Lucano

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Testo

Lucano (39 d.C. – 65 d.C.)
Lucano è nipote di Seneca; una volta giunto a Roma conosce lo stoicismo , a cui rimarrà legato per tutta la vita. E’ un intellettuale brillante,entra nella corte di Nerone, diventando un intimo amico di questo ultimo e diventa questore. Ai Neronia del 60 Lucano recita delle laudes del Principe, composte per l’occasione e nel frattempo pubblica i primi tre libri della Pharsalia.
Successivamente subentra una brusca rottura con Nerone, per motivi incerti: si pensa che Nerone fosse geloso delle doti letterarie di Lucano oppure che Nerone non vedesse di buon occhio le idee troppo improntate a un nostalgico repubblicano (nel poema Pharsalia).Caduto in disgrazia presso l’imperatore, Lucano aderisce alla Congiura di Pisone e una volta scoperto il complotto è costretto ad uccidersi. (Si dice che lui si sia tagliato le vene durante un banchetto).
Tra le opere minori notiamo una totale adesione ai gusti neroniani: l' "Iliacon" veniva incontro alla passione del principe per le antichità troiane, mentre "Silvae" e libretti per pantomime ben si inserivano nel quadro generale della poesia cortigiana d'intrattenimento, tipica del tempo.

L’unica sua opera pervenutaci, è ovviamente il poema epico sulla guerra civile - "Bellum civile" o "Pharsalia"- in 10 libri, incompiuto (il libro X infatti s'interrompe bruscamente per la sopravvenuta morte: forse il piano originario dell'opera prevedeva 12 libri, come quelli dell' "antimodello", l' "Eneide"). Questa opera sembra essere di tutt’altro genere in quanto Lucano sceglie di trattare un argomento “scottante” di quel periodo: la battaglia di Farsalo decise , con la vittoria su Pompeo da parte di Cesare, le sorti di Roma, che passò da uno stato repubblicano a uno imperiale. Inoltre il poema si conclude con l’esaltazione dell’antica libertà repubblicana e un’esplicita condanna al regime imperiale. Scegliendo questo tema Lucano si oppose alla tradizione epica, costruendo un poema che si basava su fatti storici realmente avvenuti e non più dunque la solita epica mitologica.
La critica antica (tra cui Quintilliano) ha mosso al poema una serie di censure: uso ed abuso di sententiae concettische, la rinuncia all’intervento delle divinità (in quanto Lucano al contrario dell’Eneide non vuole prendere l’aspetto mitologico) , un ordine della narrazione quasi “cronachistico” (tipico delle opere storiche e non poetiche). Tutto questo costituiva, all’interno del genere epico, una serie di innovazione che giustamente portavano dissensi.
Si potrebbe parlare di Lucano come “anti-Virgilio” (e la sua opera come “anti-Eneide): il poema epico,nella tradizione romana, era stato monumentum , celebrazione solenne delle glorie dello Stato e dei suoi eserciti. E monumentum era stata l’Eneide. Nelle mani di L. esso diventa invece denuncia della guerra fratricida, del sovvertimento di tutti i valori, dell'avvento di un'era d'ingiustizia, profilandosi come un vero e proprio "anti-mito" di Roma. Quindi Virgilio diventa per Lucano il modello da rovesciare e confutare: secondo L., Virgilio avrebbe coperto, con un velo di mistificazioni, la trasformazione dell'antica repubblica in tirannide, esaltando l’avvento di Augusto come una missione fatale. Come l’Eneide anche la Pharsalia si articola intorno a profezie che però rivelano non le future glorie di Roma ma la rovina che l’attende. La più importante è la negromanzia del VI libro (come nel libro VI dell’Eneide) dove Lucano mostra chiaramente la sua intenzione di ricreare un pezzo simile a quello della discesa agli inferi di Enea: mentre Anchise profetizzava ad Enea la futura gloria di Roma, il soldato risvegliato dalla maga gli racconta di aver visto gli inferi in agitazione e gli eroi di Roma annunciavano il triste destino di Roma.
La via che Lucano sceglie per sconfessare Virgilio è in primo luogo il mutamento dell’oggetto: non si tratta, per lui, di rielaborare racconti mitici, ma di esporre, con sostanziale fedeltà, una storia relativamente recente e dalle nefaste conseguenze, ben documentata e soprattutto universalmente riconosciuta. Questa scelta di fedeltà al vero spiega anche la rinuncia agli interventi divini nel poema, rinuncia che tanto scandalizzò la critica antica.
