuta in un primo tempo perché causa della morte della madre, Eracle chiarisce che lei non centra perché era per volere divino,e la donna del figlio di Zeus poteva finire solo al nipote di Zeus. Eracle quindi ascende al cielo, Illo si pone il problema se gli dei possano creare delle situazioni così dolorose, perché dovrebbero vergognarsi. Il coro chiude dicendo che tutto ciò che accade è volontà divina, la vita dell’uomo è dolorosa per essenza. In sostanza in quest’ultima tragedia Eracle è un uomo dalla passioni fortissime con una forza eccessiva che non riesce a controllare, perché umano. Ma è figlio di Zeus e a differenza degli altri semidei ( forse perché figlio del dio più forte ) affronta istintivamente con una forza enorme grandi imprese, senza riuscire a controllarsi, il padre lo assume nell’Olimpo come dodicesimo dio. Sembrerebbe l’eroe meno adatto, ma per ricevere quel premio deve soffrire più di tutti e subire un destino particolare per scontare la sua parte umana Deve sopportare e si deve adeguare, per distruggere la sua parte umana salendo sul rog e diventando degno dell’assunzione in cielo. Non è debitore per le sue colpe perché le espia con grande fatica. Lui, con mente quasi divina, capisce cosa deve fare, gli altri invece non possono comprendere e vedono solo sofferenza. Deianira, come ricompensa del dolore, riceve solo il rimorso e l’apologia del figlio, ma è pochino, lei segue solo la parte umana del destino di Eracle.
ELETTRA
È la storia delle Coefore. Non è intitolata Oreste perché lui uccide solo senza odiare, cosa che invece Elettra fa ( ma non può uccidere ). Non c’è un passaggio tra giustizie perché quella divina è sempre stata giusta, un dio allora non può far seguire una colpa a una punizione che è giusta e sacrosanta. È diverso da Eschilo. Qui il dolore è pagamento di una colpa che il personaggio non sente, la forza sta nel sopportarla, e tale forza verrà premiata. Il dolore è una colpa a cui gli dei sottomettono l’uomo ( ma non è una visione cristiana ). Oreste deve uccidere la madre e Apollo lo ordina. Un Oreste appassionato contaminerebbe l’atto, ma qui agisce senza problemi perché inviato dal dio come un freddo esecutore. La parte passionale e ricoperta da Elettra che odia Clitemnestra perché amava il padre: Oreste non ama né odia nessuno. Clitemnestra aveva anche lei una vendetta, ma Sofocle non può accettare l’uccidere odiando. Qui si incomincia tranquillamente, ad Argo arrivano Oreste e il suo pedagogo che gli mostra la città come una guida turistica, Oreste non è agitato, i due si devono mettere d’accordo per studiare un piano, l’inganno è una disposizione divina da eseguire senza remore. Il pedagogo deve entrare nel castello e parlare della morte di Oreste per disarmarli, facendo entrare Oreste come un mercante con le ceneri del morto. Oreste si preoccupa solo che la falsa diceria di morte porti sfiga, il greco aveva paura di truffare l’opposto della vita. Aparodo: vede una processione di donne vestite di nero con Elettra, si allontana perché sentendo il lamento si appassionerebbe e non deve essere scoperto. Arriva Elettra, talmente in odio con la madre che non può portare le sue libagioni, è venuta sulla tomba solo per piangere. Lei vede l’imbelle leone Egisto farsela con Clitemnestra e usurpare la punizione paterna. I figli quindi sono privati anche della loro posizione e Oreste non è fatto re, e lei, seppur principessa, vive in casa sua come un’estranea. Oltre a ciò Clitemnestra e Egisto ostentano e festeggiano l’anniversario della morte di Agamennone. Elettra veniva lì ogni giorno, il coro, l’uomo semplice, dice di non esagerare nel dolore, ma lei dice che il suo destino è tristissimo, infine il coro si scuserà di averle detto di non piangere e capirà il suo dolore. Se tale lamento fosse stato udito da Oreste, allora lui non sarebbe rimasto un freddo esecutore. Arriva la terza figlia a noi altresì sconosciuta, Crisotemi, salta fuori perché deve portare le libagioni. È in sostanza la copia di Ismene: la donna normale che subisce e accetta la situazione, rimprovera Elettra per il suo inutile lamentarsi. Crisotemi dice che continuando a lamentarsi verrà allontanata, ma se ciò accadesse prima dell’arrivo di Oreste il padre non rimarrebbe onorato. Nel discorso tra le due non c’è intesa perché Crisotemi ha il buon senso comune: racconta che l’ ha mandata la madre per placare il padre in seguito al sogno del tralcio. . Elettra consiglia di non farlo per non irare il padre, dovrebbe perciò versare le libagioni per terra per usarle in un secondo tempo ( ma in realtà per usarle con Clitemnestra ). Crisotemi dice che è