Materie: | Appunti |
Categoria: | Latino |
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Testo
CAP. 1°
Conviene che gli uomini tutti, che cercano di distinguersi dagli animali altri, si impegnino con sforzo sommo perché non trascorrano la vita nel silenzio come i bruti, che la natura ha formato proni e obbedienti al ventre. Ma la forza tutta nostra è posta nell’animo e nel corpo: ci serviamo del comando dell’animo, e piuttosto del servizio del corpo; l’uno è comune a noi con gli Dei, l’altro è comune a noi con le fiere. Perciò cercare la gloria e rendere il ricordo di noi lungo quanto più possibile poiché la vita stessa di cui godiamo è breve, sembra a me più giusto con le capacità dell’animo piuttosto che con i soccorsi delle forze fisiche. Infatti la gloria delle ricchezze e dell’aspetto è labile e fragile, la virtù rimane chiara e eterna. Ma contesa notevole ci fu a lungo fra gli uomini se la potenza militare dipendesse più dalla forza del corpo che dal valore dello spirito. Infatti c’è bisogno sia di riflessione prima che tu cominci, sia dell’azione a tempo opportuno non appena tu abbia riflettuto. Così un’altra cosa è inadeguata di per sé, l’una ha bisogno dell’aiuto dell’altra.
CAP. 3°
[Fare del bene alla patria è bello anche dire bene è non sconveniente; è lecito divenire famoso sia in pace sia in guerra e di quelli che agirono e di quelli che narrarono le azioni degli altri, molti sono lodati. Ma il narrare le imprese sembra a me tuttavia particolarmente difficile, sebbene gloria per nulla pari segua lo scrittore e l’artefice delle imprese: in primo luogo perché le azioni devono essere eguagliate alle parole, poi perché i più reputano quelle cose che tu abbia disapprovato come delitti, dette per malevolenza e invidia; allorché tu tratti del valore grande e della gloria dei buoni, ciascuno accetta di animo buono quelle cose che reputa facili a farsi da lui, prende quelle cose che sono al disopra per false, come inventate.] Ma io in principio stato giovinetto sono stato spinto con passione alla vita pubblica come i più, e qui molte cose furono avverse a me. Infatti l’audacia, la corruzione, l’avidità regnavano in luogo del ritegno del disinteresse del merito. E sebbene l’animo, ignaro delle arti perverse, rifiutasse tali cose, tuttavia l’età tenera era tenuta costretta dall’ambizione in mezzo a vizi così grandi; e, sebbene dissentissi dai costumi depravati degli altri, non di meno la smania di carriera tormentava me con maldicenze e l’odio stessi, con cui tormentava gli altri.
CAP. 4°
Dunque quando l’animo trovò pace dai molti affanni e pericoli e decisi che la vita rimanente da tenersi era da me lontana dalla politica, non decisione fu a me di consumare il buon riposo nell’apatia e nell’inerzia né invero di trascorrere la vita dedito ad attività servili coltivando la campagna o cacciando, ma, ritornato colà a quello stesso proposito e passione dal quale proposito e passione un’ambizione funesta mi aveva distolto, decisi di narrare le imprese del popolo romano a parti staccate secondo che ciascuno sembrasse degno di menzione, tanto più che l’animo era a me libero da speranza, da timore, da fazioni politiche. Dunque tratterò con poche parole della congiura di Catilina quanto più verosimilmente potrò; infatti io giudico quel fatto memorabile soprattutto per la novità del pericolo. Poche cose sono da chiarire intorno ai costumi di questo uomo prima che dia inizio al narrare.
CAP. 5
Lucio Catilina, nato da famiglia nobile, fu di forza grande sia d’animo sia di corpo ma di indole malvagia e corrotta. Le guerre civili, le stragi, le rapine, la discordia civile furono gradite a questi fin dall’adolescenza e qui esercitò la giovinezza sua. Un fisico tollerante dell’inedia del freddo delle veglie più di quanto è credibile a chiunque a lui fu. Un animo audace, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, bramoso dell’altrui prodigio del suo, ardente nelle passioni; abbastanza di eloquenza poco di accorgimento a lui fu. L’animo insaziato bramava sempre cose smisurate incredibili, troppo alte. Dopo la dittatura di Lucio Silla un desiderio grandissimo di impadronirsi del potere aveva preso, questi, né aveva alcun che di scrupolo in che modi conseguisse ciò purché procurasse il dominio a sé. L’animo feroce era agitato di giorno in giorno più e più dalla ristrettezza del patrimonio e da rimorso dei delitti, le quali cose entrambe aveva accresciute con le arti quelle, che dianzi ho ricordato. Inoltre i costumi corrotti della popolazione spingevano, che la lussuria e l’avarizia, mali pessimi e diversi tra loro, travagliavano. La cosa stessa sembra invitare- giacché ha fatto ricordare i costumi civitatis – a rifarmi più addietro e a trattare con poche parole le istituzioni in pace e in guerra degli antenati, come abbiano tenuta la repubblica e l’abbiano lasciata quanto grande, come, a poco a poco mutatasi, sia divenuta la peggiore e viziosissima di bellissima e ottima.
