Tibullo - Elegiae II,4, 35-60

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Testo

TIBULLO-Elegiae II.35-60
Ahimè! Qualunque dio diede bellezza ad un’avida, quale bene aggiunse a molti mali! Da ciò risuonano pianti e risse; infatti questa causa ha fatto in modo che Amore ora sia un dio malfamato. A te, che escludi gli amanti vinti dal prezzo, il vento e il fuoco strappino le ricchezze accumulate; anzi i giovani guardino lieti l’incendio delle tue cose, e nessuno aggiunga premuroso acqua alle fiamme. Se morirai, non ci sarà nessuno che porti doni ai tristi funerali. Mentre colei che fu buona e non avara, quant’anche fosse vissuta cento anni, sarà pianta davanti al rogo ardente; e un anziano donerà una corona annua alla tomba costruita ricordando i vecchi amori e andandosene dirà: “riposa bene e in pace, che la terra sia leggera sopra le tue ossa senta affanni” certamente dico la verità, ma a cosa mi giova la verità? Devo venerare amore per volere di lei. Anzi, anche se mi ordinasse di vendere la casa avita, andate, oh Lari, sotto il suo comando e sotto il cartello di vendita. Qualsiasi veleno abbia Circe, qualsiasi Medea, e qualunque erba generi la terra della Tessaglia, e l’ippomane che, quando Venere ispira amore alle greggi indomite, stilla dall’inguine delle cavalle in amore, purché la mia Nemesi mi guardi con volto benevolo, e mille altre erbe ella mescoli, io berrò.

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