De Bellum Gallico e De Bellum Civili

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Testo

LIBER PRIMUS
Primo anno della guerra gallica: 58 a.C.

1.I. Divisione della Gallia e suoi popoli: Belgi, Aquilani, Celti..
La Gallia complessiva è divisa in tre parti, di cui una l'abitano i Belgi, l'altra gli Aquilani, la terza quelli che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutti questi differiscono tra loro per lingua, istituzioni, leggi.Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquilani, la Marna e la Senna dai Belgi.Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il fatto che distano moltissimo dalla cultura e dalla civiltà della provincia e per nulla vanno da loro i commercianti e non importano quelle cose, che servono per effeminare gli animi e sono vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno, coi quali continuamente fanno guerra.Per tale motivo pure gli Elvezi superano in valore gli altri Galli, perché con battaglie quasi quotidiane si scontrano coi Germani, quando o li respingono dai loro territori o loro stessi fanno guerra nei loro territori.Una parte di essi, quella che si disse che i Galli occupano, prende inizio dal fiume Rodano, tocca anche il fiume Reno dalla parte dei Sequani e degli Elvezi, si volge a settentrione.I Belgi cominciano dagli estremi territori dellA Gallia, si estendono alla parte inferiore del fiume Reno, si volgono a settentrione e ad oriente .L'Aquitania si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei ed a quella parte dell'Oceano, che è presso la Spagna, si volge tra il tramonto del sole e settentrione.
1.II.Lega tra Elvezi ed Orgetorige per la supremazia della Gallia.
Tra gli Elvezi di gran lunga il più famoso ed il più ricco fu Orhgetorige. Egli, sotto il consolato di M. Messala e M. Pisone, spinto dalla voglia di potere fece una lega della nobiltà e persuase la popolazione, che uscissero dai loro territori con tutte le truppe: esser facile, superando tutti in valore, impadronirsi del comando di tutta la Gallia.Su ciò li persuase più facilmente in questo, perché ovunque gli Elvezi sono delimitati dalla natura del posto: da una parte dal Reno, fiume larghissimo e profondissimo, che divide il terreno elvetico dai Germani, dall'altra parte dal Giura, monte altissimo, che è tra i Sequani e gli Elvezi, dalla terza (parte) dal lago Lemanno e dal fiume Rodano, che divide la nostra provincia dagli Elvezi.Per queste cose accadeva che vagassero di meno intorno e meno facilmente potessero portar guerra ai confinanti; e da questa causa uomini voglioso di combattere erano colpiti da grande dolore. Inoltre a confronto della quantità di uomini e della gloria di guerra e di potenza credevano di avere territori piccoli, che si estendevano 240 mila passi in lunghezza e 180 in larghezza.

1.III.Piano di Orgetorige per la supremazia della Gallia.
Spinti da queste cose e scossi dal prestigio di Orgetorige stabilirono di preparare quelle cose che servissero per partire, di comprare il maggior numero possibile di carri e di giumenti, di fare le maggiori seminagioni possibili, perché la scorta di cereali bastasse durante la marcia, di rafforzare la pace e l'amicizia con le popolazioni vicine.Per completare quelle cose ritennero esser loro sufficiente un biennio, stabiliscono per legge la partenza per il terzo anno.Per completare quelle cose è scelto Orgetorige. Egli si assume l'ambasceria per le popolazioni. In quel viaggio persuade Castico, seguano, figlio di Catamantalede, il cui padre aveva tenuto il potere per molti anni tra i Sequani e dal senato era stato chiamato amico del popolo romano, di prendere nella sua nazione il potere, che prima aveva avuto il padre; così pure persuade l'eduo Dumnorige, fratello di Diviziaco, che in quel tempo deteneva il primato nella nazione ed era particolarmente gradito al popolo, perché faccia lo stesso e gli dà sua figlia in matrimonio.Assicura loro esser facilissimo da farsi realizzare gli sforzi, per il fatto che egli stava per ottenere il potere della sua nazione: non esserci (quindi) dubbio, che gli Elvezi potevano il massimo di tutta la Gallia; rassicura che lui con le sue truppe ed il suo esercito avrebbe loro agevolato il potere.Spinti da questo discorso si scambiano tra loro garanzia e giuramento e sperano, occupato il potere, di poter impadronirsi del comando di tutta la Gallia per mezzo di tre potentissimi e sicurissimi popoli.

1.IV. Improvvisa morte.di Orgetorige
Tale cosa fu rivelata agli Elvezi con una denuncia. Secondo le loro tradizioni costrinsero Orgetorige a difendersi in tribunale in catene; bisognava che (se) condannato scontasse la pena di essere bruciato col fuoco. Il giorno stabilito della difesa in tribunale Orgetorige da ogni parte raccolse per il processo tutta la sua tribù, circa diecimila persone, e condusse là tutti i clienti ed i suoi debitori, di cui aveva un gran numero; per mezzo di essi si sottrasse per non affrontare il processo. Poiché la nazione colpita da quella situazione tentava di eseguire la propria legge ed i magistrati raccoglievano dalle campagne una moltitudine di persone, Orgetorige morì; e non manca il sospetto, come pensano gli Elvezi, che egli si sia dato la morte.
1.V. Preparazione degli Elvezi alla partenza.
Dopo la sua morte, non di meno, gli Elvezi tentano quello che avevano stabilito di fare per uscire dai loro territori. Quando essi ritennero di essere già pronti per quella impresa, incendiano tutte le loro città, circa dodici, i villaggi, circa cinquecento, i restanti edifici privati, bruciano tutto il frumento, eccetto quello che avevano intenzione di portare con sé, perché, tolta la speranza del ritorno in patria, fossero più pronti ad affrontare tutti i pericoli; comandano che ciascuno porti da casa per sé cibarie macinate per tre mesi. Persuadono i Rauraci, i Tulingi ed i Latobrigi, confinanti, che utilizzando lo stesso piano, bruciate le loro città e villaggi, partano insieme con loro e si associano i Boi, che avevano abitato oltre il Reno ed erano passati nel territorio norico e assediavano la Noria, dopo averli uniti a loro.

1.VI. Le difficoltà dell'itinerario per la partenza degli Elvezi.
C'erano in tutto due itinerari, per i quali itinerari potessero uscire dalla patria: uno attraverso i Sequani, stretto e difficile, tra il monte Giura ed il fiume Rodano, dove a stento singoli carri passavano, inoltre sovrastava un monte altissimo, tanto che facilmente in pochissimi potevano bloccare; l'altro attraverso la nostra provincia, molto più facile e spedito, per il fatto che tra i territori degli Elvezi e degli Allobrogi, che da poco erano stati pacificati, scorre il Rodano ed esso in alcuni luoghi si passa a guado. Ginevra è l'ultima città degli Allobrogi e vicinissima ai territori degli Elvezi. Da quella città un ponte arriva agli Elvezi. Pensavano che avrebbero o persuaso gli Allobrogi, che non sembravano ancora di buon animo verso il popolo romano, o li avrebbero costretti con la forza perché permettessero che essi passassero per i loro territori. Fatti tutti i preparativi per la partenza, stabiliscono il giorno, nella quale giornata tutti si raccolgano sul Rodano.Quel giorno era il 28 marzo, sotto il consolato di L. Pisone ed A. Gabinio.

1.VII. L'arrivo di Cesare contro gli Elvezi che attraversano la provincia.
Essendo stato annunciato questo a Cesare, che essi tentavano di fare una marcia attraverso la nostra provincia, si affretta a partire dalla città (di Roma) ed a marce quanto più possibili, forzate, si dirige verso la Gallia transalpina e giunge a Ginevra. A tutta la provincia ordina il maggior numero possibile di soldati - nella Gallia transalpina c'era in tutto una sola legione -; comanda che il ponte che c'era presso Ginevra fosse tagliato. Quando gli Elvezi furono informati del suo arrivo, gli mandano come ambasciatori i più nobili della nazione, Nammeio e Veruclezio tenevano il ruolo principale di quella ambasceria, perché dicessero che loro avevano in animo di fare una marcia attraverso la provincia senza nessun danno, per il fatto che non avevano nessuna altra strada; chiedevano che col suo permesso fosse lecito fare questo. Cesare, poiché ricordava che il console L. Cassio era stato ucciso ed il suo esercito sconfitto dagli Elvezi e mandato sotto il giogo, non riteneva si dovesse concedere; neppure giudicava che uomini di animo ostile, concesso il permesso di fare una marcia attraverso la provincia, si sarebbero astenuti dall'oltraggio e dal danno. Tuttavia, perché potesse frapporsi un intervallo, fin che i soldati che aveva ordinato si riunissero, rispose agli ambasciatori che avrebbe preso il tempo per decidere; se volessero qualcosa, ritornassero il 13 aprile.

1.VIII. Fortificazione fatta da Cesare per cacciare gli Elvezi..
Intanto con quella legione, che aveva con sé, e coi soldati che si eran radunati dalla provincia, traccia una muraglia ed un fossato di diciannove mila passi e di sedici piedi di altezza, dal lago Lemanno, che sfocia nel Rodano, al monte Giura, che divide i territori dei Sequani dagli Elvezi. Conclusa quell'opera, dispone guarnigioni, fortifica torri perché potesse bloccare più facilmente se tentassero di passare, (essendo) lui contrario. Quando quella giornata, che aveva stabilito con gli ambasciatori, giunse e gli ambasciatori ritornarono da lui, dice che lui, secondo la tradizione e l'esempio del popolo romano, non può concedere ad alcuno il passaggio attraverso la provincia e qualora tentassero la forza, dichiara che l'avrebbe proibito. Gli Elvezi delusi da quella speranza, unite delle navi e fatte parecchie zattere, alcuni per i guadi del Rodano, dove la profondità del fiume era minima, talvolta di giorno, più spesso di notte tentando se potessero forzare, respinti dalla fortificazione dell'opera e dall'accorrere e dalle armi dei soldati desistettero da tale tentativo.
1.IX. De Helvetiorum legatione ad Haeduos, deprecatore Dumnorige Haeduo.
Era rimasta una sola via attraverso i Sequani, attraverso cui non potevano andare per le strettoie, (essendo) contrari e Sequani. Non potendo persuadere costoro spontaneamente, mandano ambasciatori all'eduo Dumnorige, perché, ( essendo) lui intercessore, l'ottenessero dai Sequani. Dumnorige presso i Sequani poteva moltissimo per il favore e la liberalità ed era amico degli Elvezi, perché da quella popolazione aveva condotto in matrimonio la figlia di Orgetorige e spinto dalla voglia di potere cercava nuovi cambiamenti e voleva avere obbligate alla sua riconoscenza il maggior numero possibile di nazioni. Pertanto prende l'iniziativa e chiede ai Sequani che permettano che gli Elvezi passino dai loro territori e fa sì che si scambino ostaggi: i Sequani perché non blocchino gli Elvezi nella marcia, gli Elvezi, perché passino senza danno ed oltraggio
1.X.Partenza di cesare per l'Italia per arruolare legioni.
A Cesare viene annunciato che gli Elevzi hanno in animo di fare la marcia per il terreno dei Sequani e degli Edui verso i territori dei Santoni, che non distano molto dai territori dei Tolosati, e questa popolazione è nella provincia. Se accadesse ciò, capiva che sarebbe capitato con grande rischio della provincia, che avessero come confinanti uomini bellicosi, avversari del popolo romano, in zone aperte e soprattutto cerealicole. Per tali motivi mette a capo di quella fortificazione, che aveva fatto, il legato T. Labieno; egli si dirige a marce forzate in Italia ed arruola lì due legioni e (ne) richiama dagli accampamenti invernali tre, che svernavano attorno ad Aquileia e, per dove la marcia verso la Gallia transalpina era più vicina attraverso le Alpi, decide di andare con queste cinque legioni.Qui i Neutroni, i Graioceli ed i Caturigi, occupati i luoghi superiori, tentano di bloccare l'esercito durante la marcia.Sconfitti costoro con parecchi combattimenti, da Ocelo, che è l'estremità della provincia cisalpina, giunge nei territori dei Voconzi della provincia transalpina al settimo giorno; di lì nei territori degli Allobrogi, dagli Allobrogi guida l'esercito tra i Segusiavi.Questi sono i primi fuori della provincia al di là del Rodano.

1.XI. L'ambasceria degli Edui per chiedere l'aiuto di Cesare.
Gli Elvezi avevan già fatto passare le loro truppe attraverso le gole ed i territori dei Sequani ed erano giunti nei territori degli Edui e devastavano i loro campi.Gli Edui non potendo difendere se stessi ed i loro beni, mandano ambasciatori da Cesare per chiedere aiuto:essi in ogni tempo avevano così meritato riguardo al popolo romano che i campi non avrebbero dovuto essere devastati quasi al cospetto del nostro esercito, i loro figli essere condotti in schiavitù, le città espugnate.Nello stesso tempo gli Ambarri, parenti e consanguinei degli Edui, informano Cesare che loro, devastati i campi, non facilmente bloccavano la violenza dei nemici dalla città. Ugualmente gli Allobrogi che avevano villaggi e possedimenti oltre il Rodano, in fuga si rifugiano da Cesare e dichiarano che essi non avevano nulla di rimanente al di fuori del suolo del terreno. Spinto da tali fatti Cesare decise di non dover aspettare, fin che, rovinate tutte le ricchezze degli alleati, gli Elvezi giungessero tra i Santoni.

1.XII. Strage inflitta da Cesare presso il cantone Tigurino.
L'Arar è un fiume, che confluisce nel Rodano attraverso il territorio degli Edui e dei Sequani, con incredibile lentezza, così che con gli occhi non si possa giudicare in quale parte scorra.Gli Elvezi, congiunte barchette e zattere, lo attraversavano. Quando attraverso gli esploratori Cesare fu informato che ormai per tre parti gli Elvezi avevan attraversato il fiume, ma che una quarta parte era rimasta al di qua del fiume Arar, alla terza veglia, partito con tre legioni dall'accampamento, giunse da quella parte che non aveva ancora passato il fiume. Aggreditili (mentre erano) impediti e non se l'aspettavano abbattè gran parte di essi; i restanti si diedero alla fuga e si nascosero nelle selve vicine.Quel cantone si chiamava Figurino; infatti ogni popolazione elvetica è divisa in quattro parti o cantoni. Questo cantone da solo, essendo uscito dalla patria, al tempo dei nostri antenati, aveva ucciso il console L. Cassio e mandato il suo esercito sotto il giogo.Così sia per caso sia per provvidenza degli dei immortali, quella parte della popolazione elvetica che aveva inflitto una famosa sconfitta al popolo romano, quella per prima pagò il fio.In quel caso Cesare non solo vendicò le offese pubbliche, ma anche le private, perché i Figurini nella stessa battaglia con cui avevano ucciso Cassio, ( avevano ucciso) anche il legato L. Pisone, avo di suo suocero l: Pisone.

1.XIII. Ambasceria di Divisone, capo degli Elvezi.
Fatta questa battaglia, per poter inseguire le restanti truppe degli Elvezi, fa costruire un ponte sull'Arar e così fa passare l'esercito.Gli Elvezi, colpito dal suo arrivo improvviso, comprendendo che ciò che essi avevavo fatto molto faticosamente in 20 giorni, per passare il fiume, lui l'aveva fatto in un giorno solo, gli mandano ambasciatori.Di tale ambasceria fu capo Divisone, che nella guerra Cassiana era stato comandante degli Elvezi.Egli così trattò con Cesare:se il popolo romano facesse pace con gli Elvezi, gli Elvezi sarebbero andati e lì si sarebbero stanziati, in quella parte dove Cesare avesse deciso e avesse voluto che fossero; se invece perseverasse nella guerra, si ricordasse del vecchio inconveniente del popolo romano e dell'antico valore degli Elvezi.Che all'improvviso avesse assalito un cantone unico, mentre quelli che avevano attraversato il fiume, non potevano portare il loro aiuto, non lo attribuisse troppo per tale motivo al suo valore o li disprezzasse. Loro così avevano imparato dai loro antenati, di misurarsi più col coraggio che con l'inganno o appoggiarsi alle trappole.Perciò non permettesse che quel luogo dove si eran fermati non prendesse il nome dalla sconfitta del popolo romano e dalla disfatta dell'esercito e ne tramandasse il ricordo.
1.XIV.La risposta di Cesare a Divicone.
A queste (parole) Cesare così rispose:per questo gli era dato minor dubbio, perché quei fatti, che gli ambasciatori elvetici avevan ricordato, li sapeva a memoria e tanto più dolorosamente li tollerava, quanto meno erano accaduti per colpa del popolo romano. Se egli fosse stato cosciente di qualche oltraggio, non sarebbe stato difficile guardarsene; ma era srtato sorpreso in questo, che capiva che da parte sua non era stato commesso nulla di cui temere, e non credeva si dovesse aver paura senza motivo. Che se volesse dimenticarsi dell'antica offesa, forse poteva togliere il ricordo anche dei recenti oltraggi, che, (pur essendo ) lui contrario avevano tentato il passaggio attraverso la provincia con la violenza, che avevano danneggiato gli Edui, che (avevano danneggiato) gli Ambarri, che (avevano danneggiato) gli Allobrogi? Che si gloriassero tanto insolentemente della loro vittoria e che si stupivano che lui tanto a lungo avesse sopportato gli oltraggi, arrivava allo stesso punto.Infatti gli dei immortali erano soliti, perchè più dolorosamente gli uomini si addolorino dei cambiamenti delle cose, che talvolta concedano situazioni più fortunate ed una più lunga impunità a coloro che vogliono vendicare per il loro misfatto. Stando così le cose, tuttavia se da parte loro gli vengano dati ostaggi, tanto da capire che essi faranno quanto promettono, e se diano soddisfazione agli Edui per le offese che hanno recato loro ed agli alleati, e se ugualmente (diano soddisfazione) agli Allobrogi, lui avrebbe fatto la pace con loro.Divicone rispose: che gli Elvezi sono stati educati dai loro antenati tanto da esser abituati a ricevere ostaggi, non a darli; di tale tradizione il popolo romano era testimone.Data questa risposta se ne andò.

1.XV.Partenza di Divisone e scontro con la cavalleria di Cesare.
Il giorno dopo tolgono l'accampamento da quel luogo.Lo stesso fa Cesare e manda avanti tutta la cavalleria, in numero circa di quattro mila, che aveva raccolto da tutta la provincia, dagli Edui e dai loro soci, per vedere in quali direzioni i nemici facciano la marcia. Essi avendo inseguito troppo ardentemente la retroguardia su postazione estranea attaccano battaglia con la cavalleria degli Elvezi, e pochi tra i nostri cadono.Inorgogliti da quello scontro, gli Elvezi, poichè con cinquecento cavalieri avevano ricacciano una così grande moltitudine di cavalieri, talvolta cominciarono fermarsi più audacemente e con la retroguardia a provocare i nostri allo scontro.Cesare tratteneva i suo dallo scontro e considerava sufficiente impedire al momento i nemici da rapine e saccheggi.Per circa quindici giorni fecero la marcia così, che tra la retroguardia dei nemici e la nostra avanguardia non intercorresse più di cinque o sei mila passi.

1.XVI. Lamentela di Cesare contro gli Edui per i cereali.
Intanto cesare quotidianamente richiedeva agli Edui il frumento che essi pubblicamente avevano promesso.Difatti per i freddi - poiché la Gallia, come prima è stato detto, è situata a settentrione - non solo i cereali nei campi non erano maturi, ma neppure bastava a sufficienza la grande quantità di foraggio.Inoltre di quel frumento, che aveva trasportato con navi sul fiume Arar, poteva servirsi di meno per il fatto che gli Elvezi avevano sviato la marcia rispetto all'Arar, ma da essi non voleva allontanarsi. Gli Edui rimandavano di giorno in giorno: dicevano che si raccoglieva, si trasportava, arrivava.Quando capì che si tirava troppo per le lunghe ed era imminente il giorno, giorno in cui bisognava distribuire il frumento ai soldati, convocati i loro capi, e nell'accampamento ne aveva gran quantità, tra questi Diviziaco e Lisco, che presiedeva la massima carica, e che gli Edui chiamano vergobreto, e che viene nominato annualmente ed ha potere sui suoi di vita e di morte, li accusa pesantemente perché, non potendosi né comprare né prendere dai campi, in un momento così urgente, (essendo) i nemici così vicini non veniva aiutato da loro, soprattutto avendo intrapreso la guerra spinto per gran parte dalle loro preghiere. Si lamenta ancor più fortemente perché è stato ingannato.

1.XVII.Le scuse di Lisco, magistrato degli Edui.
Allora finalmente Lisco, spinto dal discorso di Cesare, presenta quello che prima aveva taciuto:che ci sono alcuni il cui prestigio presso il popolo vale moltissimo, che privatamente possono più che gli stessi magistrati. Costoro con discorso fazioso e malvagio terrorizzano la folla, che non portino il frumento, che devono: che è meglio, se ormai non possono ottenere il primato della Gallia, tollerare il comando dei Galli che dei Romani; che non devono dubitare che se vincessero gli Elvezi, i Romani avrebbero tolto la libertà agli Edui insieme con la restante Gallia.Dagli stessi erano denunciati ai nemici tutti quei nostri piani che si decidono nell'accampamento; costoro non possono essere bloccati da loro. Anzi perché costretto a dichiarare una cosa importante a Cesare, lui capiva con quanto rischio lo aveva fatto e per tale motivo aveva taciuto fin che aveva potuto.
1.XVIII.Potenza e piani di Dumnorige contro i Romani.
Cesare con questo discorso di Lisco capiva che si designava Dumnorige, fratello di Diviziaco, ma perché non voleva che quelle cose si offrissero a troppi presenti, velocemente congeda l'assemblea, trattiene Lisco.Chiede a lui solo quello che aveva detto nella riunione.Parla piuttosto liberamente ed audacemente.Le stesse cose le chiede agli altri segretamente; trova che son vere: che era proprio Dumnorige, di audacia estrema, col grande favore presso la plebe per la liberalità, voglioso di fatti nuovi.Per parecchi anni egli aveva appaltato a poco prezzo le dogane e tutte le altre tasse degli Edui, per il fatto che, quando lui faceva l'asta, nessuno osava fare una offerta contro. Con questi metodi da una parte aveva aumentato il proprio patrimonio famigliare e dall'altra aveva accumulato grandi disponibilità per fare elargizioni; manteneva un gran numero di cavalleria sempre a sua spesa e la teneva attorno a sé; e non solo in patria, ma anche presso le popolazioni vicine poteva influentemente ed a causa di questa potenza aveva collocato la madre tra i Bituirgi per un personaggio lì mobilissimo e potentissimo, lui stesso aveva una moglie dagli Elvezi, aveva collocato la sorella da parte di madre e le sue parenti per sposarle in altre popolazioni.Favoriva ed assecondava gli Elvezi a causa di quella parentela, odiava pure Cesare ed i Romani per un suo motivo, perché col loro arrivo la sua potenza era diminuita ed il fratello Diviziaco era stato restituito nell'antico ruolo di favore e di onore.Se accadesse qualcosa ai Romani, correva nella grande speranza di ottenere il potere per mezzo degli Elvezi; per la supremazia del popolo romano non solo disperava per il potere, ma anche del favore che aveva. Nell'indagare Cesare scopriva anche che, per quello scontro equestre sfortunato che era accaduto pochi giorni prima, l'inizio della fuga era stato fatto da Dumnorige e dai suoi cavalieri - infatti Dumnorige era a capo della cavalleria, che gli Edui avevano mandato in aiuto a Cesare -; con la loro fuga il rimanente dei cavalieri era stato terrorizzato.
1.XIX. Colloquio segreto di Cesare con Diviziaco contro Dumnorige.
Conosciuti questi fatti, poiché a questi sospetti si aggiungevano fatti sicurissimi, (cioè) che aveva fatto passare gli Elvezi per i territori dei Sequani, che aveva provveduto a scambiarsi tra loro gli ostaggi, che tutte quelle cose non solo le aveva fatte senza il suo ( di Cesare) ordine e della nazione, a anche mentre loro non lo sapevano, riteneva esserci sufficiente motivo perché o in persona (Cesare) prendesse provvedimenti contro di lui oppure ordinasse alla nazione di prenderne.A tutte queste cose una sola si opponeva, il fatto che aveva conosciuto la somma devozione del fratello Diviziaco verso il popolo romano, il sommo affetto verso di lui, la lealtà straordinaria, la giustizia, la moderazione; infatti temeva che colla sua condanna offendesse l'animo di Diviziaco.Così prima di tentar qualsiasi cosa, comanda che gli sia chiamato Diviziaco ed allontanati gli interpreti quotidiani parla con lui tramite C. Valerio Troucillo, capo della provincia della Gallia, suo amico, in cui aveva la massima fiducia di tutte le cose; contemporaneamente lo informa di quelle cose che eran state dette su Dumnorige nel'assemblea dei Galli, lui presente e rivela quelle cose che separatamente ognuno davanti a lui (Cesare) aveva detto sul suo conto.Chiede ed esorta senza offesa del suo animo o in persona decida su di lui, fatto un processo, oppure ordini che la nazione decida.

