L'età di Traiano

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Testo

L’ETA’ DI TRAIANO (quadro culturale)
La vita politica e la cultura
Dopo la tirannide di Domiziano e l’effimero regno di Nerva, Traiano si rese subito conto che urgeva un’opera di pacificazione attraverso un recupero del consenso dei nobili. Così egli propose come immagine di sé quella del principe buono e illuminato che governa in sintonia con la nobilitas, secondo quella linea politica già collaudata nel principato augusteo. Si instaurò pertanto un clima di tolleranza che si ripercosse sulla cultura e, in particolare, sulla letteratura, che fu più libera rispetto al potere imperiale. Tuttavia non si trattò di una piena e autentica libertà, perché essa fu sempre controllata dal Principe, ma piuttosto di una libertà vigilata, che non mise mai in forse il potere e il carisma dell’imperatore; comunque questa diede agli intellettuali l’illusione di aver conseguito la libertà d’espressione tanto cercata e invocata nei secoli precedenti.
In questo modo Traiano ottenne il consenso di molti anche in campo culturale e ciò è dimostrato da prese di posizione totalmente favorevoli a lui (ad esempio Plinio il Giovane lo elogia nel Panegirico a Traiano); da queste testimonianze emerge il ruolo del princeps che non è inteso come dominio assoluto e felice sui sudditi, ma come sacrificio e onus, un peso che il Principe assume abbandonando la tranquilla condizione di cittadino privato per farsi carico di tutti i problemi della collettività. Anche lo storico Tacito, appartenente all’aristocrazia senatoria, lo elogia nella Vita di Agricola dove, dopo aver tracciato un quadro negativo della tirannide di Domiziano, guarda soddisfatto al proprio tempo e al principato tollerante instaurato da Nerva e Traiano. Tuttavia nell’opera di Tacito è presente una venatura di pessimismo espressa attraverso frasi lapidarie come: "natura infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala" (per naturale debolezza umana i rimedi sono più lenti dei mali; Agricola, 3).
Complessivamente la cultura dell’età di Traiano evidenzia dei sintomi di risveglio che hanno il loro presupposto nella libertà di espressione garantita dal Principe agli intellettuali. Quest’ultimi sembrano risvegliarsi dopo anni di dura sottomissione e obbedienza al potere, proclamando una vera e propria damnatio memoriae verso Domiziano e mostrando una certa euforia; a questo proposito Tacito nelle Historiae (I,1) afferma: "rara temporum felicitate ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet" (per la rara felicità dei tempi in cui è consentito pensare ciò che si vuole ed esprimere ciò che si pensa).
Tuttavia tanto entusiasmo era un po’ fuori luogo in quanto gli intellettuali da tempo ormai non erano più abituati ad esprimersi senza timori e quindi non furono capaci di sfruttare pienamente la libertà che il Principe elargì loro paternalisticamente. Di questo si accorse Tacito che, sul finire della sua attività storiografica, cominciò ad avvertire tracce autocratiche anche nel principato traianeo e che si rese conto dell’ineluttabilità del declino di Roma e del suo impero.

