Epistole e satire oraziane

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Testo

EPISTOLE
Libro I
EPISTOLA I
E' l'esortazione alla filosofia e alla virtщ. Egli esclama: "ora niente piщ versi ne' giochi: l'etа non lo consente piщ; ora bisognano massime di sapienza che secondo le circostanze soccorrano ai disagi dello spririto". Viandante coercatore egli batte alle porte delle varie filosofie per fare raccolta di buoni ammonimenti: i quali sono come certe formule magiche e certi scongiuri che sia doperano per guarire i mali dell'anima nostra. Cosм la filosofia, scomparsa come sistema, и ridotta a una medicina leinitiva delle passioni.
EPISTOLA II
In questa epistola viene presentato un Ulisse rinnovato, che si stacca dalla produzione tragica e comica per accostarsi ad Omero, esemplare dell'uomo saggio. Vi и chi vede nel personaggio di Ulisse Aristippo, maestro di Orazio.
EPISTOLA V
E' un invito a pranzo, non il primo: nell'ode 20 и Mecenate ad essere invitato a lasciare per una volta i vini prelibati e a contentarsi del vinello Sabino. Invito famoso и quello catulliano a Fabullo, ma in Orazio troviamo un'irrequietezza contenuta e vigilata. E' un invito piacevole e obbligante fatto a persona di riguardo e di confidenza, a cui si puт annunciare che il desinare sarа modesto ma in complenso ci sarа da prolungare quella notturna veglia di Settembre chiacchierando e bevendo senza pensiero del domani.
EPISTOLA VII
Piщ volte Orazio dovette avvertire un certo peso per l'amicizia con Mecenate, e il fastidio di certi sguardi posati su di lui come sul favorito del grande signore: egli vuole ora purificare quell'amicizia. Mecenate, ormai vecchio, voleva una compagnia fidata e confortevole e voleva con se' il suo poeta prediletto. Vincolo grave, che puт indurre il benefattore a sospettare una ingratitudine e il beneficato una oppressione. La loro era una intima amicizia, ma c'era una mano che donava e un'altra che riceveva, e chi vedeva soltanto quelle due mani poteva anche giudicare che l'una appartenesse al signore e l'altra al parassita. Orazio vuole spiegare che il beneficio и riconoscimento di un merito e non vincolo della libertа personale la quale non и commerciabile con nessun altro bene del mondo.
EPISTOLA XVI
Questa epistola и stata considerata il documento solenne della conversione di Orazio allo stoicismo. Egli punta il dito contro il galantuomo: buon cittadino, giudice intemerato, testimone infallibile, il vir bonus, il frodatore per eccellenza.
EPISTOLA XX
E' il commiato di Orazio al suo libro. Gli parla come a un ragazzo lascivo, a un puer delicatus, inutilmente nutrito di buoni princмpi, smanioso di andare per il mondo a correre il triste destino dei brevi piaceri e delle sfiorite bellezze.
Egli crede che la poesia finisca e finisca anche la vita, invece scriverа ancora due lunghe epistole, una ai Pisoni e l'altra ad Augusto.
Libro II
EPISTOLA I
Lamenta che il pubblico preferisca agli scrittori viventi quelli morti. Quindi considera lo sviluppo della letteratura romana che dalle prime forme di poesia drammatica passт alla conoscenza e alla imitazione delle grandi opere letterarie dei Greci.
EPISTOLA II
E' ndirizzata a Floro, il poeta si scusa per la propria pigrizia come scrittore.