1.XX.La scongiura di Diviziaco in lacrime davanti a Cesare.
Diviziaco con molte lacrime abbracciando Cesare cominciò a scongiurare di non decidere nulla di troppo doloroso contro il fratello: che sapeva che quelle cose eran vere, che nessuno riceveva più dolore di lui da quel fatto, per il fatto che, mentre egli in patria e nella restante Gallia poteva moltissimo per il favore, quello (Dumnorige) pochissimo per la giovinezza, era cresciuto grazie a lui, servendosi di quelle ricchezze e mezzi non solo per diminuire il prestigio, ma quasi per la sua rovina.Lui però era scosso e per l'amore fraterno e per la stima del volgo. Che se gli fosse accaduto qualcosa di troppo doloroso da parte di Cesare, mentre lui teneva quel ruolo di amicizia presso Cesare, nessuno avrebbe creduto non esser capitato per sua volontà. Perciò sarebbe accaduto che gli animi di tutta la Gallia si sarebbero allontanati da lui. Chiedendo queste cose a Cesare piangendo, con molte parole, Cesare prende la sua destra; consolandolo prega di porre fine al pregare; dimostra che presso di sé il suo favore vale tanto che condona l'offesa allo stato ed il suo dolore al suo affetto e preghiere.Chiama a sé Dumnorige, si vale del fratello; dichiara quello che rimprovera in lui; espone quello che lui sa, quello che la nazione lamenta; ammonisce di evitare per il tempo restante tutti i sospetti; dice che perdona le cose passate grazie al fratello Diviziaco.Dispone sorveglianti per Dumnorige per poter sapere cosa faccia e con chi parli.

1.XXI.Piano di Cesare per occupare il monte.
Nello stesso giorno informato dagli esploratori che i nemici si erano appostati sotto il monte ad ottomila passi dal suo accampamento, inviò ad esaminare quale fosse la conformazione del monte e quale attorno la via (per salire. Si riferì che (la alita) era facile.Alla terza veglia ordina che il legato T. Labieno pro pretore salisse sulla sommità del monte con due legioni e con quei capi che avevano ispezionato il passaggio; chiarisce quale sia il suo piano.In persona alla quarta veglia per lo stesso passaggio, attraverso cui eran transitati i nemici, si dirige verso di loro e manda davanti a sé tutta la cavalleria.P. Conidio, che era considerato espertissimo di tecnica militare ed era stato nell'esercito di L. Silla e poi (in quello) di M. Crass, viene mandato avanti con gli esploratori

1.XXII.Il timore di Considio ed il suo sbaglio.
Alla aprima luce (dell'alba), essendo in monte occupato da Labieno, lui in persona distando dall'accampamento dei nemici non più di mille e cinquecento passi, come poi viene a sapere dai prigionieri, o perché il suo arrivo o ( quello) di Conidio era stato scoperto, Conidio, lanciato il cavallo, corre da lui, dice che il monte che avrebbe voluto fosse occupato da Labieno, era tenuto dai nemici: aveva saputo ciò dalle armi galliche e dalle insegne.Cesare porta le sue truppe sul colle vicino, dispone lo schieramento.Labieno, come gli era stato ordinato da Cesare di non attaccare battaglia se non fossero state viste le sue truppe vicino all'accampamento dei nemici, perché da ogni parte in un solo istante si facesse l'attacco, occupato il monte, aspettava e si tratteneva dal combattimento.Infine a giorno inoltrato attraverso gli esploratori Cesare seppe e che il monte era tenuto dai suoi e che gli Elvezi avevano levato l'accampamento e che Conidio terrorizzato dalla paura, quel che non aveva visto, glielo aveva annunciato per visto. In quel giorno con l'intervallo che era solito, segue i nemici e pone l'accampamento a tremila passi dal loro accampamento.

1.XXIII.Cambiamento di strategia degli Elvezi ed assalto contro i Romani.
Il giorno seguente a quello, perché in tutto restavano due giorni, dovendo distribuire il frumento all'esercito e perché da Bibratte, città degli Edui di gran lunga la maggiore e la più ricca, non distava più di 18 mila passi, pensando si dovesse pensare all'approvvigionamento devia la marcia rispetto agli Elvezi e vuole arrivare a Bibratte.Quel fatto viene comunicato ai nemici per mezzo dei disertori di L. Emilio, decurione dei cavalieri dei Galli.Gli Elvezi o perché pensassero che i Roamani terrorizzati dalla paura si scostavano da loro, ancor più perché il giorno prima, (pur) occupate le postazioni superiori non avevano attaccato battaglia, sia perché confidavano che si potesse bloccare il vettovagliamento, cambiata strategia e fatto dietro front, cominciarono ad inseguire i nostri ed a provocarli dalla retroguardia

1.XXIV. Preparazione dello scontro tra Elvezi e Romani.
Dopo che si accorse di ciò, Cesare conduce le sue truppe sul colle vicino e mandò la cavalleria, che sostenesse l'attacco dei nemici.Lui stesso intanto a metà del colle allestì una triplice schiera delle quattro legioni veterane; ordinò che sulla sommità del giogo si schierassero le due legioni, che recentemente aveva arruolato nella Gallia cisalpina, e tutte le truppe ausiliarie, così da riempire sopra di sé tutto il monte di uomini, (ordinò) che intanto si riunissero i bagagli in un solo posto e che quello fosse controllato da quelli che si eran scierati nella formazione più alta.Gli elvezi seguendo con tutti i loro carri portarono le salmerie in un solo posto; essi con una schiera serratisssima, respinta la nostra cavalleria, fatta una falange, si avvicinarono alla nostra prima schiera.
1.XXV. Una battaglia incerta.
Cesare prima allontanato il suo, poi allontanati dalla vista i cavalli di tutti, perché, eguagliato il rischio, togliesse la speranza di fuga, esortati i suoi, attaccò battaglia.I soldati scagliati i giavellotti dalla postazione più alta facilmente sbaragliarono la falange dei nemici.Spezzata quella, con le spade sguainate mossero loro l'attacco.I Galli avevano di grande impedimento per la battaglia, il fatto che essendo stati trafitti parecchi loro scudi dall'unico colpo dei giavellotti e legati insieme, e non potevano né strrapparli, né combattere abbastanza agevolmente con la sinistra bloccata, sicchè molti, scosso a lungo il braccio, preferivano lasciar cadere dalla mano gli scudi e compare a corpo scoperto. Finalmente spossati dalle ferite cominciarono sia a ritirare il piede sia, poiché il monte era distante circa mille passi, a ritirarsi là. Preso il monte e incalzando i nostri, i Boi ed i Tulingi, che con circa 25 mila uomini chiudevano la schiera dei nemici ed erano di protezione alla retroguardia, aggredendo i nostri dalla marcia sul fianco aperto li attorniavano e vedendo ciò gli Elvezi, che si erano rifugiati sul monte, di nuovo cominciarono ad incalzare e riprendere il combattimento.I Romani su due fronti portarono contro le insegne: la prima e la seconda fila per resistere ai vinti ed agli sbandati, la terza per affrontare quelli che arrivavano.
1.XXVI.Scontro spietato fino a notte inoltrata.
Così a lungo si combattè con combattimento incerto ed aspramente. Non potendo sostenere a lungo gli attacchi dei nostri, alcuni, come avevano iniziato, si ritirarono sul monte, altri si recarono alle salmerie ed ai loro carri. Infatti in tutto questo scontro, essendosi combattuto dall'ora settima a sera, nessuno potè vedere il nemico volto (in fuga).Si combattè fino anche a notte inoltrata presso le salmerie, per il fatto che avevano posto i carri come una trincea e dalla postazione più alta lanciavano armi contro i nostri che arrivavano ed alcuni tra i carri e le ruote scagliavano matare e targole (proiettili) e ferivano i nostri.Essendosi combattuto a lungo, i nostri si impadronirono delle salmerie e dell'accampamento.Qui la figli di Orgetorige ed uno dei figli fu catturato.Da quella battaglia sopravvissero circa 130 mila uomini e per tutta quella notte viaggiarono.Per nessuna parte della notte interrotta la marcia, al quarto giorno arrivarono nei territori dei Linoni, mentre sia per le ferite dei soldati, sia per la sepoltura degli uccisi i nostri, fermatisi per tre giorni non avevan potuto inseguirli.Cesare inviò ai Linoni lettere e messaggeri, che non li aiutassero con frumento o altra cosa: se li avessero aiutati, egli li avrebbe considerati allo stesso modo degli Elvezi.Egli passati tre giorni cominciò ad inseguirli con tutte le truppe.

1.XXVII. La resa degli Elvezi a Cesare.
Gli Elvezi spinti dalla mancanza di ogni cosa gli mandarono ambasciatori per la resa.Avendolo incontrato durante la marcia ed essendosi prostrati ai piedi parlando supplichevolmente e piangendo avendo chiesto la pace e avendo ordinato che aspettassero il suo arrivo in quel luogo dove allora si trovavano, obbedirono.Dopo che Cesare giunse là richiese ostaggi, armi, gli schiavi che eran fuggiti da loro. Mentre cercano quelle cose e le portano, trascorsa la notte, circa sei mila uomini di quel cantone che si chiama Verbigeno, o spaventati dal terrore che, consegnate le armi, fossero colpiti dal supplizio, o spinti dalla speranza di salvezza perché pensavano che in una così grande folla di arresiLa loro fuga o si potesse nascondere o ignorare del tutto, all'inizio della notte usciti dall'accampamento degli Elvezi si diressero verso il Reno ed i territori dei Germani

1.XXVIII.Severe condizioni imposte da Cesare.
Quando Cesare seppe questo, ordinò a quelli per i cui territori erano passati di scovarli e di consegnarli, se volevano essere da lui giustificati; i riconsegnati li considerò nel novero dei nemici; tutti gli altri, consegnati gli ostaggi, le armi, i disertori, li accettò per la resa.Comandò agli Elvezi, ai Tulingi, ai Latobici di ritornare nei loro territori da cui erano partiti e poiché, perduti tutti i raccolti, in patria non c'era nulla con cui sopportare la fame, comandò agli Allobrogi che dessero loro una quantità di frumento;ordino che loro stessi ricostruissero le città ed i villaggi che avevano incendiato. Fece questo soprattutto per tale motivo, perché non volle che quel luogo da cui Gli Elvezi se n'erano andati fosse libero, che a causa della fertilità dei terreni i Germani che abitano oltre il Reno passassero dai loro territori nei territori degli Elvezi e diventassero confinanti della provincia della Gallia e degli Allobrogi. Concesse ai Boi, chiedendolo gli Edui, perché erano conosciuti per il loro straordinario valore, che porli nei loro territori; essi diedero loro campi e li accolsero poi a pari condizione di diritto e di libertà di come erano loro stessi.
1.XXIX.Censimento degli Elvezi tenuto su registri.
Negli accampamenti degli Elvezi furono trovati dei registri scritti in lettere greche e portati a Cesare, ed in quei registri era stato segnato minutamente quale numero fosse partito dalla patria, chi di essi potesse portare armi e similmente separatamente i ragazzi, gli anziani e le donne.La somma di rutti quei dati era di duecento sessanta tremila persone degli Elvezi, trenta sei mila di Tulingi, tredici mila di Latobrici, venti tre mila di Rauraici, 32 mila di Boi; tra essi quelli che potevano portare armi circa novanta mila.La somma di tutti furono circa trecento sessantotto mila.Di quelli che erano ritornati in patria, tenuto il censimento come Cesare aveva ordinato, si calcolò un numero di cento diecimila.
1.XXX.Ambascerie di tutta la Gallia da Cesare..
Conclusa la guerra degli Elvezi, i capi di quasi tutta la Gallia vennero da cesare come ambasciatori per congratularsi: essi capivano, anche se per gli antichi oltraggi degli Elvezi contro il popolo romano egli aveva fatto pagare il fio con la guerra, tuttavia quella cosa era accaduta non meno per il vantaggio della terra della Gallia che del popolo romano, per il fatto che gli Elvezi avevano abbandonato le loro case con ricchezze floridissime, per dichiarare guerra a tutta la Gallia, impadronirsi del potere e per scegliere tra tanta possibilità per domicilio il luogo che tra tutta la Gallia avevano giudicato il più vantaggioso ed il più ricco e tenere le altre popolazioni come tributarie.Chiesero che indicesse per loro un'assemblea di tutta la Gallia per un giorno stabilito e poteva fare questo secondo il volere di Cesare; che essi avevano alcune cose che per comune assenso volevano chiedergli.Permesso questo, stabilirono il giorno e con giuramento, che nessuno parlasse se non a quelli che avevano il mandato per decisione comune, lo sancirono tra loro.
1.XXXI.Richieste di tutte le nazioni a Cesare per la salvezza.
Congedata quella riunione, gli stessi capi delle nazioni, che c'erano stati prima, ritornarono da Cesare e chiesero che fosse loro permesso secretamente di parlare con lui della salvezza loro e di tutti in privato.Ottenuto questo, tutti piangendo si buttarono ai piedi di Cesare:(che) essi insistevano e si preoccupavano perché quello che dicevano non si rivelasse, non meno di quanto chiedessero ciò che volevano, per il fatto che, se si fosse rivelato, vedevano che essi sarebbero incappati in una estrema sofferenza.Per loro parlò l'eduo Diviziaco: (che) c'erano due partiti di tutta la Gallia: di uno di questi avevano la supremazia gli Edui, dell'altro gli Arverni. Scontrandosi questi tra loro per molti anni sull primato, è accaduto che dagli Arverni e dai Sequani erano stati assoldati i Germani con denaro.Dapprima circa 15 mila di questi avevano attraversato il Reno; dopo che uomini feroci e barbari avevano bramato campi, civiltà e ricchezze dei Galli, ne erano passati di più; ora c'era in Gallia un numero di circa cento venti mila. Contro costoro gli Edui ed i loro clienti più e più volte si erano scontrati con le armi;sconfitti avevan subito un grave danno, avevano perso tutta la nobiltà, tutto il senato, tutta la cavalleria. Rovinati da quei combattimenti e disfatte, quelli che per il proprio valore e per l'ospitalità del popolo romano in Gallia prima avevano potuto moltissimo, eran stati costretti a dare come ostaggi ai Sequani i più nobili della nazione e a legare la nazione con giuramento, (che) essi non avrebbero richiesto gli ostaggi, né avrebbero implorato l'aiuto del popolo romano, né si sarebbero sottratti, poiché per sempre erano sotto il loro potere e supremazia.C'era lui solo di tutta la nazione degli Edui, che non si potè obbligare a giurare o a dare i suoi figli come ostaggi. Per tale motivo era fuggito dalla nazione ed era venuto a Roma dal senato a chiedere aiuto, perché lui solo non era tenuto dal giuramento e dagli ostaggi.Ma era accaduto di peggio ai Sequani vincitori che agli Edui vinti, per il fatto che Ariovisto re dei Germani si era insediato nei loro territori ed aveva occupato la terza parte del terreno seguano, che era il migliore di tutta la Gallia ed ora ordinava che i Sequani se ne andassero da un'altra terza parte per il fatto che pochi mesi prima 24 mila uomini Arudi erano giunti da lui, per i quali erano preparati luogo e sede. In pochi anni sarebbe accaduto che tutti verrebbero cacciati dalla Gallia e tutti i Germani avrebbero attraversato il Reno;e non si poteva paragonare il gallico con il terreno germanico, né l'abitudine di vita si poteva confrontare con quella.Inoltre Ariovisto come aveva vinto una volta le truppe dei Galli, combattimento che era avvenuto presso Magetobriga, comandava superbamente e crudelmente, chiedeva come ostaggi i figli di qualunque nobile e promuove contro di essi tutti gli esempi e le punizioni, se una cosa non sia stata fatta secondo il suo cenno o la sua volontà.Era un personaggio barbaro, iracondo, temerario;i suoi dispotismi non si potevano sopportare a lungo.Se non ci fosse qualcosa di aiuto in Cesare e nel popolo romano, tutti i Galli devon fare la stessa cosa che han fatto gli Elvezi, emigrare dalla patria, cercare un' altra dimora, altre sedi, lontane dai Germani e tentare la sorte, qualunque capiti.Se queste cose fossero state riferite ad Ariovisto, non dubitava che per tutti gli ostaggi, che c'erano presso di lui, darebbe una dolorosissima punizione.Cesare poteva o col suo prestigio e con la vittoria anche recente dell'esercito o con la fama del popolo romano atterrirlo, perché una maggiore moltitudine di Germani attraversasse il reno, e poteva difendere tutta la Gallia dall'oltraggio di Ariovisto.

1.XXXII.La paura degli Edui per Ariovisto.
Tenutao questo discorso da Diviziaco, tutti quelli che eran presenti con grande pianto cominciarono a chiedere aiuto a Cesare. Capì Cesare che i Sequani da soli fra tutti non facevano nulla di quelle cose che gli altri facevano, ma tristi a capo abbassato guardavano a terra. Stupito chiese loro quale fosse il motivo di quel fatto.I Sequani non rispondevano nulla, ma rimanevano silenziosi nella stessa tristezza. Interrogandoli più volte e non potendo assolutamente far uscire nessuna frase, lo stesso eduo Diviziaco rispose: (che) per questo la sorte dei sequani era più misera e più grave (di quella) degli altri, perché da soli neppure in privato non osavano lamentarsi né implorare aiuto e aborrivano la crudeltà di Ariovisto assente come se fosse presente, per il fatto che agli altri almeno era data la possibilità della fuga, ai sequani invece, che avevano accolto Ariovisto all'interno dei loro territori, le cui città erano tutte in suo potere, avrebbero patito tutte le atrocità.

1.XXXIII.Piano di Cesare contro l'arroganza di Ariovisto.
Conosciute queste situazioni, Cesare rinfrancò con parole gli animi dei Galli e promise loro che quella situazione gli sarebbe stata a cuore; (che) egli aveva una grande speranza e che Ariovisto spinto dal suo intervento e prestigio avrebbe posto fine agli oltraggi. E dopo queste molte cose lo convincevano, per cui credeva che quel fatto doveva considerarlo e risolverlo, anzitutto perché vedeva che gli Edui, chiamati molto spesso dal senato fratelli e parenti, erano tenuti in schiavitù ed in sudditanza dei Germani e capiva che i loro ostaggi erano presso Ariovisto ed i Sequani; e questo in un dominio così grande del popolo romano credeva che fosse per lui e per lo stato molto vergognoso.Vedeva come pericoloso per il popolo romano che a poco a poco i Germani si abituavano a passare il Reno e giungeva in Gallia una loro gande moltitudine, e riteneva che uomini feroci e barbari non si sarebbero trattenuti, dopo aver occupata tutta la Gallia, come prima avevano fatto i Cimbri ed i Teutoni, dallo sconfinare nella provincia e di lì dirigersi verso l'Italia, dal momento che il Rodano divideva i Sequani dalla nostra provincia; per tali motivi dunque pensava si dovesse intervenire al più presto possibile. Lo stesso Ariovisto poi aveva assunto così gravi animosità, e cì grave arroganza, che no sembrava sopportabile.
1.XXXIV.Ambasceria di Cesare ed arrogante risposta di Ariovisto.
Perciò gli piacque di mandare ambasciatori da Ariovisto, che gli chiedessero di scegliere un qualche luogo in mezzo ad entrambi per un colloquio: (che) egli voleva trattare con lui sullo stato e su importantissimi affari di entrambi.A quella ambasceria Ariovisto rispose: (che) se avesse bisogno di Cesare, egli sarebbe andato da lui; se lui voleva qualcosa, bisognava che lui venisse alla sua presenza. Inoltre egli non osava venire senza esercito in quelle parti della Gallia che Cesare possedeva, e non poteva concentrare in un solo luogo l'esercito senza una grande carovana e sforzo.Gli sembrava poi strano che interesse ci fosse per Cesare o insomma per il popolo romano nella sua Gallia che aveva vinto con la guerra.
1.XXXV.Ordini di Cesare contro le offese di Ariovisto.
Riportate queste risposte a Cesare di nuovo manda alui degli ambasciatori con queste istruzioni: poiché era stato trattato con così grande benevolenza sua e del popolo romano, essendo stato nominato dal senato durante il suo consolato re ed amico, restituiva a lui ed al popolo romano questo favore che invitato rifiutava di venire a colloquio e non pensava dover parlare ed approfondire su un argomento comune, erano queste le cose che da lui richiedeva: primo, di non far passare oltre il Reno il Gallia più nessuna folla di persone; secondo, di restituire gli ostaggi che aveva dagli Edui e di permettere ai Sequani che fosse loro lecito con la sua autorizzazione restituire quelli che loro avevano;di non provocare con l'oltraggio gli Edui e non dichiarare ed esse ed ai loro soci guerra. Se così si fosse comportato, con lui ci sarebbe stata riconoscenza ed amicizia perpetua per lui (Cesare) e per il popolo romano; se non l'otteneva, egli in persona, poiché sotto il consolato di M.Messala e M.Pisone il senato aveva stabilito che chiunque governasse la Gallia, potesse agire per il bene del popolo romano, difendesse gli Edui e gli altri amici del popolo romano, egli non avrebbe trascurato gli oltraggi degli Edui.

