Lucrezio - Petronio - Orazio

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Testo

Lucrezio
Vita:
• poche notizie non chiare.
• si riporta di una non provata pazzia dopo assunzione di filtro amoroso (San Girolamo).
• Di sicuro visse tra 94 e 50 a.C. e morì di morte improvvisa.
Mistero di Lucrezio:
• Nonostante sia scrittore di opera corposa e notevole per contenuti, L. viene nominato solo di rado.
• Cicerone accenna a L solo una volte. Nonostante C. fosse antiepicureista, non nomina L. nella sua requisitoria contro epicurei
• Classe dirigente dell’epoca non doveva approvare poeta: dottrina epicurea prevede otium intellettuale e ritiro da vita pubblica e politica e astensione da riti religiosi.
• Però epicureismo era diffuso: Cesare era pontefice massimo ma era epicureo.
• Epicuro si opponeva a poesia perché turbava atarassia intellettuale, però Lucrezio scrive poesia; Epicuro era contro religione, L inizia con tributo a venere; Epicuro invita a ritirarsi da vita pubblica, L prega venere di aiutare romani in guerra.
Il De Rerum Natura
• Titolo traduce alla lettera il titolo dell’opera di Epicuro (Sulla Natura)
• Si trattò di primo poema didascalico a Roma: composto da sei libri. Nei libri dispari ci sono le teorie per comprensione dei fenomeni illustrati in libri pari.
• Libro 1-2: descrizione dell’universo secondo fisica epicurea.
• Libro 3-4: natura dell’anima (principio vita); natura dell’animus (principio razionalità). Anima e animus sono materia e muoiono con il corpo.
• Libro 5-6: natura e struttura dell’universo. Nel sesto vengono esposti diversi fenomeni fisici (lampi, tempeste, pioggia…) per poi passare a descrizione malattie (IMPORTANTE: La Peste Di Atene)
Invocazione a venere
• Poema in esametri che ricalca inizio dell’Iliade e dell’Odissea (Invocazioni alle muse).
• L. non poteva trascurare la forma classica: piega struttura tipica a sue esigenza; invocazione dedicata a Venere, dea della fertilità e della vita→ esaltazione ciclo naturale della vita.
• Il poeta si affida a venere, donatrice di vita e dea rispettata dalla natura che, al volgere della primavera, le dedica la gioia delle nuove vite: uccellini che cantano, animali che cercano partner per accoppiamento, alberi dalle fronde verdi che danno riparo e gioia a uccelli. La dea viene invocata da L per favorire la stesura dell’opera e regalarle attrattiva eterna. Inoltre la implora di concedere tregua agli eserciti romani intrattenendo Marte con le sue doti.
• L. opta di trattare l’obscura res con lucida carmina.
• Apertura alta e solenne (come proemio classico) grazie ad arcaismi e formule di tradizione epica. Frequente uso di anafora e di neologismi
• Rappresentazione di una venre potente, dominatrice, splendente (frequente presenza del tema della luce) e particolarmente favorevole al clima di rinascita naturale presentato.
• Dedicatario del poema è Gaio Memmio, governatore della Bitinia nel 57-56.
Superstizione religiosa
• Vero e proprio elogio a Epicuro: inno ad un “dio” umano che ebbe la capacità di liberare uomo da superstizione, qui personalizzata come mostro orribile.
• La battaglia titanica di Epicuro contro la superstizione avviene grazie a strumenti umani: la RAGIONE contro la pura follia della religio (vedi sacrificio di Ifigenia nell’Iliade).
• La vita umana viene rappresentata schiacciata dal giogo della superstitio: Epicuro la affrontò senza preoccuparsi delle dicerie sulle divinità. La “vittoria” è descritta come l’uscita di Epicuro dalle barriere poste attorno al mondo verso l’universo da dove ritorna con la vera conoscenza, ovvero con le prove che la superstizione è solo un limite alle potenzialità della ragione. Il passo si conclude con un invito al lettore a non considerare blasfemo l’avvicinarsi all’epicureismo e piuttosto a riconsiderare il vero significato e valore della religio. Narra infatti di una vicenda tratta dall’Iliade: Agamennone, per permettere alla flotta greca bloccata da Diana di lasciare il porto, sacrificò alla dea la propria figlia, Ifigenia.
