Eneide:analisi dei primi canti

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Testo

L'ENEIDE - CONSUNTIVO 09/02/2000
L'Eneide, scritta da Virgilio, narra le avventure di Enea, eroe troiano figlio di Anchise e Venere1, noto come il precursore della stirpe romana e, quindi, dell'Impero romano. Secondo la storia, egli fuggì da Troia durante la sua distruzione ad opera dei greci, portando con se la moglie Creusa, che però scomparve improvvisamente nel viaggio, il figlio Iulo, e il padre Anchise, che, paralizzato alle gambe per volere di Giove, dovette essere portato in spalle dal figlio. Dopo lunghe peregrinazioni, gettato dalle tempeste, scatenate per volere di Giunone2, a Cartagine, dimenticò per un breve periodo, nell'amore di Didone, il compito affidatogli dagli dei di trovare una nuova sede per la stirpe troiana. Richiamato ai suoi doveri da Giove, che mandò Mercurio ad incitarlo, Enea riprese il viaggio e, dopo altre peripezie (tra cui la discesa nell'Inferno in cui avviene il reincontro col padre, morto precedentemente in Sicilia) giunse alle foci del Tevere. Accolto benevolmente dal re Latino che gli promise in sposa la figlia Lavinia, dovette prima combattere contro Turno, re dei Rutili, che gli mosse aspra guerra. Il figlio di Enea e di Lavinia, Silvio, fu, in seguito il fondatore della città di Albalonga.
Nelle vicende narrate, suddivise in dodici libri di versi esametri, possiamo notare una chiara ispirazione omerica: nella prima parte (libri 1-6) narrante il viaggio di Enea, più prossima all'Odissea3, nella seconda (libri 7-12), che ha per oggetto la guerra dell'eroe con Turno, all'Illiade4. La storia del figlio di Venere, infatti, si svolge in seguito alle vicende narrate nell'Iliade, a cui pone una conclusione raccontando la definitiva presa della città, e s'intreccia con quelle narrate nell'Odissea. Possiamo per questo notare che, non solo Enea ripercorre alcune delle tappe toccate dallo stesso Ulisse, ma ha perfino un "contatto", individuabile nel ritrovamento, nell'isola dei Ciclopi, di un compagno dell'eroe greco che non era riuscito a fuggire ed era stato abbandonato in quel luogo. Il gran numero di reminescenze omeriche, adattate dall'autore in modo da servire ai suoi nuovi fini poetici, danno un'idea di come egli si ritenesse, probabilmente, successore ed erede del poeta greco.
Altra fonte di ispirazione per Virgilio, che dà all'opera un clima sentimentale assente in Omero, si trova nelle vicende di Medea, narrate nelle Argonautiche5, di Apollonio Rodio, da cui è ripreso l'episodio di Enea e Didone. Nel poema si ricorre anche all'inserimento di miti con varianti meno note e all'allusività non solo di poeti epici precedenti, ma anche di poeti più vicini nel tempo come Lucrezio o Catullo.
Potremmo, in conclusione, considerare l'Eneide come una fusione di tutta l'esperienza poetica precedente, portando come indicazione di ciò l'innovazione che il poeta romano apporta nel genere epico, proprio attraverso l'inserimento, ad esempio, di forme drammatiche e liriche.
Virgilio scelse di creare un poema epico, anziché storico, in modo da poter spostare l'ottica dalle vicende contemporanee ai tempi remoti, facendo sì che la storia potesse essere proiettata sui tempi futuri, per darle la forza suggestiva di una profezia. Al mito viene, in questo modo, affidato il compito di esaltare l'ideologia del "ritorno alle origini" e di celebrare la dinastia di Augusto, attraverso quella del fondatore della stirpe, Enea. Inoltre, l'analisi di questo personaggio ci permette di individuare un'importante messaggio dell'opera, probabilmente legato al particolare periodo a cui essa risale: La Pax Romana6. L'eroe, in effetti, appare come un personaggio che, incarnando in sé ideali come la "pietà", il coraggio, la giustizia e la clemenza, mira alla pace e alla salvezza, ma è costretto a combattere e a seguire il suo destino che ha, per così dire, la "precedenza", e diviene un passaggio indispensabile per raggiungere quell'obiettivo: Pace e salvezza possono essere conquistate solo attraverso la lotta, con una dedizione totale al compito che la sorte ha assegnato ad ognuno. Questo messaggio ci appare facilmente quasi come una giustificazione che l'autore, in quanto romano, vuole dare all'Impero (e ad Augusto7), alle