1.XXXVI.Arrogante risposta di Ariovisto a Cesare.
A queste cose Ariovisto rispose: (che) era diritto di guerra, che quelli che avevano vinto comandassero su quelli che avevano vinto, come volessero; ugualmente il popolo romano era solito comandare ai vinti non secondo la decisione di un altro, ma secondo il proprio arbitrio. Se egli non prescriveva al popolo romano come servirsi del proprio diritto, non bisognava che lui fosse ostacolato nel suo diritto dal popolo romano. Gli Edui, poiché avevano tentato la sorte della guerra ed erano venuti alle armi e sconfitti, erano diventati suoi tributari.Cesare gli faceva un grave oltraggio, che col suo arrivo gli rendeva peggiori le sue entrate. Egli non avrebbe restituito agli Edui gli ostaggi e non avrebbe dichiarato guerra né a loro né ai loro alleati contro giustizia, se fossero rimasti a quello che avevano convenuto, ed ogni anno pagassero il tributo. Se non l'avessero fatto, per loro il nome fraterno del popolo romano sarebbe stato molto lontano. Poichè Cesare gli dichiarava che non avrebbe trascurato gli oltraggi degli Edui, nessuno si era misurato con lui senza danno. Volendo, si scontrasse: avrebbe capito cosa potevano in valore i Germani invincibili, molto esercitati nelle armi, che per 14 anni non erano entrati a casa.
1.XXXVII. Tappe forzate di Cesare contro Ariovisto.
Nello stesso tempo venivano riferite a Cesare queste missive giungevano ambasciatori sia dagli Edui che dai Treviri: gli Edui a lamentarsi che gli Arudi che da poco erano stati portati in Gallia, devastavano i loro territori; che loro, neppure dopo aver dati gli ostaggi, avevano pototo ottenere la pace di Ariovisto; i Treviri invece (riferivano) che cento cantoni di Suebi si erano insediati presso le rive del Reno per tentare di passare il Reno; li comandava Nasua e Cimberio, fratelli. Cesare, fortemente turbato da queste cose, pensò che dovesse affrettarsi perché se il nuovo manipolo di Suebi si fosse unito alle vecchie truppe di Ariovisto, meno facilmente si poteva resistere. Così, preparata al più presto che potè il vettovagliamento, a marce forzate di diresse contro Ariovisto.

1.XXXVIII. L'occupazione di Besançon da parte di Cesare.
Essendo avanzato per una marcia di tre giorni, gli fu annunciato che Ariovisto con tutte le sue truppe si avviava ad occu pare Besançon, che è la città maggiore dei Sequani, e si era avanzato dai suoi territori per una marcia di tre giorni.Perché ciò non accadesse, Cesare pensava doversi premunire ampiamente.Infatti di tutte quelle cose che erano di utilità per la guerra, in quella città c'era grandissima abbondanza e quella era così fortificata dalla configurazione del sito, che offriva grande facilità a condurre una guerra, per il fatto che il fiume Doubs circonda quasi tutta la città tracciato attorno come con un compasso; lo spazio restante, che non è maggiore di mille seicento piedi, dove il fiume cessa, lo occupa un monte di grande altezza, tanto che da entrambe le parti le rive del fiume raggiungono i piedi di quel monte. Un muro costruito attorno rende questo (monte) un roccaforte e lo congiunge con la città.Qui Cesare si dirige a marce forzate diurne e notturne ed occupata la città li pone una guarnigione.

1.XXXIX.Paura dei Germani nell'accampamento romano.
Mentre si ferma pochi giorni presso Besançon per il rifornimento ed il vettovagliamento, dal racconto dei nostri e dalle chiacchiere dei Galli e dei mercanti, che raccontavano che i Germani erano di straordinaria statura fisica, di incredibile valore ed esercizio nelle armi - dicevano che spesso incontratisi con loro non avevano potuto sopportare né il volto né l'acutezza degli occhi -, improvvisamente un così grave terrore prese tutto l'esercito, da turbare non poco la mente ed i cuori di tutti.Questo (terrore) anzitutto cominciò dai tribuni militari e dagli altri capi, che dalla città (di Roma) seguendo Cesare per amicizia non avevano grande pratica nella realtà militare.Portato uno un motivo, l'altro un altro, che diceva essere impellente per partire, chiedeva che fosse permesso col suo assenso di partire; alcuni spinti dalla vergogna, per evitare il sospetto della paura, restavano.Questi non potevano fingere l'aspetto nè talvolta trattenere le lacrime; nascosti nelle tende o si lamentavano del proprio destino o coi loro famigliari compiangevano il comune rischio.Publicamente in tutto l'accampamenti si firmavano testamenti.Alle chiacchiere ed al timore di questi a poco a poco anche quelli che nell'accampamento avevano grande famigliarità, soldati, centurioni e quelli che comandavano la cavalleria, erano turbati.Quelli tra loro che volevano esser stimati meno timidi, dicevano di non temere il nemico, la le difficoltà della marcia e la enormità delle selve che si frapponevano tra loro ed Ariovisto, oppure il vettovagliamento, che si potesse portare abbastanza facilmente.Alcuni addirittura riferivano a Cesare che se avesse ordinato di levare l'accampamento e partire ( portare le insegne), i soldati non sarebbero stati obbedienti all'ordine e per la paura non (avrebbero portato le insegne) non sarebbero partiti.

1.XL.Violenta accusa di Cesare verso tutti i centurioni.
Essendosi accorto di questo, convocata l'assemblea e chiamati i centurioni di tutti gli ordini a quella assemblea, li attaccò violentemente:(che) anzitutto perché dovevano chiedere oppure pensare o in quale parte o con quale piano fossero guidati.Ariovisto, quando lui era console, aveva richiesto molto ardentemente l'amicizia del popolo romano;perché qualcuno pensava che tanto temerariamente si sarebbe allontanato dal suo dovere?Senz'altro egli era persuaso che sapute le sue richieste e valutata l'equità delle condizioni quello non avrebbe rifiutato né il suo né il favore del popolo romano.Che se spinto da furore e pazzia avesse dichiarato guerra, cosa temevano in fondo?Oppue perché disperavano del proprio valore e della sua ( di Cesare) accortezza? Il pericolo di quel nemico era accaduto al tempo dei nostri antenati, quando, sconfitti i Cimbri ed i teutoni da parte di Mario sembrava che l'esercito avesse meritato non minore lode dello stesso comandante; era accaduto recentemente in Italia durante la rivolta degli schiavi, ma tuttavia li aiutava in qualche modo la pratica e la disciplina, che avevano imparato da noi, e da ciò si poteva giudicare quanto abbia di buono in sé la costanza, per il fatto che quelli che talvolta senza motivo avevano temuto inermi, questi poi li avevano superati anche se armati e vincitori. Infine questi erano gli stessi Germani, coi quali spesso gli Elvezi avevano vinto non solo nei propri, ma anche nei loro territori, e questi (gli Elvezi) tuttavia non poterono essere pari al nostro esercito. Se la battaglia sfortunata e la fuga dei Galli spaventava qualcuno, questi, se indagavano, potevano scoprire che Ariovisto, essendosi trattenuto per molti mesi negli accampamenti e nelle paludi e non avendo dato la possibilità di sé ( di attaccarlo), mentre per la lunghezza della guerra i Galli erano spossati, li aveva vinti mentre ormai disperavano della battaglia e dopo averli assaliti all'improvviso più con la tattica e la strategia che con il valore. Quella strategia ebbe spazio contro uomini barbari ed inesperti, ma con essa neppure lui non può sperare che i nostri eserciti si possano prendere.Quelli che attribuiscono il loro timore nella scusa del vettovagliamento e nelle difficoltà della marcia, lo fanno arrogantemente, o perché non hanno fiducia nel dovere del comandante oppure osano dargli istruzioni. Egli ha a cuore questo; Sequani, Leuci, Linoni procurano il frumento ed ormai i cereali sono maturi nei campi; sulla marcia fra breve tempo giudicheranno.Quanto al fatto che si dica che non saranno obbedienti al comando, della cosa non era turbato per nulla;sapeva infatti che a quelli a cui l'esercito non fu obbediente al comando, o finita male l'impresa la sorte li ha abbandonati o l'avidità , scoperto qualche delitto, fu dimostrata. La sua innocenza è stata dimostrata da tutta la vita, la fortuna dalla guerra degli Elvezi. Così lui svelerà quello che avrebbe rivelato ad una data più lontana e la notte seguente alla quarta veglia avrebbe levato l'accampamento per capire il prima possibile se presso di loro fosse più forte la vergogna ed il dovere o il timore.Che se poi nessuno lo seguisse, tuttavia lui sarebbe andato con la sola decima legione, di cui non dubitava e per lui sarebbe stata la coorte pretoria.Cesare soprattutto preferiva questa legione e per il valore vi confidava moltissimo.

1.XLI. Pentimento dei soldati e marze forzate contro Ariovisto.
Tenuto questo discorso in modo straordinario tutti i cuori cambiarono e si inserì una grandissima ansia e volontà di far la guerra, e la decima legione per prima lo ringraziò per mezzo dei tribuni militari, e poiché su di lei aveva dato un ottimo giudizio, confermò pure di essere prontissima per far la guerra.Poi le altre legioni coi tribuni militari ed i centurioni dei primi ordini fecero in modo di scusarsi con Cesare per mezzo di loro; loro non avevano mai dubitato né temuto né pensato che sulla strategia di guerra valesse il loro giudizio, ma quello del generale. Accolta la loro scusa e scelto l'itinerario per mezzo di Diviziaco, perche tra i Galli aveva in lui la massima fiducia, partì alla quarta veglia, come aveva detto, per condurre l'esercito in zone aperte con un giro più lungo di cinquanta miglia.Al settimo giorno, non interrompendo la marcia, fu informato dagli esploratori che le truppe di Ariovisto distavano dalle nostre venti quattro mila passi.

1.XLII. Preparativo del colloquio tra Cesare ed Ariovisto.
Conosciuto l'arrivo di Cesare, ariovisto gli manda ambasciatori: quello che aveva prima chiesto circa il colloquio, ciò da parte sua era possibile si facesse, poiché si era avvicinato di più e lui pensava che si potesse fare senza rischio.Cesare non respinse la condizione, e pensava che ormai tornasse a ragionevolezza, offrendo spontaneamente ciò che prima aveva rifiutato e giungeva ad ampia speranza, grazie ai suoi e del popolo romano favori verso di lui, che, sapute le sue richieste, avrebbe desistito dalla arroganza,Fu fissato il giorno per il colloquio, in quinto a partire da quello. Intanto poiché si inviavano da una parte e dall'altra degli ambasciatori, Ariovisto chiese che Cesare non portasse alcun fante al colloquio: temeva di essere circondato con tranelli;ognuno venisse con la cavalleria; con altro patto, lui non sarebbe arrivato.Cesare, perché non voleva che il colloquio fosse annullato per interposto motivo e non osava affidare la sua incolumità alla cavalleria dei Galli, stabilì essere molto conveniente, sottratti tutti i cavalli ai cavalieri galli, mettervi i soldati legionari della decima legione, sui cui contava moltissimo, per avere la guarnigione più fidata, se ci fosse bisogno di qualcosa.Accadendo questo, qualcuno dei soldati della decima legione osservò non senza scherzo che Cesare gli concedeva più di quanto aveva promesso: avendo promesso di considerare la decima legione come coorte pretoria, la promuoveva al cavalierato.

1.XLIII.Colloquio di Cesare ed Ariovisto..
La pianura era grande ed in essa c'era un'altura abbastanza esteso.Questa postazione distava quasi lo stesso spazio dagli accampamenti di entrambi.Là, come era stato detto, vennero per il colloquio. Cesare fermò la legione, che aveva portato a cavallo, a duecento passi da quell'altura; similmente i cavalieri di Ariovisto si fermarono ad uguale intervallo.Ariovisto chiese che si parlasse a cavallo e conducessero con sé al colloquio dieci cavalieri ciascuno.Come si giunse là, Cesare inizialmente ricordò i favori suoi e del senato verso di lui, che era stato chiamato re dal senato ed amico, che eran stati inviati doni con magnificenza; ricordava che quel fatto era capitato sia a pochi sia si soleva attribuire per grandi servizi di uomini;lui, pur non avendo diritto né giusto motivo di chiederlo, aveva ottenuto quei riconoscimenti per favore e liberalità sua e del senato.Ricordava anche quanti antichi e quanti giusti motivi di amicizia intercorressero tra loro (Romani) e gli Edui, quali decreti del senato quante volte e quanto onorevoli eran state emanate per loro, tanto che gli Edui in ogni tempo avevano occupato il primato di tutta la Gallia, prima ancora di chiedere la nostra amicizia.(Che) era questa una tradizione del popolo romano, che gli alleati e gli amici non solo non perdevano nulla del loro, voleva che fossero più grandi di favore, dignità, onore;quello dunque che avevano portato per l'amicizia del popolo romano, questo chi poteva permettere fosse loro tolto?Chiese infine le stesse cose, che aveva dato agli ambasciatori nelle istruzioni: di non dichiarare guerra o agli Edui o ai loro alleati, restituire gli ostaggi, se nessuna parte dei Germani poteva rimandare in patria, non permettesse però che alcuni passassero più il Reno.
1.XLIV. Lunga risposta di Ariovisto.
Ariovisto alle richieste di Cesare rispose poco, molto proclamò sui suoi meriti: (che ) lui aveva passato il Reno non spontaneamente, ma pregato e chiamato dai Galli; non senza grande speranza e grandi premi aveva lasciato patria e parenti;aveva sedi in Gallia concesse da loro stessi, ostaggi dati dalla loro volontà; riceveva tributi per diritto di guerra, che i vincitori sono soliti imporre ai vinti.Non lui ai Galli, mai Galli gli avevano dichiarato guerra;tutte le nazioni della Gallia erano venute per assediarlo ed avevano mosso gli accampamenti contro di lui; tutte quelle in un solo scontro eran state da lui sconfitte e vinte.Se volessero tentare di nuovo, lui era di nuovo pronto a scontrarsi; se volessero valersi della pace, era ingiusto rifiutare sul tributo, che a quel tempo avevano pagato di propria volontà. Era necessario che l'amicizia del popolo romano fosse per lui di onore e di difesa, non di danno, lui stesso l'aveva richiesta con questa speranza. Se per mezzo del popolo romano veniva interrotto il tributo e venivano sottratti i tributari, non meno volentieri avrebbe rifiutato l'amicizia del popolo romano di quanto l'aveva richiesta. Che favesse passare una folla di Germani in Gallia, lo faceva per premunirsi, non per combattere la Gallia. Di quel fatto era prova che non era venuto se non pregato e che non aveva dichiarato guerra, ma si era difeso.Lui era venuto in Gallia prima del popolo romano;mai prima di quel tempo l'esercito del popolo romano era uscito dai territori della provincia della Gallia. Cosa voleva (Cesare) per sé? Perché era venuto nei suoi possedimenti?Questa Gallia era sua provincia, come l'altra la nostra.Come non bisognava si concedesse a lui, se avesse fatto un assalto nei nostri territori, così noi eravamo ingiusti, perché ci intromettevamo nel suo diritto.Per quanto (Cesare) diceva che gli Edui eran stati chiamati da lui amici, non era tanto barbaro ed inesperto della realtà da non sapere che nella recente guerra degli Allobrogi né gli Edui avevan dato aiuto ai Romani, né che essi in quelle contese che gli Edui hanno avuto con lui e con i Sequani, si eran serviti dell'aiuto del popolo romano.Lui doveva sospettare che Cesare, simulata l'amicizia, il fatto che avesse un esercito in Gallia, l'aveva per abbattere lui (Ariovisto). Che se (Cesare) non partisse e ritirasse l'esercito da quelle regioni, egli non lo considererà per amico, ma per nemico. Che se uccidesse lui (Cesare), avrebbe fatto cosa gradita a molti nobili e capi del popolo romano - questo lo aveva scoperto dagli stessi grazie ai loro messi -, e con la morte di lui( di Cesare) poteva riscattare il favore e l'amicizia di tutti.Che se fosse partito e gli avesse concesso libero possesso della Gallia, l'avrebbe ripagato con un grande premio e qualunque guerra volesse che si facesse, l'avrebbe compiuta senza nessun suo sforzo e rischio.

1.XLV.Altra risposta di Cesare.
Molte cose furon dette da Cesare in questo senso, perché non poteva desistere da quel dovere; non era né consuetudine sua né del popolo romano permettere di abbandonare alleati ottimamente benemeriti né poteva ritenere che la Gallia fosse più di Ariovisto che del popolo romano. Gli Arverni ed i Ruteni erano stati vinti in guerra da Q. Fabio Massimo, ed il popolo romano aveva loro perdonato né li aveva ridotti in provincia né aveva imposto il tributo.Che se bisognasse guardare qualsiasi epoca antichissima, il potere del popolo romano era stato giustissimo in Gallia; se si dovesse osservare il giudizio del senato, la Gallia doveva essere libera, e aveva voluto che (seppur ) vinta con una guerra godesse delle sue leggi.
1.XLVI. Insidie di Ariovisto durante il colloquio.
Mentre queste cose si discutevano nel colloquio, fu annunciato a Cesare che i cavalieri di Ariovisto venivano più vicino all'altura e cavalcavano verso i nostri, lanciavano pietre e frecce.Cesare pose fine al discorso e si ritirò dai suoi ed ordinò ai suoi di non rilanciare assolutamente arma contro i nemici.Infatti anche se vedeva che uno scontro con la cavalleria sarebbe avvenuto senza rischio della decima legione prescelta, tuttavia riteneva di non attaccare, perché respinti i nemici si potesse dire che essi eran stati da lui circondati in buona fede durante il colloquio. Dopo che fu rivelato alla folla dei soldati quale arroganza usando durante il colloquio, Ariovisto aveva proibito ai Romani tutta la Gallia ed i suoi cavalieri avevan fatto un attacco contro i nostri e quella situazione aveva sciolto il colloquio, molta maggiore ansia e maggiore voglia di combattere si insinuò nell'esercito.

1.XLVII.Seconda ambasceria di Ariovisto e barbaro tradimento.
Due giorni dopo Ariovisto manda ambasciatori da Cesare: (che) voleva trattare con lui su quegli argomenti che si eran cominciati a trattare fra loro e non s'eran conclusi;che o di nuovo stabilisse un giorno per il colloquio o se non lo volesse, mandasse da lui qualcuno tra i suoi ambasciatori.A Cesare non parve un motivo di colloquiare e tanto più che il giorno precedente a quello i Germani non avevano potuto trattenersi dal lanciare armi sui nostri. Un ambasciatore tra i suoi, riteneva che l'avrebbe con grande rischio e l'avrebbe offerto ad uomini feroci.Gli sembrò molto opportuno inviargli C.Valerio Procillo, figlio di C. Valerio Caburo, giovane di grandissimo valore e cultura, il cui padre era stato insignito della cittadinanza da C.Valerio Flacco e per la lealtà e la conoscenza della lingua gallica, che Ariovisto ormai da lunga abitudine usava molto e perché i Germani non avevano motivo di sbagliare con lui, ed (inviare) insieme M. Mezio, che si serviva dell'ospitalità di Ariovisto.Ad essi ordinò di conoscere quello che dicesse Ariovisto e glielo riferissero.Quando Ariovisto li vide negli accampamenti davanti a sé, presente il suo esercito gridò:Perché venivano da lui?Forse per spiare?Mentre tentavano di parlare, li bloccò e li gettò in catene.

1.XLVIII.I due eserciti pronti a combattere.
Lo stesso giorno fece avanzare gli accampamenti e si stabilì sotto il monte a sei mila passi dagli accampamenti di Cesare.Il giorno seguente a quello trasferì le sue truppe oltre gli accampamenti di Cesare e pose gli accampamenti più avanti di lui a duemila passi con il piano di bloccare Cesare dal frumento e rifornimento, che veniva portato dai Sequani e dagli Edui.Da quel giorno per cinque giorni consecutivi Cesare fece uscire le sue truppe davanti agli accampamenti e tenne l'esercito schierato, perché, se Ariovisto volesse scontrarsi in battaglia, non gli mancasse la possibilità. Ariovisto in tutti quei giorni tenne l'esercito negli accampamenti, ogni giorno attaccò con scontro di cavalleria. Questo era il genere di battaglia in cui i Germani si erano esercitati: c'erano sei mila cavalieri, altrettanti di numero fanti velocissimi e fortissimi, che da tutta la truppa si sceglievano a vicenda per la propria incolumità; con essi si trovavano in scontri, i cavalieri si ritiravano tra questi; questi, se c'era qualcosa di troppo pericoloso, accorrevano; se uno, ricevuta una ferita piuttosto grave, era caduto da cavallo, lo attorniavano; se c'era da avanzare troppo lontano o ritirarsi troppo velocemente, era tale la loro velocità con l'esercizio, che sollevati dalle criniere dei cavalli ne eguagliavano la corsa.

1.XLIX.Fortificazione operata da Cesare.
Quando Cesare capì che lui si teneva negli accampamenti, scelse un luogo adatto agli accampamenti per non restare bloccato dal vettovagliamento più a lungo, al di là della postazione, nella quale postazione s'erano insediati i Germani, a circa seicento passi da loro, e schierato l'esercito su triplice schiera, venne a quel luogo. Ordinò che la prima e la seconda schiera restassero in armi, che la terza fortificasse gli accampamenti.Questa postazione distava dal nemico, come è stato detto, circa seicento passi.Là Ariovisto inviò circa sedicimila (fanti) leggeri con tutta la cavalleria, perché quelle truppe terrorizzassero i nostri e bloccassero la fortificazione.Nondimeno Cesare, come aveva deciso prima, ordinò che le due schiere tenessero lontano il nemico, che la terza completasse l'opera. Fortificati gli accampamenti, lasciò lì due legioni e parte delle truppe ausiliarie, le restanti quattro legioni li riportò negli accampamenti maggiori.

1.L. Primo scontro degli eserciti.
Il giorno seguente, secondo suo sistema, Cesare fece uscire le sue truppe da entrambi gli accampamenti e avanzatosi un poco dagli accampamenti maggiori schierò l'esercito e diede ai nemici la possibilità di combattere.Quando capì neppure allora essi uscivano, a mezzogiorno circa, riportò l'esercito nell'accampamento.Allora finalmente Ariovisto inviò parte delle sue truppe, che assediasse gli accampamenti minori. Si combattè aspramente da entrambe le parti fino a sera.Al calar del sole Ariovisto, date e ricevute molte perdite, ricondusse le sue truppe negli accampamenti. Cesare interrogando i prigionieri, per quale motivo Ariovisto non si battesse in uno scontro, scopriva questa causa, che presso i Germani c'era questa tradizione, che le madri di famiglia dichiarassero con i loro sortilegi e profezie, se fosse di vantaggio che si attaccasse battaglia o no;(che) esse così dicevano: non essere volontà divina che i Gemani vincessero, se avessero attaccato con uno scontro prima delle luna nuova.