• Nel passo prevale il campo semantico della schiavitù e quello militare, relativi alla descrizione della condizione umana e alla lotta di Epicuro. Nell’ultima sezione (Ifigenia) è avvertibile un contrasto semantico tra termini propri dei cerimoniali nuziali e di quelli sacrificali. Brusca e significativa la conclusione lapidaria del passo (condanna ferma e definitiva della religio).
• Presenta il tema della potenza dell’intelletto (ragione) umana, strumento di indagine razionale e veritiera. L’uomo riconosce i propri limiti esistenziali e deve tendere a verità razionalmente spiegabili, delle quali dovrà accontentarsi, sena ricorrere al sovrannaturale.
La poetica epicurea
• Viene esposto il fine pedagogico della poesia Lucreziana.
• Il poeta apostrofa direttamente il lettore invitandolo all’attenzione. Riconoscendo la difficoltà dell’argomento trattato, L. fa lo sborone sottolineando la novità della sua poetica: spiegare una dottrina come l’epicureismo in termini poetici alti e mai visti (grande speranza della gloria, spazi impervi mai prima percorsi, accostarsi a fonti ancora incontaminate, cogliere fiori appena sbocciati e cercare corona gloriosa dove nessuno aveva ancora provato).le motivazioni, oltre all’assoluta novità, sono da cercare anche nella funzione liberatrice della sua opera, di portatrice di verità amare (solita metafora dei medici che danno assenzio amaro ma mettono il miele sul bordo della tazza) ma guaritrici dell’uomo illuso dalla religio.
• Il brano è esempio del furor poetico avversato da Epicuro in quanto perturbatore dell’atarassia necessaria al saggio (quindi L è in contraddizione con insegnamenti maestro). Tuttavia la sua poesia non ha il fine del diletto, ma punta a diffondere un insegnamento difficile attraverso un mezzo leggero e apprezzato.
• Campi semantici predominanti sono quelli della leggerezza e soavità accanto a quello (meno frequente) della luminosità.
• Sulla ricercatezza e novità di temi e stili mai prima provati, è esplicita la poetica di Callimaco (3° secolo a.C.): la poesia vera deve essere una poesia riservata, non epica. Tenue e leggera, non “roboante”. Caratterizzata dal gusto per il mito poco noto, che rende l’opera preziosa, curata (frutto di labor limae).
Imperturbabilità del Saggio
• Viene celebrata l’imperturbabilità del perfetto epicureo, contrapposto all’uomo comune e volgare, angosciato da sete di potere e ricchezza. La vera ricchezza e piacere invece sono dati dall’assenza di preoccupazioni e dolore, e non possono essere raggiunti grazie alla ricerca di cose che non appartengono alla natura.
• L. paragona la situazione del saggio a quella di uno spettatore su terraferma di un naufragio o di un grande conflitto militare che non presenta per lui alcun rischio o pericolo. Tuttavia, questa situazione di conforto di fronte ai cazzi acidi degli altri non paga quanto la possibilità di contemplare dall’alto della saggezza l’errare senza fine e senso dell’uomo senza ragione, che insegue solo il bene materiale. L. si domanda retoricamente cosa impedisce all’uomo di capire che la natura stessa umana altro non vuole che l’assenza di dolore, preoccupazioni, timori vari accompagnata dal godere di sensazioni piacevoli. Qui considera l’inutilità, in quanto non naturale, dello sfarzo, della ricchezza smodata (palazzi ricchissimi e cene paura) paragonandola al piacere semplice che può derivare da un incontro con amici veri in un ambiente più semplice e NATURALE. Questa inutilità viene ribadita illustrando di come il dolore, la morte e le paure non abbiano rispetto né di ricchezze né di ceto sociale e neppure di eserciti: come bambini, questi vagabondi senza dottrina avranno paura di tutto ciò che possa turbare il loro animo fragile, il cui “buio” potrà essere rischiarato da nient’altro che la luce della RAGIONE.
