Petronio

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Testo

Petronio

La questione dell’autore del Satyricon
Una serie di codici ha tramandato degli estratti di un’opera narrativa, mista di prosa e versi, intitolata Satyricon e attribuita ad un autore chiamato Petronio Arbitro.
Il problema dell’identificazione di tale personaggio e della datazione dell’opera ha dato luogo a un vivace e complesso dibattito critico. Oggi la stragrande maggioranza degli studiosi concorda nel collocare il Satyricon nel I secolo d.C. e nel riconoscere nel suo autore il Petronio di cui parla Tacito, presentandolo come un personaggio molto in vista alla corte di Nerone, che nel 66 fu condannato a morte dal principe.
Tacito prosegue affermando che questa posizione di favore e di privilegio suscitò la gelosia e l’odio di Tigellino (il prefetto del pretorio che dal 62 era succeduto ad Afranio Burro), il quale vedeva in Petronio “un rivale + esperto di lui nella scienza dei piaceri”. Tigellino lo accusò dunque di essere amico di uno dei promotori della congiura pisoniana, che nel 65 era stata stroncata da Nerone nel sangue, e Petronio fu costretto a darsi alla morte.
L’identificazione dell’autore del Satyricon con il Petronio tacitiano appare molto probabile non solo perché il ritratto così efficacemente tracciato dallo storico sembra corrispondere sostanzialmente agli orientamenti e aigusti dello scrittore, ma anche e soprattutto perché alcuni dati ed elementi precisi contenuti nell’opera riportano all’età di Nerone:
- in vari passi del Satyricon vengono citati nomi di cantanti, attori e gladiatori celebri ai tempi di Caligola e di Nerone;
- un altro inserto poetico è costituito da una Troiae halosis (La presa di Troia): un poemetto dello stesso titolo aveva scritto Nerone;
- si colgono nel Satyricon analogie, di forma e linguaggio, con l’Apokolokyntosis di Seneca, e probabili riferimenti ed allusioni parodistiche ai temi e allo stile di Seneca filosofo.
In generale si può dire che i temi e i problemi culturali e letterari dibattuti nel Satyricon (oltre a quelli già ricordati, si può citare quello delle cause della decadenza dell’oratoria) riportano alle temperie culturale del I secolo e non a quella, assai differente, del II secolo (epoca a cui alcuni studiosi vogliono far risalire l’opera).

Contenuto dell’opera
Abbiamo già detto che il Satyricon ci è pervenuto in forma frammentaria e lacunosa, in quanto i codici ne tramandano solo alcune parti, + o meno estese, non senza vuoti e interruzioni anche all’interno dei singoli estratti. Risulta dalle fonti che le parti conservate appartenevano ai libri XV e XVI; dunque l’opera originariamente doveva essere molto estesa. La materia è stata ordinata dagli editori in 141 capitoli e cui si aggiungono alcuni frammenti minori.

Riassunto
La vicenda è narrata in prima persona da un giovane di nome Encolpio, che rievoca le avventure e le peripezie di un viaggio compiuto in compagnia di un bellissimo giovinetto, Gitone, di cui è innamorato.
All’inizio del primo frammento troviamo E. alle prese con un retore, di nome Agamennone, che disserta sulla decadenza dell'eloquenza (tema topico nei testi del I sec.). Una parte della declamazione di A. è in versi e ci offre un primo esempio di quella commistione di prosa e poesia che caratterizza il Satyricon, facendolo rientrare, almeno entro certi limiti, nel genere della satira menippea .
E. torna poi alla locanda che ospita, insieme a lui e a G., il giovane Ascilto, suo compagno di ribalderie e rivale nell’amore di G. I 3 vivono di espedienti nei bassifondi di una Graeca urbs della Campania (forse Napoli o Pozzuoli). Una donna di nome Quartilla, sacerdotessa di Priapo (dio della fecondità e della sessualità), li accusa di aver violato i sacri misteri del dio e li obbliga, per rimediare al sacrilegio, a partecipare ad un’orgia nel corso della quale vengono sottoposti a una serie di estenuanti sevizie erotiche.
Ha quindi inizio il lungo racconto della cena a cui i 3 partecipano, insieme ad Agamennone e a molti altri convitati, nella casa del ricchissimo liberto Trimalchione. Tale racconto occupa quasi la metà di tutto ciò che si è conservato dell’opera. In una serie di scene che rappresentano i momenti successivi di un interminabile banchetto, il padrone di casa esibisce la sua ricchezza e il suo sfarzo nei modi + spettacolari e grotteschi, sorprendendo i commensali con le trovate + stravaganti, ma disgustando E. con la smaccata ostentazione di un lusso pacchiano, all’insegna del cattivo gusto tipico di un parvenu.
Dopo la cena, riprendendo i litigi fra E. e A. a causa di G., che lascia il primo preferendogli il secondo. Poco dopo il protagonista incontra in una pinacoteca un vecchio letterato ed avventuriero, Eumolpo, il quale, vedendo il giovane intento ad osservare un quadro rappresentante la presa di Troia, gli offre una descrizione in versi: è la cosiddetta Troiae halosis (titolo greco), che con i suoi 65 trimetri giambici costituisce, dopo il Bellum civile, il brano poetico + lungo del Satyricon.
E. ed Eumolpo diventano poi compagni di viaggio, e sono coinvolti, insieme al ritrovato Gitone, in una serie di rocambolesche avventure, complicate dalla gelosia di Encolpio che scopre in Eumolpo un nuovo rivale.
Scampati ad un naufragio, i 3 giungono a Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fanno passare x i suoi servi: in questo modo essi scroccano pranzi e regali ai cacciatori di eredità. Troviamo quindi (in un nuovo frammento) Eumolpo intento ad illustrare i requisiti che deve avere la poesia elevata e ad esemplificare la sua poetica con un vasto brano epico, di ben 295 esametri, sul Bellum civile fra Cesare e Pompeo.
Nell’ultima parte, conservata solo frammentariamente, Encolpio, divenuto impotente x la collera del dio Priapo, è vittima dell’ira di una ricca amante che si crede da lui disprezzata; egli tenta di recuperare la virilità perduta ricorrendo, tra l’altro, anche alla magia.
E’ impossibile dire se l’episodio di Crotone fosse l’ultimo, o se seguissero nuove avventure, di cui
non rimane traccia.