1.LI.Ripresa dello scontro.
Il giorno seguente a quello Cesare lasciò a difesa per entrambi gli accampamenti, quello che sembrò esser sufficiente, schierò tutti gli alari al cospetto dei nemici di fronte agli accampamenti minori, poichè disponeva meno di quantità di soldati legionari in rapporto al numero dei nemici, in modo da usare gli alari per diversivo; in persona schierata la triplice schiera si avvicinò fino agli accampamenti dei nemici. Allora finalmente inevitabilmente i Germani fecero uscire le loro truppe dagli accampamenti e li schierarono per tribù ad uguali intervalli - Arudi, Marcomani, Triboli, Mangioni, Nemesi, Sedusi, Suebi -, e circondarono tutta la schiera con vetture e carri, perché non rimanesse alcuna speranza nella fuga. Là vi posero le donne, che piangendo a mani aperte imploravano quelli che partivano per la battaglia, perché non li consegnassero in schiavitù ai Romani.

1. LII. Secondo scontro degli eserciti
Cesare mise a capo delle singole legioni altrettanti delegati ed un questore, perché ognuno li avesse come testimoni del proprio valore; lui, in persona, dall'ala destra, perché aveva capito che quella parte dei nemici non era assolutamente salda, attaccò battaglia. I nostri soldati, dato il segnale fecero l'attacco così aspramente, ed i nemici corsero avanti così improvvisamente e celermente, che non era concesso lo spazio di lanciare i giavellotti contro i nemici. Lasciati i giavellotti si combattè corpo a corpo con le spade. Ma i Germani velocemente secondo la loro abitudine, fatta una falange, sostennero gli assalti delle spade.Si trovarono parecchi dei nostri, che saltarono sopra la falange e strappavano gli scudi con le mani e ferivano da sopra.Essendo stata sbaragliata e messa in fuga la schiera dei nemici dall'ala sinistra, dall'ala destra incalzavano violentemente con una moltitudine dei loro la nostra schiera.Essendosi accorto di ciò P. Crasso, il giovane, che era a capo della cavalleria, poiché era più libero di quelli che si trovavano tra la schiera, mandò in aiuto ai nostri che erano in difficoltà la terza scihera.
1.LIII.Ripresa del combattimento e fuga dei nemici.
Così si riprese lo scontro e tutti i nemici volsero le spalle e non smisero di fuggire prima che giungessero al fiume Reno a circa cinque mila passi da quel luogo.Qui pochissimi o confidando nelle forze cercarono di passare a nuoto o trovate delle imbarcazioni si trovarono la salvezza.Tra questi vi fu Ariovisto, che raggiunta una barchetta legata presso la riva, fuggì con essa; i nostri inseguendo con la cavalleria uccisero tutti gli altri.Vi furono le due mogli di Ariovisto, una di nazionalità svea, che aveva portato con sé dalla patria, l'altra norica, sorella del re Voccione, che aveva portato in Gallia, mandatagli dal fratello: l'una e l'altra morì in quella fuga; due (furono ) le figlie:una di queste fu uccisa, la seconda catturata.C. Valerio Procillo, mentre era trascinato con tre catene dalle guardie in fuga, s'imbattè nello stesso Cesare che inseguiva i nemici.Certamente tale fatto portò a Cesare non minore piacere della stessa vittoria, perché vedeva restituito a sé il personaggio più stimato della provincia della Gallia, suo amico ed ospite, strappato dalle mani dei nemici né la sorte aveva diminuito nulla con la sua disgrazia di così grande piacere e gioia.Egli diceva che, alla sua presenza, tre volte si era deciso con le sorti se fosse mandato subito al rogo e fosse conservato per un'altra occasione; (che) era incolume per la fortuna delle sorti.Ugualmente M. Mezio fu trovato e ricondotto da lui.

1.LIV.Fine della guerra germanica.
Riferita questa battagli al di là del Reno, i Svevi, che erano arrivati alla riva del Reno, cominciarono a ritornare in patria. Appena quelli che abitano vicini (sul) Reno, li seppero terrorizzati, inseguendoli ne uccisero un gran numero.Cesare in una sola estate, concluse due grandissime guerre, un poco più presto di quanto il periodo dell'anno richiedeva, portò l'esercito negli (accampamenti) invernali nei Sequani.Agli accampamenti invernali mise a capo Labieno, lui in persona partì per la Gallia cisalpina per tenere le sessioni (giudiziarie).

SECONDO LIBRO
Secundo anno della guerra gallica: 57 a. C.
2.I.Alleanza dei Belgi contro i Romani.
Essendo cesare nella Gallia Cisalpina, così come abbiamo detto precedentemente, venivano riferite a lui frequenti voci e similmente dalle lettere di Labieno era informato che tutti i Belgi, che avevamo detto essere la terza parte della Gallia, si alleavano contro il popolo romano e si scambiavano ostaggi.(Che) questi erano i motivi dell'allearsi:primo, che temevano che, pacificata tutta la Gallia, il nostro esercito fosse portato contro di loro; poi che erano spinti da alcuni Galli, in parte, quelli che, come non avevano voluto che i Germani si trovassero troppo a lungo in Gallia, così malamente sopportavano che l'esercito del popolo romano svernasse e invecchiasse in Gallia, in parte quelli che per mobilità e leggerezza d'animo desideravano nuove situazioni;da parte di alcuni addirittura, che in Gallia da parte dei più potenti e di quelli che avevano ricchezze per assoldare uomini, comunemente venivano presi i poteri, i quali meno facilmente sotto il nostro dominio potevano ottenere tale situazione.
2.II.Partenza di Cesare contro i Belgi.
Turbato da tali notizie e lettere Cesare arruolò nella Gallia cisalpina due legioni nuove e, iniziata l'estate, mandò il legato Q. Pedio per condurla nella Gallia più interna. Lui in persona appena cominciava ad esserci abbondanza di foraggio venne dall'esercito.Dà incarico ai Senoni ed agli altri Galli che erano confinanti coi Belgi, di sapere quello che si faceva presso di loro e di informarlo di tali argomenti.Essi costantemente riferirono che si riunivano manipoli, che si raccoglieva l'esercito in un unico luogo.Allora davvero non pensò si dovesse aver dubbi di partire contro di loro.Provveduto il vettovagliamento al dodicesimo giorno muove gli accampamenti ed in circa 15 giorni giunge nei territori dei Belgi.

2.III.La resa dei Remi ai Romani.
Essendo giunto là all'improvviso e più velocemente di ogni aspettativa, i Remi, che tra i Belgi sono i confinanti della Gallia, gli inviarono come ambasciatori Iccio ed Andecumborio, capi della nazione, a dire che mettevano se stessi e tutti i loro beni nella parola e nel potere del popolo romano e che loro non s'erano accordati con gli altri Belgi né si erano alleati assolutamente contro il popolo romano, che erano pronti a dare ostaggi, obbedire agli ordini, accoglierli nelle città e aiutarli con frumento ed altri beni;che gli altri Belgi erano in armi ed i Germani che abitavano al di qua del Reno si erano congiunti con essi e così forte era il furore di tutti quelli che (i Remi) non avevano potuto distogliere neppure i Sucessoni loro fratelli e congiunti, che godono dello stesso diritto e delle stesse leggi ed hanno con loro un unico governo ed un'unica magistratura, dal collegarsi con essi.
2.IV.Notizie dei Remi a Cesare.
Chiedendo loro, quali cità e quanto grandi fossero in armi e cosa potessero in guerra, così scopriva: che parecchi Belgi erano nati dai Germani e passati il Reno anticamente per la prosperità del luogo lì si erano insediati ed i Galli che abitavano quei luoghi, li avevan cacciati ed eran stati i soli che al tempo dei nostri antenati, quando la Gallia era stata oppressa, avevano impedito ai Cimbri ed ai Teutoni di entrare nei loro territori; che per tale motivo accadeva col ricordo di quelle imprese avevano assunto un grande prestigio e grandi animosità in materia militare. Circa il loro numero, i Remi dicevano di aver tutto indagato, per il fatto che uniti da parentele e affinità sapevano quanta moltitudine ciascuno aveva promesso per quella guerra nella comune riunione dei Belgi.Che tra loro erano potenti moltissimo i Bellovaci per coraggio, prestigio, numero di uomini: questi possono realizzare cento mila armati, e promessi sessanta mila scelti tra quel numero chiedevano per sé il comando di tutta la guerra.I sucessoni erano loro confinanti;possedevano campi vastissimo e fertilissimi.(Che) anche all'epoca nostra presso di loro è stato re Diviziaco, il più potente di tutta la Gallia, che da una parte aveva tenuto il potere di gran parte di queste regioni e dall'altra anche della Britannia; ora era re Galba;a costui per la giustizia e la somma saggezza era stato affidato la guida di tutta la guerra per volontà di tutti; avevano città nel numero di dodici, garantiva cinquantamila armati; altrettanto i Nervi, che sono considerati ferocissimi tra loro e stanno lontanissimo;quindici mila gli Atrebati, gli Ambiani dieci mila, i Morini 25 mila, i Menapi 9 mila, i Caleti 10 mila, i Veliocassi ed i Viromandui altrettanti, gli Atuatuci diciannove mila; i Condrusi, gli Eburoni, i Cerusi, i Cemani, che con un solo nome si chiamano Germani, eran considerati circa 40 mila.

2.V.Accampamenti posti oltre l'Aisne per difesa.
Cesare incoraggiati i Remi e proseguendo cordialmente con un discorso ordinò che tutto il senato si riunisse presso di lui e si portassero presso di lui come ostaggi i figli dei capi. Tutto questo fu da loro puntualmente eseguito per la data (fissata).Di persona, dopo aver incoraggiato molto l'eduo Diviziaco dichiara quanto importi allo stato ed alla comune salvezza che si separassero i manipolo dei nemici, per non dover combattere in solo tempo contro una moltitudine così grande.(Disse) che di poteva fare, se gli Edui avessero portato nei territori dei Bellovaci le loro truppe e avessero cominciato a devastare i campi. Date queste istruzioni lo congeda da sè. Dopo che vide che tutte le truppe dei Belgi riunite in un solo luogo venivano contro di lui e seppe da quegli esploratori che aveva inviato e dai Remi, che ormai non erano lontano, si affrettò a far passere l'esercito oltre il fiume Aisne, che è negli estremi confini dei Remi e lì pose l'accampamento. Questa posizione sia fortificava un solo lato degli accampamenti con le rive del fiume e rendeva tutto quello che stava dietro a lui, sicuro dai nemici e faceva sì che i rifornimenti da parte dei remi e degli altri popoli si potessero portare a lui senza rischi.Su quel fiume c'era un ponte.Lì pone una guarnigione e nell'altra parte del fiume lascia il legato Q. Tiburio Sabino con sei coorti; ordina che gli accampamenti siano fortificati con una trincea di 12 piedi in altezza e con un fossato di diciotto piedi
2.VI.Assedio di Bibratte, città dei Remi, fatta dai Belgi.
Da questi accampamenti la città dei Remi di nome Bibratte distava otto mila passi.I Belgi cominciarono ad assediarla, in marcia, con un grande attacco. A stento per quel giorno si resistette.L'assalto, uguale, dei Galli e dei Belgi è questo: quando, gettata una grande massa di uomini attorno a tutte le mura, da ogni parte si è cominciato a scagliare pietre contro il muro ed il muro è privo di difensori, fatta una testuggine, incendiano da sotto le porte e scalzano il muro. Tutto questo si faceva facilmente.Infatti mentre la grande massa scagliavano pietre e giavellotti, nessuno aveva la possibilità di star fermi sul muro.Avendo la notte posto fine all'assedio, il remo Iccio, di grandissima nobiltà e favore presso i suoi, che allora era a capo della città, uno di quelli che erano venuti da Cesare come ambasciatori, gli manda araldi ( dicendo) che lui non poteva resistere più a lungo, se non gli si mandato un aiuto.

2.VII.Aiuti inviati da Cesare a Bibratte.
Cesare invia là a mezza notte, servendosi di quelle guide che erano giunti come araldi da parte di Iccio, arceiri numidi e cretesi e frombolieri baleari in soccorso agli abitanti (della città).Al loro arrivo, da una parte si accese nei Remi, con la speranza della difesa la volontà di resistere e nei nemici per lo stesso motivo svanì la speranza di impadronirsi sella città.Così fermatisi un poco presso la città e dopo aver saccheggiato i campi dei Remi e bruciati i villaggi e gli edifici, dove eran potuti arrivare con tutte le truppe si diressero agli accampamenti di Cesare e posero gli accampamenti a meno di due mila passi; questi accampamenti, come si manifestava dal fumo e dai fuochi, si estendevano in ampiezza più di otto mila passi.

2.VIII.Preparativi di Cesare contro i Belgi.
Cesare dapprima sia per la massa dei nemici sia per la troppa opinione del valore decide di soprasedere allo scontro.Quotidianamente però con scontri di cavalleria sperimentava cosa potesse il nemico nel valore e cosa osassero i nostri.Quando capì che i nostri non erano inferiori, davanti agli accampamenti in posizione giusta e adatta per conformazione a schierare l'esercito, poiché quel colle, dove era stati posti gli accampamenti, un poco rialzato dalla pianura, si stendeva davanti tanto in larghezza, quanto posto poteva occupare l'esercito schierato, e da entrambe le parti del lato aveva pendii e sul fronte leggermente in pendenza a poco a poco ritornava a pianura, tracciò da entrambi i lati di quel colle un fossato trasversale di circa quattrocento passi ed alle estremità dei fossati pose delle fortezze e lì collocò le macchine da guerra, perché, dopo aver schierato l'esercito, i nemici, che potevano così tanto per la moltitudine, non potessero circondare i suoi mentre combattevano. Fatto questo, lasciate le due legioni, che recentemente aveva arruolato negli accampamenti, perché, se fosse occorso qualche soccorso, si potesse portare, schierò le altre sei legioni in battaglia davanti agli accampamenti. I nemici ugualmente avevano schierato le loro truppe, fatte uscire dagli accampamenti.
2.IX.Tentativo dei Belgi contro i Romani..
Una palude non grande si trovava tra il nostro e l'esercito dei nemici.Se i nostri la passassero, i nemici l'aspettavano; i nostri invece, se da parte loro si fosse dato inizio al passare, erano pronti in armi ad assalirli ( una volta) impegnati.Intanto tra le due schiere ci si scontrava con battagli di cavalleria. Poiché nessuno dà inizio ad attraversare, con uno scontro di cavalleria più propizio per i nostri Cesare ricondusse i suoi negli accampamenti. I nemici subito da quel luogo si diresseroal fiume Aisne, che è stato detto esser dietro ai nostri accampamenti.Qui trovati dei guadi, tentarono di far passare parte delle loro truppe con questo piano, per espugnare, se potessero, la fortezza, a cui era a capo il legato Q. Titurio e tagliare il ponte, se avessero potuto di meno, di devastare i campi dei remi che per noi erano di grande per fare la guerra ed bloccare i nostri dal rifornimento.

2.X.Aspro scontro presso il ponte e ritirata dei nemici.
Informato da Titurio, fa passare il ponte a tutta la cavalleria, ai Numidi di armatura leggera, ai frombolieri ed agli arcieri e si diresse contro di loro. In quel luogo si combattè aspramente.I nostri assaliti i nemici in difficoltà sul fiume ne uccisero un gran numero;respinsero con una massa di giavellotti gli altri che attraverso i loro corpi molto audacemente tentavano di passare, massacrarono i primi che erano passati, circondati dalla cavalleria.I nemici quando capirono di aver fallito la speranza di espugnare la città e di passare il fiume e videro che i nostri non avanzavano in posizione sfavorevole per combattere e il vettovagliamento cominciò loro a mancare, convocata l'assemblea decisero essere cosa ottima che ciascuno ritornasse nella sua patria e che si riunissero da ogni parte per difenderli, nei territori di quelli in cui inizialmente i Romani avessero condotto l'esercito, per combattere piuttosto nei loro che nei territori stranieri e si servissero delle scorte proprie di vettovagliamento.A quella decisione, con altri motivo li portò anche questo calcolo, perchè avevano saputo che Diviziaco e gli Edui si avvicinavano ai territori dei Bellovaci.Non si poteva convincere costoro che si fermassero più a lungo e non portassero aiuto ai loro.

2.XI.Misera strage e fuga dei nemici.
Stabilito quel piano, alla seconda veglia, con grande strepito e tumulto usciti dagli accampamenti senza nessun ordine sicuro né comando, cercando ciascuno di raggiungere per sé il primo posto della marcia ed affrettarsi ad arrivare in patria, fecero sì che la loro partenza sembrasse simile ad una fuga.Cesare, saputo tale fatto per mezzo delle spie, temendo insidie, poiché non aveva ancora indagato per quale motivo partissero, trattenne esercito e cavalleria negli accampamenti.Alla prima luce, confermato il fatto dagli esploratori, mandò avanti tutta la cavalleria, che ritardasse la retroguardia.Mise a capo di questi i legati Q. Pedio e L. Aurunculeio Cotta; comandò che il legato T. Labieno seguisse dopo con tre legioni. Questi assaliti gli ultimi e proseguendo per molte migliaia di passi uccisero una gran moltitudine di quelli che fuggivano, mentre quelli a cui si era giunti si fermavano e violentemente sostenevano l'assalto dei nostri soldati, i primi perché sembravano esser lontani dal pericolo e non eran trattenuti da alcuna necessità e comando, sentito il grido, sconvolte le file, di porsi tutti come scampo in fuga. Così senza alcun pericolo i nostri avevano ucciso una così grande massa di loro, quanto fu lo spazio della giornata, ed al tramonto del sole desistettero e si ritirarono, come era stato comandato, negli accampamenti.

2.XII. Tentativo d'assedio di Novioduno e resa dei Suessoni.
Il giorno seguente a quello, Cesare, prima che i nemici si riprendessero dalla paura e dalla fuga, guidò l'esercito nei territori dei sucessoni, che erano confinanti dei Remi, efatta una marcia forzata si diresse alla città di Novioduno.tentando di aaasalirla durante la marcia, perché udiva che era priva di difensori, a causa della larghezza del fossato e dell'altezza del muro, pur difendendola pochi, non potè espugnarla e, fortificati gli accampamenti cominciò ad accostare le gallerie e quello che era di utilità per espugnare. Intanto tutta la massa dei Sucessoni dalla fuga si riunì in città nella notte seguente.Celermente spinte le gallerie alla città, costruito un argine e preparate le torri, per la grandezza delle opere che i Galli prima non avevano visto né sentito, e scossi dalla velocità dei Romani mandano da Cesare ambasciatori per la resa e, chiedendolo i Remi, ottengono di esser salvati.
2.XIII. La resa dei Bellovaci.
Cesare, accettati come ostaggi i capi della nazione , due figli dello stesso re Galba e consegnate tutte le armi dalla città, accettò alla resa i Sucessoni e guida l'esercito dai Bellovaci.Ma questi avendo portato se stessi e tutti i loro beni nella città di Bratuspanzio e distando Cesare da quella città con l'esercito circa cinque mila passi, tutti gli anziani usciti dalla città cominciarono a tendere le mani a Cesare ed esprimere a voce che loro andavano alla sua volontà e potere e non si battevano con le armi contro il popolo romano. Similmente, essendosi avvicinato alla città e mettendo lì gli accampamenti, ragazzi e donne dalla muraglia, a mani aperte, secondo la loro tradizione chiesero la pace ai Romani.
2.XIV. Intervento di Divitiaco presso Cesare per i Bellovaci.
A loro difesa Diviziaco - infatti dopo la partenza dei Belgi, congedate le truppe degli Edui, era ritornato da lui, fece un discorso: che i Bellovaci in ogni tempo erano stati in lealtà e nell'amicizia della nazione edua;spinti dai loro capi, che dicevano che gli Edui eran stati ridotti in schiavitù da Cesare e pativano ogni umiliazione ed oltraggioe che si erano staccati dagli Edui ed avevano dichiarato guerra al popolo romano.Quelli che eran stati i capi di quel piano, poiché capivano quanto grave danno avevano recato alla nazione, erano fuggiti in Britannia.(Che) non solo i Bellovaci chiedevano, ma anche gli Edui per loro, che usasse la sua clemenza e mansuetudine verso di essi.Se lo avesse fatto, il prestigio degli Edui si sarebbe amplificato presso tutti i Belgi, dei cui aiuti e mezzi, se fossero capitate delle guerre, erano soliti fornirsi.

2.XV. Tradizioni degli Ambiani.
Cesare per l'onore di Diviziaco r per gli Edui disse che li avrebbe accolti in protezione e li avrebbe salvati; poiché era una nazione grande e tra i Belgi era superiore per prestigio e per quantità di uomini, chiese seicento ostaggi.Consegnatisi questi e raccolte tutte le armi in città da quel luogo giunse nei territori degli Ambiani, che senza indugio consegnarono sè e tutti i loro beni.I Nervi toccavano i loro territori.Indagando sulla loro natura e costumi, così scopriva:i mercanti non avevano alcun accesso verso di loro; non tolleravano che si importasse niente di vino e di altre cose che riguardassero il lusso, perché pensavano che con quelle cose i loro animi si indebolivano ed il valore diminuiva;erano uomini feroci e di grande coraggio;incolpavano ed accusavano gli altri Belgi, che si erano consegnati al popolo romano ed avevano buttato il valore patrio;garantivano che loro non avrebbero mandato ambasciatori né avrebbero accettato alcuna condizione di pace.
2.XVI. L'attesa dei Nervi.
Cesare avendo fatto una marcia per tre giorni attraverso i loro territori, scopriva dai prigionieri che il fiume Sambre distava dai suoi accampamenti non più di 10 mila passi;che tutti i Nervi si erano insediati al di là di quel fiume e lì aspettavano l'arrivo dei Romani insieme con gli Atrebati ed i Viromandui, loro confinanti - infatti avevano persuaso entrambi questi a tentare la stessa sorte della guerra -;da parte loro si attendevano anche le truppe degli Atuatuci e che erano in marcia; le donne e quelli che sembravano inutili per la battaglia, li avevano riuniti in quel luogo, a cui non vi fosse un accesso per l'esercito a causa delle paludi.

2.XVII. Piano degli Ambiani.
Sapute queste cose, manda avanti esploratori e centurioni, che scelgano un luogo adatto agli accampamenti.Poiché parecchi dei Belgi arresi e degli altri Galli, seguendo Cesare, facevano insieme la marcia, alcuni di loro, come poi si seppe dai prigionieri, secondo l'abitudine di quei giorni di marcia del nostro esercito, attesa la notte, giunsero dai Nervi e dichiararono loro che tra le singole legioni intercorreva un gran numero di carriaggi e non c'era alcuna difficoltà, essendo giunta la prima legione negli accampamenti e le altre legioni essendo lontano una grande distanza, assalire questa sotto gli zaini; sbaragliata questa e saccheggiati i carriaggi, sarebbe accaduto che le altre non osassero porsi contro.Aiutava pure il piano di coloro che proponevano la cosa, il fatto che i Nervi anticamente, non potendo nulla con la cavalleria - ed infatti di quell'impresa non si preoccupano fino ad ora, ma quel che possono, lo valgono per le truppe di fanteria -, per bloccare più facilmente la cavalleria dei confinanti, se fossero venuti per depredare, tagliati alberi teneri e piegati in larghezza i molti rami nati e messi in mezzo rovi e spine avevan fatto sì che queste siepi presentavano una fortificazione a guisa di muraglia, per cui non solo non si poteva entrare, ma neppure vederci.Essendo impedita da questi fatti la marcia della nostra schiera, i Nervi pensarono di non disprezzare questo piano.