• Nel componimento L. affronta il tema della VOLUPTAS (EDONE’), individuandone tre principali categorie: 1) piacere naturale e necessario (la pace con sé stessi e la completa atarssia) 2) piacere non naturale e necessario (l’esempio dell’incontro con gli amici in spazi aperti e naturali) 3) piacere non naturale e non necessario (palazzi sfarzosi e tamarrate varie).
• Presente l’importante metafora del MARE – VITA: se il mare è vita, l’esistenza è il navigare nel mare (VITA) con un fine ben preciso oppure può essere un errare senza meta. Questa considerazione è piena consapevolezza di filosofo ormai giunto a EDONE’ catastematico (cioè raggiunge la pace) che lo separa da tutte le noie degli altri uomini.
• L’andamento del brano è argomentativo, ne sono prova vv. 37 – 46: viene fatto ragionamento per assurdo, secondo quale se le ricchezze non salvano uomo da paure, non lo liberano dalla superstitio insomma, come possono la superstitio e i beni stessi essere soluzione per raggiungere felicità? Sono solo un palliativo. Vera via è la RAGIONE.
Elogio a Epicuro
• Elogio ancora a Epicuro, che con strumento RAGIONE mostra a uomo i suoi limiti (prevalenza del campo semantico LUCE/BUIO)
• Brano si apre con apostrofe al filosofo, dipinto come portatore di luce di potenzialità umane fuori dalle tenebre fitte dell’ignoranza e come padre affettuoso e saggio di prole romana. Il processo di liberazione della mente da catene superstitio di Epicuro viene presentato in parallelo al processo stesso del poeta che sfonda porte universo grazie alla cognizione di potere RAGIONE. L. qui riprende il viaggio metaforico della RAGIONE nell’ultra terra: il filosofo è divinizzato e può raggiungere gli Olimpi divini, dove paure e preoccupazioni mortali non trovano spazio, e da quell’altezza può constatare inesistenza dell’ACHERONTE, terra dei morti (se manca la terra dei morti è perché evidentemente, secondo L., la morte è dissoluzione totale dell’essere umano).
• Da sottolineare atteggiamento di profonda umiltà e venerazione di L. nei confronti del Maestro (capretto malfermo che segue stallone potente).
• Momento di poesia aulica e alta: aggettivi divinizzanti usati per Epicuro, cui figura viene esposta tramite CLIMAX (vv. 9-14: da legame forte a legame di sangue…).
• compare tema di accettazione serena limite ultimo umano: non c’è più Acheronte.
• Epicuro è lo svelator dell’universo intero e dei suoi meccanismi, messi a nudo ancora una volta grazie alla solita RAGIONE.
La peste di Atene
Orazio
Vita
Nasce a Venosa nel 65 a.C., formazione completa, trasferito a Roma dove fa esattore in aste pubbliche (ben pagato ma lavoro considerato da barboni). Si trasferisce in Atene per completare studi e si associa ai Cesraicidi (Bruto, Cassio) sconfitti a Filippi (42). Torna grazie a amnistia nel 41 e comincia carriera di segretario questore. Nel 38 viene chiamto nel circolo di Mecenate, con cui avrà amicizia duratura. Unico rapporto con il potere è composizione dell’inno per LUDI SAECULARES (17): rifiuterà poi di diventare segretario particolare di Augusto. Muore nel 8 a.C.
Amore libertino
• Sua libertà sessuale e amorosa non gli precluse vita pubblica rispettabile e grande notorietà.