SATIRE

PRIMO LIBRO
SATIRA I
In questa satira Orazio vuole far conoscere al potente amico e protettore che egli и contento della propria sorte e non invidia quella altrui. L'ammonimento di Orazio e' di accontentarsi di quello che si и, sentire la comoditа e la sufficienza del proprio essere, e pensare che andar dietro agli altri per superarli e' andare sempre dietro a qualcuno: e questo andar dietro non e' che un affaticarsi invano. La vera ricchezza e' riposta nello scrigno del proprio spirito dove nessuna mano di ladro puo' giungere; e' riposta pero' in parte anche nel denaro, e la dottrina di Epicuro non lo negava.
SATIRA II
Nella seconda satira, considerata tra le piщ antiche, Orazio, con crudezza di linguaggio, svolge in una serie di aneddoti e di quadri lo stesso tema del giusto mezzo applicato alle soddisfazioni sessuali.
SATIRA III
E' la satira dell'indulgenza e dell'amicizia; era l'amicizia epicurea: quella stoica non aveva bisogno di indulgenza perche' essa legava uomini perfetti ai quali nulla era da perdonare; e Zenone aveva detto che "il saggio non ha bisogno di niente", quindi non ha bisogno neppure di amici. La satira si divide in due parti. La prima tratta dell'indulgenza che si deve agli amici; la seconda confuta il paradosso stoico che tutti i peccati sono uguali e dimostra l'inequitа morale e giuridica dell'applicare le pene secondo questo principio.
SATIRA IV
Nella satira IV Orazio risponde alle critiche sollevate dopo la pubblicazione della sua seconda satira. "Da me nessuno ha nulla da temere: io non recito i miei versi che agli amici, e non desidero esporli nelle botteghe dei librai. Inoltre, niente veleno nelle mie satire: tutt'al piщ un po' di franchezza e di gaiezza."
SATIRA V
Tratta dei ricordi di un viaggio da Roma a Brindisi, in compagnia di grandi personaggi, e in momenti gravi della repubblica: Ottaviano aveva mandato da Sesto Pompeo i suoi legati Cocceio e Mecenate. Orazio era tra i personaggi della missione, viaggiatore e compagno divertente e discreto, attento agli incidenti ora fastidiosi ora gustosi di quel viaggio di cui non ignorava l'importanza politica, ma di cui non conosceva o mostrava di non conoscere precisamente i segreti propositi.
SATIRA VI
Dapprima la satira pare impostata su quel tema intorno alla nobiltа dei natali facilmente gradito alla predicazione cinico-stoica, ma Orazio non ha di tali accenti. Egli e' piu' tranquillo osservatore: riconosce che "l'uomo che viene dal nulla" и antichissima frase adoperata piщ a dir male che bene di chi и stato artefice della propria fortuna.
Dal verso 45 alla fine, la satira prende a un tratto un tono di confidenze personali: un compiacente richiamo del passato и un atto di orgoglio a cui danno tempera e bellezza l'impeto dei ricordi lontani e la chiara visione di una quieta esistenza. Il poeta si presenta a Mecenate, "al piщ nobile tra i nobili uomini in Etruria, eccomi qua io discendente di servi", senza boria cinica, ma con serenitа epicurea. Infatti non schernisce quella nobiltа ne' si rammarica di quella servitщ. Orazio si rivolge a Mecenate per assumere la responsabilitа del suo passato ed esporre i propositi della vita presente, di fronte a coloro che gli rimproveravano la bassezza della origine servile e le nuove ambizioni a cui la recente amicizia di Mecenate poteva indurre quel reduce di Filippi. Orazio risponde che quella bassa origine servile и il suo piщ ambito stemma nobiliare, che quel suo eccellente padre uscito di schiavitщ egli non muterebbe con nessun altro dei padri. Aggiunge che la sua ambizione и tutta qui: non avere altro bene che la libertа nй altra ricchezza che la modestia. Egli dichiara di praticare quella modesta condizione che permette di condurre una vita esposta il meno possibile agli sguardi altrui e meno obbligata da sollecitudini e officiositа; la vita senza la "misera ambizione", cioи senza quella ricerca di onori che sono le nostre catene. L'insegnamento e' fare quod iuvet. Queste cose Orazio scriveva priamdei trent'anni, quando la casa di Mecenate gli era aperta; piщ tardi gli si aprм il Palazzio di Augusto che lo voleva con sи, ma egli non volle perdere quella libertа che si ottiene soltanto con la rinuncia a tutti gli onori; in tale coerenza di vita и il valore morale di questo poeta vissuto tra i potenti perchи li stimava e non perchи li serviva.