2.XVIII.Natura del luogo scelto per gli accampamenti.
Questa era la conformazione del luogo, che i nostri avevano scelto per gli accampamenti:un colle si stendeva ugualmente in pendio dalla cima al fiume Sambre, che prima abbiamo ricordato. Da quel fiume con uguale inclinazione sorgeva un colle dirimpetto a questo ed opposto, a circa duecento passi, aperto in basso, dalla parte superiore selvoso, tanto che non si poteva facilmente vedere dentro.Dentro a quelle selve i nemici si tenevano in segreto. Nel luogo aperto lungo il fiume si vedevano poche pattuglie di cavalieri.La profondità del fiume era di circa tre piedi.

2.XIX. Improvviso attacco dei nemici.
Cesare, mandata avanti la cavalleria, seguiva con tutte le truppe.Ma l'organizzazione e l'ordine della schiera si trovava diversamente da come i Belgi avevano riferito ai Nervi.Ma poiché si avvicinava ai nemici, Cesare secondo la sua abitudine guidava sei legioni leggere;dietro a loro aveva collocato i carriaggi di tutto l'esercito; poi le due legioni che erano state recentemente arruolate chiudevano tutta la schiera ed erano di guardia ai carriaggi.I nostri cavalieri con i frombolieri e gli arcieri avendo passato il fiume attaccarono una battaglia con la cavalleria dei nemici:Poiché essi più volte si ritiravano nelle selve presso i loro e di nuovo facevano un assalto dalla selva contro i nostri e non osando i nostri, indietreggiando, inseguire più lontano al limite che gli aperti luoghi estesi presentavano, intanto le sei legioni che erano arrivate per prime, misurato il tracciato, cominciarono a fortificare gli accampamenti. Quando i primi carriaggi del nostro esercito furono visti da quelli che, nascosti nelle selve, si celavano, ed era questo il tempo che tra loro si era convenuto di attaccar battaglia, così come dentro le selve avevano schierato l'esercito e le file e loro stessi si erano rincuorati. Improvvisamente con tutte le truppe volarono avanti e fecero l'assalto contro i nostri cavalieri.Respintili facilmente e sgominatili con incredibile velocità corsero giù al fiume i nemici sembravano quasi nello stesso tempo presso le selve, sul fiume ed ormai nelle nostre mani.Ma con la stessa celerità si diressero ai nostri accampamenti sul colle opposto e da quelli che erano occupati nella fortificazione.
2.XX.Improvviso rischio di Cesare e disciplina dei soldati.
Cesare doveva fare tutto nello stesso istante: (c'era da) alzare il vessillo, che era il segnale, quando bisognasse correre alle armi, dare il segno con la tromba, richiamare dalla fortificazione i soldati, che erano avanzati più lontano per cercare materiale, spronarli, schierare l'esercito, esortare i soldati, dare il segnale.Ma la brevità del tempo e l'assalto dei nemici impediva la maggior parte di quelle cose.A queste difficoltà due erano le cose d'aiuto, l'esperienza e l'abilità dei soldati, che esercitati dai precedenti scontri: cosa occorresse fare, non meno chiaramente essi stessi potevano ordinarselo che farselo insegnare da altri ed il fatto che Cesare aveva vietato che i singoli legati si allontanassero dalla fortificazione e dalle singole legioni, se non fortificati gli accampamenti. Questi per la vicinanza e la velocità dei nemici ormai non attendevano per nulla l'ordine di Cesare, ma da sé organizzavano quello che sembrava opportuno.

2.XXI. Mancanza di tempo e pericolo improvviso.
Cesare ordinate le cose necessarie corse giù ad esortare i soldati, in quella parte che la sorte offriva e venne alla decima legione.Esortati i soldati con un discorso non più lungo, del fatto che mantenessero il ricordo del proprio antico valore e non si turbassero nell'animo e sostenessero saldamente l'attacco dei nemici, perché i nemici non distavano più lontano di quanto si potesse lanciare un giavellotto, diede il segnale di attaccare battaglia. E partito verso l'altra parte similmente per esortare, corse dai combattenti.Fu così grande la pochezza del tempo e così pronto l'animo dei nemici a combattere, che non solo per preparare le insegne, ma anche per indossare gli elmi e togliere le protezioni agli scudi, mancò il tempo.Nelle parte in cui ognuno casualmente giunse e le prime insegne che vide, presso queste si fermò, per non perder l'occasione di combattere nel cercare i suoi.

2.XXII.Gravissima avversità della sorte.
Schierato l'esercito più come richiedeva la natura del luogo ed il colle in pendio e la necessità del momento di quanto ( richiedeva) la tattica e l'ordine dell'impresa militare, essendo sparpagliate le legioni, resistendo ai nemici una da una parte l'altra da un'altra, essendo impedita la vista dalle densissime siepi frapposte, come prima abbiam descritto, non si potevano da parte di uno solo né dare aiuti sicuri né provvedere cosa occorresse in ogni parte né dare tutti gli ordini. Così in una così grave avversità della sorte pure seguivano diversi eventi.
2.XXIII.Eroismo delle legioni.
I soldati della nona e decima legione, come si erano sistemati nella parte sinistra, lanciati i giavellotti, velocemente dalla postazione superiore respinsero verso il fiume gli Atrebati - infatti quella parte s'era imbattuta in costoro - sfiniti dala corsa e dalla stanchezza ed inseguendoli mentre tentavano di passare il fiume uccisero con le spade la maggior parte di loro che era impacciata. Essi stessi non esitarono a passare il fiume e avanzatisi in una postazione sfavorevole misero in fuga i nemici che, ripreso lo scontro, resistevano di nuovo. Similmente dall'altra parte due legioni divise, la undicesima e l'ottava, sbaragliati i Viromandui, con cui si erano scontrati, combattevano dalla postazione superiore fin sulle stesse rive del fiume. Ma quasi svuotati tutti gli accampamenti dal fronte e dalla parte sinistra, poiché la dodicesima legione e la settima a non grande distanza si era fermata nell'ala destra, tutti i Nervi, con una schiera serratisssima, sotto il comando di Boduognato, che teneva la direzione del comando, si diressero a quella postazione.Una parte di loro cominciò a circondare sul lato aperto le legioni, una parte a dirigersi alla sommità della postazione degli accampamenti.

2.XXIV.Grave pericolo dello scontro e defezione delle truppe ausiliarie dei Treveri.
Nello stesso tempo i nostri cavalieri ed i fanti dall'armatura leggera, che erano stati insieme con quelli che avevo detto respinti al primo assalto dei nemici, mentre si ritiravano negli accampamenti, si imbattevano nei nemici di fronte e di nuovo cercavano la fuga da un'altra parte ed i portatori, che dalla porta decumana e dalla cima del colle avevano visto i nostri passare il fiume vittoriosi, usciti per far bottino, essendosi voltati indietro e avendo visto che i nemici si trovavano nei nostri accampamenti, a precipizio si davano alla fuga.Contemporaneamente sorgeva l'urlo di quelli, che venivano con i carriaggi e terrorizzati si recavano chi da una parte chi dall'altra. Sconvolti da tutte queste situazioni, i cavalieri Treviri, di cui in Gallia c'è un giudizio lusinghiero, i quali mandati dalla nazione erano giunti da Cesare in aiuto, avendo visto che i nostri accampamenti erano riempiti dalla massa dei nemici, che le legioni erano incalzate e quasi circondate erano bloccate, che i portatori, i cavalieri, i frombolieri, i Numidi disordinati e sparpagliati fuggivano in tutte le direzioni, essendo disperate le nostre condizioni, si diressero in patria; riferirono alla nazione che i Romani eran stati vinti e sconfitti e che i loro nemici si erano impadroniti degli accampamenti e dei carriaggi.
2.XXV. Arrivo di Cesare e ripresa di coraggio dei soldati.
Cesare dall'esortazione della decima legione partito per l'ala destra, quando vide che i suoi erano incalzati e riunite in un sol luogo le insegne ed i soldati della dodicesima legione ammassati erano di impiccio a se stessi per lo scontro, uccisi tutti i centurioni della quarta coorte, abbattuto l'alfiere, perduta l'insegna, o feriti o uccisi quasi tutti i centurioni delle altre coorti, tra questi il primipilo P. Sestio Baculo, uomo fortissimo, colpito da molte e gravi ferite, tanto che ormai non poteva reggersi, e vide che gli altri erano troppo lenti ed alcuni rimasti dalla retroguardia uscivano dallo scontro ed evitavano i giavellotti, che i nemici subentrando non cessavano né dal fronte e sovrastavano da entrambi i lati e la situazione era alle strette e non c'era alcun soccorso, che si potesse inviare: sottratta lo scudo ad un soldato della retroguardia, perché lui era venuto là senza scudo, avanzò nella prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortando gli altri soldati, ordinò di far avanzare le insegne e di allargare i manipoli, perché potessero più facilmente usare le spade.Infusa speranza nei soldati con il suo arrivo e rinfrancato l'animo, desiderando ciascuno per sé alla presenza del generale anche nelle loro situazioni estreme mostrare impegno, l'assalto dei nemici fu un poco rallentato.
2.XXVI. Gli sforzi di tutti contro i nemici..
Cesare, avendo visto che la settima legione che s'era fermata vicino, era ugualmente incalzata dal nemico, ordinò ai tribuni dei soldati che le legioni a poco a poco si unissero e girate le insegne le volgessero contro i nemici.Fatto questo, poiché uno portava soccorso all'altro e non temevano, giratisi, di esser circondati dal nemico, cominciarono a resistere più audacemente e combattere più aspramente.Intanto i soldati delle due legioni, che erano state di guardia ai carriaggi nella retroguardia, annunciata la battaglia, a corsa sfrenata erano osservati sulla cima del colle dai nemici, e Labieno impadronitosi degli accampamenti dei nemici e dalla postazione superiore, avendo osservato le cose che si facevano nei nostri accampamenti, mandò in soccorso ai nostri la decima legione.Egli infatti, avendo saputo dalla fuga dei cavalieri e dei portatori, in quale posizione fosse la situazione ed in quale grave pericolo si trovassero gli accampamenti, le legioni ed il generale, non si fece nessuna esitazione per la velocità.
2.XXVII. Improvviso cambiamento della situazione: eroismo e fuga dei nemici.
Con la'arrivo di costoro avvenne un così grande cambiamento delle cose, che i nostri, anche quelli che erano caduti colpiti da ferite, appoggiandosi agli scudi riprendevano il combattimento, i portatori avendo visto i nemici terrorizzati anche inermi correvano contro agli armati, i cavalieri poi, per cancellare la vergogna della fuga, in tutti i luoghi combattendo con ardore si spingevano oltre i soldati legionari.M i nemici anche alla fine della speranza di salvezza mostrarono un così grande eroismo che, quando cadevano i primi di loro, i vicini salivano sui caduti e dai loro corpi combattevano, caduti questi ed ammucchiati i cadaveri, quelli che sopravvivevano dal cumulo scagliavano armi contro i nostri ed i giavellotti intercettati li rimandavano:a tal punto che non si riusciva a pensare assolutamente che uomini di così grande eroismo avessero osato passare un fiume larghissimo, scalare altissime rive, affrontare una postazione molto sfavorevole; queste cose la grandezza d'animo le aveva rese facili da difficilissime (quali erano).
2.XXVIII.Disperata ambasceria dei Nervi da Cesare per la resa..
Concluso questo scontro e ridotto quasi allo sterminio il popolo ed il nome dei Nervi, gli anziani, che avevamo detto ammassati insieme ai ragazzi ed alle donne negli acquitrini e le paludi, annunciata questa battaglia, pensando che ai vincitori nulla era proibito, ai vinti nulla (invece era) sicuro, col consenso di tutti quelli che erano superstiti mandarono ambasciatori da Cesare e gli si consegnarono e nel ricordare la rovina della nazione dissero che essi eran stati ridotti da seicento a tre senatori, da sessanta mila uomini a cinquecento appena, che potessero portare le armi.Ma Cesare, usando compassione verso dei miseri e dei supplici, come sembrava giusto, li salvò con gran cura ed ordinò che si servissero dei loro territori e delle loro città e ordinò ai loro confinanti che astenessero sé ed i loro da oltraggio e danneggiamento.
2.XXIX.Gli Atuatuci, discendenti dai Cimbri e dai Teutoni.
Gli Atuatuci, di cui abbiamo parlato precedentemente, venendo in aiuto ai Nervi con tutte le loro truppr, annunciata questa battaglia dalla marcia ritornarono in patria;abbandonate tutte le città e le fortezze portarono tutte le loro cose in un'unica città straordinariamente fortificata dalla natura.Avendo questa attorno da tutte le parti altissime rocce e dirupi, da una parte era rimasto un accesso leggermente in pendio non più ampio in larghezza di duecento piedi; avevano munito quella postazione con un doppio altissimo muro;poi collocavano sul muro travi acuminate e sassi di gran peso. Essi stessi erano discendenti dai Cimbri e dai Teutoni, che facendo marcia verso la nostra provincia e l'Italia, abbandonati al di qua del fiume Reno quei carriaggi, che non avevano potuto spingere e portare con sé, lasciarono insieme sei mila uomini dei loro come guarnigione ed presidio.Questi dopo la loro morte tormentati per molti anni dai loro confinanti, mentre da una parte dichiaravano guerra, dall'altra s'opponevano ad una dichiarata, col consenso di tutti loro, fatta la pace, si scelsero questo luogo per domicilio.
2.XXX. Derisione degli Atuatuci verso i Romani, gente di piccola statura.
Ma al primo arrivo del nostro esercito facevano molte scorrerie dalla città e con scaramucce piccoline si scontravano con i nostri; in seguito rafforzati con una trincea attorno di quindici mila piedi e con parecchie fortezze, si tenevano in città.Come videro da lontano che, avanzate le gallerie e costruito un argine, si fabbricava una torre, dapprima dal muro deridevano ed insultavano con frasi, che si preparasse una così grande macchina da una distanza così grande;con quali mani o quali forze soprattutto uomini di così piccola statura - infatti per lo più per tutti i Galli di fronte alla grandezza dei loro corpi la nostra piccolezza era oggetto di scherno - speravano di poter collocare sul muro una torre di così grande mole?
2.XXXI.Ambasceria degli Atuatuci a Cesare per la resa.
Quando però videro che si muoveva e si avvicinava alle mura, turbati dalla strana ed inconsueta vista, mandarono ambasciatori da Cesare per la pace, ed esse così parlarono:(che) loro pensavano che i Romani facevano la guerra non senza aiuto divino, che potevano muovere macchine di così grande altezza con così grande velocità e combattere in vicinanza e dissero che mettevano se stessi e tutte le loro cose sotto il loro potere. Una sola cosa chiedevano e scongiuravano:se per caso per la loro clemenza e mansuetudine, che essi sentivano dire dagli altri, avessero stabilito di salvare gli Atuatuci, di non spogliarli delle armi.(Che) essi avevano come nemici quasi tutti i confinanti e vedevano male il loro valore, da essi, consegnate le armi, mon potrebbero difendersi. Era meglio per loro, se fossero trascinati a tale caso, patire qualunque sorte da parte del popolo romano, che esser uccisi con torture da quelli, tra i quali erano soliti dominare
2.XXXII.Clemente risposta di Cesare e resa degli Atuatuci.
A queste cose Cesare rispose: che aveva salvato più per sua abitudine che per merito la loro nazione, se si fossero arresi prima che (la macchina del)l'ariete toccasse il muro;ma che non c'era nessuna condizione di resa, se non consegnate le armi. Avrebbe fatto quello che aveva fatto tra i Nervi ed avrebbe ordinato ai confinanti di non recare alcun oltraggio agli arresi del popolo romano.Annunciata la cosa ai loro, dissero di fare quelle cose che erano ordinate. Gettata una gran quantità di armi dal muro nel fossato, che era davanti alla città, così che i mucchi di armi quasi pareggiavano alla cima dell'altezza del muro e del terrapieno e tuttavia trattenutane e nascosta la terza parte in città, come poi fu scoperto, aperte le porte per quel giorno godettero la pace.

2.XXXIII. Insidie notturne degli Atuatuci e loro vendita.
Verso sera Cesare ordinò che si chiudessero le porte e che i soldati uscissero dalla città, perché i cittadini di notte non ricevessero qualche danno.Essi, deciso precedentemente il piano, come si capì, avevano creduto che avvenuta la resa i nostri avrebbero tolto le guarnigioni e alla fine avrebbero sorvegliato più trascuratamente, in parte con te armi che avevano trattenuto e nascosto, in parte con scudi fatti di cortecce o vimini intrecciati, che improvvisamente come la brevità del tempo imponeva, avevano ricoperto di pelli, alla terza veglia, per dove la salita alle nostre fortificazioni era meno ardua, con tutte le truppe improvvisamente fecero una sortita dalla città.Velocemente, come Cesare aveva ordinato fatta una segnalazione coi fuochi dalle fortezze vicine si corse là e da parte dei nemici si combattè così aspramente che da parte di uomini forti nella estrema speranza di salvezza in luogo sfavorevole contro quelli che gettavano armi dalla trincea e dalle torri, si dovette combattere, poiché ogni speranza consisteva nel solo valore. Uccisi circa quattro mila uomini gli altri furono respinti in città.Il giorno seguente a quello infrante le porte, poiché nessuno le difendeva ed entrati i nostri soldati, Cesare vendette all'asta tutto il bottino di quella città.Da quelli che avevano comprato gli fu riferito un numero di persone di cinquanta tremila
2.XXXIV. La resa di tutte le nazioni marittime.
Nello stesso tempo fu informato da P. Crasso che con una sola legione aveva mandato dai Veneti, Unelli, Osismi, Coriosoliti, Essuvi, Aulirci, Redoni, che sono popoli marittimi e raggiungono l'Oceano, che tutti quei popoli si erano arresi alla volontà ed al potere del popolo romano.
2.XXXV.Pacificazione della Gallia e partenza di Cesare per l'Italia.
Fatte queste imprese, pacificata tutta la Gallia, fu diffusa tra i barbari una così grande fama di questa guerra, che da parte di quelle popolazioni che abitavano al di là del Reno venivano inviati ambasciatori che promettevano di consegnare ostaggi, di eseguire gli ordini. Queste ambascerie Cesare ordinò, poiché si affrettava per l'Italia e l'Illirico, che ritornassero da lui all'inizio della estate seguente. Lui, portate le legioni negli accampamenti invernali presso i Carnuti, Andi, Turoni e quelle nazioni che erano vicine a quei luoghi, dove aveva mosso guerra, partì per l'Italia. Per quelle imprese (conosciute) dalle lettere di Cesare fu deciso un (pubblico) rendimento di grazie di quindici giorni, cosa che prima di quel tempo non accadde per nessuno.
TERZO LIBRO
(Terzo anno della guerra gallica: 56 a. C.
3.I. Le legioni negli accampamenti invernali, la Gallia pacificata.
Essendo partito per l'Italia, Cesare mandò Ser. Galba con la legione dodicesima e parte della cavalleria contro i Nantuati, i Veratri ed i Seduni, che si estendono dai territori degli Allobrogi e dal lago Lemanno e dal fiume Rodano alla sommità delle Alpi.Causa del mandarli fu che voleva che il passaggio attraverso le Alpi, dove con grande rischio e con grandi dogane i mercanti erano soliti passare, fosse aperto.A costui concesse, se pensasse ci fosse bisogno, che sistemasse la legione per svernare. Galba, fatti alcuni scontri favorevoli ed espugnate parecchie loro fortezze, inviati a lui ambasciatori da ogni parte e consegnati gli ostaggi e fatta la pace, stabilì di porre due coorti tra i Nantuati ed egli con le altre coorti di quella legione svernare nel cantone dei Veratri che si chiama Ottoduro.Questo cantone posto in una vallata, aggiuntavi una pianura non grande, è delimitato da ogi parte da altissimi monti. Poiché qui il fiume si divideva in due parti, concesse una parte di quel cantone ai Galli per svernare, l'altra lasciata libera da loro la concesse alle coorti.Quella postazione la fortifico di palizzata e fossato.