Nella prima parte del poema, l'opera fu tutta tesa a magnificare il "cesarismo", ma - mutate le circostanze personali e politiche - anche il "piano" originario mutò, finendo col risolversi, praticamente e progressivamente, in un'esaltazione dell'antica libertà repubblicana e in una feroce condanna del regime imperiale (rimarrà l'elogio iniziale al principe, ma come nota stridente, rispetto al resto, e quasi parodistica).
L’elogio di Nerone riprende da Virgilio tutta una serie di motivi rivolti alla glorificazione del Principe: nel I libro dell’Eneide Giove aveva profetizzato a Venere l’avvento dell’età dell’oro dopo che augusto avesse posto fine alle guerre civili. Lucano dice,invece, che Nerone –e non Augusto- è la vera realizzazione delle promesse del Giove virgiliano.
L’impostazione dei primi 3 libri della Pharsalia presentano analogie con il De Clementia e l’Apokolkyntos di Seneca dove la conciliazione del principato e della libertà è ancora considerata possibile con un ritorno alla politica filosenatoria di Augusto. Dopo i primi tre libri, il pessimismo di Lucano si fa sentire in maniera radicale sfociando nel vero e proprio anti-mito di Roma, il mito della sua inarrestabile decadenza.
I personaggi del poema: la "Pharsalia" non ha un vero e proprio protagonista, ma ruota sostanzialmente attorno alle personalità di Cesare, Pompeo e Catone. Cesare domina a lungo la scena, con la sua malefica grandezza e la sua forsennata brama di potere, incarnazione del "furor" che un'entità ostile, la Fortuna, scatena contro l'antica potenza di Roma. In alcuni punti, il poeta sembra quasi soccombere al fascino sinistro del suo personaggio, il quale in fondo rappresenta il trionfo proprio di quelle forze irrazionali che nell' "Eneide" venivano dominate e sconfitte: il "furor" appunto, l'ira e l'impazienza (altro spunto antivirgiliano, quindi); il dittatore è anche spogliato del suo attributo principale, la "clementia" verso i vinti, esempio palese - questo - della suddetta deformazione ideologica operata da L. ai danni della verità storica. Alla frenetica energia di Cesare si contrappone, invece, una relativa passività da parte di Pompeo (ma questo espediente di caratterizzazione serve forse a limitare, ideologicamente, le responsabilità di questi nella rovina di Roma verso la tirannide): Pompeo diviene, nella concezione del poeta, una sorte di Enea dal destino ineluttabilmente avverso; in questo senso, la sua figura è l'unica che nello svolgimento del poema subisce una vera trasformazione psicologica: egli andrà incontro a una sorta di purificazione, divenendo consapevole della malvagità dei fati e comprendendo finalmente che la morte, in nome di una giusta causa, costituisce l'unica via di riscatto morale.
Questa consapevolezza costituisce, invece, per Catone un solido possesso fin dalla sua prima apparizione sulla scena. Lo sfondo filosofico dell'opera è senza dubbio di natura stoica, ma proprio in questo personaggio si consuma la crisi dello stoicismo tradizionale, o - meglio - della sua concezione provvidenzialistica, mortificata in nome dei terribili principi della "virtù" e della "fortuna" (tra l'altro, stoici anch'essi). Di fronte alla consapevolezza di un fato che cerca la distruzione di Roma, dunque, diviene impossibile per Catone l'adesione partecipe alla volontà del destino; egli matura, piuttosto, la convinzione che il criterio della giustizia sia ormai da ricercarsi altrove che nel volere del cielo: ovvero, esso, d'ora in poi, risiederà unicamente nella coscienza del saggio, che si fa, così, davvero pari agli dei ("titanismo"). Catone si impegna nella guerra civile, con piena consapevolezza della sconfitta alla quale va incontro, e della conseguente necessità di darsi alla morte, poiché è l’unico modo per continuare ad affermare il diritto e la libertà. Pompeo è controfigura ironica di Enea, come lui pius ed amèchanos (= "privo di mezzi", ovvero privo di capacità decisionale autonoma e totalmente dipendente dal destino). Egli però, a differenza di Enea, ha il Fato contro. È inoltre un personaggio che subisce una profonda evoluzione psicologica: si rende progressivamente conto di non avere l'appoggio degli dèi, e in questo modo arriva alla consapevolezza tragica di essere vittima di una perfida beffa del destino.
Catone è un vero e proprio personaggio tragico, del tutto privo di connotazioni epiche: egli afferma infatti una necessità ideale contro la necessità storica. Partendo dal presupposto che l'eroe epico è necessariamente colui che si afferma nella storia, l'eroe non può essere che Cesare. Ma, se è così, poiché Cesare combatte contro Roma per un suo tornaconto personale, allora il Fato vuole la fine di Roma.


