Giovenale e la satira

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Testo

LA SATIRA DI GIOVENALE

Vita e opere
Di Decimo Giunio Giovenale abbiamo pochissime notizie. Nacque probabilmente ad Aquino, tra il 50 e il 60 d.C.
Marziale ci presenta Giovenale occupato nelle peregrinazioni cittadine del cliente in cerca del sostentamento di un patronus. L’aggettivo facundus che Marziale riferisce a Giovenale allude forse alla professione di avvocato, mentre è da notare che non fa nessun riferimento alla sua attività letteraria. La morte è sicuramente successiva la 127 d.C.
Possiamo collocare la redazione delle satire tra il 100 e il 127. i componimenti sono in tutto 16, distribuiti in 5 libri:
libro I > satire I-V
libro II > satira VI
libro III> satire VII-IX
libro IV > satire X-XII
libro V > satire XIII-XVI (la sedicesima è mutila).

La poetica dell’indignatio
La satira I è un esplicito programma di poetica, in cui Giovenale chiarisce i motivi per i quali si è risolto a scrivere poesia satirica. Il suo è un grido di rivolta contro la recitationes de poeti epici, drammatici, elegiaci su soggetti lontanissimi dalla realtà.
Il poeta assume come modello Lucilio e presenta la sua opera come una sorta di rivincita. Il topos satirico dell’inadeguatezza dell’ispirazione per i generi poetici alti viene trasformato in una rivendicazione della necessità morale della poesia satirica.
L’INDIGNATIO è una fonte di ispirazione che può compensare l’insufficienza di talento: quest’affermazione trasforma profondamente l’immagine del poeta satirico e il tono della sua poesia. Il poeta non si presenta nella sua veste autobiografica, ma come una sorta di anonimo difensore della sensibilità morale offesa.
La satira istituzionalmente metteva alla berlina i difatti egli uomini, ma non le era estraneo nemmeno il momento positivo dell’ammaestramento morale

La satira istituzionalmente sottolineava i difetti degli uomini ma non le era estraneo nemmeno l’ammaestramento e nella satira oraziana dominava l’indulgenza verso un’umanità imperfetta nella quale si ritrovava lo stesso poeta. già persio rivendicava l’esigenza della coerenza filosofico morale di fronte alla dilagante ipocrisia e superficialità dei costumi umani. Giovenale applica questa visione della satira al realismo di Marziale, ma questo processo comporta limitazioni. Giovenale seleziona solo la parte negativa della realtà mostrandola come quella dominante nei tempi attuali. Egli interpretala la realtà contemporanea solo alla luce del vizio, l’unico punto di vista aderente alla realtà, e tuttavia apporta sempre il filtro interpretativo della sua ira. Ciò lo porta ad un atteggiamento declamatorio e ad una deformazione della realtà opposta alla nobilitazione che le veniva dall’apparato mitologico.
Giovenale fa continuamente riferimento ad eventi e personaggi del passato (Domiziano e nerone). Questo non perché non voglia citare la sua età ma perché, in contrasto con l’originario spirito della satira, si limita a denigrare i morti per non ricevere ritorsioni da parte dei vivi, molto più pericolose se si colpisce il potere imperiale. La polemica implicita sta nel fatto di non contrapporre alla negatività del passato un’attualità positiva.
Unità dell’opera che sta nell’uso della retorica a fini di persuasione emotiva. Si indivudua generalmente un distacco tra la prima maniera del poeta > ispirata alla poetica di pathos violento dell’indignatio; e una seconda > più riflessiva e distaccata, che si apre con la satira numero X. L’atteggiamento del poeta appare mutato: molto più attento alla dimensione individuale della vita, cui facevano appello le filosofie del tempo ( stoicismo, cinismo, epicureismo). La sua analisi si allarga nel tempo e nello spazio al di fuori della realtà di Roma. Ultimamente si tende a ridurre lo scarto tra le parti perché la struttura, la tecnica compositiva, i procedimenti argomentativi sono assai simili a quelle delle satire precedenti e alla base vi è un identica necessità di persuadere il lettore della prorpia verità ricorrendo ad ogni mezzo.