• Non identifica amore con vita, quindi è diverso da poeti ELEGIACI (non soffre per amore): non pretende né crede in pudicizia e fedeltà.
• Esperienza amorosa e delimitata da osservane epicuree: amore è sentimento naturale, non deve degenerare in TURBAMENTO PASSIONALE (diverso da Catullo).
• Esperienza amorosa scandita da ritmo cronologico: non c’è dipinto fisso di amori giovanili, ma amori che maturano e cambiano con poeta.
Biografia e poesia
• Nonostante scritte in prima persona, le ODI, come tipico di lirica antica, presentano un apparente soggettivismo: non è mai rappresentata voce dell’IO→ Orazio non diffonde propri sentimenti, ma ricava da sentimenti le occasioni per poesia.
• Tuttavia sua poesia non è FINZIONE TOTALE: il poeta trae spunto da suoi veri e reali incontri amorosi (pare che la maggior parte di questi non siano raccontati fedelmente, e che siano solo spunto per idealizzazione letteraria di figure femminili e di situazioni).
Amore e morte
• Nonostante grande energia, Orazio in relazioni con donne giovani è costretto a confrontarsi con passare del tempo (lui è ormai un vecchiaccio).
• Il tempo della vita segue percorso cronologico lineare fino ad un ultimo ORIZZONTE, la morte: la rapidità di questo passare del tempo spinge uomo a cercare di ritagliare attimi di tempo pienamente vissuti e dedicati a sé stessi (ANGULUS), nel ricordo del quale aspettare e accogliere morte con compostezza.
• Orazio tenta di atteggiarsi a epicureo realizzato, simbolo di raggiunta AUTARKEIA: tuttavia in più passi di sua opera (Epistola II, Satira II 3), sua paura e timore morte si mostra con chiarezza. Orazio non vuole dimostrare di aver avuto successo con sua ambizione epicurea: vuol mostrare tuttavia suo grande impegno→ sconfitta della sapientia = successo della poesia.
I, 4
• La scena riprende il risveglio della natura dopo il torpore invernale: l’inverno viene lenito e scaldato dall’arrivo del favonio: con arrivo del vento gli uomini rivivono e riprendono le loro diverse occupazioni (pastori, contadini, marinai..).Venere, dea di fertilità e natura, danza ancora con ninfe, mentre i Ciclopi lavorano sottoterra sotto supervisione di Vulcano. La lietezza dell’atmosfera è interrotta da scena sacrificale: la morte ora batte allo stesso modo su porta palazzi o capanne. Il brano si conclude con apostrofe a un certo Sesto, probabilmente morente (“presto su di te peserà la notte…”), che non può più ammirare bellezza suo giovane amante Licida.
• Il ritorno lieto di primavera viene turbato da scena sacrificale, che rompe ciclo di immagini di nuova vita con immagine di morte: vita è ricchezza e dono che uomo non sa cogliere fino in fondo, e come ricchezza scivola via.
• Personificazione della Morte che non si preoccupa di provenienza sociale o ricchezza: come usana romana, batte piede su porte con stesso rumore, cioè con stesso obbiettivo, senza riguardi di favore.
I, 9
• Orazio delinea scena invernale in questo componimento: monte Soratte innevato, fiumi ghiacciati e selve appesantite da neve. Invita suo servo, Taliarco, a riscaldare ambiente aumentando legna su fuoco e versando vino puro. Lo induce poi a lasciar ogni preoccupazione e timore del domani a dei, e di vivere pienamente amori giovanili, fatti di sussurri, scherzi, risate, pegni d’amore, ecc. ecc.
• È esplicito il pensiero oraziano: vivere giorno dopo giorno senza preoccuparsi di domani. Il messaggio viene rivolto a giovane, mentre Orazio nn può far altro che guardare a amori giovanili con rimpianto, poiché segnano passaggio di età spensieratezza e di tempo di vita.
