Properzio

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Testo

Properzio
Le notizie della sua vita vengono direttamente dalla sua opera. Nacque in Umbria tra il 50\46 a.C. da una famiglia benestante, di rango equestre. Nel ’41 l’Umbria fu investita dalla guerra civile, sedata a Perugia nel ’40 da Ottaviano in un bagno di sangue. La famiglia di Properzio fu colpita duramente: sopportò la morte di un congiunto e gravi difficoltà economiche per la confisca di buona parte delle sue terre. Nella sua sensibilità di poeta il ricordo doloroso di questa esperienza lascerà un segno profondo. Accenti commossi presente l’elegia I,22, che, secondo un uso tradizionale della poesia greca, chiude la raccolta con una autopresentazione dell’autore, quasi un “sigillo” (sphragis) che garantisce la paternità dell’opera; Properzio rievocherà altre volte le sue vicende personali e quelle della sua patria etrusca, come parte di un unico destino che ha coinvolto le antiche città e popolazione italiche nel loro rapporto con Roma: partecipi della sua grandezza ma anche destinate a pagare un tributo di sofferenze e di morte (parla anche di Veio, che Roma distrusse agli albori della sua potenza). Il giovane Properzio si trasferisce presto a Roma, dove la famiglia lo aveva mandato con la speranza che si facesse strada nella carriera forense o nella vita pubblica. Egli invece è attratto dai circoli mondani e letterari nella capitale. Nel ’28 pubblica il suo primo libro di elegie: 22 l’elegie d’amore, secondo la maniera di Gallo, coltivata in quegli stessi anni da Tibullo. Il primo libro Tibulliano sarà pubblicato più tardi, ma i due elegiaci lavorano contemporaneamente alle loro raccolte, ed è incerta la cronologia relativa dei singoli componimenti dei due poeti; Ovidio comunque considerava Properzio un successore di Tibullo. Tema dominante è la relazione che avrebbe avuto con una donna di nome Cinzia: nome letterario che copre esperienze d’amore per larga parte reali. Secondo Apuleio si chiamava in realtà Hostia. Appare come una di quelle giovani donne eleganti, raffinate, spregiudicate, che facevano una vita brillante mantenute nel bel mondo di Roma (era una liberta, non aveva costumi di vita ortodossi ed era mantenuta dagli amanti). Il successo fu immediato e cospicuo: si parla di Properzio negli ambienti letterari, e fu introdotto da Mecenate nel circolo dei poeti da lui protetti. L’influenza di Mecenate è vistosa nel II libro (28\25 a.C.): circa 35 elegie, con un ampio proemio rivolto a Mecenate, dedicatario del libro; qui il poeta si apre con problemi civili e ideologici dell’attualità. III libro (25\22 a.C.): 25 elegie, considerato da lui come conclusivo della sua opera: si chiude con un addio a Cinzia, un distacco amaro che sembra definitivo. La fine della relazione segna infatti l’ultima pagina di un canzoniere che si era aperto con la rievocazione dell’innamoramento per Cinzia. Del resto Properzio, in un buon terzo delle elegie, si stacca dalla tematica erotica, per aprirsi a temi diversi: intrecciandoli insieme, a volta, affronta temi civili, questioni di poetica, celebrazioni occasionali, discussioni morali di carattere generale; la raccolta ospita anche componimenti che assumono le forme dell’epicedio, dell’encomio, dell’inno. Il II e il III libro (che probabilmente hanno avuto una pubblicazione congiunta nel ’22), completavano, insieme al I libro, una raccolta che poteva figurare, come pendant elegiaco dei tre libri delle Odi di Orazio, appena pubblicati nel ’23. L’orgoglioso epilogo oraziano (III,30) è riecheggiato nelle tre solenni elegie proemiali del III libro, nelle quali Properzio celebra la sua vocazione di raffinato poeta callimacheo dei temi d’amore. Qualche anno dopo Properzio ritorna a scrivere: elegie sempre, ma di tipo diverso. Il IV libro è una raccolta di carattere sperimentale: il poeta propone, alla maniera degli Aitia di Callimaco, alcune elegie sui temi di religione e storia nazionale