pazza e se ne va . Arriva Clitemnestra che rimprovera la figlia per il continuo lamentarsi; Elettra dice che non è υβρις perché lei non è più una madre. Clitemnestra dice che il padre aveva ucciso sua sorella ( non dice sua figlia ), poteva benissimo uccidere la figlia di Menelao, chiama Ifigenia figlia di Agamennone: sono solo scuse per aver ucciso un marito scomodo. Elettra dice che Clitemnestra ha tentato di uccidere pure Oreste, è una madre pessima. Arriva il pedagogo per annunciare la finta morte di Oreste ( non può farlo lui stesso perché vedendo la madre contenta si incazzerebbe ). Elettra si dispera, ma Clitemnestra curiosa dice di continuare il racconto.il pedagogo parla per cento versi, descrivendo i giochi pitici in cui sarebbe morto Oreste. È una CAPTATIO di gusto greco, inoltre aumentando la gloria di quella persona (è un eroe, muore mentre vince tutti i giochi ) si aumenta l’empia gioia della madre: durante i giochi gente estranea si è messa a compiangerlo, ma la madre ne è contenta. Questo discorso serve per eliminare le difese della casa. Infatti arriva Oreste venuto a portare le sue ceneri fingendosi amico del pedagogo. È una prova d’attore: cucire un monologo su un abile attore serve abilità tecnica ( in effetti ebbe come attore una volta un uomo a cui era appena morto il figlio, e fu inscenata una disperazione commovente ).Elettra si dispera e si sente colpevole perché senza di lei sarebbe morto in casa, lei lo ha condannato a morire in esilio. Ora non c’è più un vendicatore si chiede se gli dei sono giusti, è un pezzo di forte pathos. Crisotemi arriva dicendo che Oreste era lì ( ironia tragica ), arrivata sulla tomba del padre ha trovato delle orme e un ricciolo, nessuno andava lì a offrire nulla, chi può averlo portato se non Oreste ? è tuttosommato un riconoscimento razionale. Lei è felice ma Elettra le spiega l’ultima notizia, Crisotemi si addolora e Elettra le chiede di aiutarla nella vendetta, Crisotemi cerca di dissuaderla ma Elettra è disperata e risoluta, ma ecco che Oreste si svela, dato che ormai non i sono più motivi per nascondersi. Il ragazzo deve solo continuare il suo piano, senza il bisogno di giustificazioni. Arriva anche il pedagogo, Elettra saluta con gioia anche lui e lo chiama salvatore. L’uccisione avviene dentro le mura , si sente solo l’urlo di aiuto di Clitemnestra e poi grida inarticolate, il coro soffre, entra subito Elettra , Clitemnestra cerca di salvarsi rinfacciando la maternità , Elettra sfoga il suo odio terribile e le rinfaccia gli assassini, arriva Egisto che chiede a Elettra dove siano i messaggeri, lei ( ironia tragica ) dice che sa dove sono sennò ignorerebbe lo sorte di chi le sta più vicino, lui è stupito per la gioia di Elettra, la ragazza lo prende in giro ancora dicendo che è vera gioia perché è diventata saggia e si è unita ai più forti, ovviamente Egisto capisce il contrario, esce dalla casa. Oreste sta trascinando il corpo della madre, Egisto crede che sia quello di Oreste ( è una contraddizione, prima si era parlato di ceneri ), scopre il mantello e vede Clitemnestra, Oreste lo fa entrare in casa per ucciderlo dove è morto Agamennone.
FILOTTETE
Era un guerriero amico di Eracle, da cui ricevette arco e frecce. Nella prima versione del mito Eracle, lasciando l’arco, chiese a Filottete di non rivelare la sua tomba, ma lui lo tradì e così dalla tomba uscì un serpente magico che lo morse; quindi la ferita è giustificata, non guarisce e i greci lo lasciano a Lemno. In un’altra versione ( quella di Sofocle ) un serpente uscì dall’ara e lo morse mentre stava sacrificando, qui è senza colpa e viene colpito quando è vicino agli dei. L’isola di Lemno era abitata, Sofocle non la chiama così e dice che è disabitata per aumentare il senso di solitudine, di sofferenza e di forza. Perché proprio a Lemno o perché non a casa ? Siamo al decimo anno di guerra, l’indovino ( essendo tale non può mai mentire ) Eleno catturato dice che Troia cadrà solo con Neottolemo e l’arco di Filottete, ma non lui stesso, Odisseo e gli altri greci pensano di rubare l’arco a Filottete. La tragedia incomincia con l’astuto Odisseo che spiega all’impetuoso Neottolemo cosa è accaduto. Sofocle giustifica l’abbandono: la ferita impediva tutto anche agli altri. Il tragediografo vuole mettere in evidenza la forza morale e fisica necessaria per resistere 10 anni lì. I due sono lì per prendere l’arco al povero abbandonato, Odisseo consiglia a Neottolemo di guardarsi intorno, il giovane vede una caverna povera con qualche straccio ( è ancora ferito ) ma lui non c’è. Odisseo chiarisce che pur ferito Filottete è un eroe formidabile con