• Struttura poesia è differente da inizio a fine: 1) paesaggio cambia da giornata invernale (tempo di ricordi) a serata primaverile (tempo di vivere amore) 2) stilisticamente parlando, prima parte è di ispirazione alcaica mentre seconda parte, primaverile, è puramente ellenistica
I, 11
• Orazio parla a sua amante, Leuconoe, dicendo di non cercare di prevedere futuro suo e di lui, ma, anzi, di abbandonarsi a presente, versare il vino e fidarsi meno possibile di cosa porta il domani: insomma, lasciare, come al solito, preoccupazione futuro a Zeus e strappare attimo di tempo da filo vita.
• Leuconoe pare essere effettivamente amante reale di Orazio: lo si dovrebbe dedurre dall’ordine degli oggetti della sua preoccupazione, prima il poeta e poi lei (quem mihi, quem tibi).
• Il carme non è un invito al piacere e al godimento irresponsabile, anzi è invito di chi ha raggiunto maturità attraverso divieti e prescrizioni, è l’invito di un saggio. Orazio invita quindi a vivere intensamente ogni attimo nobilitante, cosa possibile solo dopo lungo e faticoso percorso interiore, grazie al quale si riesce a vincere l’attrattiva dei falsi valori, del piacere effimero, ottenendo la piena fruizione del vero bene appagante.
II, 14
• Orazio si rivolge ad un certo Postumo (altro nome parlante), descrivendogli gli effetti del passar del tempo come inevitabili, poiché neppure con numerosi sacrifici è possibile ottenere il favore di Plutone (dio dei morti), che accoglie tutti allo stesso modo. Viene dopo presentato l’ade, desolato e cupo, e nuova dimora dell’uomo che avrà abbandonato tutti gli affetti e i suoi possedimenti, dissipati senza ritegno da un erede che avrà modo di godersi meglio ciò che il morto ha accumulato con fatica.
• La serenità del tema amoroso viene completamente a mancare in questo componimento, incentrato tutto sulla desolazione della morte, sull’inutilità del raccogliere e mettere da parte in previsione del domani.
• Dal punto di vista grammaticale, la negatività del passo è ripresa dalla vasta presenza di espressioni di negazione unita ad un largo uso di ossimori e accostamento di temi opposti, ad esempio alla dimora infernale dell’oltretomba è accostata la scena domestica di Postumo quando era ancora in vita.
• Il pessimismo della composizione traspare visibilmente da scene come quella dell’erede: la fatica di un uomo onesto, ma sprovveduto (poiché tutto proteso al domani), viene sperperata da chi invece non ha attenzione per il presente ed è volto al basso piacere materiale non nobilitante.
II, 6
• Il poeta rivela tutta la sua stanchezza di vivere: in un brano dai tratti quasi epistolari, parla al suo amico Settimio della sua volontà di intraprendere un viaggio in terre “barbare”, lontane e mai viste (Parche permettendo= ovvero se non muore prima).
• La stanchezza psicologica del poeta segna che ormai la vita fastosa pubblica e piena di amori di una volta è al suo termine: il desiderio di luoghi esotici mai visti, il desiderio di lasciare paesaggi familiari e noti e il rivolgersi al proprio vero amico lasciano trasparire la ricerca di un riposo tranquillo che prelude alla morte del poeta stesso.
IV, 7
• Ancora una volta la scena è quella della rinascita primaverile (qui però presentata, insieme all’estate, come breve passaggio per l’autunno), caratterizzata da divinità danzanti nude e libere. Il passare delle stagioni introduce il tema del tempo che scorre, scandito da ore, giorni e anni che sono solo in mano agli dei, e, una volta decretata la nostra ora, l’uomo seguirà nella polvere i suoi illustri antenati (Enea…). Qui la figura infernale di Minosse rappresenta l’ultimo giudice dell’intero genere umano, quindi il punto di non ritorno (epici esempi ne sono Diana e Ippolito, Teseo e Piritoo).
