Le Tuscolanedi Cicerone

Materie:Traduzione
Categoria:Latino
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Testo

103. Forse che, dunque, l'oscurità della fama o l'umiltà della condizione o anche l'impopolarità proibirà al saggio di essere felice? Bada che il favore del popolo e questa gloria, che viene ricercata, non comporti più fastidio che piacere. Piuttosto sciocco davvero Demostene nostro, che diceva di compiacersi a quella frase bisbigliata dalla donnicciola che portava l'acqua, come è usanza in grecia, e mentre sussurrava a un altra "Questo è il famoso Demostene". Che cosa c'è di più sciocco di questo? Eppure che grande oratore. Ma evidentemente aveva imparato a parlare davanti agli altri, non molto tra sé e sé.

104.Dunque si deve comprendere che né il successo di per se stesso deve essere ricercato né l'oscurità deve essere temuta. "Sono venuto ad Atene" disse Democrito" e lì nessuno mi ha riconosciuto". Davvero fu un uomo serio e di carattere, perché si vantava di essere lontano dalla gloria. O forse che i suonatori di flauto e coloro che si servono della cetra moderano il ritmo e le note secondo il proprio giudizio, no quello della folla, che l'uomo saggio, dotato di capacità assai maggiore, non ricercherà ciò che è assolutamente vero, ma ciò che vuole il popolo? O forse c'è qualcosa di più stolto che ritenere che tutti insieme valgano qualcosa coloro che singolarmente disprezzi come i lavoratori manuali e i barbari? Anzi quello disprezzerà le nostre ambizioni e futilità e rifiuterà le ricompense del popolo anche se spontaneamente offerte; ma noi non siamo capaci di disprezzarli, prima di cominciare a pentircene.

105.C'è un detto del filosofo naturalista Eraclito su Ermodoro, il primo degli Efesini; afferma che tutti gli Efesini dovrebbero essere condannati a morte, poiché, quando cacciarono fuori dalla città Ermodoro, dissero così: "Nessuno tra di noi si distingua; ma se ve ne fosse uno, stia in un altro luogo e presso altri". O forse ciò non si verifica così in ogni popolo?" Forse che non hanno in odio ogni eccellenza di virtù? E che? Forse che Aristide (preferisco infatti parlare di esempi greci che nostri) non su cacciato dalla patria per quel motivo, perché era giusto oltre misura? Dunque da quanti fastidi sono privi, coloro che non hanno nulla a che fare con la plebe! Cosa c'è infatti di più dolce che una vita ritirata dedita agli studi? Dico di quegli studi, con i quali impariamo a conoscere l'infinità del creato e, in questo stesso mondo, il cielo, le terre, i mari.

106. Quindi messo da parte l'onore, disprezzata anche la ricchezza, che cosa resta che sia temibile? Credo l'esilio che è ritenuto tra i mali più grandi. Questo se è un male a causa della avversione e ostilità del popolo, poco fa si è detto quanto questa sia da disprezzare. Ma se è motivo di infelicità essere lontano dalla patria, le province sono piene di infelici, tra i quali pochissimi ritornano in patria.

107. "Ma gli esuli sono privati dei beni". Che cosa allora? Forse sono stati trattati pochi argomenti sulla sopportazione della povertà? Già anzi l'esilio, se non ricerchiamo la sostanza dei fatti, l'infamia del nome, quanto differisce infine dallo stare sempre in viaggio? Nel quale filosofi illustrissimi trascorsero la propria esistenza, come [...] innumerevoli altri, che non appena sono usciti, non sono più tornati in patria. "Ma certamente senza vergogna". O forse l'esilio può colpire il saggio di vergogna? Infatti tutto questo discorso è sul sapiente, al quale con giusta ragione ciò non può giungere all'orecchio; infatti non occorre consolare chi va in esilio con giusta ragione.

108. Infine ad ogni evento si addice bene il criterio di coloro che riportano il piacere gli eventi della vita, così che, dovunque questo sia fornito, lì possono vivere felicemente. Perciò ad ogni punto di vista la voce di Teucro si può adattare: "La patria è dovunque si stia bene".
E per di più Socrate quando gli venne chiesto di quale paese si dichiarasse, "del mondo" rispose; infatti di tutto il mondo si riteneva abitante e cittadino. E che? Forse che Tito Albucio non filosofeggiava con assoluta tranquillità esule da Atene? Al quale tuttavia non sarebbe accaduto proprio questo, se avesse obbedito alle leggi di Epicuro, evitando di occuparsi di politica.

109.In che modo infatti Epicuro, poiché viveva in patria, è più felice di Metrodoro, perché viveva ad Atene? O (in che modo) Plato superava Senocrate o Polemo batteva Arcesila, per essere più felice? In verità quanto si deve stimare questa nazione, dalla quale vengono scacciati i saggi e gli onesti? E proprio Damarato, padre del nostro re Tarquinio, poiché non poteva sopportare il tiranno Cipselo, fuggì da Corinto a Tarquinia e lì costituì le sue fortune e generò figli. Forse che stoltamente antepose la libertà dell'esilio alla servitù in patria?

