sallustio - Bellum catilinae

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Testo

Sallustio - Bellum Catilinae

I - Prologo

Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est; animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. Quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere, et, quoniam vita ipsa, qua fruimur, brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere. Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. Nam et prius quam incipias consulto et ubi consulueris mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget.
Si addice a tutti gli uomini che vogliono essere superiori agli altri animali impegnarsi col massimo sforzo per non trascorrere una vita nel silenzio così come le bestie che la natura ha plasmato chine e schiave del proprio ventre. Ma tutta la nostra forza è situata nell'animo e nel corpo; dell'anima usiamo l'attitudine al comando, del corpo piuttosto quella all'obbedienza; una ci rende simile agli dei, l'altra alle bestie. E perciò mi sembra più giusto ricercare la gloria con le risorse spirituali più che con le forze fisiche, poiché la stessa vita della quale godiamo è breve, rendere più lunga possibile la nostra memoria. Infatti la gloria delle ricchezze e della bellezza è effimera e fragile, mentre la virtù e posseduta illustre ed eterna. Ma ci fu una grande disputa fra gli uomini se l'attività tragga maggior vantaggio dalla forza fisica o dalle doti dello spirito. Infatti prima di iniziare bisogna riflettere e, dopo aver riflettuto, bisogna agire rapidamente. Così l'uno e l'altro fattore, di per sé insufficienti, hanno bisogno l'uno dell'aiuto dell'altro.
II

Igitur initio reges - nam in terris nomen imperi id primum fuit - divorsi pars ingenium, alii corpus exercebant; etiam tum vita hominum sine cupiditate agitabatur, sua cuique satis placebant. Postea vero quam in Asia Cyrus, in Graecia Lacedaemonii et Athenienses coepere urbis atque nationes subigere, lubidinem dominandi causam belli habere, maxumam gloriam in maxumo imperio putare, tum demum periculo atque negotiis compertum est in bello plurumum ingenium posse. Quod si regum atque imperatorum animi virtus in pace ita ut in bello valeret, aequabilius atque constantius sese res humanae haberent, neque aliud alio ferri neque mutari ac misceri omnia cerneres. Nam imperium facile iis artibus retinetur, quibus initio partum est. Verum ubi pro labore desidia, pro continentia et aequitate lubido atque superbia invasere, fortuna simul cum moribus immutatur. Ita imperium semper ad optumum quemque a minus bono transfertur. Quae homines arant, navigant, aedificant, virtuti omnia parent. Sed multi mortales, dedit! ventri atque somno, indocti incultique vitam sicuti peregrinantes transegere; quibus profecto contra naturam corpus voluptati, anima oneri fuit. Eorum ego vitam mortemque iuxta aestumo, quoniam de utraque siletur. Verum enim vero is demum mihi vivere atque frui anima videtur, qui aliquo negotio intentus praeclari facinoris aut artis bonae famam quaerit.
Dunque all'inizio i re - poiché sulla terra questa fu la prima denominazione del potere - secondo inclinazioni diverse esercitavano alcuni l'ingegno, altri la forza fisica; allora la vita degli uomini trascorreva senza cupidigia; ad ognuno era bastante il suo. Però poi, quando Ciro in Asia, gli Spartani e gli ateniesi in Grecia, iniziarono a sottomettere le cittò e i popoli, a credere che la più grande gloria stesse nel più grande potere, allora in ultima analisi alla prova dei fatti si riconobbe che in guerra la supremazia spetta all'ingegno. Che se la forza d'animo dei re e dei comandanti valesse in pace come in guerra, gli avvenimenti degli uomini si conterrebbero con più equilibrio e con più costanza, non vedresti mutare e rimescolarsi tutte le cose. Poiché il potere facilmente si conserva con le doti dell'animo che lo generarono all'inizio. Ma quando l'inerzia si diffonde in luogo dell'efficienza, la sfrenatezza e l'orgoglio in luogo dell'equità e della continenza, allora la fortuna cambia insieme con i costumi. Così il potere si trasferisce sempre dal meno capace al migliore. L'agricoltura, la navigazione, l'arte edilizia obbediscono all'ingegno. Ma molti mortali, schiavi del ventre e del sonno, trascorrono la vita da ignoranti e da incolti, simili e viandanti. Ad essi senza dubbio contro natura il corpo è piacere, l'animo è un peso. Vita e morte di costoro io ritengo alla pari, poiché si tace dell'una e dell'altra. Mentre certamente, infine, mi sembra vivere e godere della vita quello che, intento a qualche attività, cerca la gloria di un'illustre impresa e di una nobile occupazione.
III

Sed in magna copia rerum aliud alii natura iter ostendit. Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere et qui facta aliorum scripsere, multi laudantur. Ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par gloria sequitur scriptorem et auctorem rerum, tamen in primis arduum videtur res gestas scribere: primum quod facta dictis exaequanda sunt, dehinc quia plerique quae delicta reprehenderis malivolentia et invidia dicta putant, ubi de magna virtute atque gloria bonorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit, supra ea veluti ficta pro falsis ducit. Sed ego adulescentulus initio sicuti plerique studio ad rem publicam latus sum, ibique mihi multa advorsa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute, audacia, largitio, avaritia vigebant. Quae tametsi animus aspernabatur insolens malarum artium, tamen inter tanta vitia imbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur; ac me, cum ab reliquorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem, qua ceteros, fama atque invidia vexabat.
Ma nel vasto campo delle occupazioni umane la natura mostra a chi una strada a che un'altra. È nobile operare nel bene dello stato, ma non è assurdo neanche scriverne in modo adeguato. O in pace o in guerra è lecito divenire famoso: e coloro che lo fecero e coloro che scrissero i fatti degli altri, in molti furono lodati. E a me tuttavia, sebbene la gloria di chi scrive i fatti e di chi li compie non sia assolutamente uguale, sembra per lo meno molto difficile scrivere le gesta: in primo luogo perché con le parole bisogna eguagliare i fatti; poi perché la gran parte crede che siano dette per malevolenza e per invidia quelle cose che abbia mosso a misfatti (reprehenderis = congiuntivo eventuale); qualora poi tu rievochi la grande virtù e la gloria di uomini eccezionali, ciascuna con anima equa apprende quelle cose che crede che siano facili a farsi da parte sua, e ritiene false come se fossero state inventate le cose al di sopra. Ma io nel principio, da adolescente, così come la gran parte, fui trascinato dalla passione per lo stato, e allora ebbi molte delusioni. Infatti al posto del rispetto, del disinteresse e del merito, vigevano la sfrontatezza, l'avidità e la corruzione. Il mio animo, non abituato ai maneggi disonesti, rifiutava queste cose, tuttavia fra tanti vizi, la mia tenera età si lasciava corrompere dell'ambizione; e per nulla di meno la stessa brama di onore che con la maldicenza e l'invidia devastava gli altri devastava anche me, benché dissentissi dalle cattive abitudini degli altri.
V - Il ritratto di Catilina

