Marco Tullio Cicerone

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Testo

VITA DI MARCO TULLIO CICERONE

Marco Tullio Cicerone, detto “l’arpinate” perché nato ad Arpino nel 106 a.C., veniva da una famiglia di ricchi possedenti di ordine equestre. L’origine della sua famiglia lo influenza molto. Va a Roma adolescente per avvicinarsi all’accademia dei più grandi oratori e maestri del tempo, come Licinio Crasso, Marcantonio e il suo maestro principale Ortensio Ortalo, sostenitore dell’Asianesimo, per cui le prime orazioni di Cicerone sono improntate da questa influenza.
Arianesimo è un termine che deriva da Pergamo, città dell’Asia, ed era lo stile pesante ed enfatico, che puntava molto sul pathos e l’uso di parole auliche, metafore e neologismi, opposto all’atticismo, che invece prende il nome da Lisia, che era un attico, ed è uno stile più sobrio, lineare, semplice, che non ama i neologismi.
Cicerone ebbe anche maestri di poesia, come Lucinio Archia (per cui scrisse il PRO-ARCHIA) e un maestro storico, Apollonio Molone da Rodi, da cui imparò a moderare il pathos. L’ingresso vero e proprio nella politica si ha quando s’interessa di una causa di diritto privato, la PRO-QUINTIO, dove difende Quintio, che aveva un terreno occupato da un certo Nevio, che invece era difeso da Ortensio Ortalo, alla fine la causa viene vinta da Cicerone. Invece la prima causa di diritto pubblico è la PRO ROSCIO AMERINO, dove difende questo attore, il roscio amerino, accusato di parricidio da un tale Crisogono, difeso anche questa volta da Ortensio Ortalo e liberto di Silla. Essendo nel periodo della dominazione di Silla, quest’ultima causa pone un bel problema a Cicerone perché, andando contro ad un favorito di Silla, poteva essere accusato di essere un sobillatore, un ribelle, un sovversivo. Cicerone vince anche questa causa e, malgrado le sue affermazioni di essere un sostenitore di Silla e di muoversi comunque nel legale, ritiene cosa migliore lasciare Roma e recarsi con intento culturale in Grecia, e qui segue le elezioni di Apollonio da Rodi. Quando Silla muore Cicerone torna a Roma e continua il “CORSUS HONORUM”, la sua carriera politica, diventando questore. Viene mandato in Sicilia, dove si distingue per la sua grande onestà. Lo scrupolo e il rigore morale, dunque si viene a creare un grande legame tra lui e i siciliani, così che nel momento della partenza Cicerone si proclama disponibile di aiutarli in caso di bisogno. E infatti successivamente viene mandato in Sicilia il governatore Verre, che invece si dimostra molto diverso da Cicerone, è rapace, crudele e viene anche accusato di concussione (una specie di baratteria) dai Siciliani, che si rivolgono a Cicerone per liberare i loro interessi. Da qui nascono delle orazioni, le VERRINE (accuse contro Verre) e Cicerone vince anche questa causa, un’altra volta contro Ortensio Ortalo, il quale questa volta fa di tutto per vincere ma non ci riesce ugualmente. Fu una vincita molto importante per Cicerone, che gli assicurò il successo e gli spianò la strada. In seguito diventa pretore e proclama un’altra orazione, la DE IMPERIO CNEI POMPEI detta anche PRO LEGEM MANILIA. In quel periodo c’era la guerra contro Mitridate re del Ponto e Cicerone si schiera a favore della legge per il conferimento dei pieni poteri a Pompeo per questa guerra. Pompeo veniva così appoggiato dal popolo e da Cicerone che, essendo di famiglia equestre, era interessato dal fatto che le province fossero in pace perché i cavalieri erano incaricati della riscossione delle imposte, svolgevano attività lucrose.