CAP. 9°
Pertanto in pace e in guerra erano coltivati buoni costumi. Vi era massima concordia e minima avarizia. La giustizia e l’onestà valevano presso questi non tanto per le leggi ma per natura. Esercitavano odio discordia e ostilità contro i nemici fra concittadini gareggiavano per virtù.
Erano magnifici nei sacrifici agli Dei, parsimoniosi in casa, e fedeli con gli amici. Grazie a queste due parti, audacia in guerra e giustizia quando c’era la pace. Io ho quali prove grandissime delle quali cose queste, che in guerra si presero provvedimenti più spesso contro di loro, che avevano combattuto contro il nemico contro l’ordine e che richiamati si erano ritirati dal combattimento più tardi, che contro coloro che avevano osato abbandonare le ordinanze o, battuti, ritirarsi; invece in pace che esercitavano il potere più con la benevolenza che col terrore e, ricevuta un’offesa, preferivano perdonare che vendicare.
CAP. 10°
Ma allorché lo stato si ingrandì con il lavoro e la giustizia, re grandi furono vinti in guerra, nazioni feroci e popoli grandi furono sottomessi con la forza, Cartagine, rivale del dominio di Roma fu distrutta dalle fondamenta i mari e le terre tutte erano aperte, la sorte incominciò a infuriare e a scompigliare ogni cosa. La pace, le ricchezze, desiderabili in altre circostanze furono di peso e di disgrazia per coloro che avevano sopportato facilmente fatiche, pericoli, situazioni incerte e dure. Così da prima la cupidigia di denaro crebbe, poi la cupidigia del potere crebbe: queste cose furono quasi l’esca dei mali tutti. Infatti l’avidità sovvertì la lealtà, l’onesta e le pratiche buone altre in luogo di esse insegnò la superbia, la crudeltà, a trascurare gli Dei, a considerare ogni cosa venale. L’ambizione costrinse molti uomini a divenire falsi, ad avere una cosa chiusa nel petto, e ad avere un’altra cosa pronta alla lingua, a giudicare le amicizie e le inimicizie non dall’essenza, ma dal vantaggio, e da avere buono più l’aspetto che l’animo. Questi mali dapprima crebbero lentamente, talvolta erano puniti,ma poi, quando il contagio dilagò come una pestilenza, la città si trasformò, il governo divenne duro e intollerabile di giustissimo e buonissimo.
Cap. 11°
Però da principio l’ambizione travagliava gli animi degli uomini più che l’avarizia, che tuttavia era un vizio più vicino alla virtù. Infatti sia il buono che il malvagio desideravano per sé del pari gloria, onore, dominio; ma quegli si fa avanti per la strada giusta, questi, poiché a lui i mezzi onesti fanno difetti, ristudia con gli inganni e con gli intrighi. L’avarizia ha desiderio di denaro, che nessun uomo saggio ambisce; essa, come impregnata di veleni cattivi, indebolisce il corpo e l’animo forte, è sempre scontenta, insaziabile, non si esaurisce né nella ricchezza, né nella miseria. Ma dopoché Lucio Silla, conquistato il potere con le armi, ebbe seguiti cattivi dopo inizi buoni, tutti rapinavano, portavano via, chi desiderava la casa, chi desiderava i campi, i vincitori non avevano né la misura né ritegno, compivano delitti malvagi e crudeli contro i cittadini. S’aggiungeva a ciò il fatto che L.S. aveva tratto l’esercito che aveva comandato in Asia, mollemente etroppo rilassatamente contro l’uso dei padri affinché rendesse esso fidato a sé. I luoghi belli, piacevoli avevano corrotti facilmente nell’ozio gli animi fieri dei soldati. Là per la prima volta l’esercito del popolo romano s’avvezzo ad amare, a gozzovigliare, a pregiare le statue e i quadri, le suppellettili cesellate, a rubare esse in privato e in pubblico, a spogliare i templi, a profanare tutti i luoghi sacri e profani. Così quei soldati, dopo che ebbero conseguita la vittoria, non lasciarono nulla di restante ai vinti. Se è vero che le condizioni propizie fiaccano gli animi dei saggi, tanto meno quelli si moderavano nella vittoria da costumi corrotti.
