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Categoria: | Latino |
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Testo
Petronio
La questione petroniana. Per molto tempo si è parlato di una questione petroniana, finché è durata l’incertezza sull’epoca, la persona, il nome completo e il titolo dell’opera narrativa di P., ovvero se si trattasse effettivamente del personaggio rappresentato da Tacito in "Annales" 16: T. Petronius Niger. Ma finalmente quest'identificazione sembra oggi pacifica: le qualità che Tacito dà alla figura di P. sono tutte qualità, infatti, che l’autore del "Satyricon" deve aver posseduto in modo elevatissimo. Non sappiamo se Tacito conoscesse direttamente il romanzo; se lo conosceva, è lecito pensare che ne abbia tenuto conto nella sua descrizione di P., ma non era tenuto a citare nella sua severa opera storica un testo così eccentrico e scandaloso. Certi aspetti del testo, poi, possono benissimo rimandare all’ambiente neroniano, e il gusto di P. per la vita dei bassi fondi può avere una sottile complicità con i gusti dell’imperatore. Se l’autore è in realtà il P. di Tacito, dobbiamo aspettarci certamente allusioni anche sottili all’ambiente della corte neroniana.
Tutti gli elementi di datazione interni concordano, del resto, con una datazione non oltre il principato di Nerone. Le allusioni a personaggi storici e i nomi di tutte le figure del romanzo sono, insomma, perfettamente compatibili con il contesto del periodo storico di Nerone.
Elegantiae arbiter. Il P. di Tacito – anche se a Roma non s’interessò di politica e non aspirò ad onori - fu altresì un uomo di potere (proconsole in Bitinia e "consul suffectus" nel 62); ma la qualità che lo rendeva caro a Nerone era ancor più la raffinatezza, il gusto estetico ("elegantiae arbiter"): gran signore, viveva a corte, dormiva di giorno e dedicava la notte ai piaceri e alle cose serie; non amava il lavoro, bensì il lusso e l’eleganza, ostentando però un carattere trascurato e vizioso.
L’odio di Tigellino e la diffamazione. Appunto per queste "qualità", venne in invidia e in odio a Tigellino, il potente favorito dell’imperatore, il quale lo accusò di essere amico di uno dei capi della congiura di Pisone (65 d.C.).
Il suicidio "epicureo". Ma questo P. stupì ancora una volta, realizzando un suicidio in grande stile: non volle attendere che gli giungesse l’ordine di morire, ma prima ancora, mentre era a Cuma (proprio a séguito dell’imperatore), si fece incidere le vene, e poi, rallentando il momento della fine richiudendosele, passò le ultime ore a banchetto non a discorrere, alla maniera dei saggi e degli uomini forti (insomma, alla maniera stoica di Lucano e di Seneca), i soliti discorsi sull’immortalità dell’anima, bensì - con ostentato atteggiamento epicureo – ascoltando poesie di contenuto poco serio e piacevoli discussioni. Tuttavia, volle mostrarsi anche serio e responsabile: si occupò dei suoi servi (ne ricompensò alcuni, altri li fece sferzare), e scelse di denunciare apertamente, in una serie di "codicilli", i crimini dell’imperatore (non volle adularlo come solevano invece fare i condannati per mettere al riparo da persecuzioni amici e parenti), descrivendone con ogni particolare la vita scandalosa, con nomi di pervertiti e di prostitute; quindi, sigillò lo scritto e distrusse il suo anello, perché non potesse venire riutilizzato in qualche intrigo o per incolpare ingiustamente innocenti.
Il "Satyricon".
**Premessa. Del capolavoro, il "Satyricon", come accennato, sono incerti l’autore, la data di composizione, il titolo e il significato, l’estensione e la trama originarie, il genere letterario e le motivazioni per cui quest’opera venne scritta e pubblicata: in effetti, l’unico attestato dell'opera di P. (quello che, insomma, noi oggi leggiamo) è solo un lungo frammento narrativo in prosa, con parti in versi, residuo di una narrazione molto più ampia.
Il titolo, "Satyrica", sembra formato da due grecismi: "Satyri" (i personaggi del mito e del folklore greco) più il suffisso di derivazione greca "-icus". Il lungo frammento sopravvissuto copre parte dei libri XIV e XVI e la totalità del libro XV. Non sappiamo di quanti libri fosse composto il romanzo. Questo perché il testo ebbe un destino complesso: fu antologizzato già in età tardo antica, con intervento anche di vere e proprie interpolazioni e "censure".