Poi abbiamo l’elezione di Cicerone al consolato, il Cicerone “HOMO NOVUS”, che difende le classi sociali più elevate, gli optimati e i conservatori, opposto a Catilina che invece sostiene i populares. Alle elezioni vince Cicerone e in seguito c’è la congiura di Catilina e il processo ai Catilinari. Abbiamo un vizio di forma, perché viene eseguita la condanna senza appello al popolo e proprio per questo motivo verrà creata la “LEX CLODIA”, retroattiva di ben 5 anni, con la quale vengono mandati in esilio coloro che condannarono senza appello al popolo e quindi anche Cicerone (naturalmente sappiamo che questa legge era atta a colpire proprio lui). A causa di questo esilio Cicerone va prima a Brindisi e poi a Tessalonica, dove scrive tutta una serie di lettere ai familiari e ai personaggi influenti (che arriva a implorare). Dopo un anno circa riesce a tornare a Roma, scrive la PRO CAELIO in cui attacca Clodio (anche molto attraverso alla sorella Clodia, che sarebbe la Lesbia di Catullo). Cerca l’appoggio di Cesare che è in campagna in Gallia e così scrive un’orazione per la proroga del suo comando in Gallia. Vediamo quindi un Cicerone alla ricerca di amicizie, prima aiuta Pompeo, ora Cesare, si trova in un periodo difficile. In seguito c’è l’uccisione di Clodio, di cui viene accusato Milone. Cicerone difende Milone e scrive la PRO MILONE , l’avrebbe dovuta anche pronunciare ma era un processo difficile perché i populares erano in sommossa (Clodio era un tribuno della plebe), la folla era arrabbiatissima e fremeva, così Cicerone ha un crollo nervoso e non riesce a pronunciare una grande orazione, quella che abbiamo noi è infatti una ricostruzione successiva. Milone fu condannato all’esilio.
Siamo nel periodo difficile della guerra civile, c’è la lotta tra Pompeo e Cesare. Qui vediamo il primo errore di prospettiva di Cicerone, che si schiera con Pompeo, che verrà invece sconfitto da Cesare nella battaglia di Farsalo e poi verrà ucciso in Egitto. Poi Cicerone chiese e ottenne il perdone di Cesare, ma fu comunque tagliato un po’ fuori. Cesare si avvicina così sempre di più a una dittatura e Cicerone, deluso, si allontana dalla vita politica, non prenderà parte alla congiura contro Cesare che morirà alle idi di marzo. Il successore di Cesare è Antonio, contro il quale Cicerone si scaglia attraverso 14 orazioni, LE FILIPPICHE che richiamano alla mente le orazioni di Demostene contro Filippo di Macedonia (che si era presentato come “fratello dei greci” anche se di fatto voleva solo dominarli). Cicerone in questo sperava di avere l’appoggio di Ottaviano, perché tra i due non correva buon sangue, invece Ottaviano decide di prendere parte al secondo triumvirato con Antonio e Lepido. Così Cicerone viene abbandonato alle ire di Antonio, e sarà questo il suo ultimo errore di prospettiva perché infatti Antonio manderà dei sicari ad ucciderlo nel 43, proprio un anno dopo la morte di Cesare.
Cicerone così ci viene presentato un uomo politico che si presta ad alcune critiche, fa diversi errori di prospettiva che gli costeranno molto cari, non aveva capito che i tempi stavano cambiando, la repubblica era al servizio di un’ oligarchia corrotta, stava soffocando e il anche il popolo voleva i suoi diritti. Per quanto riguarda la cultura, la sua posizione è molto più lineare, fa anche opere filosofiche dimostrando di essere più coerente e fedele alle proprie idee. Egli ritiene che la filosofia e l’arte non debbano essere fini a se stessi, ma un cibo per l’anima, a servizio della società e infatti si opponeva ai poeti Neoteroi. L’otium è un momento molto importante ma fine alla vita politica, la cultura deve giovare al miglioramento della società.