Aspetti delle satire di giovenale.
LIBRO I : si alternano la denuncia delle difficoltà della vita del cliente onesto e le accuse contro una nobiltà degenerata.
Satira I > carattere programmatico.
Satira II > degenerazione della nobilitas culminante nella depravazione omoerotica.
Satira III > requisitoria contro lo scadimento dell’istituzione della clientela.
Satira IV > resoconto sarcastico di un consilium principis tenuto da Domiziano per decidere come cucinare un pesce.
Satira V > sulle umiliazioni che un cliente deve subire alla mensa del padrone.
LIBRO II : costituito da una sola sativa (VI) di quasi settecento versi: interminabile discorso misogino che intende dissuadere l’amico Postumo dal proposito di sposarsi.
LIBRO III : si alternano due aspetti complementari > estremo avvilimento dell’istituto della clientela e inettitudine della nobiltà.
satira VII > lamenta le misere condizioni di vita di letterati e intellettuali, costretti alle più umilianti prestazioni perché ormai l’ingegno non porta a nessun prestigio sociale o economico.
Satira VIII > denuncia la nobiltà romana, in cui al privilegio del casato non corrisponde più la virtus
Satira IX > dialogo con un cliente che lamenta l’ingratitudine del padrone effeminato.
LIBRO IV :
satira X > tema della stoltezza delle preghiere degli uomini agli dei. L’unica cosa da desiderare è mens sana in corpore sano.
Satira XI > invito a pranzo in cui si esalta la sobrietà contro gli eccessi delle tavole romane.
Satira XII > riguarda un sacrificio di ringraziamento per lo scampato naufragio dell’amico Catullo.
LIBRO V : poca coesione strutturale.
Satira XIII > ammonisce un amico a non desiderare la vendetta contro chi gli ha rubato del denaro.
Satira XIV > si uniscono il tema della cattiva educazione dei figli da i padri viziosi e quello dell’avarizia a cui i giovani sono indotti dal cattivo esempio dei padri.
Satira XV > episodio di cannibalismo.
Satira XVI > nella parte rimasta elencati i privilegi della vita militare.
All’interno di ogni satira, accanto all’argomento principale, appaiono temi ricorrenti che sono capisaldi della visione del mondo di Giovenale.
• contrasto tra realtà e apparenza. Non avendo in mente alternative critica le incoerenze degli altri.
• L’odio contro i greci. Si fonda sulla loro pretesa capacità di fingere, di travestirsi.
• L’individuazione nelle divitiae della radice di tutti i mali in Giovenale ricorre ossessivamente e con connotazioni negative. Sul piano storico la svolta si è avuta nel momento in cui roma ha incominciato ad importare le raffinatezze provenienti dalla Grecia. Ora roma è diventata la sede del lusso e della depravazione. Si sente qui l’astio del cliente defraudato di ogni suo diritto, venuto meno il tradizionale rapporto di devozione reciproca tra lui e il padrone.
• La società romana è degradata nel tempo e anzi l’intero genere umano è afflitto da un irrimediabile tendenza al declino morale. L’età attuale è peggiore anche di quella del ferro. Un’immagine positiva mitizzata è quella dell’età di Annibale quando povertà, fatica, guerra tenevano lontano i vizi.
In Giovenale gli ultimi libri sembrano avvicinarsi in linea con la tradizione satirica, alla morale delle filosofie consolatorie ellenistiche che si appella all’interiorità individuale.

Lingua e stile
In Giovenale il problema dello stile e strettamente legato a quello della tecnica compositiva. Ammirato per le sue doti stilistiche è stato spesso criticato per l’incapoacità di dare alle sue poesie molto lunghe una solida struttura formale. La tecnica accumulatoria ed elencatoria che troviamo nella satira numero sei, è anche un tratto stilistico fondamentale nelle strutture sintattiche: veri e propri cataloghi dal carattere disordinato che tendono a riprodurre la caotica inafferrabilità del reale.
Giovenale eccelle soprattutto in due campi: l’evidenza icastica della rappresentazione e la straordinaria condensazione espressiva di molte sententiae. Forte l’influenza dell’epigramma di Marziale. Il linguaggio poetico di Giovenale è strettamente legato alla sua poetica di smascheramento e demistificazione: le contraddizioni della realtà emergono dal contrasto tra termini aulici e volgarismi, dall’uso di parole adatte a contesti alti per situazioni basse e ripugnanti. Nomi e situazioni tolti da epica e tragedia sono talvolta impegnati in funzione parodistica ma per lo più sottolineano il distacco tra la nobiltà del mito e la miseria della realtà.

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