quell’arco, e si deve agire d’astuzia, Neottolemo invece ne è ripugnato e preferisce combattere fino alla morte. Più esperto, Odisseo chiarisce che Filottete con quell’arco è invincibile quindi è meglio ingannarlo: sii sleale oggi e leale poi per sempre. Ha paura che il giovane si faccia scoprire. Odisseo torna sulla nave e dice che se non ritorna presto manderà qualcuno ad aiutarlo nella bugia e invoca Atena. Neottolemo si trova nei casini, non vuole comportarsi slealmente; tuttavia non ci troviamo di fronte un contrasto buono-cattivo, perché Neottolemo si trova tra due fuochi comunque positivi.Il coro, i marinai ( persone comuni ) , hanno pietà per il malato, e anche il figlio di Achille è preso da ammirazione. Ecco che arriva proprio il malato che usa l’arco come stampella ed è felice perché sente gente parlare in greco, chiede chi siano, Neottolemo dice di essere figlio di Achille, Filottete è gioioso perché ne era amico, Neottolemo risponde e Filottete ci rimane un po’ male, chiede quindi notizie sparse sugli eroi e l’altro inventa un sacco di balle: lui se ne starebbe tornando a casa perché scandalizzato per non aver ricevuto le armi paterne. Dice di odiare Odisseo e i capi greci, per accomunarsi con l’odio a Filottete e conquistarne la fiducia. Filottete chiede di Tersite, Neottolemo mentendo dice che è ancora vivo, dice che Nestore non poteva difenderlo: i grandi eroi sono morti ed è vivo uno come Tersite. Filottete dice che “ trovando gli dei ingiusti lodo il divino ”: ha avuto 10 anni per pensare e trova conferma da queste notizie. Riflettendo sull’uomo si capisce che gli dei sono ingiusti; se noi valutiamo la vita col metro umano la troviamo ingiusta, ma andando oltre riconosciamo che tale metro è insufficiente, dobbiamo inchinarci agli dei che esigono fede perché in tutto c’è giustificazione. Filottete ha mantenuto la fede; fra lui e Neottolemo si stabilisce fiducia, Filottete lo chiama affettuosamente παι e gli racconta la sua peripezia, che ovviamente Neottolemo sa già, anche se finge di non sapere chi lui sia;Filottete è addolorato perché crede di essere dimenticato. Lui ha implorato ai passanti di riferire la situazione a suo padre , ma quello o è morto o non ha voluto venire. Filottete, con le stesse parole di Odisseo, chiede al giovane di “osare per un giorno ” e farlo salire sulla nave. Neottolemo in sostanza è riuscito nel suo intento e ha conquistato la sua fiducia, ma Odisseo non vedendolo manda un messaggero che finge di essere approdato e avere riconosciuto la nave di Neottolemo,dice che gli Atridi lo stanno cercando per punirlo. Ciò serve per affrettare, Neottolemo chiede al messaggero dove sia Odisseo, e lui gli risponde che è in cerca di un arco: si deve far sentire in pericolo Filottete. Il messaggero chiarisce che Neottolemo è nemico di Odisseo e che Filottete deve assolutamente partire. Quest’ultimo, preso l’arco, si precipita verso la nave ma gli dei intervengono facendogli avere una crisi del dolore ( finora non si era lamentato e sembrava che si fosse abituato ) . Queste crisi fanno svenire Filottete che si risveglia intontito. Nel momento immediatamente precedente allo svenimento, Filottete sapendo cosa sta per succedere dice al giovane di prendere l’arco ( glielo aveva lasciato toccare ) e di custodirlo. L’intervento eccessivo di Odisseo ha prodotto molta fiducia in Filottete e gli ha fatto sentire la necessità di fuggire riponendo la sua fiducia in Neottolemo e affidandogli l’arco. La questione ora pare risolta perché Neottolemo e Odisseo, interpretato l’oracolo, pensano che sia sufficiente l‘arco e ora potrebbero partire. Ma in Neottolemo sorge un problema religioso. Filottete ha consegnato a Neottolemo l’arco da supplice quindi protetto da Zeus; inoltre non se la sente di lasciarlo senza arco e ha un problema morale, non sa cosa fare. Il coro consiglia di andarsene, pur disposto alla pietà reagisce in base alle situazioni perché uomo normale. Neottolemo è sempre più indeciso, il malato si risveglia, vede Neottolemo ancora lì ( temeva che fosse scappato per paura di Odisseo ) e non immagina la realtà, ma dato che è rimasto lì lo ringrazia quasi commosso, perché seppur giovane ha un comportamento esemplare. Il dubbio in Neottolemo cresce ancora e Filottete lo sente borbottare, tema che lo voglia tradire non sopportando quelle condizioni. Neottolemo senza più dubbi gli dice in soldini la verità, o ha capito che l’oracolo intenda pure Filottete o che l’arco sottratto in malo modo servirebbe a poco. Filottete si sente sconcertato e tradito, si è fidato di un nemico, non si sarebbe mai aspettato una cosa simile dal