CICERONE POETA

Sappiamo già che il maestro di poesia di Cicerone fu Lucinio Archia, che difende nel PRO ARCHIA dalle accuse di aver usurpato, di essersi impossessato della cittadinanza romana. (anche se il PRO ARCHIA è soprattutto interessante per l’importanza che attribuisce alla cultura e alla poesia).
Cicerone scrisse un poema, il MARIUS, sulle gesta di Mario, e poi il DE CONSOLATU MEO e il DE TEMPORIBUS SUIS in cui esalta la sua figura, in maniera particolare nel DE CONSOLATU MEO dove esalta il suo ruolo nella congiura di Catilina. Comunque il giudizio sulle sue opere poetiche è piuttosto scarso, diverso da quello sulle opere retoriche. Ricordiamo l’influenza che ebbe dall’asianesimo e la successiva moderazione del pathos che gli deriva dal viaggio in Grecia e da Apollonio. Ha tutto un suo stile particolare, un comportamento personale, spesso adeguato alla causa (più enfatico o più lineare, dando un’impronta personale o l’usanza di intervenire con battutine feroci e la mimica gestuale).

TRATTATI DI RETORICA

Tra i trattati di retorica ricordiamo l’opera giovanile del DE INVENCTIONE, ma molto più interessante è il DE ORATORE scritto nel 55 ma ambientato nel 91, spesso Cicerone le ambienta in un passato più felice del presente, infatti il 91 è il periodo che precede di poco le guerre civili, uno degli ultimi periodi sereni della repubblica. Scritta sotto forma di dialogo (come la maggior parte) a cui prendono parte insigni oratori del tempo, tra cui Licinio Crasso e Marcantonio, è ambientata nella villa di Crasso. Si parla di cultura e filosofia, ci si chiede quale importanza abbiano, per Marcantonio sono un passatempo, uno strumento che può essere utile quando si è giovani, un approfondimento non utile all’oratoria, secondo lui è utile invece l’esperienza, l’abilità e l’ingegno, per Crasso invece, portavoce di Cicerone (nella maggior parte delle sue opere c’è un personaggio che fa da portavoce del suo pensiero), la filosofia e la cultura sono molto importanti, l’oratore deve esserne nutrito, sono indispensabili anche la PROBITAS, l’onestà che deve essere radicata nell’animo dell’oratore,e una sana educazione morale. Poi abbiamo un altro trattato, il BRUTUS in cui polemizza, critica gli eccessi degli atticisti e tratta la storia dell’eloquenza romana, infatti proprio grazie a lui siamo venuti a conoscenza di aspetti del lontano passato. Anche questo è un dialogo a cui prendono parte Attico, Bruto e Cicerone stesso ed è ambientato nella sua villa di Muscolo.