romana (ciclo delle “elegie romane”) e insieme nuove prove di elegia d’amore. In tutti undici elegie più ampie rispetto alla media degli altri libri. Le indicazioni cronologiche contenute nel IV libro non portano oltre il 16 a.C., e dopo questa data manca ogni notizia su Properzio: poeta morto poco dopo la pubblicazione del IV libro, ma si tratta solo di una congettura. Rinuncia alla carriera politica, vita d’amore, poesia elegiaca sono in Properzio una medesima scelta. Nell’elegia I,6 confronta il proprio destino con quello dell’amico Tullo (dedicatario del primo libro e di varie elegie), che parte per l’oriente al seguito di uno zio che, console nel ’33, andava ora ad assumere nel 30\29 il governo della provincia d’Asia. A causa del legame con Cinzia, Properzio deve rinunciare all’offerta dell’amico di unirsi anch’egli nel viaggio: le prospettive di una brillante carriera politico- militare nulla valgono di fronte alle proteste, alle minacce e alle lacrime della donna amata. Rappresenta come una scelta obbligata: in quanto è conquistato dall’amore, si sente vittima di un destino necessario di emarginazione da ciò che nella società romana è considerato nobile e importante. Un destino di esclusione che accetta volentieri e quasi con fierezza. Questa non è una scelta frivola e sciocca secondo Properzio: egli infatti rivendica all’amore la dignità di un valore alternativo, capace di riempire e dar senso all’intera vita. Questo impegno esistenziale esclude ogni possibilità di poesia diversa da quella che canta l’amore e il mondo degli amori (solo dopo il primo libro altre tematiche troveranno il loro spazio). Da sfondo all’elegia di Properzio, c’è l’ambiente dell’élite giovanile urbana dedita alla vita galante, il mondo dei conviti e degli incontri furtivi, le serate con musica, danza e lettura di poesia. Soprattutto nel primo libro, la voce del poeta d’amore appare inserita in una fitta rete di relazioni personali e private: una cerchia di amici che negli altri libri avrà una parte molto ridotta, meno importante in Tibullo e quasi del tutto assente negli Amores di Ovidio, e che fa apparire la prima poesia properziana legata ad un ambiente simile a quello della cerchia neoterica. Al rifiuto della carriera in nome dell’amore, corrisponde, sul piano delle scelte letterarie, il rifiuto del poema epico nazionale in favore della musa “leggera” dell’elegia: alle ragioni esistenziali, si coniugano i principi dell’estetica callimachea, che fanno diffidare dalle durezze e dei turgori della poesia grande e raccomandano invece la levigata raffinatezza dei generi minori. Nelle elegie I, 7 e 9, rivolte all’amico Pontico, la vocazione per la poesia d’amore è affermata con un misto di rassegnazione e di orgoglio; mentre Pontico, con la sua Tebaide, rivaleggiava con Omero, a Properzio veniva riservato invece un ruolo e un pubblico ben più modesto; Properzio poi ipotizza che Pontico caschi anch’egli vittima di Cupido (si accorgerebbe che in amore l’elegiaco Mimnermo vale più dell’epico Omero). Con questa scelta esistenziale e poetica, Properzio si trova escluso, come poeta e come cittadino, da quel grande movimento politico- culturale che accompagnava il progetto augusteo di ricostruzione dello stato. Nel II libro troviamo l’elegante recusatio, attraverso cui il poeta, con apparente modestia, rifiuta il ruolo di vates impegnato nei temi nazionali: dichiara di non sentirsene all’altezza, e conferma la scelta di vita e di poesia d’amore, lasciando tuttavia capire che per lui, questa scelta ha in realtà una validità superiore. Altre volte, di fronte all’alternativa dell’impegno civile, sembra approfondirsi la coscienza della sua nequitia (un otium ingiustificabile) come incapacità di integrazione in un ruolo sociale e culturale del quale pure condivide in buona parte le motivazioni. E a volte troviamo il gesto d’insofferenza, la ribellione, la rivendicazione anticonformista della propria diversità. Ma parimenti