figlio di Achille. Ora non lo chiama più παι ma “straniero”, neanche greco, e chiede di rendergli l’arco. Ma il giovane non lo rende, si sente colpevole e non obbietta, perché è un giovane inesperto e sente che Filottete ha ragione. Quest’ultimo inveisce contro di lui, ma lo richiama “figlio” perché gli viene spontaneo credere che in lui ci sia del giusto, ma gli rinfaccia il tradimento, con l’inganno per giunta, chiama a testimoni le uniche entità con cui lui ha vissuto: mare, coste e grotte. Neottolemo chiedendosi cosa fare si siede e piange, non ha osato rispondere al coro, la situazione è difficile da risolvere. Odisseo intanto ritiene giusto rischiare e presentarsi, Filottete si sente finito perché ha di fronte il suo nemico, dice ce Odisseo ha plagiato il giovane Neottolemo, ma l’itacese risponde che era solo volontà divina. Filottete non accetta il suo destino perché crede che tutto sia stato voluto dagli uomini e dall’astuzia di Odisseo, gli dei non potrebbero fare così. Odisseo , convinto ancora che basti solo l’arco, parla a Neottolemo della necessità di prendere l’arco, anche per la gloria della caduta di Troia. Neottolemo cede e segue Odisseo ma rimane pentito, chiede al coro di fare compagnia al malato per due minuti ( è una cazzata che sottolinea solo il rancore di Neottolemo ). Filottete si esprime un lamento, saluta tutto ciò con cui ha vissuto negli ultimi dieci anni, senza l’arco è perso. Il coro cerca di convincere il malato che è tutto volontà divina, deve mostrare saggezza e piegarsi alla volontà divina, è mentalità comune. Ma nessuno può garantire al malato che sia volontà divina, lui pensa che sia tutta colpa della malvagità degli uomini, e cedere sarebbe una debolezza. È una scelta tra la gloria ( la presa di Troia )disonorevole ( sono gli altri a decidere per lui ) e l’orgoglio onorevole. Torna Neottolemo seguito da Odisseo per rendere l’arco al malato dato che non se la sente. Il giovane non ha capito l’oracolo ma ne ha azzeccato il senso. Odisseo cerca di impedire la restituzione con dei sofismi, Neottolemo contrappone saggia astuzia alla giustizia e non si ferma neanche quando Odisseo estrae la spada ( usa la forza ) e minaccia di portargli contro tutto l’esercito. Neottolemo rende indietro l’arco e vuole fare venire Filottete a Troia ( riacquistare la gloria ) e promette di farlo guarire ( riacquistare la salute ) , ma Filottete non può cedere per orgoglio, secondo Neottolemo gli dei hanno fatto accadere tutto ma non può provarlo, Filottete dice di no, Neottolemo cede ed è disposto a portarlo in Grecia rinunciando a tutto. Appare però il DEUS EX MACHINA, Eracle, che gli garantisce tutto, così Filottete può partire per Troia. Alla partenza saluta con affetto l’isola che gli è stata vicina per 10 anni. Il semidio sostiene di avere sofferto e che le sofferenze di Filottete porteranno alla gloria, tutto è stato volontà divina, lui avrebbe ricevuto gloria dopo essere stato messo alla prova. È un DEUS non euripideo, perché spiega solo senza ordinare nulla.
EDIPO
Secondo la Cristhie si trattava del primo giallo della storia ma è sbagliato perché il pubblico sapeva già tutto, c’è una investigazione senza sorpresa. Era lo stesso Edipo adorato dagli Ateniesi nel Bosco Sacro in cui era mirabilmente scomparso, non è una vicenda solo di turpitudini ma anche di sofferenze, e il tipo di morte indica volontà divina (era entrato nel Bosco senza essere sacrilego ). È una vicenda già raccontata, con Sofocle Edipo ha già compiuto le sue azioni ( per Hegel viene punito perché ricevette troppo, è sbagliato ), è il buon re che è costretto per volontà divina a conoscere la verità. Viene chiamato τυραννος e non βασιλευς, perché? Il secondo termine indica regalità per successione, lui sarebbe legittimo re a Corinto, mentre qui a Tebe è re per aver sposato Giocasta ( anche se lui non sa la verità ). Anche Laio aveva fatto una scelta ma gli dei sapevano che lo avrebbe voluto. Siamo ovviamente nel giorno fatale, il prologo è assai strano, c’è Edipo isolato da un gruppo ( non il coro ) il cui portavoce è un vecchio sacerdote, gruppo della popolazione di Tebe, città colpita da una tremenda peste. Chiamandoli figli chiede perché siano lì a piangere, il sacerdote dice che la città è in una situazione terribile e sono veduti per chiedere aiuto al re, non perché simile ad un dio ma perché è molto stimato, è un’ uomo capace e pio. Già una volta li ha salvati certamente aiutato da un dio, e non è neppure presuntuoso, confida negli dei. Aggiunge una frase a doppio senso :“per gli uomini sperimentati le vicende delle deliberazioni sono particolarmente vive”.
