Vita e opere di Sallustio

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Testo

Sallustio
VITA: Storico latino (Amiterno Sabina 86-ca. 34 a. C.). Nato da famiglia di origine plebea ma facoltosa, fin da giovane si diede alla vita politica e si conformò ai costumi corrotti della società del tempo, pur non mancando in lui serie inclinazioni alla filosofia unite a una rigorosa tempra morale. Seguì infatti con interesse le tendenze allora in voga del neopitagorismo e guardò sempre alla decadenza della sua epoca con risentimento e rimpianto per le virtù antiche dei Romani. Questo dissidio è presente in tutta la sua vita privata e pubblica e anima le sue opere, dove abbondano i giudizi severi e le digressioni moraleggianti. Prima questore, S. era nel 52 a. C., anno in cui fu assassinato Clodio, tribuno della plebe e fu tra gli oppositori più accaniti di Cicerone nella sua difesa dell'uccisore di Clodio, Milone. Pare non fossero assenti dalla sua avversione anche motivi personali, poiché S. era stato sorpreso in adulterio con la moglie dello stesso Milone e da lui punito. Nel 50 venne radiato dal Senato per immoralità, o piuttosto per motivi politici, ma ben presto venne riammesso da Cesare, ormai padrone dello Stato romano. Cesare gli affidò vari incarichi militari: il comando di una legione, da lui esercitato con scarso successo, quindi la pretura in Africa e il governatorato della Numidia, nel 46 a. C. In quel posto accumulò ingenti ricchezze, e al suo ritorno a Roma fu accusato di saccheggio della provincia, ma poi assolto. Alla morte di Cesare si ritirò a vita privata nella fastosa villa (gli Horti Sallustiani) da lui acquistata e abbellita
OPERE: Si discute molto se già prima S. avesse scritto una Epistula ad Caesarem senem de re publica e un'Invectiva in Ciceronem, che ci sono conservate da un manoscritto di estratti delle sue Historiae. Certo agli ultimi anni della sua vita risalgono le sue tre importanti opere storiografiche (Bellum Catilinarium, Bellum Iugurthinum e Historiae), opere soprattutto letterarie ma anche di forte intervento politico. Sia nella scelta degli argomenti e del periodo, sia nell'esplicita polemica, S. continua la sua battaglia contro la nobiltà, dimostrando la corruzione dei governi e della legge aristocratica, la degenerazione dello Stato e l'opportunità di riformare la repubblica dando in essa più spazio ai ceti popolari. Il Bellum Catilinarium o De Catilinae coniuratione (La congiura di Catilina*) fu pubblicato probabilmente nel 43: dopo un proemio d'ispirazione filosofica, S. dà un resoconto degli avvenimenti (la congiura dei Catilinari che portò Roma sull'orlo del crollo nel 63 a. C.) in modo opposto a quello di Cicerone, dimostrando le responsabilità primarie degli ottimati in tutta la vicenda e mettendo in bella luce Cesare. L'episodio, assai oscuro, non riceve tanto chiarezza dalla breve monografia sallustiana, quanto piuttosto rivive in essa con grande drammaticità e vivezza insieme ai suoi protagonisti, che sono delineati potentemente. Il Bellum Iugurthinum, pubblicato verso il 41, racconta la guerra sostenuta da Roma contro il principe nordafricano Giugurta fra il 111 e il 106 a. C. Dopo la consueta introduzione e la presentazione del re numida accompagnata dall'analisi della sua personalità dall'adolescenza all'età matura, si mostra sempre la completa inettitudine dei molti comandanti aristocratici inviati a combatterlo e le virtù invece del plebeo Gaio Mario, che capovolse la situazione in favore di Roma. Così anche un evento esterno viene assunto a motivo della polemica interna sallustiana. L'opera, più ampia della precedente, si giova anche dell'esperienza diretta fatta da S. in quei luoghi. Sono perdute per noi quasi interamente le Historiae, che in 5 libri trattavano gli anni dal 78 al 67, ossia dalla morte di Silla alla fine della guerra contro i pirati; è probabile che fossero l'opera più importante di S., anche se le due monografie superstiti mostrano come questo genere storiografico si adattasse bene agli intenti e al temperamento dello scrittore, permettendogli una forte concentrazione dei suoi ideali e un'intensa trattazione. S. prende a modelli gli scrittori arcaici di Roma, come Catone, e, fra i Greci, Tucidide, scrittore austero, denso, penetrante, anche se non lo imita nel rigore storiografico. Il suo stile è caratterizzato da termini e costrutti arcaici, periodi brevi e asimmetrici, con gioco di antitesi. Il calore della passione e la tensione delle idee sostengono continuamente la sua prosa, di forte colorito poetico e di avvincente interesse per il lettore. Memorabili i ritratti dei protagonisti delle due sue opere, Catilina e Giugurta. La fortuna dell'opera di S. fu in ogni tempo grandissima: ammirata già da Tacito e Quintiliano, fu molto letta nel Medioevo e nel Rinascimento e ancora in epoca moderna come esempio di alta e severa moralità.