La questione del genere letterario
Il Satyricon viene abitualmente chiamato “romanzo”: tale denominazione richiede tuttavia qualche precisazione. Nelle letterature classiche non esiste un genere letterario che corrisponda ad esattamente al romanzo moderno. Il nome di romanzo viene attribuito convenzionalmente ad un genere (che nell’antichità non sembra avere avuto un nome preciso) di cui si conservano vari esemplari greci di età imperiale e a cui appartengono, nella letteratura latina, le Metamorfosi di Apuleio.
Il Satyricon ha in comune con i “romanzi” antichi la loro principale caratteristica, che è quella di raccontare vicende complesse e avventurose disposte di regola lungo l’asse narrativo di un viaggio. Formalmente tuttavia si discosta da essi in quanto non è un’opera scritta interamente in prosa, ma alterna alla narrazione prosastica brani in versi, inseriti talvolta a grande distanza l’uno dall’altro, e di estensione molto disuguale, essendo ora brevissimi, ora invece notevolmente estesi. Tale commistione ed alternanza di prosa e di poesia è il tratto distintivo di un altro genere letterario, la satira menippea, a cui il Satyricon del resto fa riferimento fin dal titolo.

Anche la questione del titolo è piuttosto complessa. Esso è da considerare con ogni probabilità il genitivo plurale di una parola greca (Satyricà), sottintendente “libri”. Satyricon libri significherebbe pressappoco “Libri di cose satiriche”, con riferimento alla satira menippea: dunque anche il titolo confermerebbe il carattere peculiare dell’opera, ossia la fusione di 2 generi letterari, con la creazione di un romanzo in forma di satira menippea.

Con il genere del romanzo il Satyricon ha in comune, come si è detto, il racconto di una lunga serie di avventure e di peripezie (persecuzioni di nemici, pericoli mortali, tempeste e naufragi, fughe, travestimenti e riconoscimenti, tentativi di suicidio ecc.). Inoltre anch’esso pone al centro della vicenda un amore ostacolato da circostanze sfavorevoli e dalla presenza di rivali. Tuttavia, mentre in tutti i romanzi greci che conosciamo, gli innamorati sono un giovane e una ragazza, devotissimi e fedelissimi l’uno all’altro, il rapporto amoroso che fa (entro certi limiti) da filo conduttore in Petronio, quello di Encolpio con Gitone, è di tipo pederastico ed entrambi i partner hanno rapporti sessuali anche con altri personaggi.
La tendenza alla parodia letteraria, assai spiccata nel Satyricon, è invece uno dei punti di contatto + significativi esistenti fra l’opera e la satira menippea, oltre all’elemento formale (importantissimo) della mescolanza di prosa e poesia. La parodia occupa infatti molto spazio sia nei frammenti delle “Saturae Menippeae” di Varrone sia nell’”Apokolokyntosis” di Seneca.
Un’altra analogia assai rilevante con la satira menippea è costituita dalla lingua e dallo stile variegati e compositi, aperti a tutti i registri, dal + basso al + elevato. Si ritrovano inoltre nell’opera petroniana numerosi temi presenti in Varrone. Da questo punto di vista si possono istituire raffronti anche con la satira vera e propria, specialmente con quella di Orazio.
Del resto i temi gastronomici avevano largo spazio anche nella commedia e nel mimo. Proprio il mimo è un altro genere letterario con cui l’opera di Petronio intrattiene rapporti significativi. Anche il mimo infatti, come il nostro romanzo, rappresentava la vita quotidiana degli strati + bassi della società romana, perseguiva effetti di comicità e prediligeva vicende e situazioni di tipo “boccacesco”.
Un altro genere che ha evidentemente influito sulla genesi del Satyricon è la novella milesia (così chiamata da Aristide di Mileto, scrittore greco del II secolo a.C. che aveva dato dignità letteraria alla novellistica popolare). Sono infatti presenti nel romanzo 5 novelle raccontate (come poi avverrà anche nel romanzo di Apuleio) da diversi personaggi, che affermano di esserne stati protagonisti o spettatori: 3 piuttosto brevi (di cui 2 di argomento magico), vengono narrate dai commensali durante la cena di Trimalchione. Le altre 2, messe in bocca ad Eumolpo, sono storielle erotiche, di cui la + lunga, detta della matrona di Efeso, si legge anche nella raccolta delle favole di Fedro (in una redazione poetica che risulta sbiadita e scipita, rispetto al capolavoro di Petronio). Proprio gli argomenti erotici e la spiccata licenziosità caratterizzavano (secondo le testimonianze antiche) le novelle milesie, che rientravano anch’esse, come i “romanzi” e come i mimi, in quel variopinto mondo della letteratura d’intrattenimento e di evasione di cui si conservano oggi tracce abbastanza esigue, ma che godeva certamente dei favori di un vasto pubblico. Nell’ambito della letteratura d’intrattenimento è sicuramente da collocare l’opera petroniana.