1. un uomo esperto sa decidere meglio degli altri;
2. le conseguenze delle sue decisioni stanno per piombargli addosso.
Edipo, da buon re, risponde di sapere già, lui soffre più della stessa città perché soffre anche per lei ( è un ottimo re ), ha preso la classica decisione da uomo pio, manda a consultare l’oracolo il cognato Creonte ( nelle tragedie è un tappabuchi mostruoso, mette le pezze dove serve ), chiedendo cosa bisognasse fare per far cessare la pestilenza. Si preoccupa per il ritardo del cognato, ma ecco che quello arriva col responso vago di Apollo: c’è la peste perché nella città c’è l’uccisore di Laio ( quindi nella visione greca il re contamina il popolo ). Il coro è composto dai notabili della città. Edipo chiede che il colpevole si autodenunci, promettendogli l’impunità perché ci penserà il dio a punirlo, lui vuole solo sbatterlo fuori dalla città, chiede che chi sappia qualcosa lo dica o lo mostri esplicitamente ( non facendo entrare in casa sua l’assassino ). Nessuno si denuncia, quindi, invocato il dio, intraprende un’indagine obbligatoria. Ad un tratto chiede come sia morto Laio. È ridicolo: possibile che in 15 anni non abbia mai saputo niente sulla morte del vecchio re, oltretutto ex-marito della moglie, è un difetto colossale di Sofocle che va perdonato, anche se irrazionale. Gli viene risposto che Laio e il suo seguito furono uccisi da briganti, è quello che ha riferito l’unico superstite. Si potrebbe chiamare il testimone, ma la tragedia finirebbe subito e non si adatterebbe al carattere di Edipo, che al posto di chiamare un uomo chiama il cieco indovino Tiresia con un fanciullo, che sa tutto ma ha taciuto per pietà di Edipo. Ma tale silenzio ha ucciso un mucchio di Tebani, in un primo momento tenta di non parlare anche se messo alla strette dalla richiesta di Edipo, perché ha molta pietà. Edipo si rivolge con deferenza all’indovino, che è cieco ma può vedere ( motivo comune della tragedia ) con la mente, e si fida di lui. Ma quando Tiresia si chiude come un riccio, il re si incavola non per collera ma perché vuole salvare la città, cerca di calmarsi, segue un altro rifiuto, incomincia ad arrabbiarsi continuando a non capire, finché Tiresia non esplode. Se lui parlasse subito la tragedia finirebbe subito , ma Sofocle vuole che risponda dopo essere insultato. Risponde infatti in un momento di estrema collera, Edipo non è portato a credere e prosegue nella sua ricerca ( come vogliono gli dei ) mosso dall’inquietitudine. Tiresia arriva alle frasi nette e parla anche della madre, “ vivi con chi ti è più vicino ”, Edipo lo minaccia e lo insulta, ma nel discorso salta fuori anche Creonte: perché ? Edipo non crede di essere l’assassino di Laio ma pensa che Tiresia parli sobillato da Creonte, l’unico interessato; per Edipo è l’unico ragionamento possibile. Pensa che Tiresia non sia un profeta, il coro cerca di calmarlo, e Tiresia, protetto da Apollo e ora appoggiato dal coro, gli risponde a dovere e gli rivela chiaramente chi sia, cosa ha commesso e pure che si accecherà, ma anche in questa furia vede Edipo come lo sventurato. Edipo lo scaccia, Tiresia dice che era venuto perché chiamato da lui, Edipo dice che non sapeva come fosse, Tiresia dice che ai suoi genitori sembrava saggio, Edipo chiede qualcosa su di loro, Tiresia mosso da pietà lo colpisce laddove è più orgoglioso ( capacità di risolvere gli enigmi ) e dice che quel giorno “ nascerà e si accecherà ”, poi se ne va . È un’accusa tanto tremenda quanto vaga, Edipo non ci crede e pensa sia un complotto organizzato contro di lui, ecco che arriva proprio Creonte a difendersi, c’è una litigata fra i due e il coro li calma, Edipo con senso di giustizia cede perché non ha prove. Giunge Giocasta richiamata dal litigio e si apre una discussione tra lei ed il marito, che dimostra di stimare la moglie molto più dei notabili, e la moglie mostra un grandissimo affetto: è un rapporto istintivo madre figlio. Edipo chiede per la prima volta alla moglie notizie sulla morte di Laio e lei per la prima volta si rende conto che i due si assomigliano ( più irrazionale di così ). Edipo è pio e crede che gli oracoli siano giusti, quindi per lui Tiresia ha parlato come uomo, anche Giocasta è pia ma non crede negli oracoli perché pensa che l’uomo non sia in grado di predire il futuro ( ma non è empietà, sono i ministri del culto a sbagliare ) , e cerca di convincerne anche il marito ( possibile che questo non riesca a capire un tubo della predizione ?). Secondo l’oracolo di Edipo lui avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, ma è un ’oracolo che anche Laio doveva sapere, perché Giocasta non lo cita ? Lei crede che il figlio sia morto, e il greco ha repulsione dell’incesto. Ma dal racconto di Giocasta sopravvengono due indizi. Primo indizio: Giocasta dice che il marito fu ucciso in un incrocio