• La poesia riprende per tematiche e alcune figure usate (le divinità danzanti) l’ode I, 4 ma ora con una trattazione più matura e desolata: il tema del carpe diem quasi non compare, e la sua presenza, circoscritta a pochi versi, risulta blanda e poco convincente. L’unica vera certezza che traspare è la vera natura della morte, ultima linea rerum si tutto: il fallimento del saggio nella ricerca dell’autarkeia è orami evidente.
Petronio
Vita – Il problema dell’identificazione dell’autore
Serie di codici tramanda esistenza di opera narrativa mista attribuita a Petronio Arbitro. Possibile ritrovarlo in un ritratto di Tacito: era personaggio molto in vista a corte di Nerone (arbitro d’eleganza pare), attirò invidia del nuovo prefetto del pretorio, lo fece condannare a morte. Prima di suicidarsi scrive testamento in cui denuncia tutte le perversioni di Nerone e i suoi crimini. Muore dopo un convitto in cui aveva parlato del + e del -, tagliandosi le vene. Gli elementi che fanno ricondurre l’opera a impero neroniano:
• Citati nomi di personaggi molto noti durante impero di nerone.
• Eumolpo (personaggio del Satyricon) polemizza con epos di Lucano, proponendo un suo personal Bellum Civile contro quello di Lucano (che era stato pubblicato in quegli anni).
• Inserto poetico della presa di Troia (Nerone aveva scritto un poemetto sullo stesso argomento).
• Nell’opera sono presenti situazioni e linguaggio che richiamano l’Apokolokyntosis di Seneca, a lui contemporaneo. Lo stesso suicidio di Petronio pare parodia di quello Senechiano.
• I temi culturali e sociali riportano a clima culturale del I secolo, diverso da quello del II.
• Numerosi volgarismi effettivamente possono essere ritrovati in opere molto + tarde, ma questi possono essere spiegati facilmente come appartenenti al parlato quotidiano, quindi innovazione e alto realismo.
Contenuto
• Opera pervenuta a tempi nostri con enormi lacune e frammentarietà (pare che parti conservate erano dei libri XV e XVI):
• Vicenda raccontata dal giovane Encolpio, che ricorda viaggio compiuto insieme al suo amante adolescente, Gitone: il testo rimasto si apre con discussione tra protagonista e un retore sulla decadenza dell’eloquenza. Da qui Encolpio si sposta alla locanda dove si ritrova con il suo amante e il suo amico Ascilto. Il gruppetto tira intanto a campare truffando la gente in giro per la città, venendo poi accusati da una sacerdotessa di Priapo di aver violato i misteri del dio, obbligandoli a subire numerose sevizie sessuali. Provati dall’esperienza, i tre si recano poi all’interminabile banchetto del tamarro arricchito Trimalchione: questo occupa gran parte del rimanente racconto, svolgendosi tra lussi esagerati, pacchiani e di gusto parodico. Al termine della cena, il gruppetto si scioglie a causa di una lite, al seguito della quale Gitone segue Ascilto, lasciando Encolpio sulle sue. Questi incontra un vecchio ubriacone e letterario mancato (Eumolpo, che al momento dell’incontro canterà a Encolpio la sua versione della Troiae Halosis) al quale si accompagnerà insieme al ritrovato Gitone in diverse avventure, di cui la + importante è quella a Crotone (Eumolpo si finge un ricco possidente in procinto di morte senza eredi, Encolpio e Gitone suoi servi: qui scroccano banchetti e alloggio ai cacciatori di eredità del posto). Ultimo frammento dell’opera rimanente è la vicenda dell’impotenza del protagonista: avendo offeso Priapo, Encolpio si vede negata la sua virilità non riuscendo a soddisfare una ricca e bella matrona che si crede da lui disprezzata.
Il genere letterario
• Romanzo Antico: perché ne ha la struttura principale. Racconta vicende complesse lungo preciso asse narrativo del viaggio. Con il romanzo ha in comune la lunga serie di avventure e la vicenda amorosa tormentata (per quanto di stampo pederastico e discutibile).
