Sallustio - Bellum Catilinae 29-30

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Testo

Sallustio - Bellum Catilinae
29
Ea cum Ciceroni nuntiarentur, ancipiti malo permotus, quod neque urbem ab insidiis priuato consilio longius tueri poterat neque, exercitus Manli quantus aut quo consilio foret, satis compertum habebat, rem ad senatum refert, iam antea vulgi rumoribus exagitatam. Itaque, quod plerumque in atroci negotio solet, senatus decrevit, darent operam consules, ne quid res publica detrimenti caperet. Ea potestas per senatum more Romano magistratui maxima permittitur: exercitum parare, bellum gerere, coercere omnibus modis socios atque civis, domi militiaeque imperium atque indicium summum habere; aliter sine populi iussu nullius earum rerum consuli ius est.
29
Informato di ciò, Cicerone, angustiato da un duplice pericolo, poiché non poteva proteggere più a lungo la città di sua propria iniziativa, e non conosceva esattamente l'entità e i piani dell'esercito di Manlio, porta davanti al Senato la questione di cui s'era già prima impossessata la pubblica opinione. Pertanto, come suole accadere nelle situazioni estreme, il Senato emanò il decreto secondo il quale «i consoli dovessero provvedere a che nessuna sciagura incogliesse lo Stato». Tale potere, secondo la legge romana, è il massimo che sia concesso a un magistrato, levare un esercito, far guerra, reprimere in ogni modo alleati e cittadini, esercitare in patria e fuori la suprema autorità militare e civile, altrimenti, senza l'autorizzazione del popolo romano, il console non ha il diritto di nessuno di questi poteri.

30
Post paucos dies L. Saenius senator in senatu litteras recitauit, quas Faesulis allatas sibi dicebat, in quibus scriptum erat C. Manlium arma cepisse cum magna multitudine ante diem VI Kalendas Nouembris. Simul, id quod in tali re solet, alii portenta atque prodigia nuntiabant, alii conventus fieri, arma portari, Capuae atque in Apulia seruile bellum moueri. Igitur senati decreto Q. Marcius Rex Faesulas, Q. Metellus Creticus in Apuliam circumque ea loca missi--hi utrique ad urbem imperatores erant, impediti ne triumpharent calumnia paucorum, quibus omnia honesta atque inhonesta vendere mos erat--, sed praetores Q. Pompeius Rufus Capuam, Q. Metellus Celer in agrum Picenum, iisque permissum, uti pro tempore atque periculo exercitum compararent. Ad hoc, si quis indicavisset de coniuratione, quae contra rem publicam facta erat, praemium servo libertatem et sestertia centum, libero impunitatem eius rei et sestertia ducenta [milia], itemque decrevere, uti gladiatoriae familiae Capuam et in cetera municipia distribuerentur pro cuiusque opibus, Romae per totam urbem vigiliae haberentur iisque minores magistratus praeessent.
30
Pochi giorni dopo, il senatore L. Senio lesse in Senato una lettera, che diceva essergli stata recapitata da Fiesole, nella quale era scritto che il sesto giorno prima delle Calende di novembre G. Manlio aveva preso le armi con una grande moltitudine. Nello stesso tempo, come suole accadere in tali circostanze, alcuni davano notizie di portenti e di prodigi, altri di complotti e di truppe in armi e di una sollevazione di schiavi a Capua e in Puglia. Allora, per decreto del Senato, Q. Marcio Re fu inviato a Fiesole, Q. Metello Cretico in Puglia e territori circostanti - entrambi erano generali vittoriosi alle porte della città, privati dall'onore del trionfo per calunnia di pochi avvezzi a trafficare con tutto, onore e disonore -; i pretori Q. Pompeo Rufo e Q. Metello Celere furono mandati, il primo a Capua, il secondo nel Piceno, con la missione di far leve per l'esercito, secondo che il tempo e il pericolo richiedevano. Inoltre, se qualcuno avesse fatto rivelazioni sulla congiura ordita contro lo Stato, avrebbe avuto, se schiavo, la libertà e centomila sesterzi, se libero, l'impunità e duecentomila sesterzi; parimenti fu decretato che le compagnie di gladiatori fossero distribuite fra Capua e gli altri municipi a seconda delle loro singole facoltà di controllo, e che a Roma squadre di vigilanza pattugliassero tutta la città sotto la guida di magistrati minori.

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