a tre strade. Secondo indizio: la donna dice che il figliolo fu appeso per i piedi ( Edipo = piedi gonfi ). Edipo si turba non per il secondo ma per il primo indizio, Giocasta dice un’empietà, per lei il dio ha sbagliato l’oracolo ( credendo il figlio morto è tranquillo, perché l’incesto la spaventava ). Edipo turbato chiede dove si trovi quell’incrocio ( ma lui non aveva mai fatto parte di una banda né aveva visto insegne reali ), ora le parole di Tiresia lo stanno turbando e l’indizio aumenta l’ansia. Lei risponde, e coincidono tempo e luogo, Edipo comincia a sospettare di essere l’assassino di Laio e quasi si ribella al destino ( “Zeus che vuoi?” ) perché qualcosa non quadra. Lei descrive Laio notando una grossa somiglianza con Edipo. Coincidono troppe cose, anche l’accompagnamento ( solo quattro persone, troppo poco per un re, come un uomo comune ), Edipo chiede di vedere il superstite, che aveva capito tutto e, sentitosi responsabile, per non vedere l’incesto chiese di essere trasferito in campagna. Giocasta chiede perché voglia vederlo, Edipo allora racconta la sua storia. Inquieto già da giovane, va a consultare l’oracolo di Delfi per sapere la paternità, di nascosto da suoi per non offenderli, il dio dice che avrebbe fatto incesto con la madre e ucciso il padre, convinto che i suoi genitori fossero quelli lì a Corinto fugge dalla città arrivando in quel famoso incrocio ( lui teme di essere l’assassino di Laio contro cui ha lanciato un bando, ma non può tornare a Corinto perché ucciderebbe il padre ), racconta cosa successe lì, Laio ha commesso un’ingiustizia e Edipo gli ha giustamente risposto ( Edipo non immagina ancora dell’incesto ). Lui contamina il letto e la moglie del morto, ma insiste che i suoi genitori sono a Corinto. Ogni tanto si lamenta del suo destino ma riprende subito. Il coro dice di aspettare il testimone, Edipo vuole capire se Laio fu ucciso da una banda. Giocasta dice ancora di non credere all’oracolo, perché comunque sia morto Laio non è morto secondo l’oracolo. Ora si deve sapere cosa accadde. Mentre Edipo attende il superstite, arriva un αγγελλος da Corinto con una notizia triste ( è morto il re Polipo ) e una bella ( il popolo attendeva Edipo come re ). Ma se Polipo è morto Edipo non può ucciderlo e Giocasta canta vittoria. Edipo vuole credere all’oracolo e dice che forse l’ ha ucciso indirettamente per il desiderio di lui (o perché Edipo se ne andò o perché Edipo desiderava che Polipo morisse per non ucciderlo lui ), vuole salvare gli oracoli. Comunque non vuole tornare a Corinto per non unirsi alla madre Merope ( culmine dell’ironia tragica ). Ma l’ αγγελλος credendo di tranquillizzarlo dice che lui non è figlio de sovrani di Corinto, Edipo si terrorizza, l’ αγγελλος spiega che lui stesso lo prese da un pastore che lo aveva trovato coi piedi trapassati da una cinghia. Giocasta capisce che l’oracolo si è realizzato e rientra in casa per uccidersi, Edipo crede che lei si vergogni a essersi sposata con un plebeo, si sente un self-made man figlio della τυχη. Arriva il superstite che come Tiresia si sente pietoso e cerca di non parlare di un destino così terribile, e inoltre era stato lui a salvare il neonato per pietà, e vedendo Laio morto si sente responsabile, l’ αγγελλος dice che quel neonato fu Edipo, il servo superstite cerca di zittirlo, Edipo lo minaccia perché schiavo, il servo cede e rivela tutto, diede quel neonato consegnatogli dalla “gente di Laio”, Edipo lo obbliga a fornirgli precisazioni, il servo risponde che si diceva fosse il figlio di Laio stesso, dato dalla madre per ucciderlo, quindi si deve chiedere a Giocasta, l’orrore di quell’oracolo era così grande da spingere Giocasta a uccidere il figlio. Edipo capisce tutto e dice che non vedrà più la luce. Il coro non prova orrore ma pietà, racconta la sua vita ( si parla di Giocasta come del porto cui si approda ). Il coro dice che “chiusi un occhio” ( ci hai salvato e resi tranquilli ). Edipo entra nella casa e l’ αγγελλος annuncia la morte di Giocasta, Edipo si acceca perché non poteva entrare nell’Ade vedendo i suoi, chiede a Creonte di diventare re, di poter andare sul Citerone ad abbracciare i figli. Quelli maschi erano capaci di difendersi,mentre raccomanda le ragazze, perché in quanto figlie di incesto saranno evitate. Dice che non può più contaminare, ha realizzato l’oracolo di Tiresia, perdere gli occhi ma non la vista della mente, perché accettando il destino soffre per purificarsi e quindi non è più impuro, inoltre dice che un destino così potevano mandarlo solo a lui ( gli dei mandano dolore solo nei limiti della sopportabilità di ogni individuo, e lui era un grande eroe ). Riconosce di poter sopportare quel dolore ( non è superbia ) e accetta la prova che gli mandano gli dei, senza maledirli né ribellarsi. Finisce qui la tragedia ma non la sua vicenda.