L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique inventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator; alieni appetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum; vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae, neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque iis artibus auxerat, quas supra memoravi. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant. Res ipsa hortari videtur, quoniam de moribus civitatis tempus admonuit, supra repetere ac paucis instituta maiorum domi militiaeque, quo modo rem publicam habuerint, quantamque, reliquerint, ut paulatim immutata ex pulcherruma atque optuma pessuma ac flagitiosissuma facta sit, disserere.
Lucio Catilina, nato da nobile famiglia, fu di grande forza sia d'animo sia di corpo, ma di indole malvagia e corrotta. Furono gradite a questo le guerre civili, le stragi, le rapine, la discordia civile fin dall'adolescenza e in esse impegnò la sua giovinezza. Il (suo) fisico fu tollerante della fame, del freddo, delle veglie, al di sopra di quanto può essere credibile a chiunque. Il (suo) animo fu audace, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, bramoso dell'altrui, prodigo del suo, ardente nelle passioni. Ebbe abbastanza eloquenza poco accorgimento. L'animo insaziabile bramava sempre cose smisurate, incredibili, troppo alte. Dopo la dittatura di Lucio Silla, un desiderio grandissimo di impadronirsi dello stato lo aveva invaso; né aveva nessuna remora nel modo in cui lo conseguisse, purché si procurasse il potere. L'animo feroce era agitato di giorno in giorno sempre di più dalla ristrettezza del patrimonio e dal rimorso dei crimini, entrambe cose che aveva accresciuto con quelle passioni, che ho trattato in precedenza. Inoltre lo incitavano i costumi corrotti della popolazione, che mali pessimi e diversi fra loro, lussuria e avarizia, travagliavano. Sembra che l'argomento stesso, poiché l'occasione mi ha richiamato i costumi della città, mi esorti a rivedere le cose più da lontano ed ad esporre in breve le istituzioni degli avi in pace e in guerra, in che modo abbiano amministrato la repubblica e quanto grande l'abbiano lasciata, e come trasformandosi a poco a poco sia divenuta la più sciagurata e corrotta, dalla migliore e più nobile (che era).
VIII

Sed profecto fortuna in omni re dominatur; ea res cunctas ex lubidine magis quam ex vero celebrat obscuratque. Atheniensium res gestae, sicuti ego aestumo, satis amplae magnificaeque fuere, verum aliquanto minores tamen quam fama feruntur. Sed quia provenere ibi scriptorum magna ingenia, per terrarum orbem Atheniensium facta pro maxumis celebrantur. Ita eorum, qui fecere, virtus tanta habetur, quantum eam verbis potuere extollere praeclara ingenia. At populo Romano numquam ea copia fuit, quia prudentissumus quisque maxume negotiosus erat; ingenium nemo sine corpore exercebat, optumus quisque facere quam dicere, sua ab aliis bene facta laudari quam ipse aliorum narrare malebat.
Ma senza dubbio la sorte regna in ogni situazione; essa celebra e oscura tutte le situazione per capriccio più che per verità. Si dice che le gesta degli Ateniesi, così come io stimo, furono abbastanza importanti e grandiose, ma comunque alquanto di meno della fama. Ma poiché lì fiorirono scrittori di grande ingegno, per il mondo le imprese degli Ateniesi vengono celebrate per grandissime (imprese). Invece il popolo Romano non ebbe mai quest'abbondanza (di scrittori), poiché i più saggi erano (anche) i più attivi, (e) nessuno esercitava l'ingegno senza il corpo, ciascuno dei migliori preferiva agire che parlare, (ed) essere lodati dagli altri per i propri per le loro buone imprese piuttosto che parlare loro stessi degli altri.
IX

Igitur domi militiaeque boni mores colebantur; concordia maxuma, minuma avaritia erat; ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. Iurgia, discordias, simultates cum hostibus exercebant, cives cum civibus de virtute certabant; in suppliciis deorum magnifici, domi parci, in amicos fideles erant. Duabus his artibus, audacia in bello, ubi pax evenerat, aequitate, seque remque publicam curabant. Quarum rerum ego maxuma documenta haec habeo: quod in bello saepius vindicatum est in eos, qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant, quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; in pace vero, quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant, et, accepta iniuria, ignoscere quam persequi malebant.
Così in pace e in guerra si onoravano i buoni costumi; la concordia era massima e l'avidità minima; presso di loro il giusto e l'onesto valevano non per forza di legge (lett: per le leggi), ma per natura. Praticavano litigi, discordie, rivalità con i nemici, i cittadini gareggiavano con i cittadini in valore; erano grandiosi nei sacrifici per gli dei, economi a casa, fedeli verso gli amici. Con queste due qualità, l'audacia in guerra e l'equilibrio quando si compieva la pace, curavano se stessi e lo Stato. E di queste cose io ho queste grandissime testimonianze: il fatto che in guerra spesso ci si vendicò di quelli che avevano combattuto il nemico in contrasto con l'ordine (ricevuto), e di quelli che, (per quanto) richiamati, avevano abbandonato troppo tardi la battaglia, piuttosto che coloro che avevano osato abbandonare le insegne o, essendo stati respinti, cedere la posizione; in pace poi esercitavano il potere con i benefici più che con la paura e, se ricevuta un offesa, preferivano perdonare che perseguitare.
X