3.II.Minacce di Seduni e Veragri.
Essendo passati parecchi giorni deglia accampamenti invernali ed essendo stato ordinato che il frumento fosse portato là, improvvisamente fu informato dagli esploratori che da quella parte del cantone, che aveva concesso ai Galli, tutti di notte eran partiti ed i monti che sovrastavano erano occupati dalla grandissima moltitudine dei Seduni e dei Veragri.Questo era accaduto per alcune cause, (cioè) che i Galli prendessero la decisione di riprendere la guerra e distruggere la legione: primo, perché disprezzavano una legione neppure completissima, essendo state tolte due coorti e essendo parecchi singolarmente assenti, che erano stati inviati per cercare vettovagliamento; poi anche perché per lo svantaggio della posizione, mentre essi correvan giù dai monti nella valle e lanciavano armi, pensavano che (i Romani) non potessero sostenere neppure il loro primo attacco.Si aggiungeva che si dolevano dei loro figli ad essi strappati a titolo di ostaggi ed erano convinti che i Romani non solo a causa dei passaggi, ma anche di un perpetuo possesso tentavano di occupare le cime delle Alpi ed annettersi quelle posizioni per la provincia romana.
3.III.Improvviso pericolo e decisione di difendere gli accampamenti.
Ricevute queste notizie, Galba, poiché non erano ancora ultimate pienamente le fortificazioni degli accampamenti inveranli nè l'opera e non era stato provvisto sufficientemente per il frumento e l'altro vettovagliamento, poiché fatta la resa e ricevuti gli ostaggi aveva pensato che non ci fosse nulla da temere per umna guerra, convocata velocemente l'assemblea cominciò a chiedere pareri. In quella assemblea, essendo capitato così grave pericolo improvviso fuori da (ogni) attesa ed ormai si vedevano quasi tutti i luoghi superiori riempiti da una moltitudine di armati e non si poteva venire in aiuto né portare vettovaglie, essendo bloccati i passaggi, essendo ormai quasi disperata la salvezza si esprimevano alcuni pareri di tal genere, che abbandonati i carriaggi, fatta una sortita per gli stessi passaggi, attraverso cui erano giunti là, si rivolgessero allo scampo.Tuttavia alla maggior parte piacque, riservato questo piano per situazione estrema, tentare intanto l'evenienza della situazione e difendere gli accampamenti.
3.IV.Attacco dei nemici ed eroismo dei nostri.
Passato breve intervallo tanto che a stento si dava il tempo per sistemare le cose che eran state decise ed organizzarle, i nemici da tutte le parti, dato il segnale, correvano giù, scagliavano contro la trincea pietre ed armi.I nostri dapprima con forze fresche resistevano aspremente e dalla postazione superiore non scagliano invano nessuna arma, come una qualsiasi parte deglia accampamenti priva di difensori sembri sguarnita, corrono là e portano aiuto, ma erano vinti da questo che i nemici stanchi dal prolungamento della battaglia uscivano dallo scontro, altri con forze fresche li sostituivano;di quelle cose nulla si poteva fare da parte dei nostri soldati per la scarsezza, e non solo per uno stanco di ritirarsi dalla mischia, ma neppure ad un ferito era data la possibilità di abbandonare quel luogo dove si era messo e di ritirarsi.
3.V. Decisione di una sortita.
Poiché ormai si combatteva da più di sei ore, e non solo le forze, ma anche le armi venivano a mancare ai nostri ed i nemici incalzavano più apramente e, mentre i nostri piuttosto indeboliti, avevano cominciato a sbrecciare la palizzata e riempire i fossati ed essendo la situazione ormai arrivata al momento estremo, P. Sestio Baculo, centurione di prima fila, che abbiamo ricordato ferito da parecchi colpi nella guerra nervia e ugualmente C. Voluseno, tribuno dei soldati, uomo di grande saggezza e coraggio, corrono da Galba e mostrano che la speranza di scampo è una sola, se tentavano l'estremo aiuto, fatta una sortita.Così chiamati i centurioni informò velocemente i soldati, di allentare un poco lo scontro e di evitare solo le armi lanciate e di riprendersi dalla fatica, poi dato il segnale di uscire dagli accampamenti e di porre tutta la speranza di scampo nel valore.
3.VI. Sortita riuscita.
Quello di cui sono ordinati, lo fanno e subito fatta una sortita da tutte le porte non lasciano ai nemici la possibilità di capire cosa accada e di raccogliersi.Così cambiata la sorte, sorprendono, circondatili, quelli erano venuti nella speranza di impadronirsi degli accampamenti e da più di trenta mila uomini, numero di barbari che risultava esse venuto contro gli accampamenti, uccisa più della terza parte gettano gli altri terrorizzati in fuga e non permettono neppure che si fermino sulle postazioni superiori.Così sbaragliate quasi tutte le truppe dei nemici e spogliati delle armi si ritirano dentro le loro fortificazioniFatta questa battaglia, poiché Galba non voleva tentare la sorte più oltre e ricordava di esser venuto negli accampamenti invernali con un altro progetto, vedeva che s'era imbattuto in altre situazioni, e soprattutto turbato per mancanza di frumento e vettovagliamento, il giorno dopo bruciati tutti gli edifici di quel cantone decise di ritornare nella provincia e senza che alcun nemico lo impedisse o rallentasse la marcia condusse la legione incolume fra i Nantuati e di lì tra gli Allobrogi e qui svernò.
3.VII. Causa di una nuova guerra.
Con queste imprese pensando Cesare che la Gallia fosse pacificata per tutte le ragioni, vinti i Belgi, cacciati i Germani, vinti i Seduni sulle Alpi e così essendo partito all'inizio dell'inverno per l'Illirico, perché anche quelle nazionivoleva incontrarle e conoscere le regioni, improvvisa sorse in Gallia una guerra. Questa fu la causa di quella guerra:P. Crasso il giovane aveva svernato con la settima legione vicino al mare tra gli Andi. Egli, poiché in quei luoghi c'era scarsità di frumento, inviò parecchi prefetti e tribuni dei soldati nelle nazioni confinanti per cercare frumento e vettovagliamento;in quel gruppo fu mandato T. Terrasidio dagli Unello e gli Essuvi, M. Trebio Gallo dai Coriosoliti, Q. Velanio con T. Sillio dai Veneti.
3.VIII.Piano dei veneti di una alleanza gallica contro i Romani.
La supremazia di questa nazione su tutta la costa marittima di quelle regionidi questa nazione è vastissima, da una parte perché i Veneti hanno parecchie navi, con cui sono soliti navigare verso la Britannia e superano per esperienza e pratica delle tecniche nautiche gli altri e nella grande impetuosità del mare e nell'Ocean aperto, inseriti pochi porti, che essi occupano, quasi tutti quelli che sono soliti servirsi di quel mare versano tributi.Da parte di questi c'è l'iniziativa di arrestare Sillio e Velanio ed altri che poterono catturare, perché grazie a loro pensavano di poter riscattare i loro ostaggi che avevano dato a Crasso.Spinti dal prestigio di questi, come le decisioni dei Galli sono improvvise e repentine, i confinanti per lo stesso motivo arrestano Trebio e Terrasidio e mandati celermente ambasciatori per mezzo dei loro capi giurano tra loro che non avrebbero fatto nulla se non di comune decisione e che tutti avrebbero sopportato lo stesso esito della sorte, spingono le altre nazioni a preferire di restare in quella libertà che avevano ricevuto dai loro antenati piuttosto che tollerare la schiavitù dei Romani. Coinvolta volecemente ogni zona marittima al loro parere, mandano una comune ambasceria a P. Crasso (dicendo che) se volesse riprendere i suoi, liberasse loro gli ostaggi.
3.IX.Arrivo di Cesare e preparazione della guerra marittima dei Veneti.
Informato di queste faccende da Crasso, Cesare, poiché egli era troppo lontano, ordina che intanto si costruissero navi da carico sul fiume Loira che sbocca nell'Oceano, che si comandassero rematori dalla provincia, che si preparassero marinai e comandanti. Disposti velocemente questi piani egli, appena potè a causa del periodo dell'anno, si diresse all'esercito.I Veneti e similmente le altre nazioni, saputo l'arrivo di Cesare ed informati che la speranza di recuperare gli ostaggi era fallita, insieme perché capivano quale grave delitto avevano commesso - ambasciatori, nome che presso tutte le nazioni era stato sacro rd inviolato, arrestati da loro e gettati in catene -, per la gravità del pericolo decidono di preparare la guerra e provvedere soprattutto quelle cose che servissero per luso delle navi, questo con una maggiore speranza, perché confidavano della natura del luogo. Sapevano che le marce a piedi erano bloccate da lagune, la navigazione impacciata per l'ignoranza dei luoghi e la scarsità dei porti; confidavano che neppure i nostri eserciti potessero fermarsi troppo a lungo presso di loro per la mancanza di frumento;e anche se poi tutto accadesse contrariamente al loro pensiero, tuttavia loro potevano moltissimo con le navi, i Romani invece non avevano alcuna possibilità di navi neppure conoscevano secche, porti, isole di quei luoghi, dove stavano per far guerra; e prevedevano che era di gran lunga divers la navigazione in mare chiuso e nell'Oceano apertissimo.Intrapresi questi piani fortificano le città, portano cereali dalle campagne alle città, radunano il maggior numero possibile di navi nella Venezia, dove risultava che Cesare avrebbe dapprima dichiarato guerra.Si uniscono come alleati per tale guerra Osismi, Lessovi, Namneti, Ambiliati, Morini, Diablinti, Menapi; fanno venire aiuti dalla Britannia, che è situata dirimpetto a quelle regioni.
3.X.Difficoltà della situazione e decisione di Cesare di fare la guerra.
Queste erano le difficoltà di dichiarare guerra, che prima abbiamo mostrato, ma tuttavia molte cose spronavano Cesare per tale guerra:l'oltraggio dei cavalieri romani arrestati, la ribellione avvenuta dopo la resa, la defezione dopo aver consegnato gli ostaggi, l'alleanza di tante nazioni, soprattutto perché, trascurata questa parte le altre popolazioni non pensassero che fosse loro lecita la stessa cosa: Così capendo che quasi tutti i Galli cercavano situazioni nuove e si muovevano velocemente e prontamente, inoltre che tutti gli uomini per natura sono spinti dalla brana di libertà ed odiano la condizione di schiavitù, prima che parecchie nazioni si unissero, pensò che egli doveva dividere e dividere più ampiamente l'esercito.
3.XI.Grande preparativo conto l'alleanza dei Gali..
Così invia T. Labieno come ambasciatore tra i treviri, che sono vicini al fiume Reno, con l'esercito. Gli ordina che incontri i Remi e gli altri Belgi e li mantenga nel patto e impedisca ai Germani, che si diceva esser stati chiamati in aiuto dai Galli, se provassero con la violenza a passare il fiume con navi. Comanda che P. Crasso con dodici coorti legionarie ed un gran numeri di cavalleria parta per l'Aquitania, perché da quelle popolazioni nin siano inviati aiuti in Gallia e così grandi popolazioni si uniscano. Manda il legato Q. Tuturio Sabino con tre legioni contro gli Unelli, i Coriosoliti ed i Lessovi, perché si impegni a trattenere quel manipolo.Mette a capo della flotta e delle navi, che aveva ordinato di raccogliessero dai Pittoni, dai Santoni e dalle altre regioni pacificate, D. Bruto il giovane e comanda, appena potesse, di partire contro i Veneti. Egli con le truppe di fanteria si dirige là.
3.XII.Posizione delle città nemiche e difficoltà delle nostre navi.
La posizione delle città era quasi di tal genere, che poste sulla punta di lingue (di terra) e promontori non avevano accesso per le truppe di fanteria, se la marea si fosse alzata in alto, cosa che capita due volte nello spazio di dodici ore, ma neppure per le navi, perché diminuendo di nuovo la merea le navi si sarebbero rovinate nelle secche.Così per entrambi i motivi era impedito l'assedio. E se mai vinti per caso dalla grandiosità della fortificazione, bloccato il mare con un terrapieno e dighe e rese queste uguali alle mura della città avessero cominciato a disperare dei loro beni, fatto approdare gran numero di navi, e di tale materiale avevano una altissima disponibilità, portavan via tutte le loro cose e si ritiravano in città vicine; li con le stesse opportunità della posizione si difendevano di nuovo. Queste cose le facevano tanto più facilmente per gran parte dell'estate, perché le nostre navi erano trattenute dalle tempeste e grandissima era la difficoltà di navigare per un mare vasto e aperto, per le grandi meree, per i porti rari o quasi nulli.
3.XIII. Le navi dei Veneti.
Infatti le loro navi eran state fatte ed armate in questo modo: le carena alquanto più piatte delle nostre navi, per potere più facilmente superare le secche ed il deflusso della marea; le pue molto alte ed ugualmente le poppe, appropriate per la grandezza dei flutti e delle tempeste;le navi intere fatte di rovere per sopportare qualunque forza e violenza; le travi di tavole dello spessore di un piede fermate con chiodi di ferro della grandezza di un pollice;le ancore legate con catene di ferro al posto delle funi;al posto delle vele pelli e cuoio conciato sottilmente, sia per la mancanza di lino e della non conoscenza dell'utilità, sia - cosa che è più verosimile - perché pensavano che così grandi tempeste dell'Oceano e così violente raffiche dei venti potessero essere sostenute ed i così eccessivi pesi delle navi non si potessero guidare abbastanza vantaggiosamente con le vele.La nostra flotta aveva un confronto con queste navi di tal genere, che era superiore per la sola velocità e la spinta dei remi, in rapporto alla restante natura del luogo, in rapporto alla violenza delle tempeste quelle avevano cose più adatte e vantaggiose.Neppure le nostre potevano nuocere col rostro - così grande in esse era la robustezza - nemmeno per l'altezza si scagliava facilmente un giavellotto, e per lo stesso motivo meno agevolmente erano trattenute dagli arpioni.S'aggiungeva che, quando si fossero date al vento, sopportavano più facilmente la tempesta e nelle secche resistevano più sicuramente e lasciate dalla marea per nulla temevano scogli e massi; le nostre navi dovevano temere le eventualità di tutte quelle situazioni.
3.XIV. Le falci dei Romani ed il valore dei soldati.
Espugnate parecchie città, Cesare, quando comprese che una così grande fatica si poteva intraprendere invano nè , prese le città, si poteva bloccare la fuga dei nemici e nuocere loro, stabilì di attendere la flotta.Quando essa giunse e per la prima volta fu vista dai nemici, circa 220 loro navi preparatissime e fornitissime di ogni genere di armi uscite dal porto si fermarono di fronte alle nostre.Ma non era abbastanza chiaro a Bruto, che era a capodella flotta, o ai tribuni dei soldati ed ai centurioni, a cui le singole navi erano state affidate, cosa fare e quale tattica di scontro seguire.Si erano infatti accorti che non si poteva nuocere col rostro;ma costruite delle torri, tuttavia l'altezza delle poppe da parte delle navi barbare superava queste, tanto che né da una posizione più bassa si potevano scagliare abbastanza agevolmente le armi e (quelle armi) inviate dai Galli cadevano più pericolosamente.Una sola cosa preparata dai nostri era di grande utilità, falci affilate inserite e conficcate su pertiche, di forma non dissimile delle falci murali.Con queste quando le funi, che tendevano le antenne agli alberi, erano prese e tirate, essendo la nave accelerata dai remi, si rompevano. Tagliate quelle (funi) le antenne necessariamente cadevano, cosi che mentre tutta la fiducia per le navi galliche consisteva nelle vele e nelle attrezzature, tolte queste, allo stesso stempo veniva tolta ogni uso.Lo scontro rimanente era posto nel valore, in cui i nostri soldati facilmente erano superiori, e tanto più in quanto il fatto si svolgeva al cospetto di Cesare e di tutto l'esercito, così che nessun fatto un poco più valoroso poteva celarsi. Infatti tutti i colli e le posizioni più alte, da cui era vicina la vista sul mare, erano occupati dall'esercito.
3.XV.Abbattimento delle antenne e fuga dei nemici.
Abbattute le antenne, come dicemmo, mentre due o tre navi ne circondavano una, i soldati con somma violenza cercavano di passare sulle navi dei nemici. Dopo che i barbari si accorsero che accadeva questo, dopo che parecchienavi erano state espugnate, pochè a quel fatto non si trovava nessun rimedio, cercavano di guadagnare lo scampo con la fuga.E mentre ormai le navi erano rivolte in quella parte dove soffiava il vento, improvvisamente sorse una così grande bonaccia e tranquillità del mare, che no potevano muoversi dalla posizione.Davvero quel fatto fu di grandissima opportunità per concludere l'affare.I nostri inseguendole le espugnarono una per una, tanto che pochissime da tutto il numero con l'intervento della notte giunsero a terra, essendosi combattuto quasi dall'ora quarta al tramonto del sole.
3.XVI.Resa dei Veneti e castigo di Cesare.
Con tale battaglia si concluse la guerra dei veneti e di tutta la costa marittima. Infatti da una parte tutta la gioventù, tutti anche di età più avanzata, in cui ci fu un qualcosa di senno ed autorità, si erano radunati là, dall'altra avevano riunito in un solo luogo quel che dovunque c'era stato di navigli.Ma perdute queste, gli altri non avevano dove rifugiarsi né in che modo difendere le città.Così consegnarono a Cesare se stessi e tutte le loro cose.Verso di loro però Cesare decise di procedere tanto più rigorosamente in quanto più attentamente fosse conservato dai barbari nel tempo restante il diritto degli ambasciatori.Così, ucciso tutto il senato, vendette gli altri all'incanto.
3.XVII. Esitazione di Q. Sabino davanti a Virodovice, capo dei predoni.
Mentre si compivano queste cose contri i Veneti, Q. Titurio Sabino con quelle truppe, che aveva ricevuto da Cesare, giunse nei territori degli Unelli.Era loro capo Virodovice e teneva il controllo del potere di rutte quelle nazioni, che s'erano ribellate, tra le quali aveva radunato un esercito e grandi truppe;ma dopo pochi giorni, Aulirci, Eburovici e Lessovi, ucciso il loro senato, perché non volevano essere iniziatori della guerra, chiusero le porte e si unirono con Virodovice.Inoltre da ogni darte dalla Galli si era raccolta una gran massa di personaggi perduti e predoni, che una speranza di far bottino ed una voglia di combattere distoglieva dall'afgricoltura e dalla fatica quotidiana.Sabino si manteneva negli accampamenti in posizione favorevole per tutte le situazioni, mentre Virodovice si era insediato contro di lui alla distanza di due miglia e quotidianamente fatte avanzare le truppe offriva la possibilità di combattere, tanto che Sabino non solo per i nemici arrivava al disprezzo, ma qualcosa si poteva cogliere anche dalle frasi dei nostri soldati; ed offri una così grande convinzione di paura, che ormai i nemici osavano avvicinarsi alla palizzata deglia accampamenti. Faceva ciò per tale motivo, perché con una massa così grande di nemici, soprattutto essendo assente colui che deteneva il supremo comando, il legato non riteneva di scontrarsi se non in posizione favorevole o per una qualche opportunità offertasi.
3.XVIII. Astuto piano di Sabino e stolto attacco dei nemici.
Rafforzatasi questa convinzione di paura, scelse un personaggio adatto ed astuto, Gallo, tra quelli che aveva con sé tra le truppe ausiliarie.Persuade costui con premi e promesse di passere dai nemici e rivelare quello che vuol fare.Egli quindi come giunse da loro come disertore, dichiara la paura dei Romani, rivela con quali difficoltà lo stesso Cesare sia premuto dai Veneti e che non mancava troppo che la notte seguente Sabino di nascosto muova l'esercito dagli accampamenti e parta per portare aiuto a Cesare.Quando questo fu sentito, tutti gridano che non bisognava perdere l'occasione di far bene un affare, (che) bisognava si andarre agli accampamenti.Molte situazioni spronavano i Galli a questa decisione:l'esitazione di Sabino dei giorni precedenti, la conferma del disertore, la scarsità di cibi, alcui problema da parte loro si era poco provveduto, la speranza della guerra veneta e il fatto che gli uomini credono generalmente volentieri ciò che vogliono.Spindi da queste cose non congedano dall'assemblea Virodovice e gli altri capi prima che si conceda da parte loro di prendere le armi e dirigersi agli accampamenti.Concessa tale richiesta, lieti, come per una vittoria assaporata, raccolte fascine ed arbusti, con cui riempire i fossati dei Romani, si affrettano agli accampamenti.
3.XIX.Triplice vittoria di Cesare, carattere volubile dei Galli.
La postazione degli accampamenti era rialzata e dal basso un poco in pendio circa mille passi.Qui di gran corsa si diressero perché ai Romani fosse data il minimo possibile di tempo per raccogliersi ed armarsi, e giunsero senza fiato.Sabino esortati i suoi dà il segnale a gente che lo desidera. Essendo i nemici impacciati per i pesi che portavano, subito ordina una sortita dalle due porte.Accadde che per il vantaggio della postazione, l'inesperienza e la fatica dei nemici, il coraggio dei soldati e l'esercizio delle precedenti battaglie, non sostennero neppure il primo assalto dei nostri e subito voltarono le spalle.I nostri soldati con energie fresche inseguitili, ne uccisero un gran numero; i cavagliegli raggiunti gli altri, ne lasciarono pochi che si erano salvati con la fuga.Così nello stesso tempo da una parte Sabino fu informato della battaglia navale e Cesare della vittoria di Sabino, e tutte le nazioni subito si arresero a Titurio.Davvero come l'animo dei Galli e svelto e pronto a dichiarare guerre, così il loro carattere è fiacco e per nulla resistente a sopportare le avversità.

3.XX.Attacco dei Soziati contro P. Crasso.
Quasi nello stesso tempo P. Crasso, essendo giunto in Aquitania, e questa parte, come è stato detto precedentemente, è da considerare per estensione delle regioni e per quantità di uomini una terza parte della Gallia, accorgendosi che doveva far guerra in quei luoghi, dove pochi anni prima il legato L. Valerio Preconio, sbaragliato l'esercito, era stato ucciso e da dove il proconsole L. Manlio, perduti i carriaggi, era fuggito, comprendeva che lui doveva usare una non piccola accortezza.Così provvisto il vettovagliamento, preparate le truppe ausiliarie e la cavalleria, inoltre chiamati per nome molti uomini forti da Tolosa, Carcassona e Barbona - che sono nazioni della provincia della Gallia vicine a quelle regioni - portò l'esercito nel territorio dei Soziati.Daputo del suo arrivo, i Soziati radunate molte truppe e la cavalleria, con cui valevano moltissimo, assaliti il nosto esercito durante la marcia dapprima ingaggiarono uno scontro di cavalleri, poi, respinta la loro cavalleria ed inseguendoli i nostri, mostrarono subito le truppe di fanteria, che avevano posto in agguato in una vallata.Con costoro, assaliti i nostri dispersi, ripresero il combattimento.