BELLUM IUGURTHINO
Paragrafo 6
LATINO
Qui ubi primum adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxime ingenio validus, non se luxu neque inertiae corrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari; cursu cum aequalibus certare et, cum omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire: plurimum facere, [et] minimum ipse de se loqui. Quibus rebus Micipsa tametsi initio laetus fuerat, existimans virtutem Iugurthae regno suo gloriae fore, tamen, postquam hominem adulescentem exacta sua aetate et parvis liberis magis magisque crescere intellegit, vehementer eo negotio permotus multa cum animo suo voluebat. Terrebat eum natura mortalium, avida imperi et praeceps ad explendam animi cupidinem, praeterea opportunitas suae liberorumque aetatis, quae etiam mediocris viros spe praedae transversos agit, ad hoc studia Numidarum in Iugurtham accensa, ex quibus, si talem virum dolis interfecisset, ne qua seditio aut bellum oriretur, anxius erat.
ITALIANO
Costui (Giugurta), divenuto un giovane gagliardo ed attraente, ma soprattutto ragguardevole per l’intelligenza, non si lasciò corrompere dalla lussuria e dagli ozi, ma, secondo gli usi della sua gente, cavalcava, lanciava il giavellotto, gareggiava con i coetanei nella corsa: e, benché superasse tutti, tuttavia, era caro a tutti. Inoltre trascorreva la maggior parte del tempo a caccia, era il primo o fra i primi a ferire il leone e simili fiere: agiva moltissimo, di sé parlava pochissimo. Dapprima Micipsa era stato contento di tutto questo, credendo che dal valore di Giugurta sarebbe venuta gloria al suo regno; tuttavia, vedendo il valore di quel giovane aumentare sempre più, mentre egli era vecchio e i suoi figli piccoli, iniziò a preoccuparsi profondamente per tale stato di cose, rivolgendo in sé molti pensieri. Lo spaventava la natura umana, avida di potere e decisa a soddisfare le proprie passioni, e inoltre l'opportunità della sua età e di quella dei suoi figli, adatta con la speranza di un facile successo a sviare anche gli uomini meno ambiziosi; lo atterriva, infine, la grande simpatia dei Numidi per Giugurta, era timoroso che nascesse la qualche rivolta o una guerra civile, se avesse ucciso con gli inganni un tale uomo.
Paragrafo 41
LATINO
Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum, quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat, plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum, uti quisque potentiori confinis erat, sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere, polluere et vastare omnia, nihil pensi neque sancti habere, quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt, qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent, moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio tarare oriri coepit.