Sed ubi labore atque iustitia res publica crevit, reges magni bello domiti, nationes ferae et populi ingentes vi subacti, Carthago, aemula imperi Romani, ab stirpe interiit, cuncta maria terraeque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverant, iis otium, divitiae, optanda alias, oneri miseriaeqne fuere. Igitur primo imperi, deinde pecuniae cupido crevit; ea quasi materies omnium malorum fuere. Namque avaritia fidem, probitatem, ceterasque artis bonas subvortit; pro his superbiam, crudelitatem, deos neglegere, omnia venalia habere edocuit. Ambitio multos mortalis falsos fieri subegit, aliud clausum in pectore, aliud in lingua promptum habere, amicitias inimicitiasque non ex re sed ex commodo aestumare, magisque voltum quam ingenium bonum habere. Haec primo paulatim crescere, interdum vindicari; post, ubi contagio quasi pestilentia invasit, civitas immutata, imperium ex iustissumo atque optumo crudele intolerandumque factum.
Ma quando lo stato crebbe con fatica e giustizia, quando i grandi sovrani furono dominati in guerra, quando genti e importanti popoli furono sottomessi con la forza, quando Cartagine, emula dell'impero romano fu distrutta dalle fondamenta, quando tutti i mari e le terre erano aperti, la fortuna iniziò ad incrudelire e sconvolgere tutti. coloro che avevano facilmente sopportato le fatiche, i pericoli, i dubbi e le asperità, per questi furono di peso e di sventura l'ozio e la ricchezza. Dunque per primo crebbe il desiderio di denaro, poi quello di comando. Tali passioni furono quasi l'origine di tutti i mali. infatti l'avarizia sovvertì la fede, l'onestà e tutte le altre virtù; al posto di queste insegnò la superbia, la crudeltà, l'ateismo, il considerare tutto in vendita. L'ambizione spinse a diventare menzogneri molti uomini, ad avere una cosa nel cuore, un'altra palese sulla lingua, a stimare l'amicizia non secondo i meriti reali ma in base al vantaggio personale, e ad avere più un bell'aspetto che un buon animo. questi mali all'inizio crebbero a poco a poco, talora venivano puniti; poi, quando il contatto dilagò quasi in pestilenza, la città si trasformò, il governo da giustissimo e ottimo divenne crudele ed insopportabile.
XIV

In tanta tamque corrupta civitate Catilina, id quod factu facillumum erat, omnium flagitiorum atque facinorum circum se tamquam stipatorum catervas habebat. Nam quicumque impudicus, ganeo, aleo, bona patria laceraverat, quique alienum aes grande conflaverat, quo flagitium aut facinus redimeret, praeterea omnes undique parricidae, sacrilegi, convicti iudiciis aut pro factis iudicium timentes, ad hoc quos manus atque lingua periurio alit sanguine civili alebat, postremo omnes, quos flagitium, egestas, conscius animus exagitabat, ii Catilinae proxumi familiaresque erant. Quod si quis etiam a culpa vacuus in amicitiam eius inciderat, cotidiano usu atque illecebris facile par similisque ceteris efficiebatur. Sed maxume adulescentium familiaritates appetebat: eorum animi molles etiam et fluxi dolis haud difficulter capiebantur. Nam ut cuiusque studium ex aetate flagrabat, aliis scorta praebere, aliis canes atque equos mercari, postremo neque sumptui neque modestiae suae parcere, dum illos obnoxios fidosque sibi faceret. Scio fuisse nonnullos qui ita existumarent, iuventutem, quae domum Catilinae frequentabat, parum honeste pudicitiam habuisse; sed ex aliis rebus magis, quam quod cuiquam id compertum foret, haec fama valebat.
In una città così grande e corrotta Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a se bande di depravati e di criminali come guardie del corpo. Infatti qualsiasi impudico, adultero, crapulone che aveva scialacquato il patrimonio ereditato con il gioco, con i banchetti e col sesso, e quello che aveva contratto un grande debito, per riscattare una vergogna, un delitto, e inoltre da ogni parte tutti i parricidi, i sacrileghi, i pregiudicati e quelli che temevano un processo per le (loro) azioni, inoltre coloro ai quali davano sostentamento la mano e la lingua con lo spergiuro e con il sangue civile, e infine tutti quelli che il delitto, la povertà, il rimorso tormentava, (tutti) questi erano amici intimi (endiadi, lett.: "vicinissimi e amici") di Catilina. E se qualcuno era caduto nella sua amicizia anche vuoto di colpa, con la frequentazione quotidiana e con le lusinghe facilmente era reso del tutto simile agli altri. Ma desiderava moltissimo la compagnia dei giovani: i loro animi molli e malleabili per l'età erano presi senza difficoltà dalle frodi. Infatti a seconda di come il desiderio di entrambi ardeva a causa dell'età, ad alcuni procurava donne, ad altri comprava cani e cavalli; infine non badava né a spese né alla sua reputazione, purché rendesse quelli obbedienti e fidati verso di lui. So che c'è stato qualcuno, che così pensava, (e cioè) che la gioventù, che frequentava la casa di Catilina, fosse stata sfacciatamente impudica, ma questa voce correva per altri motivi, più perché qualcuno l'avesse accertato.
XV

Iam primum adulescens Catilina multa nefanda stupra fecerat, cum virgine nobili, cum sacerdote Vestae, alia huiusce modi contra ius fasque. Postremo captus amore Aureliae Orestillae, cuius praeter formam nihil umquam bonus laudavit, quod ea nubere illi dubitabat timens privignum adultum aetate, pro certo creditur, necato filio, vacuam domum scelestis nuptiis fecisse. Quae quidem res mihi in primis videtur causa fuisse facinus maturandi. Namque animus impurus, dis hominibusque infestus, neque vigiliis neque quietibus sedari poterat; ita conscientia mentem excitam vastabat. Igitur colos ei exsanguis, foedi oculi, citus modo, modo tardus incessus: prorsus in facie voltuque vecordia inerat.
Fin dalla prima giovinezza Catilina aveva commesso molti atti di vergognosa infamia con una vergine nobile, con una sacerdotessa di Vesta, altri di tal fattura contro il diritto umano e divino. Infine, catturato d'amore per Aurelia Orestilla, di cui mai un uomo onesto ha lodato nulla oltre all'aspetto, poiché lei esitava a sposare quello temendo il figliastro in età adulto, si crede per certo che, ucciso il figlio, abbia fatto la casa vuota con nozze scellerate. E quest'azione mi sembra certamente una causa in primis dell'affrettare della congiura. E infatti l'animo impuro, sgradito agli dei e agli uomini, non poteva calmarsi né con le veglie ne con i sonni: così il rimorso devastava la mente malata. E ancora, (aveva) il colorito esangue, gli occhi torvi, il passo ora rapido ora lento: insomma aveva sulla faccia e sul volto i segni della follia.
XVI

