Gaio Giulio Cesare

Materie:Appunti
Categoria:Latino
Download:338
Data:04.08.2008
Numero di pagine:9
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
gaio-giulio-cesare_2.zip (Dimensione: 14.62 Kb)
trucheck.it_gaio-giulio-cesare.doc     92.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Cesare
La vita
Matura con lui la transizione dalla res publica all’impero. E’ uno stratega carismatico, che affascina le masse. E’ anche un abile politico e, infine, un colto e raffinato uomo di lettere. Appartiene alla gens Iulia di nobiltà minore e non molto ricca. Nasce nel 100 a.C. nel mese di luglio, che da lui trae nome. Aveva anche fatto la riforma del calendario, in adozione sino al ‘500, quando fu sostituito da quello gregoriano. La sua vita fu caratterizzata da una smodata ambizione, sin dalla giovinezza. Si avvicinò ai mariani sposando la figlia di Cinna, luogotenente di Mario. Questo matrimonio ha un significato politico. Sempre in giovinezza divenne il capo dei populares, e per questa sua scelta di parte si dovette allontanare da Roma sotto la dittatura di Silla. Andò a studiare in Grecia, a Rodi, presso la scuola di retorica di Apollonio Milone (v. anche Cicerone). Torna a Roma nel 78 a.C. e intraprende la carriera forense accusando di concussione il sillano Dolabella. Contemporaneamente comincia il cursus honorum, che percorre rapidamente. Nel 68 a.C. pronunciò un epitaffio per la zia parlando delle origini divine della propria gens (da Enea e quindi da Venere). Anche da dittatore cerca sempre di legittimare il proprio potere con la discendenza divina, alla maniera orientale. Nel 65 a.C., da edile, fece restaurare a sue spese la statua di Mario in Campidoglio, abbattuta da Silla. Sulla sua vita abbiamo ampie fonti in Svetonio e Plutarco. La sua carriera culmina nel 60 a.C. con il primo triumvirato, un accordo privato tra Pompeo, Cesare e Crasso, che si spartiscono Roma. Mentre Cesare compiva la sua ascesa politica, Pompeo –con la lex gabinia e la lex mamilia, ad personam- era stato incaricato di sconfiggere la pirateria e Mitridate, re del Ponto. Fu vittorioso in entrambe le imprese e fondò la provincia della Siria, era sostenuto dal Senato. Crasso era il rappresentante degli equites, arricchitosi con gli appalti pubblici. Tornato a Roma, Pompeo scioglie l’esercito e ritorna privato cittadino, agisce legalmente, pur avendo immensi potere e ricchezza. Pompeo, tradito dal Senato che non approva le leggi per distribuire le terre ai suoi soldati, si allea con gli altri due uomini più importanti del momento. Nel 59 a.C. Cesare è console e distribuisce le terre ai soldati pompeiani, e fa ratificare le decisioni di Pompeo in merito all’Oriente, tramite pressioni sul Senato; in cambio egli ottiene un quinquennio di proconsolato straordinario in Gallia, e Crasso delle leggi sugli appalti pubblici. Cesare tiene alla Gallia perché gli mancano la gloria militare e le ricchezze di Pompeo. Lascia Roma alla sua longa manus: il violento e facinoroso Clodio, che riesce ad allontanare da Roma Cicerone e Catone, i due massimi campioni del tradizionalismo e difensori oltranzisti della res publica. E’ probabile che