• Satira Menippea: in quanto non è interamente in prosa, ma è commistione tra prosa e poesia (anche per titolo: Libri Di Cose Satiriche). Propria del genere è anche la componente altamente parodica del testo, concentrata soprattutto nella scena del banchetto.
• Mimo: rappresenta la vita quotidiana degli strati sociali + bassi, con effetti comici di natura volgare e scurrile.
• Novella milesia: sono presenti nella struttura generale dell’opera 5 novelle messe in bocca a diversi personaggi (3 brevi, di cui 2 di argomento magico, 2 lunghe erotiche). Il tema comunemente erotico e licenzioso era la costante di questo tipo di opera.
• Pastiche: effettivamente, nonostante la volgarità e bassezza espressiva di gran parte dei personaggi, questa opera era destinata a pubblico elevato, aristocratici suo pari sociali. La poesia doveva essere solo ed esclusivamente produttrice di lusus (divertimento).
Realismo nel Satyricon
• Nonostante rappresenti con vivido metodo un mondo di bassi ceti sociali, personaggi popolari, conduce il tutto con costante distacco e lucidità, con ironia e spietatezza.
• Domina nell’opera grande sapienza nello sfruttare il plurilinguismo: linguaggio più basso è predominante, tuttavia è presentato in tutte le sue diverse accezioni, più o meno volgare e grezzo a seconda del personaggio parlante.
• Volgarismi (grecismi, imprecazioni, scurrilità…) non sono gratuiti, ma vengono inseriti nel testo con una precisa funzione ludica, ironica o ridicolizzante.
Inizio della cena di Trimalchione
• Inizia il convitto senza che il padrone di casa si presenti: schiavetti che cantano girano per la tavolata, servendo vino e facendo la pedicure agli invitati. Comincia ad arrivare l’antipasto, accompagnato da piatti, posate e portantini d’oro, argento ecc. ecc., su cui è marchiata a fuco la sigla di Trim. Questo viene improvvisamente portato dentro a suon di musica, su un baldacchino, avvolto in una tonaca e con un tovagliolo attorno al collo che avrebbero dovuto conferirgli tono solenne e aspetto senatoriale: la pacchianeria del suo “travestimento” oltre che ad esser esagerata, raggiunge il ridicolo grazie ai suoi ori (sulle mani porta anelli d’oro che si richiamano a quelli indossati dai senatori, e sul braccio ha un anello d’avorio).
• Nel brano sono riportate tutte le pacchianerie di un uomo che ha soldi, ma non possiede un’educazione: si tratta della tipica figura del burino arricchito, che più possiede, più ostenta, senza però riconoscre il limite tra eleganza e ridicolo.
Fortunata
• Riempitosi fino a scoppiare, Encolpio comincia ad informarsi sul conto della moglie di Trim. Un convitato, assecondando la sua curiosità, gliene fornisce un breve ritratto: donna di malafede ma meglio di una slot machine, fu l’artefice della ricchezza di Trimalchione, unico a fidarsi ciecamente di lei. A quel punto, Abinna, amico di Trim., chiede al padrone di casa di Fortunata, che, dopo poco, si presenta al convitto: vestita in modo ridicolo e costoso almeno quanto il marito, la donna si sdraia sullo stesso triclinio della moglie di Abinna, Scintilla. Qui, scatta una specie di gara a chi ha più oro addosso: Fortunata mostra bracciali e orecchini, Scintilla mostra il suo medaglione (che per comprarlo ha raschiato fuori il catarro al marito) e infine Trim. si toglie un bracciale da dieci libbre che fa girare su una bilancia tra gli invitati. Intanto le due donne, mezze sbronze, si abbracciano. Abinna ne approfitta per far quasi ribaltare Fortunata, che, ricopertasi le gambe con la veste, nasconde la faccia per la vergogna.