Sed iuventutem, quam, ut supra diximus, illexerat, multis modis mala facinora edocebat. Ex illis testis signatoresque falsos commodare; fidem, fortunas, pericula, vilia habere, post, ubi eorum famam atque pudorem attriverat, maiora alia imperabat; si causa peccandi in praesens minus suppetebat, nihilo minus insontis sicuti sontis circumvenire, iugulare; scilicet ne per otium torpescerent manus aut animus, gratuito potius malus atque crudelis erat. Iis amicis sociisque confisus Catilina, simul quod aes alienum per omnis terras ingens erat, et quod plerique Sullani milites, largius suo usi, rapinarum et victoriae veteris memores civile bellum exoptabant, opprimundae rei publicae consilium cepit. In Italia nullus exercitus, Cn. Pompeius in extremis terris bellum gerebat; ipsi consulatum petenti magna spes, senatus nihil sane intentus; tutae tranquillaeque res omnes, sed ea prorsus oportuna Catilinae.
Ma aveva adescato i giovani di cui abbiamo parlato sopra a cui in molti modi insegnava cose cattive. fra i giovani traeva testimoni e firmatari falsi. (Insegnava) loro a considerare insignificanti la lealtà, il patrimonio, i pericoli, successivamente, quando aveva fatto a pezzi il loro nome e il loro pudore ordinava loro di fare cose ancora più spregevoli. se al momento c'era meno motivo di fare cose cattive, non di meno circondava gli innocenti come i colpevoli, e faceva loro tagliare la gola. Affinché non si intorpidissero la mano e l'animo, piuttosto era crudele e cattivo senza motivo. Catilina facendo affidamento su questi amici e compagni, allo stesso tempo poiché c'era un debito ingente in ogni dove e poiché la maggior parte dei soldati sillani, avendo sperperato largamente il suo, memori delle rapine e della precedente vittoria, desideravano una guerra civile, decisero di abbattere lo stato. In Italia non c'era l'esercito, Pompeo combatteva nei territori più lontani, egli stesso aveva una grande speranza di diventare console. Il senato non era affatto preoccupato. Tutta la situazione era calma e tranquilla. Ma esse (le situazioni) proprio per questo motivo, erano opportune per Catilina.
XX

Catilina ubi eos, quos paulo ante memoravi, convenisse videt, tametsi cum singulis multa saepe egerat, tamen in rem fore credens univorsos appellare et cohortari, in abditam partem aedium secedit atque ibi omnibus arbitris procul amotis orationem huiusce modi habuit: "Ni virtus fidesque vostra spectata mihi foret, nequiquam opportuna res cecidisset; spes magna, dominatio in manibus frustra fuissent, neque ego per ignaviam aut vana ingenia incerta pro certis captarem. Sed quia multis et magnis tempestatibus vos cognovi fortis fidosque mihi, eo animus ausus est maxumum atque pulcherrumum facinus incipere, simul quia vobis eadem quae mihi bona malaque esse intellexi; nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est. Sed ego quae mente agitavi, omnes iam antea divorsi audistis. Ceterum mihi in dies magis animus adcenditur, quom considero, quae condicio vitae futura sit, nisi nosmet ipsi vindicamus in libertatem. nam postquam res publica in paucorum potentium ius atque dicionem concessit, semper illis reges tetrarchae vectigales esse, populi nationes stipendia pendere; ceteri omnes, strenui boni, nobiles atque ignobiles, volgus fuimus sine gratia, sine auctoritate, iis obnoxii, quibus, si res publica valeret, formidini essemus. Itaque omnis gratia potentia honos divitiae apud illos sunt aut ubi illi volunt; nobis reliquere pericula repulsas iudicia egestatem. Quae quo usque tandem patiemini, o fortissumi viri? Nonne emori per virtutem praestat quam vitam miseram atque inhonestam, ubi alienae superbiae ludibrio fueris, per dedecus amittere? Verum enim vero, pro deum atque hominum fidem, victoria in manu nobis est, viget aetas, animus valet; contra illis annis atque divitiis omnia consenuerunt. Tantummodo incepto opus est, cetera res expediet. Etenim quis mortalium, quoi virile ingenium est, tolerare potest illis divitias superare, quas profundant in extruendo mari et montibus coaequandis, nobis rem familiarem etiam ad necessaria deesse? Illos binas aut amplius domos continuare, nobis larem familiarem nusquam ullum esse? Quom tabulas signa toreumata emunt, nova diruunt, alia aedificant, postremo omnibus modis pecuniam trahunt vexant, tamen summa lubidine divitias suas vincere nequeunt. At nobis est domi inopia, foris aes alienum, mala res, spes multo asperior: denique quid relicui habemus praeter miseram animam? Quin igitur expergiscimini? En illa, illa quam saepe optastis libertas, praeterea divitiae decus gloria in oculis sita sunt; fortuna omnia ea victoribus praemia posuit. Res tempus pericula egestas belli spolia magnifica magis quam oratio mea vos hortantur. Vel imperatore vel milite me utimini: neque animus neque corpus a vobis aberit. haec ipsa, ut spero, vobiscum una consul agam, nisi forte me animus fallit et vos servire magis quam imperare parati estis".
Catilina, quando vide (lett.: vede) che erano convenuti quelli che poco fa ho ricordato, sebbene avesse trattato spesso con ciascuno di loro (lett.: con i singoli) molte cose, tuttavia pensando che sarebbe stato opportuno chiamarli ed esortarli tutti insieme, si ritirò (lett.: si ritira) in una zona appartata della casa e tenne un discorso di tal fatta: "Se il vostro valore e la vostra lealtà non fossero per me certi, invano si sarebbe presentata (questa) circostanza favorevole; la grande speranza del potere [lett.: la grande speranza e il potere (endìadi)] invano si sarebbe trovata nelle (nostre) mani, né io cercherei l'incerto al posto del certo con gente ignava o leggera (lett.: attraverso l'ignavia o gli spiriti leggeri). Ma poiché vi ho conosciuti forti e fedeli in molte circostanze importanti (lett.: in molte e importanti circostanze), (proprio) per questo il mio animo ha osato intraprendere un'impresa grandissima e bellissima, (e) nello stesso tempo perché ho capito che per voi i beni e i mali sono gli stessi che per me; infatti volere e non volere le stesse cose (lett.: volere la stessa cosa e non volere la stessa cosa), questa davvero è salda amicizia. Ma i piani che io ho concepito nella mia mente (lett.: le cose che io ho pensato con la mente), (voi) tutti ad uno ad uno (li) avete sentiti già prima. Del resto l'animo mi si accende ogni giorno di più quando considero quale sarà la (nostra) condizione di vita se non ci liberiamo da soli dalla schiavitù. Infatti, dopo che lo Stato è passato sotto l'autorità e il controllo di pochi potenti, re e principi sono sempre loro tributari, popoli e nazioni pagano (loro) un'imposta; (noi) altri tutti, valorosi (e) onesti, nobili e non nobili, (da allora) siamo stati un volgo senza credito, senza autorità, sottoposti a gente a cui (ora) faremmo paura (lett.: a coloro ai quali saremmo di paura), se lo Stato fosse effettivamente cosa pubblica (lett.: se la cosa pubblica fosse in buona salute). Così prestigio, potere, cariche pubbliche e ricchezze, sono tutti nelle loro mani (lett.: presso di loro) o dove quelli vogliono; a noi hanno lasciato pericoli, insuccessi politici, processi (e) povertà. Fino a quando, insomma, miei prodi (lett.: fortissimi uomini), sopporterete questi (soprusi)? Non è forse meglio morire con valore che perdere con infamia una vita misera e priva di onori, nella quale si è stati (lett.: tu sia stato) (oggetto) di scherno per la superbia altrui? No di certo, in nome degli dèi e degli uomini, abbiamo la vittoria in mano, è giovane la (nostra) età, l'animo è forte; per loro invece tutto è invecchiato per gli anni e per le ricchezze. C'è solo bisogno di incominciare, il resto verrà da sé. Infatti chi tra i mortali che abbia un animo virile potrebbe tollerare che a loro abbondino le ricchezze al punto da sperperarle nel costruire (sopra) il mare e nello spianare i monti, (mentre) a noi manchino i soldi anche per le cose necessarie? Che essi costruiscano di seguito due o più palazzi per volta, (mentre) noi non abbiamo in nessun luogo un focolare domestico? Per quanto comprino quadri, statue, vasi cesellati, abbattano edifici nuovi (e ne) costruiscano altri, infine (per quanto) spendano (e) sciupino in ogni modo, tuttavia non riescono a dar fondo (lett.: vincere) alle (loro) ricchezze (pur) con la sfrenatezza più assoluta. Noi invece abbiamo la povertà in casa, fuori debiti, una situazione (presente) negativa, una prospettiva molto peggiore: infine, che cosa ci resta tranne una vita miserabile? Perché dunque non vi svegliate? Ecco, quella, quella libertà che spesso desideraste, inoltre ricchezza, onore, gloria sono messi davanti ai (nostri) occhi; la fortuna ha posto tutte queste cose come premi per i vincitori. La situazione, il momento, i pericoli, la povertà, le magnifiche prede di guerra vi esortano più del mio discorso. Servitevi di me o come comandante o come soldato: né il mio animo né il mio corpo vi abbandoneranno. Proprio questi progetti, come spero, attuerò insieme a voi da console, a meno che l'animo non mi inganni, e voi siate pronti più a servire che a comandare".
XXIII

