Valerio Massimo - Curzio Rufo

Materie:Appunti
Categoria:Latino

Voto:

2 (2)
Download:319
Data:20.07.2007
Numero di pagine:4
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
valerio-massimo-curzio-rufo_1.zip (Dimensione: 5.3 Kb)
trucheck.it_valerio-massimo--curzio-rufo.doc     24.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Valerio Massimo

Di Valerio Massimo possediamo scarse notizie, tutte desunte dalla sua opera, i Factotum et Dictorum memorabilium libri novem (“Fatti e detti memorabili”) composti in età tiberiana. Di modeste condizioni, si pose sotto la protezione di Sesto Pompeo, proconsole in Asia.

L’opera, dedicata a Tiberio, fu certamente pubblicata dopo il 31, anno in cui fu condannato a morte Elio Seiano, il potente ministro del principe. A Seiano si allude, infatti, nella parte conclusiva dell’ultimo libro, fra gli esempio di facta scelerata, in un capitolo che ha tutta l’aria di essere stato aggiunto a lavoro compiuto, forse nell’imminenza della pubblicazione. Qui come in altri passi Tiberio è esaltato come “supremo difensore della nostra incolumità”.
Divisa in nove libri, di cui il primo giunto mutilo, destinata prevalentemente alle scuole di retorica, l’opera appare come un vasto repertorio di exempla memorabili, una sorta di rassegna di vizi e virtù. Ogni libro comprendeva infatti una serie di rubriche organizzate a loro volta in brevi paragrafi e divise generalmente in due sezioni, una dedicata agli esempi romani, l’altra agli esempi stranieri.
Manca completamente ogni tentativo di ordinamento cronologico dei fatti; la storia si frantuma in una serie di aneddoti disseminati in 94 rubriche di carattere morale.
Il passaggio da un episodio all’altro è spesso estrinseco: quello che conta è la dimostrazione, l’incasellamento dell’episodio nella sua rubrica.
Valerio Massimo non è propriamente uno storico: storici sono soltanto i materiali di base che utilizza. Le vicende romane, che occupano lo spazio maggiore dell’opera, si riducono a un ampio repertorio di fatti ormai destituiti della loro valenza storiografica.
Lo stile, spesso riccamente elaborato e segnato da capricciose disuguaglianze, rivela la sua derivazione scolastica e retorica: ricerca di forme elaborate e spesso artificiose, un lessico prezioso e un frequente uso di figure.
Godette di grande fortuna nei secoli successivi, come in genere tutte le opere che presentavano una struttura di tipo enciclopedico e una finalità edificante.

Curzio Rufo

Nulla, tranne il nome, conosciamo di Quinto Curzio Rufo, autore di un’opera intitolata Historiae Alexandri Magni in dieci libri, giuntaci mutila dei primi due e del proemio. Altre lacune si incontrano poi nei libri successivi.

L’unica indicazione utile per collocare l’autore si trova in un passo di stile lussureggiante e concettoso della sua stessa opera.
Il legame con la narrazione e il significato del passo sono espressamente chiariti nei paragrafi precedenti: la morte di Alessandro provocò bella civilia e la frantumazione dell’imperium, che avrebbe potuto reggersi esclusivamente sotto il comando di uno solo. Allo stesso modo, prosegue l’autore, il popolo romano deve essere grato al nuovo princeps, che ha salvato l’unità dello stato in un momento di grave pericolo e di smarrimento, quando si era sull’orlo di una nuova guerra civile.
Attraverso l’uso del verso caligare alcuni studiosi hanno ipotizzato un riferimento a Caligola, morto assassinato nel 41. Il princeps sotto cui il mondo sarebbe tornato a “rinverdire” e a “fiorire” sarebbe dunque Caligola. Curzio Rufo avrebbe allora scritto la sua opera nell’età di Caligola, portandola a conclusione nei primi mesi del regno di Claudio: di qui l’inserzione del passo elogiativo nelle ultime pagine delle Historiae.

La collocazione dell’opera negli anni del principato di Caligola e di Claudio sembra in ultimo confermata anche dall’interesse e dalle polemiche proprio allora suscitati dalla figura di Alessandro, proposto ufficialmente da Caligola come il più alto modello di sovrano, additato al contrario dagli esponenti del ceto senatorio come il massimo esempio di tirannide.
L’opera narra la vita e le imprese di Alssandro Magno dall’ascesa al trono fino alla morte. Stante la dispersione dei primi due libri, il racconto ha per noi inizio nella primavera del 333: Alessandro ha già da tempo abbandonato la Macedonia e si appresta all’immane scontro con l’imperatore persiano Dario, che viene gravemente sconfitto ad Isso ed è costretto alla fuga, mentre i famigliari cadono prigionieri dei Macedoni.
Con l’opera di Curzio Rufo la storiografia latina fa il suo ingresso nei territori fino ad ora poco esplorati del romanzo esotico e avventuroso. Protagonista non è più il popolo romano o uno dei suoi rappresentanti ma un eroe macedone che si inoltra gradualmente nelle regioni ignote di un mondo barbaro e remoto, completamente diverso da quello noto agli occidentali: Curzio Rufo sa appagare la curiosità dei lettori senza cadere nel gusto sfrenato dei mirabilia, conservando almeno nelle intenzioni il distacco e l’imparzialità dello storico.
Il racconto, sempre mosso e piacevole, ricco di excursus etno-geografici, di discorsi, di epistole, di accurate e pittoriche descrizioni di paesaggi, di vivaci ritratti umani, obbedisce al canone ellenistico della varietà.
Al centro degli avvenimenti campeggia la figura epico-romanzesca di Alessandro Magno, straordinario nei vizi e nelle virtù, dunque generoso e crudele, spietato e clemente.

Lo stile di Curzio Rufo è nel complesso piano e scorrevole, con una sintassi che richiama Livio, dichiaratamente modello per alcuni discorsi.
Le Historiae di Curzio Rufo andarono presto ad alimentare il fascinoso romanzo sul sovrano macedone, influenzando direttamente il Romanzo di Alessandro, un’opera in lingua greca che circolò liberamente in Oriente e che aebbe successo nel medioevo.

Esempio