CAP. 12°
Dopochè la ricchezza incominciò ad essere di onore, e la gloria, il dominio, la potenza seguivano quella, la virtù cominciò ad affievolirsi, la povertà ad essere considerata vergogna, l’integrità ad essere presa malanimo. Così la corruzione e l’avidità con la prepotenza s’impadronirono della gioventù per la ricchezza: rubavano, sperperavano, consideravano le proprie cose da poco, desideravano le cose altrui, consideravano onore, pudicizia, cose divine e cose umane senza distinzione niente di ponderato né di moderato. Quando tu abbia visto le case e le ville costruite a guisa di città, il visitare i templi degli dei che gli antenati nostri, uomini religiosissimi costruirono, è di ricompensa dell’azione. Invero quelli decoravano i templi degli dei della venerazione, le case loro della gloria, e non strappavano ai vinti nulla all’infuori della possibilità di danno. Ma questi invece, uomini ignavissimi, rapirono con delitto gravissimo agli alleati quelle cose tutte, che i vincitori, uomini fortissimi, avevano lasciato: proprio quasi che commettere ingiuria questo effettivamente fosse esercitare il potere.
CAP. 14°
Catilina, in una città tanto grande e tanto corrotta cosa che era facilissima da farsi aveva attorno a sé schiere di corrotti e di criminali. Infatti qualunque depravato, adultero, crapulone avesse dissipato i beni paterni con il gioco, con la gozzoviglia e con la lussuria e chi aveva accumulato grandi debiti con cui porre rimedio a vergogna o delitto, inoltre tutti gli assassini venuti da ogni parte, i sacrileghi, gli uomini già riconosciuti colpevoli in un processo e coloro che erano in attesa di giudizio per le loro azioni, coloro che vivevano di spergiuri e omicidi e infine tutti quelli che la colpa,la miseria , il rimorso che erano agitati (dalla colpa), tutti costoro erano amici intimi di Catilina, e se qualcuno, ancora esente da colpa era incappato nella sua amicizia con la pratica quotidiana e gli adescamenti diventava facilmente del tutto simile agli altri. Ma in modo particolare ricercava la compagnia dei ragazzi; le loro personalità ancora tenere e instabili venivano facilmente catturate con inganni a seconda delle loro passioni, rese ardenti dall’età; forniva meretrici, a ciascuno comprava cavalli e cani, insomma non badava né al suo denaro né al suo onore, pur di renderli a sé sottomessi e fedeli. So che ci furono alcuni giovani che frequentavano la casa di Catilina che avevano poco riguardo al pudore. Per deduzione da altri fatti più che per prove sicure. Voleva questa fama.
CAP. 17°
Pertanto il 1° giugno, sotto il consolato di L.Cesare e figlio, dapprima li chiamò ad uno ad uno, esortava alcuni, saggiò gli altri; li informò sui suoi mezzi, sul fatto che lo stato era indifeso, sui grandi vantaggi della congiura. Dopo che furono sufficientemente accertate le cose che volle, in quel luogo insieme tutti coloro che si trovavano nel bisogno estremo e possedevano grandissima audacia, qui convennero come disertori (serie di nomi), inoltre dall’ordine dei cavalieri (altra serie di nomi); inoltre molti audaci, in patria nobili, dalle colonie e dai municipi.
Oltre a questi parecchi nobili erano partecipi di questo piano ma in modo un po’ più segreto, spinti più dalla speranza del potere che dalle ristrettezze economiche e da altre necessità. La maggior parte degli altri giovani, ma soprattutto trai i nobili, era favorevole alle inziative di Catilina; essi avevano la possibilità di vivere nell’ozio, fra gli splendori e i piaceri preferivano l’incertezza alla sicurezza, la guerra alla pace. In quell’occasione ci fu chi credette a
M.L.C. non ignaro del suo progetto; poiché Gneo Pompeo che gli era ostile, era al comando dell’esercito avrebbe voluto che crescesse la potenza di un qualunque contro quella di lui (Catilina) potenza, contemporaneamente sperarono, se la sua congiura fosse riuscita, che egli facilmente presso quelli sarebbe diventato capo presso di loro.