EDIPO A COLONO
È l’ultima tragedia di Sofocle, la compose a 92 anni, è statica e senza azione, ma spiegazione, è una tragedia per così dire stanca. Nessuna azione umana disturba gli avvenimenti, Edipo arriva a Colono guidato dagli dei e muore lì. I maligni commediografi dissero che Sofocle fu ucciso perché un’aquila per spaccare una tartaruga la gettò sul suo cranio pelato scambiato per un sasso. A proposito di Sofocle dicono che venne ucciso dalle donne ( perché considerato misogino ). Sempre ritratto felice nelle statue, si dice anche che morì soffocato da un acino d’uva ( vino in pillole ), per rendere l’idea del gaudente. In effetti era amante dei bei fanciulli e si godette la vita, ebbe molti figli illegittimi, quello legittimo, il tragediografo ( sfigato ma favorito dal padre ) Sofocle il Giovane, per non perdere l’eredità cercò di fare interdire il padre ( a 92 anni era più che possibile ), ma Sofocle in tribunale recitò l’elogio finale dell’Edipo a Colono e vinse la causa. È una vicenda verosimile, così come il fatto che questa sia l’ultima tragedia, mentre risulta anomalo tale elogio. Dipinge valli ricche di ulivi e di canti di uccellini, e viti cariche d’uva. Molti fiori e crochi, tante sorgenti alimentano un fiume, si fa un’ accenno all’Asia; si parla di una pianta di ulivo sacra perché dono di Atena e quindi non colpita neanche dai nemici ( Zeus morio = protettore degli ulivi ); tutto è un’eterna coltivazione. In Acaia c’erano allevamenti pregiati di cavalli, dono di Poseidone; dono del dio fu pure la nave. Ma è un’ elogio troppo materiale senza caratteristiche storico-morali, Sofocle sembra esaltare solo la fortuna degli ateniesi per una terra e animali fantastici, gli dei avrebbero favorito Atene con doni favolosi ( però dopo questo elogio Antigone dirà che non si loda la città senza lodare la sua ευσεβεια ). Comunque questa tragedia parla della morte di Edipo, arriva accompagnato da Antigone che lo ha seguito mentre lui mendicava cieco nelle varie città; lei ha l’età per aiutarlo. Gli dei lo indirizzano a Colono, demo di Atene, nel bosco sacro delle Eumendi. Nel prologo Antigone dà l’idea di un Edipo vecchio e stanco, e di lei come una figlia premurosa, però non sanno dove sono. Arriva un’ateniese; Edipo chiarisce che le sofferenze gli hanno insegnato molto ma lui ha conservato coraggio e magnanimità, e poi chiede dove siano. L’ateniese, non sapendo chi è Edipo, vedendolo entrare nel bosco sacro, lo avverte che quello è un’ atto impuro. Ma Edipo sa dove sta andando e dice che da lì non uscirà più, e rivela la sua identità. L’ateniese atterrito per l’atto impuro e per l’identità del vecchio corre a chiamare i saggi. Edipo rivolge una preghiera; lui è stato perseguitato da Apollo, chiarisce che il dio gli disse che avrebbe trovato la pace in quel bosco, la sua è una preghiera serena, ricorda le sofferenze in modo distaccato, quasi come un alleato di Apollo, chiede benevolenza. Arriva il coro molto spaventato, lo vede in quelle condizioni e lo chiama “ vecchio infelice ”, Edipo non risponde ma il coro esaspera i toni e gli chiede di uscire da lì, poi gli domanda la sua identità. Edipo risponde, il coro inorridito chiede “Hai fatto..” ma Edipo lo interrompe dicendo “ sì, ma non volevo “. Edipo è l’impuro che contamina, il coro gli chiede di andarsene, Antigone accetta subito ( l’uomo non può sfuggire al destino imposto dal dio ), lei non può capire la catarsi di Edipo e si limita a chiedere pietà. Il padre dice cose strane, di essere sacro, pio e portatore di bene; ma è ormai fuori dal mondo e ispirato dal dio, spiega quindi i due tipi di purezza:
1. non commettere nulla materialmente;
2. spirituale ( più nobile ), commettere senza volere