**Personaggi. Maschili. Encolpio. E’ un giovane pieno di talento e di ingegno, sensibile all’arte e amante delle belle lettere, una sorte di intellettuale vagante, coraggioso fustigatore dei vizi che compromettono una buona formazione artistica, buon giudice di poesia e non privo di cultura; tuttavia, la sua perversione morale e sessuale, nonché la sua insanabile gelosia nei confronti di Gitone, spesso lo portano ad atteggiamenti indegni. E’ forse, di tutto il romanzo, il vero alterego di P.
Ascilto. E’ un bravaccione grossolano e violento, puro istinto, ignaro di cose belle e di letteratura, che vuol risolvere tutto coi pugni e la spada.
Gitone. E’ un sedicenne giovinetto dall’aspetto e dall’atteggiamento femminei e impudichi, e dall’animo ipocrita: amasio (interessato) ora di Encolpio, ora di Ascilto, insomma di chi, sul momento, gli dia maggiori sicurezze.
Trimalchione. E’ il villano rifatto per eccellenza, perciò in tutte le sue manifestazioni tradisce la bassezza della sua origine, la volgarità della sua educazione, la grossolanità dei suoi gusti: qualcuno ha voluto vedere in lui la personificazione di Nerone, ma è piuttosto da vedere la satira feroce di tutti quei liberti imperiali, i quali, strisciando come vermi e sfruttando l’infame consuetudine della delazione, erano riusciti ad ammassare ricchezze favolose. Eppure, Trimalchione è uomo che ha le sue particolari "qualità": ha l’arte di condurre in porto gli affari (anche quelli meno limpidi), conosce il mondo, e soprattutto è ottimista ad oltranza e, come tutti i grandi affaristi, mai si lascia scoraggiare dai rovesci della sorte. Tenace, costante, bonario, a differenza dei suoi simili ci tiene a ricordare le sue basse e rozze origini, e nei confronti di alcuni schiavi sa mostrare simpatia e partecipazione. E pur se immerso nel più plateale edonismo, ha le sue paure: gli astri e le arti magiche, così come si intenerisce davanti al pensiero della sua morte.
Tra i personaggi femminili non ve n’è uno che mostri delicatezza: per P., la donna è semplicemente strumento di vizio e di depravazione.
Quartilla. La donna dei riti orgiastici priapei è una figura disgustosa, che non sa immaginare altro che atti lussuriosi e disgustosi.
Fortunata. Moglie di Trimalchione, esemplare tipico delle mogli degli arricchiti, è sì premurosa della casa e specialmente del suo vizioso marito, ma è grossolana e volgarissima in tutti i suoi gesti (ad es., l’affettuosità con l’amica Scintilla).
**Considerazioni. Il senso della vita. Il tratto più originale della poetica di P. è forse la forte carica realistica, dove diventa anche un fenomeno linguistico. Nel vorticoso avvicendarsi di disavventure luoghi e personaggi, al di là dell’intento di divertire il lettore e di divertirsi raccontando, sembra emergere – d’altra parte - un senso di precarietà e d’insicurezza, una visione della vita multiforme e frantumata, dominata da una fortuna imprevedibile e capricciosa, e oscurata dal pensiero sempre incombente della morte (si pensi, ad es., alla considerazione di Trimalchione sulla durata del vino, che vive più a lungo dell’uomo, e al suo commuoversi al pensiero della propria morte; nonché alla legge della vita, che prevale sempre sulla dura realtà della morte, nella novella della matrona di Efeso).
Il realismo e il distacco. P., dunque, presenta e ritrae un mondo corrotto, popolato da personaggi squallidi e anonimi, che traggono soddisfazione solo dai piaceri più essenziali ed immediati. Insomma, egli raffigura una fascia sociale che non sembra animata da alcuna ispirazione/aspirazione ideale e che nella cultura del tempo non trovava evidentemente spazio. Eppure, P. fa ciò senza compiacimento, anzi quasi con distacco, prendendo le dovute distanze, ma non senza ironia e malizia: egli, cioè, non offre ai suoi lettori nessun strumento di giudizio, e non potrebbe essere altrimenti, in una narrazione condotta in prima persona da un personaggio che è dentro fino al collo in quel mondo sregolato. L’originalità del realismo di P. sta così non tanto nell’offrirci frammenti di vita quotidiana, ma nell’offrirci una visione del reale che è critica quanto spregiudicata e disincantata: ma di una critica, come detto, "estetica", e non di natura sociale e/o politica, senza le stilizzazioni e le convenzioni tipiche della commedia e senza i filtri moralistici propri della satira: ciò che egli veramente disapprova è soltanto il cattivo gusto.