Il mondo del Satyricon: il realismo petroniano
E’ chiaro che Petronio si diverte descrivendo quel mondo di studenti squattrinati (come Encolpio), di intellettuali falliti (come Eumolpo), di amanti opportunisti e capricciosi (come Gitone), di nuovi ricchi che tentano di coprire l’irrimediabile volgarità delle loro origini con l’ostentazione di un lusso pacchiano (come Trimalchione e i suoi amici), di avventurieri senza scrupoli, disposti a qualsiasi esperienza, di signore vogliose e di serve scaltre.
Nei confronti di questo mondo vivacissimo e coloratissimo egli mantiene tuttavia un atteggiamento costante di superiore e signorile distacco, senza alcun compiacimento o coinvolgimento; osserva e descrive tutto con assoluta spregiudicatezza, con eccezionale lucidità e capacità di penetrazione critica, ma al tempo stesso con uno spirito ironico e giocoso, ora malizioso, ora beffardo, sempre scettico, sempre disincantato.
Indubbiamente il Satyricon è un capolavoro di comicità: in esso il comico si manifesta in tutte le sue forme, dall’umorismo raffinato e sottile alla risata aperta, alla battuta oscena. Ed è quindi perfettamente naturale che i personaggi e gli ambienti descritti siano quelli dei ceti sociali + bassi: nelle letterature antiche la materia su cui si esercita il comico (nei generi letterari a ciò deputati: commedia, mimo, satira, poesia giambica, epigramma) è appunto tradizionalmente la vita quotidiana della gente comune, di cui viene data una rappresentazione realistica, spesso grottescamente deformata.
Lo strumento fondamentale di questa complessa operazione letteraria è lo stile, straordinariamente duttile, che si adatta alle differenti situazioni e diviene il mezzo principale di caratterizzazione dei personaggi. Predomina naturalmente, data la materia quotidiana, il linguaggio colloquiale, ma esistono notevoli differenze fra il modo di esprimersi del narratore (Encolpio, studente spiantato e scapestrato, ma non privo di cultura e di buon gusto) e dei suoi amici (il poetastro Eumolpo, appassionato di problemi letterari, il retore Agamennone, gli stessi Gitone e Ascilto) e quello di altri personaggi appartenenti ad un livello sociale e culturale inferiore (rappresentati emblematicamente dal liberto Trimalchione e dai suoi commensali).
Lo stile abituale del narratore è semplice e disinvolto, prevalentemente paratattico (com’è di solito la lingua parlata) e aperto ai vari colloquialismi, ma con rare intrusioni di veri e propri volgarismi, presenti soltanto con precise funzioni espressive. Assai frequenti sono i grecismi (consueti nell’uso del sermo cotidianus a Roma). In certi casi il linguaggio del narratore e dei personaggi colti (come Eumolpo) si eleva notevolmente, facendosi elaborato, magniloquente ed enfatico, con intenti ironici e parodistici.
All’opposto rispetto a questi momenti di stile “alto”, si pone il sermo vulgaris dei personaggi incolti o dotati, come Trimalchione, di una cultura d’accatto. Il loro è un linguaggio colloquiale “basso”, ridondante, colorito e fortemente espressivo: rispetto al latino letterario esso appare ricco di “irregolarità” fonetiche, morfologiche e sintattiche, pieno di volgarismi e di familiarismi lessicali, di locuzioni idiomatiche e proverbiali.
E’ evidente peraltro, proprio nell’accentuazione del “colore” popolaresco fino alla caricatura, che anche questo tipo di linguaggio, apparentemente incontrollato e spontaneo, è in realtà frutto di un’abilissima stilizzazione, cioè di un gioco letterario e di un esercizio di stile non meno raffinati di quelli da cui nascono le frequenti parodie omeriche o virgiliane.

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