guerre che esso ha scatenato e al suo dominio, facendo apparire tutto questo come necessario per il raggiungimento della "Pax", ma soprattutto, come voluto da una forza superiore a quella umana, e perfino a quella degli dei: il Fato. Con tutti questi presupposti è facile immaginare come il poema virgiliano abbia assunto, nell'Impero romano, una grande importanza, sia per gli ideali che esso conteneva e cercava di trasmettere, sia come modello di arte classica e di poesia. Per questo l'Eneide entrò presto nel mondo della scuola e fu un importante mezzo per l'insegnamento della lingua latina, della grammatica e della poesia. Persino nel Medioevo, considerato come il massimo periodo di decadimento della cultura, il poema mantenne la sua grande importanza, in quanto per i temi trattati si pensò a Virgilio come a un precursore del cristianesimo (ne è esempio la Commedia, di Dante, in cui l'autore lo pone sullo stesso piano dei testi sacri). Questa situazione non è cambiata nei secoli successivi e, tuttora, si presenta come un testo molto conosciuto, di grande importanza sia dal punto di vista poetico, sia per l'insegnamento della lingua latina. Ai nostri giorni riconosciamo nell'Eneide un esempio di come la poesia riveli e scopra le contraddizioni della realtà, le fatiche e i dolori degli uomini, degli animali, delle cose inanimate, e li concilia grazie ad una armonia e ad una superiore comprensione. Questa avventura lunga e ricolma di pericoli e sofferenze, ci dà messaggi relativi al dolore della guerra, alla ricerca della pace, al dolore che gli uomini devono subire per raggiungere i loro scopi; valori validi allora come adesso.
OSSERVAZIONI E RIFLESSIONI
Dell'Eneide abbiamo letto, e quindi analizzato e commentato, solo tre libri: Il primo, in cui è narrato l'arrivo di Enea a Cartagine, il secondo, il cui l'eroe racconta le vicende della guerra di Troia, e il quarto, in cui si parla del breve periodo che i troiani trascorrono nella città di Didone tralasciando la loro missione.
I Libro:
Inizia con l'enunciazione dell'argomento dell'opera e l'invocazione della musa, a cui segue la narrazione dei fatti. In un primo momento viene spiegato il motivo dell'odio di Giunone nei confronti di Enea. Ciò è necessario in quanto la dea, che compare quasi immediatamente, grazie all'aiuto di Eolo, libera i venti sulla flotta troiana, salvata solo dall'intervento di Nettuno che placa le acque. L'eroe, rimasto con solo sette delle sue navi, è costretto ad approdare sulle coste della Libia, di cui parte all'esplorazione. Attraversando un bosco incontra la madre camuffata da cacciatrice, che dopo aver risposto alle sue domande, relative al luogo in cui si trovano, lo incita a recarsi nella città di Cartagine e lo rende invisibile per permettergli di arrivare illeso al cospetto della regina Didone. Qui Enea ritrova i compagni persi e ottiene l'ospitalità della regina, favorita anche dall'intervento di Venere che, chiedendo l'aiuto di Cupido, riesce a far innamorare la donna del figlio.
Durante un banchetto in onore degli ospiti la regina chiede ad Enea di narrare la sua storia ed egli accetta nonostante il dolore che questo gli provoca.
In questo primo libro appare già evidente il ruolo degli dei all'interno della storia: Venere e Giunone si contrastano coinvolgendo altri dei, sfruttando le loro capacità per i loro scopi. Possiamo però notare che, per quanto Giunone cerchi di opporsi ad Enea, essa non riesce a vincere il Fato, il cui volere può solo essere ritardato ma non cambiato.
Venere interviene per ben due volte cercando di assicurarsi l'incolumità del figlio attraverso azioni che mirano principalmente alla prevenzione di eventuali situazioni negative. Ella infatti non sa se Enea incontrerà dei nemici lungo il suo viaggio verso Cartagine o se sia necessario l'innamoramento di Didone per assicurare un ospitalità già promessa, ma si comporta in modo tale da apparire come una madre protettiva.
II Libro:
Qui la narrazione passa ad Enea che, dal suo punto di vista, racconta la notte dell'incendio di Troia e gli eventi che hanno portato ad essa. Dopo aver lungamente e inutilmente assediato la città, i Greci ricorrono all'inganno: fingendo sia un voto a Minerva per un ritorno propizio, costruiscono un enorme cavallo di legno in cui nascondono i loro più forti e valorosi guerrieri. Fatto ciò fingono di rinunciare all'impresa e partire, lasciando sulla spiaggia Sinone, a cui viene affidato il compito di convincere i troiani a trasportare il cavallo nella città. Con l'astuzia egli riesce a portare dalla sua parte i nemici che, però, vengono definitivamente convinti da un evento inaspettato: Laocoonte, sacerdote di Nettuno che si era opposto al trasporto del "dono" nella città, viene ucciso assieme ai suoi figli da due serpenti marini giganteschi.
Durante la notte Sinone fa uscire i guerrieri dal ventre cavo del cavallo e procede, assieme ad essi, all'incendio della città. A questo punto entra in scena Enea che, durante il sonno, vede apparire davanti a sé l'immagine di Ettore (la cui uccisione è narrata nell'Iliade), che gli rivela la crudele realtà e lo incita a fuggire. L'eroe però, anziché allontanarsi, si arma per tentare una disperata ultima difesa assieme ad alcuni compagni. Dopo aver ottenuto alcune vittorie e aver indossato le vesti greche è, però, costretto a ritirarsi sotto gli attacchi non solo dei greci, ma anche dei compagni che lo scambiano per un nemico. Direttosi alla reggia di Priamo assiste alla sua morte per mano di Pirro, figlio di Achille, e ripensando al padre Anchise, si dirige da lui per tentare di metterlo in salvo. Nel tragitto Enea scorge Elena e vorrebbe vendicarsi uccidendola ma, in quel momento, appare Venere che lo distoglie dal suo intento e gli mostra come tutti gli dei stiano contribuendo alla realizzazione di ciò che il Fato ha oramai deciso.
Giunto a casa l'eroe cerca di convincere il padre a seguirlo ma egli si rifiuta finché non appare sulla testa di Iulo un cerchio di fuoco che viene immediatamente interpretato come un segno favorevole degli dei. Allora Enea, con in spalle il padre, e seguito dal figlio Iulo e Creusa, si mette in viaggio ma, ben presto, si rende conto di aver perso la moglie e decide di tornare indietro a cercarla. Di lei però non trova altro che l'ombra, la quale cerca di convincerlo a dimenticarsi di lei, a partire per l'Italia dove fonderà una nuova città e dove troverà una nuova moglie. Enea ormai rassegnato si dirige al tempio di Cerere dove lo aspettavano i suoi compagni pronti alla fuga.
Questo libro contiene elementi molto importanti per l'interpretazione del testo. Qui, infatti, deve essere raccontata la fuga del protagonista che, essendo un antenato della stirpe romana, non può e non deve apparire come un codardo o un vile. Per risolvere questo problema Virgilio sfrutta alcuni elementi a suo favore: l'inganno, gli dei, il volere del fato.
L'inganno del cavallo, accompagnato da quello delle parole di Sinone, appare come un modo ignobile ed ingiusto per sfruttare l'ospitalità e la clemenza dei troiani, oltre che il loro desiderio di una pace ormai lungamente attesa. A questo si deve aggiungere l'intervento degli dei, a cui nessun uomo si sarebbe mai opposto, che incitano all'introduzione del cavallo in città con l'uccisione di Laocoonte e spingono Enea a fuggire mostrandogli come tutti loro agiscano per la distruzione di Troia che, evidentemente non può essere in alcun modo impedita. In ultimo, il Fato, che agisce persino al di sopra del volere divino, fa capire come questa situazione non possa e non debba essere cambiata, ma solo assecondata.
Un altro problema riguardante la fuga dell'eroe consisteva nel fatto che egli doveva essere in grado di fuggire e allo stesso tempo doveva trovarsi di fronte all'impossibilità di salvare la città. A questo scopo l'autore attua una variazione nella tradizione secondo la quale l'incendio avveniva dopo il saccheggio, anticipando il primo. Così facendo crea una situazione particolare, in cui la fuga appare più giustificata e, perfino, conseguenza logica di ciò che sta avvenendo.
Il racconto di Enea relativo alla sua fuga dalla città distrutta ottiene un effetto prevedibile sui Cartaginesi. Di essi infatti sappiamo che hanno fondato la loro città dopo essere stati costretti a fuggire dalla loro patria in seguito alla morte di Sicheo, marito di Didone, per mano del fratello di questa. Ad organizzare la fuga e a portare via le cose di valore e a guidare gli uomini è stata proprio la regina che ci appare, quindi, come una "Enea" femminile. E' evidente, in seguito a queste considerazioni, che la storia raccontata dall'eroe deve aver colpito Didone e i cartaginesi, che non hanno difficoltà a comprendere la sua situazione e sono, quindi, portati a dar loro asilo, per solidarietà.