OPERE POLITICHE

Il DE REPUBLICA, costituito da sei libri, i primi 2 quasi completi e il resto molto lacunosi, andò perduto e fu ritrovato solo in seguito. Per un certo periodo di tempo, nel Medioevo, circolò solo la parte terminale del 6° libro, il SOMNIUM SCIPIONIS, per il suo contenuto mistico e perché veniva reinterpretato in chiave cristiana. Poi il cardinale Angelo Mai (a cui Leopardi dedicò la canzone ad angelo mai) lo scopre in un palinsesto. Opera comunque un po’ lacunosa, in cui si trova il carattere dialogico già visto. I personaggi sono Scipione l’Emiliano, Lelio e altri uomini del circolo di Scipione. E’ ambientato nel passato, nel 129 (anno della morte di Scipione l’Emiliano), nella villa di Scipione, perché Cicerone riteneva che in quel periodo la repubblica avesse attuato la forma migliore di stato. Scipione è il portavoce delle idee di Cicerone. Viene preso a modello “LA REPUBBLICA” di Platone perché si vuole cercare il modello migliore di stato, che si basi sul principio di giustizia, ma a differenza di Platone cerca basi concrete e non solo immaginarie. Per Cicerone la forma migliore di governo è la costituzione mista(già vista con Macchiavelli), cioè una costituzione che comprenda il potere aristocratico, quello monarchico e quello democratico insieme, in modo da garantire così stabilità al governo. Anche Polidio, storico greco del 2° secolo a.C., aveva analizzato queste forme di governo e ne aveva tratto il miglior esempio nella costituzione romana. Aristotele aveva visto le degenerazioni di ciascuna forma (le tre forme insieme invece impediscono queste degenerazioni a cui sono poste individualmente) e le analizza anche Cicerone:
- L’ARISTOCRAZIA può degenerare in OLIGARCHIA (potere di pochi)
- LA MONARCHIA può degenerare in TIRANNIDE
- LA DEMOCRAZIA può degenerare in OCLOCRAZIA (potere della parte peggiore del popolo)
Nella costituzione romana si vede il connubio tra questi vari poteri, infatti il consolato garantisce la monarchia, il senato l’aristocrazia e i comizi popolari la democrazia. Cicerone non nasconde che le sue simpatie vanno all’aristocrazia, non dicerto al popolo dominato da passioni irrazionali. Nell’opera di fa spesso riferimento ad un PRINCEPS, ma poiché l’opera è lacunosa non si capisce bene chi possa intendere, forse Pompeo, forse egli stesso o forse non una sola persona ma un’elite di personaggi importanti e significativi. Questo PRINCEPS deve avere molte qualità , deve essere virtuoso, onesto, deve possedere la PROBITAS, deve evitare passioni egoistiche, il desiderio di ricchezza, ha bisogno di forza, di ponderazione, il suo parlare deve essere concettoso e sempre fine onesto e non diretto a un vantaggio personale.
SOMNIUM SCIPIONIS: Cicerone immagina che Scipione l’Africano appare in sogno a Scipione l’Emiliano, lo porta in cielo e gli addita la piccolezza della terra e gli mostra quanto sia insignificante la gloria terrena rispetto a quella ultraterrena, quindi solo la virtù ha come ricompensa l’immortalità, che qui sembra destinata solo agli uomini virtuosi che si consacrano al bene della patria, invece nelle TUSCULANAE DISPUTATIONES cambia opinione e afferma che l’immortalità è destinata a tutti. Inoltre in questa opera possiamo cogliere il disprezzo delle cose umane e terrene tipico della mentalità cristiana. La vera gloria si raggiunge con la morte e l’attività dell’uomo deve essere disinteressata ma finalizzata al bene dello stato.

ASPETTI PRINCIPALI DELLA FILOSOFIA DI CICERONE

Abbiamo già visto che si dedica tardi alla filosofia, quando si allontana dalla vita politica nel momento in cui il potere di Cesare comincia a farsi più ampio, ma in realtà vi si era già dedicato in parte nel 46 con i PARADOXA STOICORUM . Vi si avvicina perché i dissapori che lo avevano allontanato dalla politica, il divorzio da Terenzia, il matrimonio non molto felice con Publilia, la morte della figlia Tullia, lo spingono alla ricerca di un conforto.
Cicerone non ha una filosofia vera e propria, non vuole essere considerato un filosofo, ma un DIVULGATORE DELLA FILOSOFIA. Anche nelle opere filosofiche si hanno diversi personaggi, ognuno con una propria tesi. Cicerone è mosso da un intento morale, al filosofia è concepita al servizio della vita sociale e politica, come guida all’azione sociale, vuol conferirle un valore pratico, per giustificarla, poiché a Roma non vedevano di buon occhio l’otium. Cicerone ha anche un intento nazionalistico, vuol conferirle pari dignità letteraria della filosofia greca. Talvolta dà interpretazioni personali alle varie filosofie. Analizza la filosofia stoica, epicurea e platonica/aristotelica.
Punti fermi del pensiero di Cicerone:
- IL METODO, si ritiene seguace di Filone di Larissa, cioè della scuola accademica (di Platone), che riteneva che no si poteva conoscere la verità assoluta e perciò bisognava cercare quella più probabile, mettendo a confronto varie opinioni. Anche per questo usa il dialogo, che è un confronto diretto, un mezzo per ricercare la verità. Atteggiamento alieno al dogmatismo.
- IL CONTENUTO, aspetto morale, ricerca la dottrina che gli sembra più dignitosa per l’uomo. Ad esempio lo stoicismo che però Cicerone non abbraccia in toto, non lo condivide in pieno perché ne rifiuta gli aspetti più rigorosi, come la figura dello stoico saggio che vive isolato, appartato e l’aspetto dell’atarassia. Il suo è uno stoicismo più moderato, come quello di Panezio, di cui condivide anche l’HUMANITAS, concepita al modo di Terenzio, cioè non ritenevano niente di quello che è umano estraneo a loro, in contrapposizione a Plauto che diceva “HOMO HOMINI LUPUS”. Si vede anche quando decide di divulgare il DE RERUM NATURA di Lucrezio anche se non condivide alcuni aspetti dell’epicureismo, perciò è molto amato dall’Umanesimo, perché al centro di tutto c’è l’uomo, la valorizzazione della cultura. Questa HUMANITAS è anche aspetto estetico, dignità, decoro, misura, raffinatezza, l’equilibrio dell’animo si ripercuote anche all’esterno.