Sed in ea coniuratione fuit Q. Curius, natus haud obscuro loco, flagitiis atque facinoribus copertus, quem censores senatu probri gratia moverant. Huic homini non minor vanitas inerat quam audacia; neque reticere quae audierat, neque suamet ipse scelera occultare, prorsus neque dicere neque facere quicquam pensi habebat. Erat ei cum Fulvia, muliere nobili, stupri vetus consuetudo; cui cum minus gratus esset, quia inopia minus largiri poterat, repente glorians maria montisque polliceri coepit et minari interdum ferro, ni sibi obnoxia foret, postremo ferocius agitare quam solitus erat. At Fulvia, insolentiae Curi causa cognita, tale periculum rei publicae haud occultum habuit, sed, sublato auctore, de Catilinae coniuratione quae quoquo modo audierat compluribus narravit. Ea res in primis studia hominum accendit ad consulatum mandandum M. Tullio Ciceroni. Namque antea pleraque nobilitas invidia aestuabat et quasi pollui consulatum credebant, si eum quamvis egregius homo novos adeptus foret. Sed ubi periculum advenit, invidia atque superbia post fuere.
Ma in quella congiura ci fu Quinto Curio, nato da una famiglia non sconosciuta, carico di azioni turpi e di delitti, che i censori avevano espulso dal senato per indegnità. In quest'uomo non c'era minor vanità che sconsideratezza: non si curava affatto né di tacere ciò che aveva sentito, né egli nascondeva i suoi propri delitti, insomma non dava peso né alle parole né ai fatti (lett.: non si curava né di dire né di fare). Aveva una vecchia relazione scandalosa con Fulvia, una donna nobile. Essendo (lui) a lei meno gradito, poiché a causa della povertà poteva donare meno, di colpo vantandosi, cominciò a promettere mari e monti e a minacciarla talvolta con le armi, se non era disponibile per lui, ultimamente si comportava più ferocemente del (lett.: di quanto fosse) solito. Ma Fulvia, conosciuta la causa della spavalderia di Curio, non tenne nascosto un tale pericolo alla repubblica, ma, senza nominare il nome del confidente, raccontò a molte persone quello che aveva sentito sulla congiura di Catilina che e in che modo (l'avesse sentito).