3.XXI.Lunga battaglia: fuga e resa dei nemici.
Si combattè a lungo ed accanitamente, perché i Soziati confidando per le precedenti vittorie pensavano che la salvezza di tutta l'Aquitania fosse riposta nel proprio valore, i nostri invece desideravano che si notasse cosa si potesse ottenere senza il generale, senza le altre legioni e con un comandante giovincello.Finalmente i nemici battiti dai colpi voltarono le spalle.Ma uccisine un gran numero, Crasso in marcia cominciò ad assediare la città dei soziati.Mentre essi resistevano valorosamente fece avanzare gallerie e torri. Essi, tentata una sortita da una parte, e da un'altra scavati cunicoli presso il terrapieno e le gallerie - di questa tecnica gli Aquilani sono espertissimi, per il fatto che presso di loro ci sono miniere e cave -, quando capirono che per l'attenzione dei nostri nulla si poteva ricavare da questi tentativi, mandano ambasciatori da Cesare e chiedono che li riceva nella resa.Ottenuta questa richiesta, obbligati a consegnare le armi, lo fanno.
3.XXII.Improvvisa sortita di Adiatuano e dei suoi alleati e resa.
Ma mentre gli animi dei nostri erano intenti in quella situazione, da un'altra parte della città Adiatuano, che aveva il supremo comando, con 400 fedeli, che i Galli chiamano solfuri - la loro condizione è questa che in vita godono di tutti i vantaggi insieme con coloro alla cui amicizia abbiano affidati se stessi, se a questi accada qualcosa per violenza, o insieme tollerano lo stesso evento o si danno la morte;e fino ad ora, a memori d'uomo, non è stato trovato nessuno che, se ucciso colui, alla cui amicizia aveva votato se stesso, abbia rifiutato la morte - con costoro Adiatuano tentando di fare una sortita, alzatosi il grido da quella parte della fortificazione, essendo i soldati accorsi alla armi ed essendosi combattuto violentemente, ricacciato in città, tuttavia ottenne da Crasso di godere della stessa condizione di pace.
3.XXIII.Guerra di Crasso contro Vocati e Tarusati.
Ricevute armi ed ostaggi, Crasso partì per i territori dei Vocali e dei Tarusati. Allora davvero i barbari spaventati, perché avevano saputo che una città fortificata dalla natura del luogo e dalla mano (umana) nei pochi giorni, in cui si era giunti là, era stata espugnata, cominciarono a mandare da ogni aprte ambasciatori, ad allearsi, a scambiarsi ostaggi, a preparare truppe.Si mandano pure ambasciatori in quelle nazioni della Spagna citeriore che sono vicine all'Aquitania;di li si richiedono truppe ausiliarie e comandanti. Al loro arrivo tentano con grande fierezza e con gran massa di uomini di fare la guerra.Ma sono scelti come comandanti, quelli che erano stati tutti gli anni insieme con Q. Sartorio e si riteneva avessero altissima conoscenza di tattica militare.Questi secondo la tradizione del popolo romano decidono di occupare posizioni, fortificare gli accampamenti, bloccare i nostri dai vettovagliamenti. Quando Crasso si accorse di questo, che le sue truppe per la pochezza non si schieravano facilmente, che il nemico si muoveva, bloccava le vie e lasciava agli accampamenti sufficiente guardia, e per quel motivo meno tranquillamente gli veniva fornito frumento e vettovagliamento, che il numero dei nemici cresceva, pensò di non esitare a scontrarsi in battaglia. Portata la cosa nell'assemblea, dove capì che tutti eran d'accordo sulla stessa cosa, fissò per la battaglia il giorno successivo.
3.XXIV.Assalto di Crasso contro i nemici che astutamente temporeggiano.
Alla prima luce, fatte uscire tutte le truppe, schierata una duplice fila, messe le truppr ausiliarie nella fila centrale, aspettava quale decisione prendessero i nemici.Essi anche se ritenevano che per la quantità e l'antica gloria di guerra e la pochezza dei nostri avrebbero combattuto con sicurezza, tuttavia pensavano esser più sicuro, occupate le vie, bloccato il vettovagliamento, di guadagnare la vittoria senza alcuna perdita e se i Romani per la mancanza di mezzi alimentari avessero cominciato a ritirarsi, giudicavano di assalirli con animo tranquillo impacciati in sciera e inferiore sotto gli zaini.Approvata questa tattica, mentre le truppe dei Romani erano guidate avanti dai comandanti, se tenevano neglia accapamenti.Scoperto tale piano, poiché con la loro esitazione ed all'apparenza troppo timidi avrebbero reso i nostri soldati più pronti a combattere e si sentivano le frasi di tutti che non bisognava aspettava troppo ad andare contro gli accampamenti, spronati i suoi, mentre tutti lo desideravano, si diresse agli accampamenti.
3.XXV. Difficile scontro e facile accesso dalla porta decumana.
Qui mentre alcuni riempivano fossti, sltri scagliati molti giavellotti ricacciavano i difensori dalla trincea e dalle fortificazioni, e gli ausiliari, di cui Crasso non si fidava molto per lo scontro, nel procurare pietre ed armi e nel portare zolle per il terrapieno presentavano l'asspetto e l'idea di combattenti, e mentre ugualmente si combatteva continuamente e non timidamente da parte dei nemici e le armi scagliate da postazione superiore non cadevano invano, i cavalieri, affirati gli accampamenti dei nemici riferirono a Crasso che gli accampamenti non erano stati fortificati con la stessa cura dalla porta decumana ed avevano un facile accesso.
3.XXVI.I nemici circondati ed uccisi in fuga.
Crasso spronati i prefetti perché con grandi premi e promesse incitassero i loro, espose cosa voleva si facesse.Essi, come era stato ordinato, fatte uscire le coorti che erano rimaste a guardia degli accampamenti, non logorate dalla fatica, guidate con una marcia più lunga perché non si potessero vedere dagli accampamenti dei nemici, con gli occhi e le menti di tutti attente alla battaglia, giunsero velocemente a quelle fortificazioni, che nominammo ed abbattutele si insediarono neli accampamenti dei nemici prima che chiaramente si potessero vedere da questi e si potesse far qualcosa.Allora proprio, sentito un urlo da quella parte, i nostri, riprese le forze, cosa che per lo più è solito accadere nella fiducia della vittoria, cominciarono a lottare più accanitamente.I nemici, circondati da ogni parte, disperate tutte le possibilità, cercarono di buttarsi attraverso le fortificazioni e trovare la salvezza con la fuga. Ma la cavalleria, raggiuntili per le apertissime pianure da un numero di 50 mila, che risultava si fosse raccolta dall'Aquitania e dai Cantabri, a stento sopravvissuta una quanta parte, a notte inoltrata si ritirò negli accampamenti.
3.XXVII. Resa di tutta l'Aquitania a Crasso.
Sentita questa battaglia, la massima parte dell'Aquitania si arrese a Crasso e spontaneamente mandò ostaggi. In questo numero ci furono Tarbelli, Bigerrioni, Piani, Vocati, Tarusati, Elusati, Gati, Ausci, Garunni, Sibulati, Cocosati; poche nazioni lontanissime confidando nella stagione dell'anno, poiché si avvicinava l'inverno, trascurarono di fare ciò.
3.XXVIII. Tentativo di Cesare contro i Morini nascosti nelle selve.
Quasi nello stesso tempo Cesare, anche se ormai l'estate era quasi trascorsa, poiché, mentre tutta la Gallia era pacificata, restavano i Morini ed i Menapi che erano in armi e non avevano mai mandato ambasciatori per la pace, ritenendo che quella guerra si potesse concludere velocemente, vi condusse l'esercito.Ma essi decisero di muovere guerra con una tattica di gran lunga diversa dagli altri Galli.Infatti poiché capivano che le più grandi nazioni, ch' s'erano misurate con uno scontro, eran state sbaragliate e vinte ed avevano selve e paludi vicine, recarono là se stessi e tutte le loro cose.Essendo cesare giunto all'inizio di quelle selve ed avendo ordinato di fortificare gli accampamenti ed intanto il nemico non era stato visto, all'improvviso, mentre i nostri erano sparsi, volarono fuori da tette le parti della selva e fecero un assalto contro i nostri. I nostri velocemente presero le armi e li respinsero nelle selve e, dopo averne uccisi molti, inseguendoli in luoghi troppo intricati persero pochi dei loro.
3.XXIX.Piano di Cesare di tagliare la selva e le continue piogge.
In seguito negli altri giorni Cesare decise di tagliare le selve e perché con si potessero verificare attacchi da lato ai soldati inermi e che non se l'aspettavano, e tutto quel materiale, che era stato tagliato, lo metteva di fronte contro il nemico, lo ammassava come trincea ad entrambi i lati.Con incredibile velocità, realizzato un grande spazio in pochi giorni, mentre ormai il bestiame e gli ultimi carriaggi erano conquistati, ed essi cercavano selve più dense, giunsero tempeste di tal genere, che necessariamente il lavoro veniva interrotto e per il prolungamento (continuo) delle piogge i soldati non si potevano tenere più a lungo sotto le pelli. Cosi devastati tutti i loro campi, bruciati villaggi ed edifici, Cesare ritirò l'esercito e lo pose negli accampamenti invernali. Tra gli Aulirci, i Lessovi, e ugualmente tra le altre nazioni che recentemente avevano fatto la guerra.

QUARTO LIBRO
(Quarto anno della guerra gallica: 55 a. C.)
4.I.Il popolo dei Suebi, il più bellicoso di tutti i Germani.
In quell'inverno che seguì, e quello fu l'anno del consolato di Gn. Pompeo e M. Crasso, i Germani Usipeti, similmente i Tenteri con una grande massa di uomini passarono il fiume Reno non lontano dal mare, dove sfocia il Reno.La causa del transitare fu che tormentati per parecchi anni dai Suebi erano incalzati dalla guerra ed erano impediti nell'agricoltura.Il popolo dei Suebi è di gran lunga il più numeroso e più bellicoso di tutti i Germani.Si dice che questi hanno cento cantoni, da cui ogni anno dai loro territori traggono mille armati per ciascuno con lo scopo di combattere.Gli altri che son rimasti a casa, mantengono se stessi e gli altri. Questi a loro volta dopo un anno sono sotto le armi, quelli rimangono a casa. Così non viene in terrotta né il sistema dell'agricoltura né la pratica della guerra.Ma di terreno privato e separato presso di loro non c'è nulla, e non è permesso rimanere più a lungo di un anno nello stesso luogo a coltivare. Ma non vivono di frumento, ma per la massima parte di latte e bestiame e stanno molto a caccia.Questa abitudine per il genere di cibo e per l'esercitazione quotidiana e la libertà di vita, perché non assuefatti da bambini a nessun dovere o disciplina non fanno nulla contro la volontà, alimenta le forze e provoca uomini di enorme statura del corpo. E si sono abituati in questa consuetudine che in località freddissime non hanno nulla di vestiario eccetto pelli, ma a causa della scarsità di esse gran parte del corpo è scoperta, e si lavano nei fiumi.
4.II. Costumi dei Suebi ed esercizio delle armi..
I mercanti hanno accesso più per avere a chi vendere quello che han catturato con la guerra che per desiderare che si importi qualche cosa.Anzi di giumenti importati, di cui i Galli particolarmente e che procuraro, sborsata la somma, i Germani non li usano, ma quelli che siano nati presso di loro, piccoli e brutti, questi fanno sì che con l'esercizio quotidiano siano di resistentissima fatica. Nelle battaglie a cavallo spesso saltan giù da cavallo e combattono a piedi ed abituano i cavalli a rimanere nella stessa posizione, ad essi poi si ritirano velocemente quando ci sia bisogno. E secondo i loro costumi nulla è ritenuto più bruttoe più imbelle che usare le selle.Così osano affrontare qualsiasi numero di cavalieri sellati, anche se in pochi.Non tollerano assolutamente che si importi a loro il vino, perché pensano che con tale mezzo gli uomini si rammolliscani e diventino effeminati per sopportare la fatica.
4.III.Gli Ubi sottomessi dai Suebi.
Per lo stato ritengono sia grande prestigio che i campi siano liberi per gran tratto rispetto ai loro confini. Con questa cosa si dimostra che un gran numero di nazioni non hanno potuto sostenere la loro potenza. Così si dice che dalla parte dei Suebi i campi sono liberi per circa seicento mila passi.Presso l'altra parte si trovano gli Ubi, la cui nazione fu ricca e fiorente, come è la capacità dei Germani.Gli altri sono anche un po' più civili (di quelli) deella stessa razza, per il fatto che raggiungono il Reno e presso di loro vanno spesso i mercanti e perché essi per la vicinanza sono abituati ai costumi dei Galli.Costoro, poiché i Suebi avendo tentato spesso con molte guerre ad espellerli dai territori a causa della grandezza ed importanza, tuttavia se li fecero tributari e li resero molto più sottomessi e più deboli.
4.IV.Strage di Menapi fatta dai Germani e passaggio al di qua del Reno.
Nella stessa situazione furono Usipeti e Tenteri, che prima nominammo, che per parecchi anni sostennero la potenza dei Suebi, alla fine tuttavia espulsi dai terreni e dopo aver vagato per un triennio in molti luoghi della Germania giunsero al Reno, regioni che i Menapi abitavano. Questi avevano campi, edifici e villaggi su l'una e l'altra riva.Ma terrorizzati dall'arrivo di così grande massa emigrarono da quegli abitati che avevano avuto oltre il Reno e disposte guarnigioni al di qua del Reno impedivano ai germani di passare.Essi dopo aver tentato ogni cosa e non potendo passare di nascosto per la mancanza di navi e per i controlli dei Menapi, finsero di ritornare nelle loro sedi e regioni e avanzatisi per tre giorni di strada di nuovo ritornarono e, fatta tutta questa marcia in una sola notte con la cavalleria, schiacciarono i Menapi sorpresi e che non se l'aspettavano, e questi informati dagli esploratori della partenza dei Germani, senza paura ritornarono al di là del reno nei loro cantoni.Uccisi costoro ed occupate le loro navi, prima che quella parte dei Menapi, che era al di qua del Reno, fosse informata, passarono il fiume ed occupate tutte le loro abitazioni, si nutrirono per la restante parte dell'inverno con le loro provviste.
4.V.Volubilità dei Galli nel prendere decisioni.
Cesare informato di queste cose e temendo la leggerezza dei Galli, perché sono volubili nel prendere decisioni e per lo più aspirano a fatti nuovi, pensò di non fidarsi per nulla.Questo poi è (tipico) della abitudine gallica, che costringono i viaggiatori, anche se contrari, a fermarsi e indagano su ciò che ciascuno di loro abbia sentito o saputo su qualunque cosa ed il popolo circonda in città i mercanti e li costringe a rivelare da quali regioni vengano e quali cose lì abbiano saputo.Colpiti da questi fatti e racconti spesso intraprendono decisioni di estrema importanza, di cui è necessario che presto di pentano, essendo schiavi di chiacchiere incerte e parecchi (stranieri) rispondano favole alla loro voglia.
4.VI.Decisione di Cesare di far guerra ai Germani.
Saputa tele abitudine, Cesare, per non affrontare una guerra troppo rischiosa, parte più affrettatamente di quanto era solito verso l'esercito.Essendo arrivato là, seppe accadute quelle cose che aveva sospettato sarebbero avvenute:(che) eran state mandate ambascerie da parte di alcune nazioni ai Germani e che essi eran stati invitati a partire dal Reno: che da parte loro avrebbero preparato tutte le cose che avessero chiesto.Spinti da tale speranza i Germani ormai vagavano abbastanza ampiamente ed erano giunti nei territori degli Eburoni e dei condrusi, che sono clienti dei Treviri. Chiamati i capi della Gallia, Cesare pensò di dissimulare le cose che aveva saputo e lusingati i loro animi e rassicuratili, ordinata la cavalleria decise di far guerra contro i Germani.

4.VII. Ambasceria dei Germani a Cesare.
Preparato il vettovagliamento, scelti i cavalieri, cominciò a marciare in quei luoghi, in cui sentiva esserci i Germani.Essendo distante da loro una marcia di pochi giorni, vennero ambasciatori da parte di questi.Il loro discorso fu questo:i Germani non dichiaravano per primi guerra al popolo romano e tuttavia non rifiutavano, se fossero provocati, di scontrarsi con le armi, perché questa era tradizione dei Germani, tramandata dagli antenati, chiunque dichiari guerra, opporsi e non pregare.Tuttavia affermavano questo: eran venuti contro voglia, cacciati dalla patria; se i Romani volevano il loro favore, potevano essere per loro amici utili; o concedessero loro terreni o tollerassero quelli che possedevano con le armi; loro cedevano agli unici Suebi, a cui nemmeno gli dei immortali potrebbero essere pari; del resto sulla terra non c'era nessuno che non potessero vincere.
4.VIII. Risposta di Cesare di ripassare il Reno.
A queste espressioni Cesare rispose, quello che gli parve opportuno; ma la fine del discorso fu: per lui non ci poteva essere nessuna amicizia con loro, se rimanevano in Gallia;nonera giustocce quelli che non avevano potuto difendere i loro territori, occupassero gli altrui, che in Gallia nessun terreno era libero, da poter dare soprattutto ad una moltitudine così grande senza danno; ma era possibile, se volessero, fermarsi nei territori degli Ubi, cerano presso di lui ambasciatori e si lamentavano degli oltraggi dei Suebi e gli chiedevano aiuto;egli avrebbe ottenuto questo da parte degli Ubi.
4.IX. De Caesaris recusatione morae Germanis concedendae.
Gli ambasciatori dissero che avrebbero riferito ai loro e deliberato il caso, dopo il terzo giorno sarebbero ritornati.Intanto chiesero che egli non muovesse più vicino gli accampamenti. Neppure quello Cesare disse che gli si poteva chiedere. Aveva saputo infatti che era stata mandata da parte loro gran parte della cavalleria alcuni giorni prima per far bottino e vettovagliamento presso gli Ambavariti oltre la Mosa; riteneva si aspettassero questi cavalieri e che si facesse una tregua per tale motivo.
4.X. Informazioni sui fiumi Mosa e Reno, su posizione e abitanti..
La Mosa nasce dalla catena dei Vosgi, che è nel territorio dei Linoni, e ricevuta in una certa parte dal Reno, che si chiama Vacalo, forma l'isola dei Batavi e sfocia nel Reno non più lontano dall'Oceano di 80 mila passi.Il Reno nasce dai Lepontini, che abitano le Alpi e per lungo tratto passa rapido attraverso i territori di Nantuati, Elvezi, Sequani, Mediomatrici, triboli, Treviri e quando si è avvicinato all' Oceano si divide in parecchie parti, dopo aver fatte molte e grosse isole, la cui maggior parte è abitata da popolazioni feroci e barbare, tra cui ci sono quelli che si dice vivono di pesi e di uova di uccelli, e con molte foci sbocca nell'Oceano
4.XI.Seconda richiesta dei Germani di concedere una tregua.
Stando Cesare lontano dal nemico non più di 12 mila passi, come era stato stabilito, gli ambasciatori tornano da lui.Ed entri incontratisi in marcia pregavano molto che non procedesse più avanti.Non avendolo ottenuto, chiedevano che desse ordini a quei cavalieri che avevano preceduto la schiera e li distogliesse dallo scontro e di dar ad essi la possibilità di mandare ambasciatori dagli Ubi. Se i loro capi ed il senato avessero dato al parola con giuramento, dichiaravano che essi si sarebbero serviti di quella condizione che era data da Cesare: concedesse loro per portare a termine quelle cose un tempo di tre giorni.Cesare riteneva che tutte queste scuse mirassero allo stesso punto, che interposta una tregua di tre giorni, i loro cavalieri, che erano lontani, ritornassero, tuttavia disse che in quel giorno non sarebbe avanzato più di quattro mila passi a causa del bisogno di acqua; il giorno dopo tornassero là nel maggior numero possibile per giudicare delle loro richieste.Intanto ordina ai prefetti, che erano andati avanti con tutta la cavalleria di comandare di non provocare i nemici a battaglia, e se loro fossero provocati, resistessero fino a che lui fosse arrivato più vicino con l'esercito.
4.XII. Vile attacco dei Germani e morte dei due fratelli Aquitani.
Ma i nemici appena videro i nostri cavalieri, il cui numero era di cinque mila, mentre essi non avevano più di ottocento cavalieri, poiché quelli che erano andati oltre la Mosa per far provviste, non erano ancora tornati, mentre i nostri non temevano nulla, poiché i loro ambasciatori poco prima erano partiti da Cesare e quel giorno era stato da essi richiesto per la tregua, lanciato un attacco velocemente scompigliarono i nostri.Ma, resistendo i nostri, secondo la loro abitudine saltaron giù a piedi e colpiti da sotto i cavalli, e scavalcati parecchi nostri, misero in fuga gli altri e li resero così terrorizzati che no cessarono dalla fuga prima di esser giunti in vista della nostra schiera. In quello scontro vengono ammazzati settanta quattro dei nostri cavalieri, tra questi un uomo fortissimo Pisone Aquilano nato da nobile famiglia, il cui avo aveva tenuto il potere nella sua nazione, dichiarato amico dal nostro senato.Costui mentre portava aiuto al fratello chiuso tra i nemici, lo strappò dal pericolo, lui sbalzato dal cavallo ferito, fin che potè resistette molto audacemente; attorniato, essendo caduto dopo aver ricevuto molte ferite ed essendosi accorto di questo da lontano il fratello, che ormai era uscito dalla mischia, spronato il cavallo si buttò tra i nemici e allo stesso modo fu ucciso.
4.XIII.Occasione molto favorevole offerta dai vili Germani.
Fatta questa battaglia, Cesare pensava che ormai non doveva ascoltare gli ambasciatori né accogliere condizioni da parte loro, che avevano mosso la guerra con l'inganno e le insidie, dopo aver chiesto la pace; aspettare poi fin che le truppe dei nemici fossero aumentate e ritornasse la cavalleria, lo considerava di grande stoltezza e saputa la leggerezza dei Galli si accorgeva quanto di prestigio ormai presso di loro avessero ottenuto.Riteneva che non bisognava dare ad essi nessuno spazio (di tempo) per prendere decisioni.Stabilite queste cose e comunicato il piano con i legati ed il questore, di non rimandare nessun giorno per la battaglia, molto opportunamente accadde il fatto che il giorno seguente a quello di mattina, servendosi della stessa slealtà e falsità, usati tutti i capi ed anziani, numerosi vennero da lui, allo stesso tempo, come si diceva, per scusarsi, perché essi contrariamente a quello che era stato detto ed essi stessi avevano chiesto, avevano attaccato battaglia il giorno prima, e nello stesso tempo, perché, se potevano qualcosa, ingannando ottenessero per la tregua.Rallegratosi che gli si fodero presentati, Cesare, comandò di arrestarli, egli fece uscire tutte le truppe dagli accampamenti e la cavalleria, comandò che la schiera lo seguisse.
4.XIV. Assalto di Cesare agli accampamenti dei Germania.
Schierata una duplice fila e fatta velocemente la marcia di otto miglia giunsero agli accampamenti dei nemici, prima che i Germani potessero capire cosa fare.Essi improvvisamente atterriti da tutte le situazioni, e dalla velocità del nostro arrivo e dalla partenza dei loro, poiché non era stato concesso lo spazio né di prendere una decisione né di prendere le armi, erano turbati se fosse meglio guidare le truppe contro il nemico oppure difendere gli accampamenti o cercare scampo con la fuga. Essendo la loro paura espressa con lo scompiglio e la confusione, i nostri soldati spinti dalla slealtà del giorno precedente irruppero negli accampamenti.M su quel posto quelli che velocemente poterono prendere le armi, resistettero un poco ai nostri ed attaccarono lo scontro tra carri e carriaggi. Ma la restante massa di bambini e donne - infatti erano usciti dalla patria con tutti i loro ed avevano passato il Reno - cominciò a fuggire qua e là.Ad inseguirli, Cesare inviò la cavalleria.
4.XV.Strage di Germani e loro resa.
I Germani sentito alle spalle il grido, vedendo che i loro erano massacrati, gettate le armi ed abbandonate le insegne militari si cacciarono fuori dall'accampamento, ed essendo giunti alla confluenza della Mosa e del Reno, essendo la restante fuga disperata, massacrato un gran numero, gli altri si gettarono nel fiume e qui oppressi da paura, stanchezza, violenza del fiume perirono.I nostri incolumi fino all'ultimo, tutti, feriti in pochissimi dal terrore d'una guerra così grande, mentre il numero dei nemici era stato di quattrocento trenta mila persone, si ritirarono negli accampamenti.Cesare diede la possibilità a quelli, che aveva arrestato negli accampamenti di andarsene. Essi temendo le pene e le punizioni dei Galli, i cui Campi avevano devastato, dissero di voler restare presso di lui. Ad essi Cesare concesse la libertà.
4.XVI. Decisione di Cesare di passare il Reno.
Terminata la guerra germanica, per molti motivi Cesare stabilì di dover passare il Reno.Di esse questa fu la più importante, che vedendo che i Germani così facilmente erano spinti a venire in Gallia, volle che essi temessero anche per i loro beni, comprendendo che l'esercito del popolo romano e poteva e osava passare il Reno.Si aggiunse anche che quella parte della cavalleria di Usipeti e Tenteri, che prima ricordai aver passato il Reno per far preda e vettovagliamento, non aveva partecipato allo scontro, dopo la fuga dei loro si era ritirata oltre il Reno nei territori dei Sugambri e si era unita con essi.Avendo Cesare mandati ambasciatori presso di loro per chiedere che gli consegnassero quelli, che avevano dichiarato guerra a lui ed alla Gallia, risposero:(che) il Reno delimitava il potere del popolo romano;se pensava che non era giusto che i Germani passassero in Gallia, lui contrario, perché pretendeva ci fosse qualcosa di potere suo e di autorità oltre il Reno?Gli Ubi poi, che unici tra i Transrenani avevano mandato ambasciatori a Cesare, avevan pattuito amicizia, avevan dato ostaggi, molto insistevano di portare loro aiuto, perché erano incalzati pesantemente dai Svevi; (pensava che ) se però era impedito da impegni di stato, portasse almeno l'esercito oltre il Reno; questo sarebbe loro stato sufficiente per l'aiuto e per la speranza del tempo restante. Presso di loro la fama e la stima del popolo romano era così grande, sconfitto Ariovisto e conclusa questa ultima battaglia, fino alle ultime nazioni dei Germani, che per la stima e l'amicizia del popolo romano potevano essere sicuri.Promettevano grande quantità di navi per trasportare l'esercito.
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4.XVII. Decisione di Cesare di costruire un ponte sul Reno.
Cesare per quei motivi, che ricordai, aveva deciso di passare il Reno.Ma passare con navi non lo considerava abbastanza sicuro ne decideva non essere di prestigio né suo né del popolo romano.Così anche se si proponeva una grandissima difficoltà di fare il ponte per la larghezza la rapidità e la profondità del fiume, tuttavia riteneva che egli lo doveva tentare e non trasportare l'esercito diversamente.Organizzo questo progetto di ponte:due travi per volta di un piede e mezzo appuntite un poco in basso, misurate secondo la profondità del fiume le univa tra loro ad intervallo di due piedi.Queste le aveva piantate nel fiume con congegni e assicurate con battipali, ma non direttamente in perpendicolare (come) palafitte, ma obliquamente e con pendenza, perché si piegassero secondo la natura del fiume, ne disponeva ugualmente opposte a queste due divise allo stesso modo con intervallo di quaranta piedi dalla parte inferiore rivolte contro la forza e l'impeto del fiume. Queste coppie, messe sopra travi di due piedi, per quanto distava la congiunzione delle due travi, erano tenute dalla parte estrema da ambo le parti da due chiavi ( di legno).Essendo fermate e legate in pare contraria, la saldezza dell'opera era così grande e tale la natura delle cose, che , quanto maggiore si fosse alzata al forza dell'acqua, tanto più saldamente erano tenute legate. Queste erano collegate con legname diritto messo sopra ed erano coperti da tavole e graticci. E non di meno palafitte anche alla parte a valle del fiume erano collegate obliquamente, che sottoposte come un ariete e collegate con tutta l'opera sostenessero la forza del fiume ed ugualmente altre sopra il ponte a breve distanza, perché se da parte dei nemici fossero stati mandati tronchi di pianta o navi per distruggere l'opera, con queste difese la forza di quegli elementi sarebbe diminuita e non danneggerebbero il ponte.
4.XVIII. Resa di molti popoli e fuga dei Sugambri nelle selve.
Con dieci giorni, da quando il materiale si cominciò a raccogliere, completata tutta l'opera, l'esercito è fatto passare.Cesare, lasciata una forte guarnigione ad ambedue le parti del ponte, si diresse nei territori dei Sigambri.Intanto giungono la lui ambasciatori da parecchie nazioni.Poiché essi richiedevano pace ed amicizia, risponde generosamente e comanda gli siano portati ostaggi.Ma i Sigambri da quel momento che il ponte cominciò ad esser costruito, preparata la fuga, mentre li incitavano quelli, che avevano tra loro (provenienti) da Tenteri ed Usipeti, erano usciti dai loro territori, avevan portato via tutte le loro cose e si erano nascosti in isolamento e selve.

