Il sogno del poeta

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Testo

Il sogno del poeta

PRIMA PARTE (vv. 1-40)

Divitias alius fulvo sibi congerat auro
et teneat culti iugera multa soli,
quem labor adsiduus vicino terreat hoste,
Martia cui somnos classica pulsa fugent:
me mea paupertas vita traducat inerti,
dum meus adsiduo luceat igne focus.
Ipse seram teneras maturo tempore vites
rusticus et facili grandia poma manu;
nec Spes destituat, sed frugum semper acervos
praebeat et pieno pinguia musta lacu.
Nam veneror, seu stipes habet desertus in agris
seu vetus in trivio florida serta lapis,
et quodcumque mihi pomum novus educat annus,
libatum agricolae ponitur ante deo.
Flava Ceres, tibi sit nostro de rure corona
spicea, quae templi pendeat ante fores,
pomosisque ruber custos ponatur in hortis,
terreat ut saeva falce Priapus aves.
Vos quoque, felicis quondam, nunc pauperis agri
custodes, fertis munera vestra, Lares
Tunc vitula innumeros lustrabat caesa iuvencos,
nunc agna exigui est hostia parva soli.
Agna cadet vobis, quam circum rustica pubes
clamet «io messes et bona vina date».
Iam modo iam possim contentus vivere parvo
nec semper longae deditus esse viae,
sed Canis aestivos ortus vitare sub umbra
arboris ad rivos praetereuntis aquae.
Nec tamen interdum pudeat tenuisse bidentem
aut stimulo tardos increpuisse boves,
non agnamve sinu pigeat fetumve capellae
desertum oblita matre referre domum.
At vos exiguo pecori, furesque lupique,
parcite: de magno est praeda petenda grege.
Hc ego pastoremque meum lustrare quotannis
et placidam soleo spargere lacte Palem.
Adsitis, divi, neu vos e paupere mensa
dona nec e puris spernite fictilibus.
Fictilia antiquus primum sibi fecit agrestis
Pocula, de facili composuitque luto.

Altri accumuli per se ricchezze di biondo oro
e possegga molti iugeri di terreno coltivato,
che un lavoro continuo atterrisca per il vicino nemico,
a cui le trombe di guerra classiche suonate mettano in fuga il sonno:
la mia povertà mi conduca attraverso una vita inerte,
purché il mio fuoco brilli di una luce continua.
Io stesso coltiverò nella stagione opportuna le teneri viti
e diventato contadino (sott. coltiverò) i grandi alberi da frutto con facili mani; né la Speranza venga meno, ma offra sempre cataste di frutti e mosti grassi nel timo pieno.
Infatti io venero, sia che abbia un tronco abbandonato nei campi
sia una vecchia pietra in un crocicchio che abbia corone di fiori
e qualunque frutto produrrà per me il nuovo anno,
sia posto dopo la libagione davanti al dio del campo.
O bionda Cerere, per te ci sia una corona di spighe nel nostro campo
che penda davanti agli stipiti della porta,
e il rosso custode sia posto negli orti ricchi di frutti
affinché atterrisca Priapo con la sua minacciosa falce gli uccelli.
Anche voi, custodi del campo ricco una volta,
ora modesto, ricevete i doni che vi sono dovuti, o Lari.
Allora una vitella uccisa purificava un gran numero di iuvenchi,
ora di un modesto terreno un agnello è una piccola ostia.
L’agnello cadrà per voi, intorno alla quale la gioventù agreste
Griderà: “Evviva date le messi e i buoni vini”.
Possa io ormai, ormai soltanto vivere contento del poco
ne sempre essere dedito a lunghi viaggi,
ma evitare il sorgere estivo del Cane sotto l’ombra
degli alberi al fiume di acqua che scorre via.
Ne tuttavia io mi vergogni di tenere il bidente
o di stimolare i lenti buoi con il pungolo,
non mi rincresca riportare a casa il piccolo
di una capretta abbandonato dalla madre dimenticata.
E voi piccolo gregge, e ladri e lupi,
risparmiate: la preda deve essere richiesta da un grande gregge.
Qui io ogni anno sono solito purificare con sacrifici il mio pastore
e spargere di latte Pale amante della pace.
Siate presenti, o dei, voi dalle povere mense
né disprezzate i doni da vasi di terracotta.
L’antico contadino dapprima fece per se
bicchieri di terracotta, e li modellò dal fango.

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