Questa faccenda in primis accese gli animi degli uomini a mandare alla carica di console Marco Tullio Cicerone. E infatti prima la maggior parte della nobiltà bruciava d'invidia, e credevano quasi che la carica di console si profanerebbe, se un homo novus, per quanto egregio, l'avesse raggiunta. Ma quando il pericolo arriva, l'invidia e la superbia vengono dopo (tradotti al presente perché perfetti gnomici).
XXV

Sed in iis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat. Haec mulier genere atque forma, praeterea viro atque liberis satis fortunata fuit; litteris Graecis et Latinis docta, psallere, saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniae an famae minus parceret, haud facile discerneres; lubido sic accensa, ut saepius peteret viros quam peteretur. Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat; luxuria atque inopia praeceps abierat. Verum ingenium eius haud absurdum; posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto vel molli vel procaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inerat.
Inoltre tra questi c'era Sempronia, che spesso aveva compiuto molti delitti di audacia virile. Questa donna fu abbastanza fortunata per la stirpe e la bellezza, e inoltre per il marito e per i figli; (era) istruita in letteratura greca e latina, (sapeva) suonare la cetra e ballare più abilmente di quanto è necessario ad una (donna) onesta, (conosceva) molte altre cose che sono strumenti del piacere. Ma per lei era sempre tutto più caro della dignità e dell'onore; non avresti capito facilmente se si preoccupasse di meno del denaro o della fama; la sua sensualità (era) così accesa che cercava gli uomini più spesso di quanto loro cercassero lei (lett.: di quanto fosse cercata). Inoltre lei prima di questo aveva tradito la parola data, aveva negato con un falso giuramento un debito, era stata complice di un delitto: era precipitata in rovina per la sete di lusso e la mancanza (di mezzi). Ma il suo ingegno non era sgradevole: era capace di comporre versi, di fare battute scherzose, di usare un linguagge sia serio, sia tenero, sia sfrontato; insomma c'erano (in lei) molto spirito e molto fascino.
XXXI

Quibus rebus permota civitas atque immutata urbis facies erat. Ex summa laetitia atque lascivia, quae diuturna quies pepererat, repente omnis tristitia invasit; festinare, trepidare, neque loco neque homini cuiquam satis credere, neque bellum gerere neque pacem habere, suo quisque metu pericula metiri. Ad hoc mulieres, quibus rei publicae magnitudine belli timor insolitus incesserat, afflictare sese, manus supplices ad caelum tendere, miserari parvos liberos, rogitare, omnia pavere, superbia atque deliciis omissis sibi patriaeque diffidere. At Catilinae crudelis animus eadem illa movebat, tametsi praesidia parabantur et ipse lege Plautia interrogatus erat ab L. Paulo. Postremo dissimulandi causa aut sui expurgandi, si cuius iurgio lacessitus foret, in senatum venit. Tum M. Tullius consul, sive praesentiam eius timens sive ira commotus, orationem habuit luculentam atque utilem rei publicae, quam postea scriptam edidit. Sed ubi ille adsedit, Catilina, ut erat paratus ad dissimulanda omnia, demisso voltu, voce supplici postulare a patribus coepit, ne quid de se temere crederent; ea familia ortum ita se ab adulescentia vitam instituisse, ut omnia bona in spe haberet; ne existumarent sibi, patricio homini, cuius ipsius atque maiorum pluruma beneficia in populum Romanum essent, perdita re publica oipus esse, cum eam servaret M. Tullius, inquilinus civis urbis Romae. Ad hoc male dicta alia cum adderet, obstrepere omnes, hostem atque parricidam vocare. Tum ille furibundus "quoniam quidem circumventus" inquit "ab inimicis praeceps agor, incendium meum ruina restinguam."
La cittadinanza era stata scossa da questi fatti e era stato trasformato l'aspetto della civiltà. Dalla massima gaiezza e spensieratezza, che aveva prodotto la lunga pace, di colpo la tristezza invase tutti: si muovevano in fretta, erano agitati, non si fidavano abbastanza né di alcun luogo né di alcuna persona, non portavano guerra né avevano pace, ciascuno misurava i pericoli con la sua paura. Inoltre le donne, nelle quali si era insinuata una paura insolita a causa della grandezza dello Stato, si affliggevano, tendevano supplici le mani al cielo, consolavano i figli piccoli, facevano domande in continuazione su tutto, erano terrorizzate, prendevano tutto, deposto la superbia e l'orgoglio, disperavano per sé e per la patria. Ma l'animo crudele di Catilina perseguiva le stesse cose, anche se si preparavano i presidi ed egli stesso era stato chiamato in giudizio da Lucio Paolo per la legge Plauzia. Infine per nascondere o per giustificarsi, come se fosse stato provocato da un insulto, venne in senato. Allora il console Marco Tullio, o temendo la sua presenza o scosso dall'ira, fece la sua orazione stupenda e utile allo stato, che in seguito scrisse e pubblicò (lett.: pubblicò dopo averla scritta). Ma appena quello si sedette, Catilina, preparato com'era a negare tutto, a volto basso e a voce supplice, cominciò a chiedere che non si prestasse fede a voci infondate sul suo conto (lett.: su di lui senza fondamento): (disse che) era discendente di una famiglia tale, (e che) aveva stabilito la sua vita dall'adolescenza in modo tale che si poteva sperare in ogni bene; che non pensassero che lui, uomo patrizio, i benefici del quale e dei cui antenati verso la plebe Romana erano moltissimi, aveva bisogno della rovina dello stato, mentre Marco Tullio, cittadino inquilino della città di Roma, la salvava. Inoltre aggiungendo ingiurie, tutti protestavano, (lo chiamavano) nemico e assassino (della patria). Allora quello furibondo: «Poiché certamente circondato - disse - da nemici sono spinto a capofitto, estinguerò il mio incendio con la rovina».
XXXII

Deinde se ex curia domum proripuit. Ibi multa ipse secum volvens, quod neque insidiae consuli procedebant, et ab incendio intellegebat urbem vigiliis munitam, optumum factu credens exercitum augere, ac, prius quam legiones scriberentur, multa antecapere quae bello usui forent, nocte intempesta cum paucis in Manliana castra profectus est. Sed Cethego atque Lentulo ceterisque, quorum cognoverat promptam audaciam, mandat, quibus rebus possent, opes factionis confirment, insidias consuli maturent, caedem, incendia aliaque belli facinora parent; sese prope diem cum magno exercitu ad urbem accessurum.
Poi dalla Curia si precipitò a casa. Lì egli, pensando tra sé molte cose, poiché l'attentato al console non andava e si rendeva conto che la città era stata munita di pattuglie contro gli incendi, pensando che la cosa migliore da farsi fosse accrescere l'esercito e, prima che venissero arruolate le legioni, predisporre in anticipo molte cose che sono utili per una guerra, a notte fonda partì con pochi (altri) per l'accampamento di Manlio. Inoltre affida a Cetego, a Lentulo e ad altri di cui aveva conosciuto un pronto coraggio, (il compito) di rafforzare le forze del gruppo con i mezzi con cui potevano, di affrettare l'attentato al console, di predisporre la strage, gli incendi e le altre misure di guerra: (aggiunse) che ben presto sarebbe entrato in città con un grande esercito.
LIV