se di fronte agli ideali della vita civile la vita d’amore può essere confessata come nequitia, di fronte alla disgregazione morale della res publica (denaro, lusso, arrivismo), essa può presentarsi come un mondo di valori da rivendicare, capace di promettere quella felicità autosufficiente che altri cercano nell’autarkeia dei filosofi: non c’è cosa al mondo che valga come un amore corrisposto, e chi è corrisposto in amore basta a se stesso. Già come aveva fatto Catullo, anche Properzio recupera all’interno della nuova etica dell’amore libero, certi valori propri del matrimonio, investendoli di quel calore passionale che nel matrimonio era invece sbiadito. L’amore con Cinzia è per lui un foedus garantito dagli dei, che, quanto il matrimonio, oltre il matrimonio, richiede fedeltà e dedizione per tutta la vita e perfino oltre la morte. Valore particolare assume la morte per Properzio: non gli fa paura, se non per l’idea che essa possa essere priva della donna amata. Anzi, è piacevole pensare, come Tibullo, il proprio funerale e la propria tomba, consolata dalle lacrime della donna amata, finalmente commossa per lui. Come il mitico Protesilao, anche Properzio è un innamorato capace di vincere i limiti del destino umano, con un amore che si fa sentire perfino dall’oltretomba, per i quali amore e morte alimentano un immaginario sublime. La morte è per Properzio una delle strade per evadere dalla realtà: uno spazio di sogno in cui l’amore può trovare tutta la pienezza sublime così difficile nella vita di ogni giorno. L’unione degli amanti si traduce spesso nell’idea e nell’immagine della iuncta mors: morte comune per i due amanti. In questo quadro di rivalutazione morale dell’esperienza dell’eros, Properzio cerca in Cinzia i valori della tradizione matronale (fides, pudor, castitas), valori che non possono riscontrarsi con la frivolezza della vita galante: Cinzia ama il lusso, i divertimenti, i conviti e non sa legarsi ad un rapporto esclusivo. Ma questi sono parte insostituibile del suo fascino: motivi per cui Properzio l’ama. Anche se in Properzio c’è una gioia per la scelta compiuta, in tutta la sua poesia domina però il dolore, il senso di sconfitta per l’inattinguibilità di un ideale. Il richiamo a questo ideale e il senso della sua lontananza si esprimono attraverso la rievocazione del mondo del mito, che in Properzio è un punto di riferimento costante dell’esperienza. L’uso properziano del mito è un fenomeno complesso: l’exemplum mitologico, che fa da contrappunto a tutti i momenti e gli aspetti della vita, è una vera e propria modalità del linguaggio poetico, un mezzo efficace per comunicare idee e sentimenti, e proporre quasi visivamente delle immagini: a quel tempo d’altronde, i miti greci non sono solo storie raccontate da poeti e letterati, ma anche lo spettacolo di affreschi, mosaici e sculture che impreziosiscono le costruzioni del tempo. Properzio usa i miti antichi come un repertorio argomentativo per dimostrare una tesi. Ma la funzione più importante è quella di illuminare la situazione personale, per somiglianza o per contrasto. In quest’ultimo caso il mito può assumere la funzione di simbolo etico, rappresentando virtù dignitose e remote, cui i personaggi della relazione galante si dimostrano inadeguati. In II,9, il poeta, tradito di Cinzia, propone due esempi di amore e di fedeltà: Penelope che, pur circondata da tanti pretendenti, pur sapendo di non poter più vedere Ulisse, invecchiò in sua attesa; Briseide, schiava di Achille, che, in lutto alla morte dell’eroe, dà al corpo di lui amorose cure funebri. Tra il mondo del mito e la realtà di Properzio e Cinzia c’è di fatto un abisso che il poeta misura con dolente consapevolezza. Mito è dunque uno spazio di evasione da una realtà insoddisfacente e modesta, e consente di trasferire in un mondo ideale i valori che nell’esperienza concreta sono impari alle aspirazioni del poeta.

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