Le arti figurative
Il tentativo traianeo di ricreare la situazione politica dell’età augustea non trovò sostegno nelle arti figurative, che percorsero strade molto diverse dal classicismo augusteo. Infatti il filo conduttore dell’arte dell’epoca fu la tendenza all’illusionismo, che si riflette soprattutto nella scultura: ad esempio nella colonna Traiana vi è il gusto per lo scorcio e per le soluzioni artistiche ardite, ben lontano dall’equilibrio formale dell’Ara Pacis.
Tuttavia, tralasciando queste caratteristiche strettamente tecniche e compositive, è possibile notare un nesso tra le idee dell’epoca e i soggetti artistici rappresentati, i quali hanno prevalentemente un carattere celebrativo. Infatti sia la colonna Traiana che i rilievi dell’arco di Benevento intendono sottolineare il duplice aspetto della personalità di Traiano, il quale, oltre ad allargare i confini dell’impero, seppe riproporre l’immagine del sovrano illuminato dopo molti anni di tirannide giulio-claudia e flavia.
La letteratura
• La formazione degli intellettuali
Gli intellettuali che si affermarono nell’età di Traiano si erano già quasi tutti formati nell’età dei Flavi e quindi risentirono del clima di reviviscenza classicistica che aveva caratterizzato gli anni di Vespasiano, Tito e Domiziano.
Gli intellettuali come Giovenale e Tacito sono ricollegabili alla cultura tradizionalistica grazie al loro amore malinconico (perché senza speranza) nei confronti degli antichi costumi, di quel mos maiorum che doveva unire, secondo loro, i resti della dignitas romana e della compagine imperiale. Plinio il Giovane è maggiormente legato alla tradizione precedente, in quanto, discepolo di Quintiliano formatosi nella sua scuola di retorica, ne assorbì fino in fondo l’insegnamento prevalentemente formalistico (egli sarebbe dovuto diventare l’intellettuale-tipo sognato dal suo maestro, capace di collegare la cultura alla vita e invece ci appare un intellettuale incapace di sentire la realtà).
Quindi si trattò per lo più di intellettuali, nati e cresciuti sotto i Flavi, ma che trovarono nell’età di Traiano le condizioni migliori per esprimersi con una certa libertà (fatto di cui furono sempre grati al Principe).
• I generi
I generi che si diffusero maggiormente in questo periodo furono:
- la storiografia: il maggiore esponente è Tacito; con lui riacquistò quel carattere moralistico che aveva avuto con Sallustio. Allo storico appare necessario per la salvezza di Roma un recupero dei buoni costumi tradizionali che coincidano con l’antica virtù dell’aristocrazia romana (inoltre alla dissoluzione della virtus tradizionale aveva contribuito la mescolanza di popoli e costumi attuata dall’impero). La storiografia non si limita a vagheggiare nostalgicamente il passato, ma s’impegna in un’indagine profonda e demistificante nei confronti del potere imperiale, che per Tacito è simbolo di tirannia e di sottomissione delle coscienze. Così lo storico fornisce ai suoi contemporanei uno strumento critico per analizzarsi e per indagare sui mali che imperversano nella società romana.
- la satira: come genere si afferma soprattutto nei momenti in cui emergono problemi sociali e in cui la situazione politica rende possibile parlare di questi mali in tono ironico. Il massimo esponente satirico del periodo traianeo è Giovenale, che vuole protestare, nei limiti del possibile, contro certi mali che affliggevano la società romana del suo tempo. La sua satira è rivolta contro i ricchi (in particolare contro i nuovi ricchi) e contro la lussuria e denuncia alcuni inconvenienti tipici di una città come Roma, appena divenuta una megalopoli (ad esempio: traffico, discriminazioni territoriali e corruzione).
Concludendo, possiamo affermare che sia la satira di Giovenale sia la storiografia tacitiana intendono rendere note e denunciare alcune disfunzioni della società romana, consapevoli della loro gravità. Infatti fu proprio la mancata risoluzione di questi problemi e l’aggiunta di altri (spesso più gravi) ad avviare il processo di decomposizione che portò al crollo dell’impero romano.