Igitur iis genus, aetas, eloquentia prope aequalia fuere, magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii. Caesar beneficiis ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia clarus factus, huic severitas dignitatem addiderat. Caesar dando, sublevando, ignoscundo, Cato nihil largiundo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in altero malis pernicies; illius facilitas, huius constantia laudabatur. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare; negotiis amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium, exercitum, bellum novom exoptabat, ubi virtus enitescere posset. At Catoni studium modestiae, decoris, sed maxume severitatis erat; non divitiis cum divite, neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat; esse quam videri bonus malebat: ita, quo minus petebat gloriam, eo magis illum sequebatur.
Dunque avevano stirpe, capacità di parlare ed età uguali, stessa grandezza d'animo, stessa gloria, ma di natura diversa per l'uno e per l'altro. Cesare era ritenuto grande in benefici e in generosità, Catone nell'integrità della vita. Uno divenne famoso per la bontà e per la misericordia, il rigore gli aveva aggiunto dignità. Cesare raggiunse la gloria col dare, col soccorrere, col perdonare, Catone col non fare alcuna concessione. In uno c'era rifugio per i miseri, nell'altro la rovina per i disonesti. Di uno era lodata la condiscendenza, dell'altro l'inflessibilità. Infine Cesare si era proposto di faticare, di vigilare, di trascinare le sue cose intanto che gli affari dei soci, e di non negare ciò che sembra degno di essere donato. Scelse per sé il comando militare, l'esercito, una guerra mai tentata dove il suo valore potesse risplendere. Catone aveva al contrario una gran passione per la modestia, per il decoro ma soprattutto per la severità. non gareggiava in ricchezza col ricco, né in bellicosità col fazioso, ma in virtù con lo strenuo, in pudore col modesto, in morigeratezza con l'innocente. Al sembrare buono preferiva l'esserlo. Così, quanto meno, ricercava la gloria, tanto più la gloria lo seguiva.
LVIII

"Compertum ego habeo, milites, verba virtutem non addere, neque ex ignavo strenuum neque fortem ex timido exercitum oratione imperatoris fieri. Quanta cuiusque animo audacia natura aut moribus inest, tanta in bello patere solet. Quem neque gloria neque pericula excitant, nequiquam hortere; timor animi auribus officit. Sed ego vos, quo pauca monerem, advocavi, simul uti causam mei consili aperirem. Scitis equidem, milites, socordia atque ignavia Lentuli quantam ipsi nobisque cladem attulerit, quoque modo, dum ex urbe praesidia opperior, in Galliam proficisci nequiverim. Nunc vero quo loco res nostrae sint, iuxta mecum omnes intellegitis. Exercitus hostium duo, unus ab urbe, alter a Gallia obstant; diutius in his locis esse, si maxume animus ferat, frumenti atque aliarum rerum egestas prohibet; quocumque ire placet, ferro iter aperiundum est. Quapropter vos moneo, uti forti atque parato animo sitis, et, cum proelium inibitis, memineritis vos divitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vostris portare. Si vincimus, omnia nobis tuta erunt, commeatus abunde, municipia atque coloniae patebunt: sin metu cesserimus, eadem illa advorsa fient; neque locus neque amicus quisquam teget, quem arma non texerint. Praeterea, milites, non eadem nobis et illis necessitudo impendet: nos pro patria, pro libertate, pro vita certamus; illis supervacaneum est pro potentia paucorum pugnare. Quo audacius aggrediamini, memores pristinae virtutis. Licuit vobis cum summa turpitudine in exsilio aetatem agere; potuistis nonnulli Romae, amissis bonis, alienas opes exspectare; quia illa foeda atque intoleranda viris videbantur, haec sequi decrevistis. Si haec relinquere voltis, audacia opus est; nemo nisi victor pace bellum mutavit. Nam in fuga salutem sperare, cum arma, quibus corpus tegitur, ab hostibus avorteris, ea vero dementia est. Semper in proelio iis maxumum est periculum, qui maxume timent; audacia pro muro habetur. Cum vos considero, milites, et cum facta vostra aestumo, magna me spes victoriae tenet. Animus, aetas, virtus vostra me hortantur, praeterea necessitudo, quae etiam timidos fortis facit. Nam multitudo hostium ne circumvenire queat, prohibent angustiae loci. Quod si virtuti vostrae fortuna inviderit, cavete inulti animam amittatis, neu capti potius sicuti pecora trucidemini, quam virorum more pugnantes cruentam atque luctuosam victoriam hostibus relinquatis."
"O soldati, io so per esperienza che le parole non accrescono il valore e che un esercito non diventa da codardo valoroso né da pusillanime coraggioso, a causa di un discorso del generale. Quanta audacia c'è per natura o per addestramento nell'animo di ciascuno, altrettanta suole manifestarsi in guerra. inutilmente esorteresti chi né la gloria, né i pericoli: la paura dell'animo ottunde l'udito. Ma io ho voluto convocarvi, per ricordar(vi) poche cose insieme, per spiegare il motivo della mia decisione. Sapete certamente, o soldati, quanta grande rovina l'inerzia e la codardia di Lentulo abbiano apportato a lui stesso e a noi, e per quale motivo, mentre aspettavo rinforzi da Roma, non sia riuscito a partire per la Gallia. Ma adesso tutti, vicino a me, comprendete a che punto stanno le nostre situazioni. Due eseerciti di nemici (ci) sbarrano il passo, uno dalla parte di Roma, l'altro dalla Gallia; la mancanza di grano e di altre cose co proibisce di restare più a lungo in questi luoghi, anche se ci reggesse l'animo: dovunque (ci) piaccia andare, la strada va aperta con le armi. Perciò vi esorto ad avere animo forte e risoluto e quando inizierete la battaglia ricordate che voi tenete nelle vostre mani la ricchezza, il decoro, la gloria e inoltre la libertà e la patria. Se vinciamo avremo al sicuro ogni cosa; rifornimenti in abbondanza, si apriranno i municipi e le colonie. Se ci ritireremo per paura quelle stesse cose ci saranno ostili, e nessun luogo o amico proteggeranno colui che non avrà saputo proteggersi con le armi. Inoltre, o soldati, una diversa necessità sovrasta noi e loro. Noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita. Per loro è un sovrappiù combattere per la potenza di pochi. Perciò attaccate con maggior audacia, memori della virtù passata. Vi sarebbe stato consentito di passare l'età nel più alto disonore in esilio. Avreste potuto, alcuni di voi, aspettare il denaro altrui, tolti i beni. Poiché quelle soluzioni sembrano agli uomini vergognose e intollerabili, decideste di seguire queste, se volete lasciare queste cose ci vuole audacia. Nessuno se non il vincitore mutò la guerra in pace. Infatti è una demenza sperare la salvezza con la fuga, quando il corpo è protetto da loro con un'arma. Sempre in guerra il pericolo è massimo per quelli che hanno una grande paura; l'audacia è considerata come un muro. "Quando vi osservo, soldati, e quando penso ai vostri fatti, una grande speranza di vincere si impossessa di me. L'animo, l'età, la nostra forza mi esortano, e in più la necessità, che rende forti anche i timidi. Infatti la ristrettezza del luogo impedisce che una moltitudine di nemici possa circondarci. E se la fortuna non asseconderà la vostra virtù militare cercate di non morire invendicati, e una volta catturati, (cercate di non) essere ammazzati come pecore e, piuttosto, combattendo da uomini, lasciate ai nemici una cruenta e luttuosa vittoria".
LX