La critica ai filosofi. Semmai, più evidente è l’attacco nei confronti dei filosofi contemporanei, primo fra tutti Seneca: essi vengono ridicolizzati nella loro ansia di rinnovamento, nel loro predicare la virtù e sognare un mondo migliore; e ad essi, P. contrappone realisticamente quell’umanità bassa e desolata, ch’è – se vogliamo - la vera protagonista del romanzo.
La lingua e lo stile. Anche la lingua di P. è un fatto composito: l’autore sa servirsi, a seconda delle situazioni e delle sue intenzioni parodiche o ironiche, di tutti i registri linguistici, sa piegare l’espressione ai modi e alle necessità dell’epica, è capace di ricreare la prosa ciceroniana o il classicismo di Virgilio, ma quella che prevale nell’opera è una lingua nuova, moderna, assai più vicina ad una forma parlata, che egli consapevolmente immette nella lingua letteraria. Il linguaggio e lo stile sono, insomma, straordinariamente duttili e "mimetici", e divengono il mezzo principale di caratterizzazione degli ambienti e, soprattutto, dei personaggi: dallo stile generalmente piano colloquiale e disinvolto del narratore, si passa al "sermo vulgaris" di Trimalchione, alla magniloquenza di personaggi come Agamennone ed Eumolpo, solo per citare alcuni esempi; in certi casi, poi, il linguaggio del narratore e dei personaggi colti si eleva notevolmente, facendosi eccessivamente elaborato ed enfatico, con intenti - è evidente - ironici e parodistici.
I lettori. Infine, è da dire che il livello culturale dei lettori a cui il "Satyricon" si rivolgeva era sicuramente alto, come notava già Auerbach quando scriveva: "P. attende lettori di tale levatura sociale e cultura letteraria da poter subito intendere tutte le sfumature del mal comportamento sociale e dell’abbassamento della lingua e del gusto ... un’élite sociale e letteraria che riguarda le cose dall’alto ... anche P. dunque scrive dall’alto, e per il ceto delle persone dotte". Dunque, il pubblico di P. doveva essere costituito senz’altro dagli aristocratici di Roma, e, molto probabilmente, dai cortigiani e dallo stesso Nerone.
Il genere letterario: Per romanzo antico si intende due tipologie differenti:a)due testi latini: Satyricon e la metamorfosi di Apuleio; b) in Grecia ci sono 6 esempi.
Al contrario dei romanzi latini, questa serie di opere greche è unita da una notevole omogeneità e permanenza di tratti distintivi. La trama è quasi invariabile: si tratta delle traversie di una coppia di innamorati che vengono separati e che devono affrontare mille pericoli prima di potersi riabbracciare. Il tono è quasi sempre serio, lo scenario è invece variabile e spazia nei paesi del Mediterraneo. L’amore è trattato con pudicizia, come una passione seria ed esclusiva: l’eroina riesce sempre ad arrivare alla fine del romanzo ancora casta.
Nel romanzo di P., invece, l’amore è visto in modo ben diverso. Non c’è spazio per la castità, e nessun personaggio è un serio portavoce di valori morali. Il protagonista è sballottato tra peripezie sessuali di ogni tipo, e il suo partner preferito è maschile. Il rapporto omosessuale tra Encolpio e Gitone diventa, così, quasi una parodia dell’amore romantico che lega gli innamorati dei romanzi greci. Si è pensato quindi che il Satyricon fosse la parodia dell’idealizzato romanzo greco. Differenze con il Satyricon: non cè morale ma c’è un effetto umoristico;P. colloca linguaggio aulico in scene di estrema bassezza generando comicità; l’amore è pura sessualità e, a differenza del romanzo greco, c’è l’amore omosessuale; ambientazione ristretta.