Cesare fosse dietro la congiura di Catilina, per la punizione della quale si oppose, inutilmente, alla pena di morte. Con la spedizione in Gallia, Cesare portò i confini al Reno, che gli imperatori romani, a nord-est, non riuscirono mai ad ampliare ulteriormente. Nei Commentari Cesare dimostra grande rispetto per il suo esercito –che gli porta popolarità e fama- dal quale non può prescindere. Durante la sua assenza Pompeo si era riaccostato al Senato, presentandosi come garante della res publica. A Roma si erano svolti degli scontro tra le bande di Clodio e quelle del pompeiano Milone. Nel 56 a.C., a Lucca, i triumviri rinnovano l’alleanza. Cesare ottiene il proconsolato per latri cinque anni, Pompeo il governo della Spagna, Crasso quello della Siria. Crasso muore nel 53 a.C. in Oriente combattendo contro i Parti, mai sconfitti dai romani. Così si indebolisce l’equilibrio interno al triumvirato; inoltre nel 54 a.C. morì Giulia, figlia di Cesare e sposa di Pompeo. Nel 52 a.C. Clodio viene ucciso da Milone. Pompeo si accosta ancora al Senato, che guarda con sospetto a Cesare. Il Senato nomina Pompeo “consul sine collega”: è un palese insulto a Cesare. E’ il Senato stesso che costringe i due a contrapporsi e scontrarsi. Nel 50 a.C. scadono gli accordi di Lucca. Il Senato impone a Cesare di sciogliere l’esercito prima di arrivare in Italia, ma egli passa il Rubiconde in armi e dichiara guerra a Pompeo: è l’inizio della guerra civile, che Cesare vince a Farsalo nel 48 a.C.. Pompeo si rifugia in Egitto presso il re Tolomeo, che lo uccide a tradimento, e viene a sua volta ucciso da Cesare, che consegna il regno di Egitto a Cleopatra. Con questo gesto Cesare vuole anche vendicare la romanità: nessuno può uccidere un romano a tradimento. In Egitto si installa un presidio romano. Lascia in Italia Marco Antonio come luogotenente, sconfigge nel Ponto il ribelle figlio di Mitridate (“Veni, vidi, vici”), in Africa sconfigge definitivamente i pompeiani a Tapso nel 46 a.C., e a Utica, vicino Cartagine, Catone si uccide per non dover subire Cesare o chiedergli perdono. Il figli di Pompeo vengono sconfitti in Spagna a Munda nel 46 a.C. Tornato a Roma, attua una politica di clementia (v. anche con Cicerone), il Senato gli concede la dittatura militare a tempo indeterminato, la potestas tribunicia etc. In fondamento storico della congiura dei cesaricidi è il progetto di Cesare di unire Oriente e Occidente, che non si potevano continuare a contrapporre, e di concedere la cittadinanza a tutte le province (ci si arriverà con l’editto di Caracalla). Pianificava un impero cosmopolita e accettava di rispettare la diversa mentalità politica orientale; ma tutto questo non poteva essere accolto con favore dalla nobilitas senatoria, ancora legata alla dimensione della città-stato. Cicerone era consapevole della congiura e, pur senza parteciparvi attivamente, non fece nulla per impedirla. Nel 44 a.C. Cesare fu accoltellato in quel Senato che egli aveva aperto a barbari e liberti. I congiurati si aspettavano il plauso del popolo, che invece si sollevò contro di essi. Cesare fu proclamato “deus” dal popolo durante i suoi funerali.