ETA’ DI TRAIANO (quadro storico)
L’età di Traiano comprende convenzionalmente il biennio di Nerva (96-98 d.C.) e il principato di Traiano (98-117 d.C.). In questo periodo, rispetto al precedente dominato dalla dinastia flavia (autoritaria e dispotica), la gestione del potere fu tollerante e illuminata; mutò anche il rapporto tra il potere e gli intellettuali che, con Traiano, furono meno condizionati e più liberi d’esprimersi, anche se non si resero conto di vivere in realtà in un regime in cui la libertas non era un bene acquisito col diritto dei cittadini, ma elargito paternalisticamente ai sudditi dal princeps.
La conciliazione tra principato e libertà
Con la fine della dinastia flavia (terminata nel 96 d.C. con la morte di Domiziano) si interrompe anche il periodo "dinastico", caratterizzato cioè dalla successione imperiale per eredità nell’ambito della stessa famiglia. Infatti i congiurati che avevano decretato la fine di Domiziano si erano preoccupati anche del successore designando come tale, Marco Cocceio Nerva, un senatore di grande prestigio molto esperto di problemi amministrativi. Nerva resse il potere imperiale solamente per due anni durante i quali però regnò con molta rettitudine: egli prese importanti provvedimenti di ordine giudiziario (ad esempio la soppressione dei processi per lesa maestà) e amministrativo (come la nomina di una commissione che regolasse la riduzione della spesa pubblica). Egli ottenne la fiducia di molti (tanto che venne salutato come pater patria), riuscì a stabilire un rapporto di concordia col senato e poté anche contare sull’appoggio della nobilitas; l’intesa con i militari gli risultò più difficile, così preferì farsi saggiamente affiancare da Marco Ulpio Traiano, un generale di origine spagnola, che poco più tardi adottò come figlio e designò per la successione. Con questo suo provvedimento si passò così da un sistema di tipo ereditario a quello di tipo adottivo che rimase in vigore anche per i tre imperatori successivi (Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio).
Il principato di Traiano fu caratterizzato da due orientamenti: da una parte l’organizzazione dell’opera di risanamento delle campagne italiche e dall’altra la politica di espansione territoriale. Innanzitutto, per incrementare le nascite, egli fondò le institutiones alimentariae, pensioni offerte alle famiglie numerose dei contadini poveri affinché questi potessero nutrire e allevare la loro prole. "Questo fondo sociale era finanziato con un procedimento ingegnoso: lo Stato concedeva ai proprietari fondiari prestiti a un tasso di interesse assai limitato, e questi interessi erano devoluti a formare il capitale delle institutiones; in questo modo si immetteva denaro fresco nell’agricoltura e contemporaneamente si incoraggiava una ripresa della natalità in Italia" (M.Vegetti).
Alcuni storici ritengono questo provvedimento come un tentativo di promuovere una politica agraria omogenea, ma, in realtà, Traiano non sembra avere questa tendenza protezionistica. Al contrario, egli non seppe valutare in tutta la loro gravità le questioni socio-economiche che in quegli anni travagliavano lo Stato romano, oppure preferì non affrontarle e trovare una via di fuga nella politica estera, che fu chiaramente imperialistica. Con Traiano venne accresciuta l’espansione territoriale, infatti egli conquistò definitivamente tutta la Dacia, continuò l’offensiva contro i Parti e ridusse a provincia romana il regno d’Armenia.
In politica interna egli fu molto attivo e si preoccupò della giustizia: creò, ad esempio, le nomine di curatores civitatis, magistrati finanziari che dovevano controllare le finanze cittadine su mandato del governo centrale e si occupò, come già detto, dei piccoli proprietari terrieri e dell’agricoltura italica.
Col senato Traiano stabilì una pacifica convivenza, evitando di assumere atteggiamenti forti. Tuttavia egli tentò di consolidare le strutture imperiali e di conciliare le diverse esigenze: quelle del Principe (concepito sul modello dell’imperatore che, migliore tra i suoi pari, lavora al servizio dello Stato), del senato, dei nobili, dei militari e del popolo; quindi egli cercò di instaurare l’equilibrio tra principato e libertà.
Soltanto nei confronti del mondo giudaico e cristiano la politica traianea fu aggressiva e ostile: infatti in questo periodo si ruppe l’accordo (nato con Nerva) fra gli interessi del senato, improntati al rispetto della tradizione, e le forze emergenti del mondo giudaico e cristiano, cosicché "la classe dirigente senatoria poté condurre, d’accordo con l’imperatore, una politica tradizionalista ostile alle forze del proselitismo giudaico-cristiano" (S. Mazzarino).
Traiano morì nel 117 d.C. tornando dalla campagna contro i Parti; dopo di lui salì al potere il suo successore "adottivo" Publio Elio Adriano.

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