CAP. 23°
Ma in quella congiura c’era Q.C, nato da famula non ignobile, tutto pieno di vergogna e di delitti che i censori avevano espulso dal Senato a causa della turpitudine. Vanità non inferiore rispetto all’audacia era in quest’uomo. Non aveva scrupolo di tacere quelle cose che aveva udito né egli stesso di nascondere i propri delitti, insomma né di dire né di fare qualunque cosa. Una consuetudine vecchia di tresca era a lui con Fulvia, una donna nobile. Essendo meno gradito alla quale, perché poteva essere generoso meno per le ristrettezze, improvvisamente incominciò a promettere vantandosi mari e monti, e di tanto in tanto a minacciarla con il pugnale se non fosse compiacente con lui: in fine a comportarsi più prepotentemente di quanto era stato solito. Ma Fulvia, venuto a sapere il motivo dell’insolenza di Curio, non tenne nascosto siffatto pericolo per la patria ma riferì, senza nominare la fonte, a parecchi le cose che aveva saputo intorno alla congiura di Catilina e in che maniera. Questo fatto soprattutto accese il desiderio degli uomini ad affidare il consolato a M.T.C. Infatti precedentemente la maggior parte della nobiltà ribolliva d’invidia e riteneva che il consolato quasi fosse profanato, se un uomo nuovo, per quanto ottimo avesse ottenuto esso. Ma allorché il pericolo sopraggiunse, l’invidia e la superbia furono messe da parte.
CAP. 57° (Fotocopia)
Ma dopochè la notizia giunse all’accampamento che a Roma la congiura era stata scoperta, che il supplizio su Lentulo e Cetego e gli altri, che sopra ho ricordato, era stato eseguito, i più che la prospettiva di rapine o il desiderio di novità aveva attirato alla guerra, si sbandarono; Catilina conduce gli via gli altri attraverso montagne aspre a grandi tappe nel territorio Pistoiese con l’intenzione di fuggire nascostamente nella Gallia Transalpina per sentieri nascosti. Ma Q.Metello Celere faceva guardia nel Piceno con tre legioni pensando che Catilina per la difficoltà della situazione facesse proprio quelle cose che dianzi abbiamo detto. Perciò appena dai fuggitivi venne a sapere l’itinerario di lui, levò il campo rapidamente e si pose agli stessi piedi dei monti, per di là dove la discesa era per quello che si dirigeva verso la Gallia. Neppure tuttavia Antonio stava lontano, affinché inseguisse libero da bagagli (quelli) in fuga i posizioni più aperte con un grande esercito. Ma Catilina, come vide sé chiuso dai monti e dalle forze dei nemici, la situazione ostile in città, né alcuna speranza di fuga né di aiuto, giudicando ottimo a farsi in tale situazione tentare la sorte della guerra, decise di combattere con Antonio quanto più presto possibile. Perciò, convocata l’adunata tenne un discorso di tal fatta.
CAP.Boh (Fotocopia)
Dopo che lo stato romano, cresciuto per cittadini, migliorato per moralità, ingrandito per territorio, sembrava abbastanza prosperoso e potente, così come accade per la maggior parte delle cose dei mortali, dalla ricchezza nacque l’invidia. Allora i re e i popoli vicini cercarono di conquistare con la guerra, pochi tra gli amici erano di aiuto: infatti i rimanenti, avendo paura, si tenevano lontani dal pericolo. Così i romani, impegnati in pace e in guerra, si davano da fare, si preparavano, si esortavano l’un l’altro, andavano in contro ai nemici, difendevano la libertà, la patria e la famiglia con le armi. Dopo, che i pericoli furono allontanati dalla virtù portarono aiuti agli alleati e agli amici, e preparavano più dando che ricevendo benefici. Alcuni scelti, che avevano una mente molto assennata, ilcorpo debole per gli anni, provvedevano all’amministrazione dello stato: questi o per l’età o per la somiglianza del compito furono chiamati “patres”. In seguito, quando il potere regio, che era stato creato inizialmente per difendere la libertà e per ingrandire lo stato, mutò in una tirannide superba, cambiati i costumi, si dettero magistrature annuali e due comandanti alla volta: in questo modo ritenevano che l’animo umano non potesse assumere atteggiamenti tirannici mediante l’abuso di un’autorità illimitata.