Le opere
Ci sono pervenute solo due opere letterarie di Cesare. Parte della sua politica fu volta alla promozione di studi e arti: progettava a Roma la fondazione di un’enorme biblioteca pubblica sotto la direzione di Varrone, e la concessione della cittadinanza a tutti gli intellettuali che risiedevano a Roma. Svetonio ci parla del poemetto Laudes Hercolii, e un carme sul viaggio in Spagna. Abbiamo una trentina di frammenti del De analogia, un trattato di linguistica dedicato a Cicerone nel 54 a.C., e scritto durante la campagna gallica. Si ispira alla dottrina analogista alessandrina, e vuole irregolari lessicali e morfologiche della lingua latina, sostituendole con altre desunte per analogia dalle forme regolari. Ad esempio Cesare usa “pater familiae” e non “familias”. Oltre che analogista è anche purista: contrario all’uso di analogismi, neologismi, grecismi, irregolarità e forme desuete. Parallelamente è atticista in campo oratorio, ma delle sue orazioni ci sono pervenuti solo pochi frammenti, che non consentono un giudizio sul loro valore letterario. Cicerone le stimava.

Anticato
Fu scritto nel 45 a.C. alla fine della guerra di Spagna. Cesare corre il rischio della mitizzazione di Catone Uticense, e pertanto ne ridimensiona la figura. E’ un gesto politico.

I Commentarii
Le uniche opere pervenuteci sono il De bello gallico e il De bello civili, pubblicato postumo. Il termine commentarius traduce il greco upovmnema (promemoria). In età repubblicana i commentarii erano i rapporti ufficiali dei magistrati e capi militari, oppure le memorie private di grandi personaggi pubblici, un genere autobiografico memorialistico, ma distinto dall’opera storiografica, Istoria, a metà tra la raccolta dei materiali e la vera narrazione storica. Per Cicerone l’opera storica è “opus oratorium maxime”: l’aspetto letterario e gli artifici retorici affiancano la ricostruzione storiografica, e prevedono un proemio, discorsi diretti e fittizi, ritratti dei personaggi. Il commentarius è un genere molto più semplice, di carattere informativo, che non perde la sua essenza di scritto breve e condensato. Anche Cicerone aveva scritto dei commentarii sul suo consolato, pur non pubblicandoli, ma affidandoli allo storico Posidonio perché ne facesse un “opus oratorium maxime”; il commentario è un lavoro preparatorio all’opera storica.
Paradossalmente i Commentarii di Cesare non risultano bisognosi di un’ulteriore elaborazione retorica, Cicerone stesso li definisce già dotati di venustas. Lo stile è limpido ed essenziale. Permane la differenza rispetto all’Historia, e Cesare non viene inserito da Quintiliano tra gli storici di Roma. La scelta del commentario riflette il pensiero di Cesare, la sua tendenza a semplificare e razionalizzare tutto. E’ espressione di una personalità fredda, amante della chiarezza, coerente con le sue scelte linguistiche e oratorie. Il Commentarius consente una narrazione oggettiva e distaccata, Cesare è impassibile e parla di sé in terza persona, evitando volontariamente un coinvolgimento emotivo nella materia. Nel racconto non c’è posto per l’elemento divino e soprannaturale, egli ritiene che la Storia sia un prodotto esclusivamente umano. Ha straordinaria fiducia nell’intelligenza umana, dice che i romani sono superiori ai barbari per la loro maggiore capacità di calcolo. Inserisce con molta parsimonia anche degli elementi estranei alla tradizione dei commentarii: l’excursus sui Germani, quasi erodoteo, nel De bello gallico, e qualche raro caso di discorso diretto. Non mancano delle pagine ricche di pavqoı, quelle in cui parla dei suoi soldati, non milites ma commilitones. Sa quale sia per lui l’importanza dei soldati, e sa legarli e avvincerli con il suo forte fascino carismatico.
Asinio Pollione dice che Cesare non è obiettivo, e gli sono mosse accuse anche da Lucano e Cassio, studiosi latini: lo tacciano di aver sperperato il patrimonio pubblico, aver massacrato in silenzio intere tribù celtiche, e aver scritto un’opera tendenziosa per motivi personali. Scrisse il De bello gallico per convincere i suoi detrattori di aver intrapreso la campagna in Gallia per difendere i confini romani, il De bello civili per sostenere di essere stato costretto a scontrarsi con Pompeo. Ma era troppo intelligente per alterare in maniera grossolana i fatti; sottolinea gli eventi positivi, omette quelli negativi, e compie piccole alterazioni nella cronologia dei fatti. Colloca il discorso ai soldati prima di aver passato il Rubicone, ma da altre fonti sappiamo che prese la decisione in autonomia e chiese il consenso dell’esercito dopo aver passato il Rubicone.
La scelta del commentarius, che nasce come opera informativa, comporta un linguaggio semplice e chiaro. Il tono oggettivo è sottolineato dall’uso dell’oratio obliqua (discorso indiretto). L’adesione all’analogismo gli evita l’uso di grecismi, neologismi, termini plebei o troppo aulici. Il tono è sempre medio, seppure elegante. Lo stile è pacato, talvolta ripetitivo per l’uso continuo di talune strutture e frasi. Il lessico è minimo, rifiuta anche l’uso di sinonimi. La freddezza e asciuttezza apparente non va confusa per disinteresse, è animato da una passione controllata, con un ossimoro: una passione razionale.
Come è portato a razionalizzare lo Stato in politica, così in campo letterario tende a razionalizzare la realtà. Ha fiducia nella ragione umana e la sua capacità di controllo.