• Il passo è un climax di pacchianeria: la classe arricchita romana viene dipinta come gente di pessimo gusto, ignorante, lasciva e esaltata (anche Abinna è un arricchito: dirige un’impresa funebre) che non può né deve perdre occasione per far mostra di ricchezza, connotandola come cosa di poco conto, quando in realtà non ha altro che quella. Il narratore/Encolpio, studente squattrinato ma acculturato, rimane disgustato dalla trivialità del padrone e specialmente della sua donna (alla fine si lascia scappare un “indecente”, riferito a Fortunata).
La conversazione dei Liberti
• Una volta andatosene Trim., i commensali iniziano a discorrere liberamente. Il primo a prendere l’iniziativa è Dama, che si lancia in uno squallido discorso sulla durata del giorno (sarebbe meglio passare dal letto alla tavola senza altro fare),concluso dalla ridicola affermazione sul suo evidente stato d’ebbrezza. Per secondo va Seleuco, parlando della sua scarsa attitudine al lavarsi e del funerale di un suo conoscente, un certo Crisanto, uomo vissuto in parsimonia, morto per colpa dei medici e poco pianto dalla vedova. Tediato dalle misere considerazioni sul tema dell’amore fatte da Seleuco, Finerote prende la parola per parlare del fratello del defunto: al contrario di Crisanto, spilorcio e maldicente, questi era un vero uomo, generoso, aperto e buon imprenditore.
• I tre personaggi che intrattengono il discorso sono tutti e tre ubriachi stenchi: la maggior parte degli argomenti trattati non hanno coesione logica (“Brevità del giorno → Freddo Cane → Sono ubriaco perso” Dama) e sono una vera e propria storpiatura parodica della filosofia stoica.
• Il tema della morte, toccato più o meno direttamente da tutti e tre, è banalizzato e affrontato da tutti a ruota libera, senza alcun criterio di vera indagine o riflessione se non quella suggeritali dal loro tasso alcolico. Tuttavia, in questa società degli eccessi, di cui Trim., Abinna e questi tre sono esempio, sono appunto gli eccessi l’unica arma a disposizione dell’uomo per affrontare l’idea della morte: l’esagerare, il superare i limiti della propria naturale lucidità serve per sentire il proprio esistere e vivere.
L’epopea di Trimalchione
• Alla fine, il padrone di casa intrattiene gli ospiti con il racconto della propria ascesa sociale: sotto lo slogan di “Compre Bene e Vendo Meglio”, Trim. narra della propria adolescenza, di come diventò il servetto preferito da entrambi i padroni ed in breve tempo i suoi capricci divennero legge in casa loro. Alla morte del padrone, raccolse un patrimonio sconfinato che impiegò quasi tutto immediatamente nel commercio di vino. Fallita la prima spedizione navale, Trim., sull’orlo del lastrico, non si perse d’animo, accettò il denaro raccolto da Fortunata, quello derivatogli dalla vendita di quasi tutti i suoi terreni e organizzò una spedizione ancora più vasta e ancora più carica. Il successo dell’operazione gli portò più ricchezza di quanta prima ne avesse: riscatta i terreni,si dedica allo strozzinaggio, e trasforma tutto ciò che tocca in oro: ville, latifondi e poderi. Da schiavo a padrone.
• Nel passo viene estremizzato il percorso sociale degli arricchiti dell’epoca, le cui principali cause erano: la loro virtù (l’essere duttili in ogni situazione per poter volgerla a proprio favore), la fortuna (qui a tutti gli effetti personificata nella figura di Fortunata) e le innate capacità imprenditoriali (al primo fallimento, Trim. risponde con un’impresa due volte + rischiosa).
• Questa ripida ascesa, raccontata in un climax, è sostenuta da una particolare struttura sintattica: frasi brevi, fitte e martellanti rappresentano rapidità e progressiva accelerazione del processo.

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