OPERE FILOSOFICHE

TUSCOLANAE DISPUTATIONES: opera in 5 libri dedicata a Bruto, ambientato nella villa di Muscolo di Cicerone. Gli interlocutori questa volta non sono personaggi storici, non hanno neanche un nome, sono indicati da una sigla, anonimi, uno è A. che può essere interpretato come AUDITOR (ascoltatore) e l’altro è M. che potrebbe stare per MAGISTER (il maestro) anche perché l’opera fa pensare ad un dialogo tra maestro e discepolo e la A. è in funzione subordinata alla M. I temi sono quelli della morte, del dolore, della felicità e della virtù.
LA MORTE viene affrontata osservando la visione epicurea, si vuole allontanare il timore della morte, anche se Cicerone arriva a conclusioni diverse da quelle di Epicuro. Infatti per Epicuro l’anima muore col corpo, quindi se ci siamo noi non c’è la morte, se c’è la morte non ci siamo noi, invece per Cicerone la prospettiva è diversa, la morte non è un male perché è l’inizio di una nuova vita, propende per l’idea dell’immortalità dell’anima, garantita a tutti.
IL DOLORE può essere sopportato con l’abitudine e la filosofia.
LA VIRTù intesa nel modo stoico, come garanzia di felicità.

DE NATURA DEORUM: Tratta della religione, è divisa in 3 libri. Si affronta la religione epicurea a cui non vanno le simpatie di Cicerone perché è pericolosa per Roma, lontana dal negotium.
Secondo la concezione epicurea gli dei esistono ma non si occupano dell’uomo, secondo quella stoica gli dei intervengono costantemente nella vita dell’uomo, si ha il concetto di provvidenza. E’ difficile stabilire per cosa propenda Cicerone forse per questa, ma non si capisce molto. La filosofia accademica è più scettica nei confronti degli dei e della religione, ritiene che sia importante come “INSTRUMENTUM REGNUM”, strumento di governo per fini politici.
DE FINIBUS BONORUM ET MAIORUM: Si parla del sommo bene, è suddivisa in 5 libri.
Nel primo analizza la tesi epicurea, secondo cui il sommo bene è il piacere, nel secondo viene confutata perché troppo edonistica, lontana dal negotium. Nel terzo si analizza la tesi stoica, secondo cui il sommo bene è la virtù, cioè una vita condotta secondo ragione, nel quarto viene confutata per eccessivo rigorismo di certe parti, per cui il saggio deve essere indifferente al suo stato di salute o alla sua condizione di libertà o schiavitù. Nel quinto libro si analizza la tesi accademica per cui il sommo bene è la virtù ma con alcuni vantaggi materiali, come la salute e la fortuna, senza i quali la felicità sarebbe imperfetta. Cicerone sembra protendere proprio per queta.

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