De bello gallico
Nella seconda guerra punica Roma aveva conquistato Marsiglia, importante scalo commerciale, ed era nata la provincia della Gallia Narbonense (121 a.C.), che comprendeva la fascia costiera tra le Alpi e i Pirenei. Il resto di Francia e Belgio era abitato da popolazioni celtiche dedite all’agricoltura ed all’allevamento. Da nord-est premevano sui Celti i Germani, mai sconfitti da Roma. Con la sottomissione della Gallia ad opera di Cesare si definì il confine nord-orientale del Reno, mai superato, e si sancì la distinzione tra i Galli, romanizzati, e i Germani.
Consta di 7 libri, uno per ogni anno di guerra. Cesare scrive per un motivo politico: dimostrare che era una guerra difensiva; in realtà la spedizione gli guadagnò enormi vantaggi personali. Il racconto è sobrio, si sottolinea l’aspetto militare e strategico dei fatti. Se racconta i costumi dei popoli, è mosso dalla curiosità per la diversità delle strutture politiche e sociali rispetto a Roma.Coglie anche la differenza tra i Galli, più civili, e i Germani, feroci, abitanti di un suolo aspro anche territorialmente. Così giustifica l’impossibilità di conquistare i Germani, rendendo quasi iperbolica la ferinità tedesca. Sono popolazioni impulsive, incapaci di strategie; emerge la consapevolezza della superiorità romana, che però non diventa indifferenza per le ragioni del nemico, nei cui panni si cala. Mancano i discorsi diretti perché non è Historia, tranne rare eccezioni, tra cui un bellissimo discorso pronunciato dal capo degli Averni, che incita gli abitanti di Alesia a non arrendersi alla servitù e alla libertas romana. Cesare sa che se anche riporta le ragioni nemiche, tuttavia Roma è superiore e le dominerà, mostra una coerente fede nella civiltà e milizia romana. La narrazione si interrompe al 52 a.C., un luogotenente (Irzio) aggiunse l’ottavo libro con i fatti del 51-50 a.C.

De bello civili
E’ un’opera più complessa e tratta una materia più delicata: non una guerra giustificabile contro i barbari, ma contro i propri concittadini. Cesare lo scrive per scagionarsi dall’accusa di aver voluto lui scatenare la guerra civile, e cerca di incolpare i pompeiani. Dichiara di aver agito per la pace e il bene dello Stato, mai senza il consenso di soldati e popolo romano. Si presenta come il garante di istituzioni e legalità, difensore del popolo romano, non come un radicale riformista. La sua politica è demagogica, si attirava la simpatia delle masse, di cui sempre cercò il consenso, anche indebitandosi all’inizio della carriera per istituire dei ludi. A Cicerone fa paura il potere fondato sull’impatto emotivo e il rapporto carismatico tra politico e massa, che consente di violare tutte le leggi. Il ritmo è più concitato ed emotivo, Cesare meno distaccato. Si giustifica con la tendenziosità, sottovalutando gli episodi negativi ed evidenziando i successi, quasi dice di essersi dovuto difendere da Pompeo. La narrazione si interrompe alla guerra alessandrina (di Alessandria d’Egitto), il seguito fu raccontato da alcuni anonimi luogotenenti che aggiunsero tre libri: bellum alexandrinum, bellum africanum (49 a.C.), bellum hispanicum (45 a.C.). Dal 45 a.C. in poi, dopo aver sconfitto definitivamente i pompeiani a Munda, adottò la politica della clementia, anche perché Roma aveva bisogno della pace sociale.

Esempio