ITALIANO
Del resto, la divisione invalsa fra partito popolare e gruppi nobiliari, con tutte le sue conseguenze negative, aveva avuto inizio a Roma pochi anni prima, causata dalla pace e dall'abbondanza di tutti quei beni che gli uomini considerano di primaria importanza. Prima della distruzione di Cartagine, il popolo e il senato di Roma governavano insieme la repubblica con misura e con moderazione e i cittadini non lottavano tra loro per ottenere gloria e potere: la paura dei nemici teneva i cittadini sulla giusta condotta. Ma svanito quel timore dai loro animi, subentrarono, com'è naturale, la sfrenatezza e l’arroganza, compagne inseparabili della prosperità. Così quella pace che avevano tanto desiderata nei momenti difficili, una volta conseguita, si rivelò ancora più dolorosa e acerba. Infatti la nobiltà incominciò a trasformare in abuso la propria autorità, il popolo la propria libertà: ognuno si diede a prendere per sé, a rubare. Così tutto fu diviso fra due partiti e la repubblica, che era sempre stata un bene comune, fu dilaniata. Peraltro i nobili erano più forti per la loro salda coesione, mentre la forza della plebe disunita e dispersa nella massa si faceva sentire meno. Sia in pace sia in guerra si viveva sotto l'arbitrio di pochi; nelle loro mani vi erano l’erario, le province, le magistrature, gli onori e i trionfi. Il popolo era oppresso dal servizio militare e dalla miseria, mentre i condottieri dividevano il bottino con pochi altri. Intanto i padri e i figli piccoli dei soldati, se per caso era loro vicino uno più potente, venivano estromessi dalle loro terre. Così la cupidigia, stimolata dal potere, si diffuse ovunque, senza modo né misura, portando con sé corruzione e devastazione e non avendo rispetto né timore religioso, finché precipitò in rovina da sola. Infatti, non appena alcuni uomini si distinsero dalla fazione dei nobili che preferivano la gloria a un poetre iniquo, la città si scosse e scoppiò la lotta civile come un terremoto.
Paragrafo 42
LATINO
Nam postquam Ti. Et C. Gracchus, quorum maiores Punico atque aliis bellis multum rei publicae addiderant, vindicare plebem in libertatem et paucorum scelera patefacere coepere, nobilitas noxia atque eo perculsa modo per socios ac nomen Latinum, interdum per equites Romanos, quos spes societatis a plebe dimouerat, Gracchorum actionibus obviam ierat; et primo Tiberium, dein paucos post annos eadem ingredientem Gaium, tribunum alterum, alterum triumuirum coloniis deducendis, cum M. Fuluio Flacco ferro necauerat. Et sane Gracchis cupidine victoriae haud satis moderatus animus fuit. Sed bono vinci satius est quam malo more iniuriam vincere. Igitur ea victoria nobilitas ex libidine sua usa multos mortalis ferro aut fuga extinxit plusque in relicuum sibi timoris quam potentiae addidit. Quae res plerumque magnas civitatis pessum dedit, dum alteri alteros vincere quouis modo et victos acerbius ulcisci volunt. Sed de studiis partium et omnis civitatis moribus si singillatim aut pro magnitudine parem disserere, tempus quam res maturius me deseret. Quam ob rem ad inceptum redeo.
ITALIANO
Quando Tiberio e Gaio Gracco, gli avi dei quali durante la guerra Punica e in altre guerre avevano molto giovato alla repubblica, incominciarono a rivendicare la libertà della plebe e a denunciare i reati dell'oligarchia, la nobiltà, sapendosi colpevole, fu presa dal terrore. Essa si era opposta, perciò, all'esecuzione dei progetti dei Gracchi, ora per mezzo degli alleati e dei Latini, ora per mezzo degli Equestri, che erano riusciti a distaccare dalla plebe la speranza di associarsi ai nobili. Per primo soppressero Tiberio, qualche anno dopo Gaio, che seguiva le orme del fratello, tribuno della plebe il primo, triumviro per la deduzione delle colonie il secondo; e con loro M. Fulvio Flacco. A dire il vero, per smania di vincere ,che i Gracchi non abbiano saputo mantenere una condotta moderata. Ma per l'uomo onesto è meglio essere vinto che trionfare sull'ingiustizia con mezzi illegali. Infatti i nobili abusando di quella vittoria secondo il loro capriccio, annientarono molti cittadini con le armi o con l'esilio e furono da allora più temuti che potenti. Questa è la causa che ha mandato spesso in rovina stati potenti, in quanto gli uni vogliono prevalere ad ogni costo sugli altri e infierire sui vinti ferocemente. Ma se io volessi esporre in particolare e con l'ampiezza che il soggetto merita delle lotte dei partiti e dei costumi di ogni stato, mi mancherebbe il tempo prima che l’argomento. Riprendo perciò il mio racconto

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