SATIRE VII, VIII, IX
Sono tre satire che si staccano dal resto per il contenuto narrativo e descrittivo e per un tono derisorio e parodico che tende alla chiusa epigrammatica, al rilievo burlesco e mordace del deltto o del fatto memorabile cui e' predisposto tutto il componimento.
SATIRA IX
La satira nona rappresenta un dialogo tra Orazio e un seccatore, del quale e' vano considerare i dati storici, poichи essi appariscono solo per accrescere la vivacitа di un personaggio in cui Orazio ha voluto concentrare gli elementi della sua maggiore antipatia. In tale contrasto и situata la scena di questi due che parlano e vanno insieme per la medesiam strada, in un disaccordo che sempre piщ cresce e procede comicamente verso la imprevedibile soluzione. Tutto ciт che era insopportabile a Orazio si trova in questo innominato: и ciarliero, sfacciato e intrigante: si vanta di saper scrivere molti versi, e di essere danzatore e cantore.
SATIRA X
E' l'epilogo del primo libro di satire; egli critica i neтteroi come Catullo e chiede scusa per aver attaccato Lucilio nella Satira IV, in cui diceva che il buono delle sue satire l'aveva preso dai comici greci e di suo non mise che la brutta poesia.
SECONDO LIBRO
SATIRA I
E' probabilmente l'ultima scritta da Orazio; siamo quindi alla fine della prima fase della poetica Oraziana, quella che comprende le Satire e gli Epodi. Orazio dichiara: "eccolo in riposo lo stilo che mi ha tracciato le satire: come una spada ringuainata: e vorrei potesse arrugginire, ma attenti ai fatti vostri e lasciatemi in pace: chй questo stilo rimane sempre la mia arma e sono pronto a riprenderla". Nella satira Orazio finge di andare a consultrare un giurista a cui confida di non voler ne' poter rinunciare a scrivere satire.
SATIRA II
E' una predica alla buona, tra una brigata di amici, in campagna, prima di andare a tavola: sulla temperanza, che и il giusto mezzo tra la crapula e la spilorceria. Predicatore и Ofello, espropriato del suo podere che adesso coltiva tranquillamente come contadino, da padrone che era.
SATIRA III
In questo sermone, eccezionalmente lungo, Orazio ha voluto comporre il suo poema satirico: и una predica morale impostata su uno sfondo di comicitа quasi teatrale. I personaggi sono due stoici: un neofito e un maestro loquacissimo che parla per bocca del neofito, il personaggio del "buffone sapiente" (che sarа una delle creazioni piщ vive del dramma postclassico). Le malattie morali che fanno dissennata l'umanitа sono costituite in quattro tipi principali: l'avarizia, l'ambizione, la lussuria e la superstizione: ognuna di queste parti и sviluppata e chiarita in una serie di bozzetti, di aneddoti, di profili umani, che vengono fuori dall'esperienza personale del poeta e prendono vita in una predica concitata e animata da esclamazioni, interruzioni, interrogazioni oratorie. Viene anche riportata la favola della rana e del vitello di Fedro.
SATIRA IV
Dialogo tra Orazio e Catius, un buongustaio di pretese epicuree, che narra dei precetti che ha ascoltato e dei pranzi a cui ha partecipato. Non и chiaro a che scopo e contro chi Orazio abbia scritto la satira.
SATIRA V
Contiene la predica di Tiresia a Ulisse. Il tema и quello della caccia alle ereditа: l'uomo deve ottenere dal morto quello che non puт piщ estorcere al vivo. Orazio riprende l'Ulisse astuto, mendace e intrigante, mentre una decina di anni dopo, nell'Epistola 2 del libro I, riprenderа l'Ulisse stoico, eroico esemplare della virtus e della sapientia.
SATIRA VI
Ritorna con questa satira la poesia dell'intimitа e delle confidenze, ed ha come dominante la figura di Mecenate, con quella impenetrabilitа di uomo potente e con quella aperta franchezza di amico e di benefattore.
SATIRA VII
E' una variazione del tema svolto nella satira terza: Davo, servo di Orazio, espone al padrone quello che gli ha detto un suo collega, svolgendo il paradosso stoico che il solo sapiente и libero e chi non и sapiente и schiavo.
SATIRA VIII
Giа trattato nella satira romana (Lucilio) il tema del banchetto ridicolo и protagonista di questa satira: il padrone di casa intrattiene gli ospiti con un discorso sulle ricette di cucina con cui si affratellano uomini di ogni condizione, tempo e paese.

Esempio