Edipo ha pagato con la sofferenza le sue colpe materiali, ora tale pagamento è finito, e lui rivendica la sua purezza spirituale. Arriva Ismene, degna della sorella, ma rimasta a Tebe perché piccola, è venuta a cercare il padre. Momento di gioia e Edipo chiede notizie dei due suoi figli maschi. Nell’Edipo Re c’era un’antitesi finale tra le figlie deboli e i figli capaci di difendersi, ora si capovolge, Edipo dice che figli e figlie sono come gli Egiziani. E qui c’è bisogno di soffermarsi un poco. Nell’Antigone, quando lei è in punto di morte, dice che se Polinice fosse marito o figlio, se ne sarebbe potuto procurare un altro, ma non poteva procurasi un altro fratello; è un pensiero troppo rigido in un momento così duro, tutti la ritennero un’interpolazione ( pure Goethe ). Ora Edipo tira fuori gli Egiziani(uomini a casa e donne fuori ) , cosa significa ? Le figlie lo hanno sostenuto faticando nei pericoli. È un punto poco osservato, questa tragedia è poco considerata anche perché statica e meditativa, ci si interessava all’Antigone. Il Canfora disse che questo pezzo degli Egiziani è più strambo di quello dell’Antigone, ma notò pure una cosa. Sofocle ospitò e scrisse un’elegia per Erodono, che scrisse cose simili sugli egiziani , popolo che il greco vedeva di cattivo occhio, anche perché veneravano animali, inoltre era difficile per il greco pensare alla donna fuori casa, e questo rapporto scandaloso fu considerato la prova di un mondo capovolto. Sempre Erodono raccontando la storia di un generale persiano, parla di una donna che essendogli stato rapito il figlio, evita di consegnarsi dicendo che può averne altri. Quindi sono due citazioni omaggio a Erodoto. Dopo la partenza di Edipo regna Creonte; Ismene racconta che i figli si erano impegnati a non prendere il potere perché impuri, ma ora dopo averlo assunto litigavano. Secondo l’oracolo avrebbe vinto chi avesse avuto Edipo dalla sua parte; Edipo maledice i figli perché non si sono sentiti impuri, non hanno richiamato il padre nei suoi vagabondaggi ma ora la vogliono sfruttare per arrivare al potere. Arriva Teseo, grande eroe, che accoglie bene l’altro eroe Edipo, sapendo che tutte quelle cose potrebbero accadere anche a lui, chiede cosa succeda. Edipo spiega tutto, la chiamata non è un bene, Teseo si offre di difenderlo dai figli. Il coro loda Colono. Arriva inviato da Tebe, da parte di Eteocle che ha sbattuto fuori il fratello, Creonte arrivato senza scorta non vuole esigere, ma cerca di mostrasi amico e vuole convincere Edipo. Si rivolge a lui con un bel discorso per non urtare i cittadini, ma a questi dolci proposte Edipo presenta la volontà di non muoversi con una sicurezza che proviene dagli dei, dice che nessuno lo prenderà contro il suo volere. A tale risposta negativa Creonte passa alle maniere forti, si era premunito rapendo Ismene, è un ricatto, dice che deve tenersela perché il padre cieco non può proteggerla. Edipo chiama Teseo che per proteggere i supplici ( visione generale di Atene ) è disposto a fare una guerra. Creonte se ne va, e c’è l’ultima prova per Edipo. Arriva infatti Polinice, anche lui colpevole di non aver aiutato il padre, ha del male ma anche del bene, ama le sorelle ed è veramente pentito, le figlie cercano di convincere il padre ma lui non risponde. Anche se ha pietà questa contrasta con la giustizia, Polinice se ne va affranto. Edipo sente un tuono di Zeus e capisce, quindi se va senza le figlie ma con Teseo ( anche lui perciò può entrare nel bosco ) per lasciargli un messaggio. Arriva indi un αγγελλος che annuncia come è scomparso Edipo. Seppur cieco è andato in mezzo al bosco, seguì un altro tuono di avviso di Zeus ed Edipo, fatte le libagioni, allontana tutti tranne Teseo. Edipo scompare e la luce è così accecante che Teseo deve coprirsi il volto, si gira ma il vecchio non c’è più, non si capisce come sia finito. Teseo tornato non svela la fine del vecchio ma il suo messaggio: finché Teseo manterrà il segreto sulla sparizione, Atene sarà protetta dagli dei. Teseo biasima le figlie che si lamentano e dice che invece devono elogiare il padre. Teseo dice “ egli fece”, Ismene aggiunge “ come volle”, opposto della frase iniziale.
1. è morto come voleva;
2. Edipo ha fatto sua la volontà degli dei avendola capita, per questo gli dei lo fanno scomparire in maniera anomala.
È l’ultimo approdo del pensiero di Sofocle. Partendo da un’ Aiace che pagava una colpa, passando per un ’Antigone che pagava una colpa non sua, un Filottete che accetta la volontà divina un Eracle che paga la sua parte umana, si arriva al caso estremo di Edipo, che paga la sua impurità materiale essendo puro moralmente, diventando protettore di una città e venerato, seppur impuro, accettò l’espiazione della sua colpa involontaria. Sofocle fu il più amato e vinse 18 volte: strano ( perché somma degli altri due ) ma possibile.
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