Stile La notazione di Quintiliano, che definì lo stile "ardente e concitato", riferendosi probabilmente all'incalzante ritmo narrativo dei periodi, che si susseguono senza freno e lasciano debordare parti della frase oltre i confini dell'esametro (enjambement).
In effetti, il "Bellum civile" riflette proprio nello stile - drammatico ed esasperato, "anticlassico", talora piegato a descrizioni davvero macabre o patetiche (che molto ricordano il Seneca "tragico", si è potuto parlare di Barocco e manierismo) - il proprio tono di cupo pessimismo e di altrettanto drammatica constatazione del reale; a ciò, si aggiunga il fatto che l'io del poeta è praticamente onnipresente per giudicare e spesso condannare in tono indignato.
La presenza di un'ideologia marcatamente politica e "moralista", dunque, si fa in L. man mano ossessiva, invade il suo linguaggio e si riduce infine a retorica: una retorica, però, a ben vedere, che (il più delle volte) non è vana artificiosità ornamentale, ma ricerca di una propria autenticità e di una tormentata fedeltà al genuino messaggio del disperato credo politico ed esistenziale dell'autore stesso.

Lucano mira ad un bersaglio preciso, chiaramente identificabile: l’epos virgiliano (di qui anche l’ipotesi che il progetto originario prevedesse dodici libri, come l’Eneide).
Lo scopo è quello di smascherare le mistificazioni ideologiche di cui Virgilio si è fatto portavoce, soprattutto l’idea della "missione storica" di Roma voluta dal Fato per il bene dell’umanità (idea di ascendenza stoica, legata soprattutto alla figura di Panezio).
Non è vero che il Fato ha assegnato a Roma una missione storica da compiere: Cesare ha disfatto l'opera di Enea, la fondazione di Roma come risarcimento per la fine di Troia è vuota retorica (Cesare avrebbe voluto riportare la capitale a Troia!), il sangue versato in nome della grandezza dell'Urbe non ha avuto alcuno scopo: il significato di Roma è una tragica tautologia.
Se ne conclude che, se tutto questo è voluto dal destino, il destino è malvagio. Oppure non esiste alcun disegno provvidenziale: tutto è in balìa del caso.
Dal pessimismo storico Lucano sembra dunque elevarsi al pessimismo cosmico, rinnegando completamente i presupposti ottimistici tipici dello stoicismo.
È questo un epos alla rovescia, un epos della storia negativa, dell'ideale che non si afferma nella storia: un epos che ribalta e sconfessa tutti i presupposti ideologici virgiliani.

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