Inoltre un altro modello a cui poteva far riferimento Petronio è la Fabula Milesia che a partire dal I secolo d.C. ha una grande fortuna;questa letteratura novellistica caratterizzata da situazioni comiche, spesso piccanti e amorali. Sappiamo con certezza che P. utilizzò ampiamente questo filone di narrativa (una tipica storia milesia è quella raccontata da Eumolpo): i temi tipici di questa novellistica si oppongono a qualsiasi idealizzazione della realtà: gli uomini sono sciocchi e le donne pronte a cedere.
La libera alternanza di prosa e versi ci fanno pensare alla “Satira menippea” (per esempio l’Apokolokyntos di Seneca) :si tratta di un genere molto aperto sui versanti di contenuto e forma, caratterizzato dalla forma prosimetrica (= commistione di prosa e versi), dalla forte caratterizzazione dei personaggi, spesso irrigiditi in veri e propri tipi, e da un'alternanza di registri dall'effetto sorprendente e spesso intenzionalmente comico; è inoltre frequente l'elemento novellistico. Però manca in P. un elemento fondamentale della “menippea”, e cioè un’intenzione satirica unificante (unico bersaglio esplicito); non esiste, in altre parole, un unico bersaglio satirico.
quale genere è il Satyricon? Il Satyricon deve molto alla narrativa (sia seria che comica) per trama e struttura del racconto, e qualcosa alla tradizione menippea (per il prosimetro). Ma purtroppo non è possibile identificare l’opera in nessun genere letterario: potrebbe tuttavia configurarsi come una geniale e consapevole rielaborazione di diversi generi.(→contaminazione letteraria)
Molto nota, invece, e sicuramente più fondata, è l’individuazione nel "Satyricon" di un intento parodistico dell’Odissea. I punti a sostegno di questa tesi sono molti, e probanti: si tratta non tanto della ripresa dell’ira di Poseidon che perseguita Odisseo nel poema, parodisticamente adombrata da P. nella persecuzione del dio Priapo nei confronti del protagonista Encolpio; né solo della struttura "odissiaca" (incentrata cioè sulle peripezie di viaggio) delle avventure narrate nel romanzo; quanto piuttosto di elementi di dettaglio, ma perciò stesso assai più significativi, che depongono a favore di questa tesi. Ad es. è indicativo che il già nominato Encolpio assuma, in una avventura di seduzione di una matrona, il nome di Polieno (nell’Odissea "polyainos" è un epiteto che viene attribuito da Omero al solo Odisseo); analogie evidenti presentano poi alcuni episodi, come quello in cui il protagonista del romanzo, per sottrarsi ai suoi inseguitori, si attacca sotto ad un letto, con una palese ripresa dell’espediente con cui Odisseo fugge dalla caverna del Ciclope attaccandosi sotto il ventre dell’ariete avviato al pascolo. Inoltre l’Odissea è la dimostrazione della validità della ragione umana;Petronio inverte l’Odissea anche in questo senso: egli rappresenta una società invertita in tutti i suoi valori e rappresenta l’uomo nella sua piena irrazionalità
Significato dell’opera: Petronio vuole smontare nei minimi particolari l’epos letterario romano, criticando il fatto che l’ideologia culturale di Roma ha coperto l’arido vero leopardiano; Petronio ci mostra una società che non ha più orizzonti dimostrando la nullità dell’epos letterario. Inoltre egli critica il fatto che le lettere e le arti sono decadute per l’eccessivo attaccamento al denaro, per l’amore sfrenato dei piaceri e del lusso.
Schema
IL GENERE
L’individuazione del genere letterario del Satyricon è argomento di una complessa questione. Distinguiamo quattro fondamentali influssi formativi:
• Romanzo greco
•
Epica
Parodia in particolare dell'Odissea (all’ira di Nettuno che perseguita Ulisse si sostituisce quella di Priapo nei confronti di Encolpio; il nome "L’antro del Ciclope" della nave su cui viaggiano i protagonisti; l’incontro di Encolpio con la matrona Circe; il falso nome Polieno, con cui le sirene invocarono Ulisse, assunto da Encolpio)
• Satira
E’ possibile ricondurre il Satyricon ad un genere tipicamente romano, da cui ha probabilmente desunto il nome: la Satira.
• Novella milesia