Sed ubi omnibus rebus exploratis Petreius tuba signum dat, cohortis paulatim incedere iubet; idem facit hostium exercitus. postquam eo ventum est, unde a ferentariis proelium conmitti posset, maxumo clamore cum infestis signis concurrunt; pila omittunt, gladiis res geritur. Veterani pristinae virtutis memores comminus acriter instare, illi haud timidi resistunt: maxuma vi certatur. Interea Catilina cum expeditis in prima acie vorsari, laborantibus succurrere, integros pro sauciis arcessere, omnia providere, multum ipse pugnare, saepe hostem ferire: strenui militis et boni imperatoris officia simul exequebatur. Petreius ubi videt Catilinam, contra ac ratus erat, magna vi tendere, cohortem praetoriam in medios hostis inducit eosque perturbatos atque alios alibi resistentis interficit. Deinde utrimque ex lateribus ceteros adgreditur. Manlius et Faesulanus in primis pugnantes cadunt. Catilina postquam fusas copias seque cum paucis relicuom videt, memor generis atque pristinae suae dignitatis in confertissumos hostis incurrit ibique pugnans confoditur.
Ma quando Petreio, dopo aver vagliato tutto, dà il segnale con la tromba, ordina alle coorti di avanzare pian piano; la stessa cosa fa l'esercito dei nemici. Dopo che si giunse là donde poteva essere attaccata battaglia dai ferentari, con altissime grida, si slanciano con le insegne in posizione di attacco: lasciano da parte i giavellotti, la battaglia (lett.: la cosa) si conduce con le spade. I veterani, memori dell'antico valore, incalzano furiosamente da vicino; quelli resistono tutt'altro che timidi: si combatte con grandissima violenza. Nel frattempo Catilina, si aggirava nella prima fila con gli armati alla leggera, soccorreva quelli in difficoltà, sostituiva (uomini) sani ai feriti, provvedeva a tutto, combatteva molto egli stesso, spesso feriva un nemico: adempiva contemporaneamente ai doveri di un valoroso soldato e di un buon comandante. Petreio, quando vede Catilina combattere con grande vigore al contrario di quel che aveva pensato, spinge la coorte pretoria in mezzo ai nemici e li massacra dopo averli scompigliati e mentre resistevano chi qua chi là; poi assale gli altri da entrambe le parti sui lati. Manlio e Fesolano cadono combattendo fra i primi. Catilina, dopo che vede le truppe sbaragliate e se stesso rimasto con pochi, memore della (sua) stirpe e della sua antica dignità si slancia dove i nemici sono più fitti e lì combattendo viene trafitto.
LXI

Sed, confecto proelio, tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae. Nam fere quem quisque vivos pugnando locum ceperat, eum, amissa anima, corpore tegebat. Pauci autem, quos medios cohors praetoria disiecerat, paulo divorsius, sed omnes tamen advorsis volneribus conciderant. Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est, paululum etiam spirans, ferociamque animi, quam habuerat vivos, in voltu retinens. Postremo ex omni copia neque in proelio neque in fuga quisquam civis ingenuus captus est: ita cuncti suae hostiumque vitae iuxta pepercerant. Neque tamen exercitus populi Romani laetam aut incruentam victoriam adeptus erat; nam strenuissumus quisque aut occiderat in proelio, aut graviter volneratus discesserat. Multi autem, qui e castris visundi aut spoliandi gratia processerant, volventes hostilia cadavera, amicum alii, pars hospitem aut cognatum reperiebant; fuere item, qui inimicos suos cognoscerent. Ita varie per omnem exercitum laetitia, maeror, luctus atque gaudia agitabantur.
Ma quando finì la battaglia allora in verità avresti visto quanta audacia e forza d'animo c'era stata nell'esercito di Catilina. Infatti quasi ognuno proteggeva, persa la vita, col corpo quel luogo che aveva ottenuto combattendo. Per i pochi che la coorte pretoriana aveva diviso nel mezzo, erano caduti un po' più in là; ma tutti con ferite. In verità Catilina fu trovato lontano dai suoi tra i cadaveri dei nemici, che respirava ancora un po', tratteneva sul viso la fierezza d'animo che aveva avuto da vivo. Infine fra tutte le truppe nessun cittadino libero fu preso nella battaglia o nella fuga. Così tutti avevano risparmiato la vita dei loro nemici. E tuttavia l'esercito del popolo romano non ottenne una vittoria facile o non cruenta: infatti ognuno, più valoroso o era caduto in battaglia o era fuggito gravemente ferito. Inoltre molti che erano venuti dagli accampamenti per vedere o spogliare (i cadaveri), rivoltando le salme dei nemici, trovavano uno un amico, uno un ospite o un congiunto. Ci furono allo stesso modo quelli che riconobbero i loro nemici. Così l'allegrezza, il dolore, il pianto, e la gioia erano mescolati variamente per tutto l'esercito.

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