116. In realtà cosa c'è di male nella sordità? Piuttosto duro d'orecchie era Marco Crasso, ma un'altra cosa era più spiacevole, che godeva di cattiva fama, anche se, come mi sembrava, a torto. I nostri connazionali non sanno quasi mai il greco né i greci il latino. Dunque in un discorso questi sono sordi nei confronti di quelli e quelli nei confronti di questi, e tutti nasciamo allo stesso modo sordi in quelle lingue che non capiamo, che sono innumerevoli. "Ma i sordi non sentono il canto del citraedo". Non sentono nemmeno lo stridore della sega quando è arrotata, o il grugnito del maiale quando viene sgozzato nè, quando vogliono stare tranquilli, il fremito del mare mormorante; e se la musica animosa li diletta, devono prima pensare che, prima che questa fosse inventata,molti saggi vissero felicemente, poi che il piacere potesse essere percepito assai di più da coloro che leggono che da coloro che ascoltano.

117.Allora, come poco fa consigliavamo il piacere delle orecchie ai ciechi, così è lecito consigliare quello degli occhi ai sordi. Ed infatti, chi potrà parlare con sé stesso, non andrà in cerca del discorso altrui. Supponiamo che tutti i mali si concentrino in un solo uomo, così che il medesimo sia privato degli occhi e delle orecchie, anche oppresso da atroci dolori del corpo. Questi prima di per se stessi, per lo più sfiniscono l'uomo; ma se prolungandosi a lungo tormentano con troppa violenza, perché ci sia motivo che siano sopportati, che motivo c'è infine, in nome degli dei, per cui soffriamo? Infatti c'è a nostra disposizione un rifugio, eterno rifugio della privazione di sensibilità. Teodoro disse a Lisimaco, che lo minacciava di morte, "Hai ottenuto un bel risultato, se porti avanti il potere di una cantaride".

118.Paolo a Perseo che lo pregava di non condurlo in trionfo: "Questo almeno è in tuo potere". Molti argomenti il primo giorno di discussione, mentre indagavamo sulla morte stessa, non pochi anche il giorno sucessivo, quando parlavamo del dolore, sono stati trattati sulla morte, chi si ricordi delle quali, non c'è pericolo che ritenga che la morte sia desiderabile o quanto meno non da temere. A me sembra almeno che nella vita si debba considerare quella legge, che è tenuta in considerazione durante i simposi in grecia: "O beva"dice"o se ne vada". E giustamente. Infatti o qualcuno si goda il piacere di bere insieme agli altri o, affinché da sobrio non si imbatta nella violenza degli ubriachi, se ne vada via prima. Così, fuggendo, potresti lasciarti indietro le ingiustizie della sorte, che non saresti in grado di sopportare. Con altrettante parole Ieronimo dice queste medesime cose, che sono di Epicuro.

119. Che se questi filosofi, il cui parere è che la virtù di per se stessa non vale niente, e che ogni cosa che noi definiamo onesta e lodabile, questi lo dichiarano qualcosa di insulso e abbellito da un vano suono vocale, e tuttavia giudicano il saggio sempre felice, che cosa infine sembra che debbano fare i filosofi che si ispirano a Socrate e Platone? Di questi alcuni affermano che nelle persone oneste vi sia un valore spirituale tanto grande, da prevalere sui beni del corpo ed esterni, altri invece nemmeno questi ritengono beni, ripongono tutto nell'animo.

120.Carneade era solito giudicare la controversia di questi come giudice onorario. Infatti poiché agli Storici sembravano beni quelli che sembravano ai Peripatetici e tuttavia i Peripatetici non attribuivano maggior importanza che gli Stoici alle ricchezze,la buona saluta, le altre cose dello stesso genere, nel momento in cui queste cose si valutassero nella sostanza non nelle parole, diceva che non vi era motivo di dissidio. Perciò i filosofi delle altre scuole in che modo possano affrontare questo argomento, vedano loro; tuttavia mi è gradito il fatto che della capacita continua di vivere bene del sapiente affermano qualcosa degno della parola dei filosofi.

121.Ma poiché si deve partire domani, fissiamo nella memoria le discussioni di questi cinque giorni. Senza dubbio credo che le metterò per iscritto (come infatti potrei occupare meglio il mio tempo libero, di qualsiasi specie sia?), e invieremo al nostro Bruto questi altri cinque libri, dal quale non solo siamo stati spinti agli scritti filosofici, ma siamo stati anche provocati. Nel quale non saprei dire facilmente quanto gioveremo agli altri, almeno per i miei amarissimi dolori e svariati affanni che da ogni lato mi stringevano non mi sarebbe stato possibile trovare altro sollievo.

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