Libro IV:
Didone, ormai presa dall'amore per l'eroe troiano, dopo una notte trascorsa nell'inquietudine, parla con la sorella Anna a cui confida i suoi pensieri e il suo desiderio di non tradire la fedeltà giurata al marito morto. Ella comprende i suoi sentimenti e la invita a non combattere contro di essi ma ad assecondarli e a seguire il suo cuore. Giunone intanto, accortasi che Didone è innamorata, comprende l'intento di Venere e pensa di volgere a proprio favore la situazione: cede alle nozze fra Didone ed Enea pensando così di tener lontani dall'Italia, i Troiani. Venere accetta e le due dee si accordano su un piano che favorisca le nozze. Durante una battuta di caccia scoppia una tempesta e la regina e l'eroe troiano si trovano nella stessa grotta. In seguito a ciò vengono celebrate le nozze e la Fama ne divulga la notizia a Iarba, pretendente di Didone, che chiede subito a Giove di vendicare l'offesa subita. Udendo questo Giove invia Mercurio con il compito di ricordare ad Enea la sua missione ed esortarlo a lasciare al più presto l'Africa per dirigersi in Italia. L'eroe troiano fa preparare la flotta e quando Didone si rende conto di ciò che sta accadendo, cerca in tutti i modi di trattenerlo, ma invano. Al momento della partenza dell'amato ella si uccide con la sua spada lanciando una maledizione secondo la quale tra i cartaginesi e i discendenti troiani vi dovrà essere odio eterno. Giunone ha pietà di lei e, strappandole il capello fatale, ne accelera la morte, che giunge immediata.
In questo libro viene nuovamente affermato il volere del Fato sopra ogni altra cosa. Infatti, Enea è costretto a rinunciare anche all'amore appena trovato per seguire il suo destino, e Venere che era al corrente di questo fatto, lo può sfruttare a suo favore ottenendo una pace momentanea con Giunone.
In questo episodio compare una "profezia": La maledizione di Didone appare come la causa e la giustificazione dei rapporti che hanno legato Roma e Cartagine, coinvolte in una lunga e aspra guerra da cui uscì vincitrice la città Italiana. Questa tecnica narrativa, che ritroviamo, ripresa e ampiamente sfruttata da Dante nella Commedia, permette alla storia di acquisire una particolare credibilità e di diventare, in questo modo, un testo dall'aspetto magico e profetico.
1 Venere: Dea della bellezza e della natura primaverile, madre di Enea. Durante il corso delle peregrinazioni del figlio, interviene ripetutamente in suo soccorso. Ne sono esempi la nube che ella crea intorno all'eroe per proteggerlo da eventuali nemici nelle vicinanze di Cartagine o la sua apparizione a scopo di informatrice e consigliera nella notte della fuga da Troia in fiamme.
2 Giunone: Regina degli dei e moglie di Giove. E' avversa all'eroe troiano in quanto a conoscenza del fatto che il futuro impero romano, di cui egli permetterà la creazione, distruggerà Cartagine, città sotto la protezione della dea.
3 Odissea: Secondo poema omerico. Narra l'avventuroso ritorno di Ulisse a Itaca, dopo la distruzione di Troia e le vicende legate alla riconquista del potere passato, in assenza del re, ai proci.
4 Iliade: Primo poema omerico. Tratta l'ultimo periodo della decennale guerra di Troia in 24 canti. Si incentra principalmente sulla figura di Achille che, acceso dalla rabbia per l'uccisone dell'amico Patroclo, si vendica uccidendo e straziando Ettore, figlio di Priamo, re della città assediata.
5 Argonautiche: Titolo di due poemi, uno greco di Apollonio Rodio, l'altro latino, in cui sono narrate le vicende degli eroi geci che, con Giasone, mossero sulla nave Argo alla conquista del Vello d'oro nella Colchide.
6 Pax Romana: La pace che Roma impose e mantenne a lungo sui popoli dell'Europa.
7 Augusto (Gaio Ottavio): Primo imperatore romano. Salito al potere riorganizzò l'impero accentrando in sé numerose cariche principali e dividendo il territorio in province senatorie e imperiali. Protesse poeti ed artisti.

Esempio



  


  1. marta

    Metrica e analisi dell'eneide : duello fra turno ed enea..

  2. carmen

    l'ombra di ettore dal verso 4