4.XIX.Paura dei Germani e ritorno di Cesare in Gallia..
Cesare, fermatosi per pochi giorni nei loro territori, dopo aver bruciato tutti i villaggi e le abitazioni, tagliati i cereali si ritirò nei territori degli Ubi e promesso ad essi il suo aiuto, se fossero oppressi dai Svevi, seppe da loro queste cose:( che) gli Svevi, essendosi accorti per mezzo degli esploratori che si faceva il ponte, tenuta l'assemblea secondo il loro costume, avevano inviato araldi in tutte le parti, perché partissero dalle città, mettessero nelle selve figli, mogli e tutte le loro cose e riunissero tutti, quelli che potevano portare armi in un sol luogo;questo era stato scelto quasi al centro di tutte quelle regioni che i Svevi occupavano.Qui aspettavano l'arrivo dei Romani e lì avevan deciso di scontrarsi.Quando Cesare lo seppe, raggiunti tutti quegli obiettivi, per i quali aveva deciso di far passare l'esercito, per incutere paura ai Germani, per vendicare i Sigambri, per liberare gli Ubi dall'assedio, trascorsi in tutto 18 giorni al di là del Reno, pensando si fosse fatto abbastanza sia per la gloria che per l'interesse del popolo romano, si ritirò in Gallia e tagliò il ponte.
4.XX. Piano di Cesare di partire per la Britannia.
Nella piccola parte restante dell'estate, Cesare, anche se in questi luoghi, poiché tutta la Gallia si volge a settentrione, tuttavia decide di partire per la Britannia, poiché capiva che in quasi tutte le guerre galliche di lì erano offerti aiuti ai nostri nemici, anche se il periodo dell'anno non bastava per fare una guerra, tuttavia riteneva che gli sarebbe stato di grande utilità, almeno se fosse andato sull'isola, avesse analizzato il tipo di gente, avesse esplorato luoghi, porti, accessi.Tutte cose che erano quasi sconosciute ai Galli.Nessuno infatti eccetto i mercanti nessuno va da loro facilmente e neppure ad essi stessi è noto qualcosa al di fuori della zona marittima e quelle regioni, che sono di fronte alla Gallia.Così chiamati a sé da ogni parte i mercanti non poteva nemmeno scoprire quanto grande fosse l'estensione dell'isola né quali o quanto importanti nazioni abitassero né quale tattica bellica avessero o di quali istituzioni si valessero né quali porti fossero idonei per una quantità di navi maggiori.
4.XXI.Esplorazione della Britannia per mezzo di Voluseno e l'atrebate Commio. .
Per conoscere queste cose, prima che ci fosse rischio, pensando che fosse adatto manda avanti C. Voluseno con nave da guerra, a costui raccomanda che, esplorate tutte le cose, torni al più presto. Egli con tutte le truppe parte per i Morini, perché di lì il tragitto per la Britannia è brevissimo.Qui ordina che si radunino le navi da ogni parte dalle regioni vicine e quella flotta che l'estate precedente aveva fatto costruire per la guerra contro i Veneti. Intanto, conosciuto il suo progetto e riferito per mezzo di mercanti ai Britanni da parte di parecchie nazioni di quell'isola vengono da lui ambasciatori, per promettere di dare ostaggi ed obbedire al comando del popolo romano.Ascoltatili, promettendo con generosità e dopo aver esortato di restare in quella decisione, li rimanda a casa ed insieme con essi manda Commio, che egli stesso, vinti gli Atrebati, lo aveva creato re, di cui lodava coraggio e saggezza, e che riteneva essergli leale ed il cui prestigio in quelle regioni era considerato molto.A costui ordina di avvicinare le nazioni, che potesse e di esortarle a seguire la lealtà del popolo romano e di annunciare che lui arriverà là velocemente.Voluseno, osservate tutte le regioni, per quanto di possibilità gli potè esser data, ma che non osava sbarcare dalla nave ed affidarsi ai barbari, al quinto giorno ritorna da Cesare e riferisce quelle cose che lì aveva osservato.
4.XXII.Resa dei Morini e grande preparativo per visitare la Britannia.
Mentre Cesare si ferma in quei luoghi per allestire le navi, dalla gran parte dei Morini giunsero a lui ambasciatori che si scusavano della decisione precedente, perché uomini barbari ed inesperti della nostra tradizione avevan fatto guerra al popolo romano e promettevano di fare le cose che lui avesse comandato.Cesare ritenendo che questo era accaduto opportunamente, poiché non voleva né lasciare il nemico alle spalle e non aveva la possibilità per il periodo dell'anno di fare la guerra né giudicava che bisognasse anteporre l'impegno di cose da poco alla Britannia, ordina loro un gran numero di ostaggi.Essendo stati condotti questi, li accoglie in protezione.Riunite circa 80 navi da carico, e raccolte quante pensava esser sufficienti per trasportare due legioni, quello che aveva in più tra le navi da guerra, questi lo consegnò ad un questore, a legati e prefetti.A questo s'aggiungevano 18 navi da carico, che erano bloccate dal vento a otto mila passi da quel luogo, di poter giungere nello stesso porto; queste le diede ai cavalieri.L'esercito rimanente lo diede ai legati Q. Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta, da guidare verso i Menapi ed in quei cantoni dei Morini, da parte dei quali non gli eran giunti ambasciatori;ordinò che il legato P. Sulpicio Rufo occupasse il porto con quella guarnigione che riteneva fosse sufficiente.
4.XXIII.Arrivo di Cesare in Britannia.
Decise queste cose colto il momento opportuno per navigare, quasi alla terza veglia sciolse le navi e comandò che i cavalieri avanzassero al porto più avanti, salissero sulle navi e lo seguissero.Mentre da parte di questi si agiva piuttosto lentamente, egli circa alla quarta ora del giorno con le prime navi toccò la Britannia e qui vide su tutte le colline le truppe dei nemici in posizione armate.La natura di quel luogo era questa ed il mare era delimitato così da strette montagne, che dalle postazioni superiori si poteva lanciare un giavellotto sul lido.Ritenendo che questo non fosse assolutamente un luogo adatto a sbarcare, aspettò nelle ancore fino all'ora nona fin che le altre navi giungessero là.Intanto chiamati i legati ed i tribuni dei soldati, rivelò quelle cose che eran state conosciute da Voluseno e le cose che voleva fare e raccomandò che, come la tattica del mondo militare e soprattutto le situazioni marittime richiedevano, come quelle che avevano movimento veloce e instabile, si facessero tutte le cose da parte loro al cenno e a tempo.Congedatili e colto nello stesso tempo vento e marea favorevole, dato il segnale e tolte le ancore, avanzatosi da quel luogo circa sette mila passi, fermò le navi su di un lido aperto e piano
4.XXIV.Difficoltà dei nostri di scendere dalle navi.
Ma i barbari, capito il piano dei Romani, mandata avanti la cavalleria e gli essedari, infatti sono soliti servirsi per lo più di tal genere nei combattimenti, venendo dietro con le altre truppe impedivano ai nostri di scendere dalle navi. C'era grandissima difficoltà per questi motivi, il fatto che le navi per la stazza non potevano fermarsi se non al largo, poi su luoghi sconosciuti ai soldati, con le mani impedite, oppressi dal grande e grave peso delle armi e nello stesso tempo bisognava e saltar giù dalle navi e fermarsi tra le onde e combattere con i nemici, mentre quelli o dall'asciutto o avanzati un poco in acqua, con tutte le membra libere, su luoghi notissimi lanciavano audacemente giavellotti e spronavano cavalli addestrati. I nostri atterriti da queste cose ed inesperti del tutto di questo genere di battaglia usavano non la stessa sveltezza e animo, con cui eran soliti nelle battaglie di fanteria.
4.XXV. Sommo valore dell'aquilifero e sbarco dei soldati.
Quando Cesare se ne accorse, comandò che le navi lunghe (da guerra), il cui aspetto era per i barbari troppo inusuale ed il movimento più veloce all'uso, si allontanassero un poco dalle navi da carico e che accelerassero coi remi e si ponessero al lato scoperto dei nemici e di lì i nemici fossero respinti e cacciati con fionde, frecce, macchine.Questa tattica per i nostri fu di grande utilità. Infatti spaventati dall'aspetto delle navi e dall'accelerazione dei remi e dall'inusuale genere di macchine, i barbari si fermarono e poi un poco ripiegarono. Ma ai nostri soldati che esitavano soprattutto per la profondità del mare, quello che portava l'aquila della decima legione, invocati gli dei perché quella azione riuscisse fortunatamente per la legione, "Saltate giù, disse, compagni, se non volete consegnare l'aquila ai nemici; io certamente faro il mio dovere per lo stato e per il comandante."Avendo detto questo a gran voce, si gettò dalla nave e cominciò a portare l'aquila contro i nemici.Allora i nostri esortandosi tra loro, perché non si permettesse un così grande disonore, tutti saltaron giù dalla nave.Similmente avendo visto costoro dalle navi vicine, seguendoli si avvicinarono ai nemici.
4.XXVI.Aspra battaglia e fuga dei nemici.
Si combattè aspramente da entrambi (gli eserciti). I nostri tuttavia, per il fatto che non potevano conservare le file né fermarsi saldamente né avanzare le insegne, e uno da una nave l'altro da altra si aggregava a qualunque insegna si era imbattuto, erano fortemente scompigliati. I nemici invece, essendo conosciuti tutti i bassifondi, appena avevano visti alcuni scendere dalla nave da soli, spronati i cavalli, li assalivano (mentre erano) impacciati, in molti circondavano pochi, altri dal lato scoperto lanciavano armi contro tutti. Avendo notato questo, Cesare, ordinò di riempire di soldati i battelli delle navi da guerra ed ugualmente le imbarcazioni di vedetta, e quelli che aveva visti in difficoltà, ad essi inviava rinforzi. I nostri finalmente si fermarono all'asciutto, riunitisi tutti i loro, fecero un assalto contro i nemici e li mandarono in fuga, e non poterono proseguire più lontano, perché i cavalieri non avevano potuto tenere la rotta e toccare l'isola. Questo solo mancò a Cesare per la consueta sorte.
4.XXVII.Resa dei nemici e ritorno dell'atrebate Commio.
I nemici vinti dallo scontro appena si ripresero dalla fuga, subito mandarono ambasciatori da Cesare; promisero di dare gli ostaggi e di fare tutto quello che avesseordinato.Insieme con questi ambasciatori giunse l'atrebate Commio, che prima abbiamo detto mandato avanti da Cesare in Britannia.Questo sceso dalla nave, mentre portava ad essi le istruzioni di Cesare secondo la usanza dell'ambasciatore, essi l'avevano catturato e buttato in catene.Poi avvenuto lo scontro lo rimandarono e nel chiedere la pace attribuirono la colpa di quella cosa alla folla e chiesero che si perdonasse per l'ignoranza.Cesare lamentatosi perché, dopo aver mandati ambasciatori nel continente gli avevano chiesto la pace e vavevano mosso guerra senza motivo, disse di perdonare l'ignoranza ed ordinò gli ostaggi. Essi parte ne diedero subito, parte, fatta venire da località piuttosto lontane, dissero che li avrebbero dati.Intanto ordinarono di ritornare nelle loro campagne ed i capi cominciarono a riunirsi da ogni parte e raccomandare a Cesare se stessi e le loro nazioni.
4.XXVIII.Improvvisa tempesta e cavalleria ricacciata in Gallia.
Rafforzata da pace con questi adempimenti, il quarto giorno dopo che si era giunti in Britannia, le 18 navi di cui primasi è parlato, che avevano preso i cavalieri, salparono dal porto più lontano con vento leggero.Mentre si avvicinavano alla Britannia e si vedevano dagli accampamenti, improvvisamente scoppiò una tempesta così grande che nessuna di esse poteva tenere la rotta, ma alcune erano riportate là donde erano partite, altre erano scagliate con loro grave rischio verso al parte inferiore dell'isola, che è più vicino al tramonto del sole.Esse tuttavia, gettate le ancore, mentre eran sommerse dai flutti, necessariamente portate al largo, sopraggiunta la notte, si diressero al continente.
4.XXIX. Disfatta di parecchie navi e paura dei nostri per l'inverno.
Nella stessa notte accadde che ci fosse la luna piena, e quel giorno è solito provocare nell'Oceano le più grandi maree marittime, e questo ai mostri era sconosciuto.Così in uno stesso tempo sia le navi da guerra, con cui Cesare aveva fatto trasportare l'esercito e quelle che aveva tirato in secco, la marea le riempiva, la tempesta le colpiva ed ai nostri non era data alcuna possibilità o di controllare o di porre rimedio.Distrutte parecchie navi ed essendo le altre legate con funi alle ancore e perdute le restanti attrezzature inutili per navigare, il turbamento di tutto l'esercito, cosa che era necessario accadere, diventò grande.Infatti non c'erano altre navi, con cui si potesse trasportare e mancavano tutte le cose che erano di utilità per ricostruire le navi, e, poiché era chiaro a tutti che bisognava svernare in Gallia, in quei luoghi non si era provvisto il frumento per l'inverno.

4.XXX.Ribellione dei nemici contro Cesare.
Sapute queste cose, i capi della Britannia, che dopo la battaglia erano venuti da Cesare, dopo aver parlato tra loro, comprendendo che ai Rimani mancavano, cavalieri, navi e frumento e conoscendo il piccolo numero dei soldati dalla esiguità degli accampamenti, che erano anche più piccoli per questo, perché Cesare aveva trasportato le legioni senza carriaggi, pensarono ottima cosa da farsi, ripresa la guerra, impedire ai nostri rifornimento e vettovagliamento e portare la situazione all'inverno, perché, vinti questi e impediti dal ritorno, confidavano che in seguito nessuno sarebbe passato in Britannia per dichiarare guerra.Così di nuovo, fatta un'alleanza, a poco a poco cominciarono ad uscire dagli accampamenti e di nascosto richiamare i loro dalle campagne.

4.XXXI. Decisione di Cesare di ricostruire le navi.
Ma Cesare, anche se non aveva conosciuto i loro piani, tuttavia e dalla rovina delle sue navi e dal fatto, che avevano smesso di dare ostaggi, sospettava che sarebbe avvenuto ciò che accadde.Così preparava soccorsi per tutte le evenienze.Infatti sia quotidianamente portava frumento dalle campagne sia quelle navi che erano state colpite moto gravemente, usava il loro materiale ed il bronzo per rifare le altre e quelle cose che erano di utilità per quei fini, ordinava si portassero dal continente.Così, essendosi operato con sommo impegno da parte dei soldati, pur essendosi perse 12 navi, fece sì che per le altre si potesse navigate adeguatamente.
4.XXXII.Improvviso attacco dei nemici.
Mentre si facevano quelle cose, inviata una sola legione, secondo sua abitudine, per approvvigionarsi di frumento, quella che si chiamava settima, mentre parte degli uomini restava nei campi, parte anche veniva negli accampamenti, quelli che erano in guardia davanti alle porte, riferirono a Cesare che un polverone maggiore, che l'abitudine recava, si vedeva in quella parte proprio verso la parte cui aveva fatto marcia la legione.Cesare quello che aveva sospettato, che si intraprendesse qualcosa di nuovo da parte dei barbari, comandò che le coorti che erano di guardia partissero con lui verso quella parte, che due delle altre vi subentrassero per la guardia, le altre si armassero e subito lo seguissero. Essendo avanzato un poco più lontano dagli accampamenti, capì che i suoi erano incalzati dai nemici e resistevano con difficoltà e serrata la legione da tutte le parti si lanciavano giavellotti. Infatti poiché dalle altre parti, essendo stato mietuto tutto il frumento, una sola parte era restante, sospettando i nemici che i nostri sarebbero venuti qui, di notte si erano nascosti nelle selve. Poi assaliti subito quelli che erano sparsi, deposte le armi, occupati a mietere, uccisi alcuni, avevano dispersi gli altri in file incerte, nello stesso tempo avevano circondato con cavalleria e carri.
4.XXXIII. Genere di battagli dagli essedi.
Il genere di battaglia dai carri è questo: anzitutto cavalcano per tutte le parti e lanciano giavellotti e con il terrore stesso dei cavalli e lo strepito delle ruote per lo più scompigliano le file, e una volta che si sono insinuati tra le squadre dei cavalieri, saltano giù dai carri e combattono a piedi.Gli aurighi intanto si ritirano un poco dalla mischia e collocano i carri così che , se essi sono incalzati dalla folla dei nemici, hanno libero rifugio presso i loro.Così negli scontri superano la mobilità dei cavalieri, la stabilità dei soldati e con la pratica e l'esercizio quotidiano riescono tanto, che sono abituati a frenare i cavalli al galoppo in un luogo in pendio e scosceso e controllare in breve (spazio) e piegare e correre su per il timone e fermarsi sul giogo e di l' ritirarsi molto velocemente sui carri.
4.XXXIV. Arrivo di Cesare breve ritirata dei nemici.
Essendo i nostri turbati da queste cose per la novità del combattimento in un momento molto propizio Cesare portò aiuto.Infatti al suo arrivo i nemici si fermarono, i nostri si ripresero dalla paura. Ritenendo che fosse occasione sfavorevole per provocare il nemico ed attaccare battaglia, si mantenne nella sua posizione e trascorso un breve tempo ricondusse le legioni negli accampamenti.Mentre si compivano queste cose, essendo tutti i nostri occupati, gli altri che erano nelle campagne si allontanarono.Seguirono per parecchi giorni tempeste frequenti, da tenere i nostri negli accampamenti e bloccare il nemico dallo scontro.Intanto i barbari inviarono in tutte le parti araldi e annunciarono ai loro la esiguità dei nostri soldati e rivelarono quale grande facilità fosse data di fare bottino e liberarsi per sempre, se avessero cacciato i Romani dagli accampamenti.Con tali situazioni, raccolta velocemente una grande moltitudine di fanteria e cavalleria, giunsero agli accampamenti.
4.XXXV. Attacco dei nemici , loro fuga e strage .
Cesare anche se vedeva che sarebbe accaduto proprio quello che era successo nei giorni precedenti, che se i nemici fossero stati respinti, con la velocità avrebbero sfuggito il pericolo, tuttavia ottenuti 30 cavalieri, che l'atrebate Commio, di cui si è detto precedentemente, aveva portato con sé, schierò le legioni in ordine davanti agli accampamenti. Attaccata battaglia i nemici non poterono sostenere più a lungo l'attacco dei nostri soldati e voltarono le spalle. Ma avendoli inseguiti per tanto spazio, quanto poterono con la corsa e le forze, uccisero parecchi tra loro, poi bruciati in lungo ed in largo tutte le abitazioni, si ritirarono negli accampamenti.
4.XXXVI. Resa dei nemici e ritorno di Cesare in Gallia.
Nello stesso giorno ambasciatori inviati dai nemici per la pace giunsero da Cesare.Per questi Cesare raddoppiò il numero degli ostaggi che aveva ordinato e comandò che fossero condotti nel continente, perché nella giornata vicina dell'equinozio non riteneva che navi insicure dovessero sottoporre la navigazione ad una tempesta.Egli colto l'occasione opportuna poco dopo la mezza notte sciolse le navi.Quelle giunsero nel continente tutte incolumi.Ma due di esse da carico non poterono raggiungere gli stessi porti, che le altre (raggiunsero) e furono portate un poco più lontano.
4.XXXVII.Attacco dei vili Morini e vittoria dei nostri.
Da queste navi essendo sbarcati circa trecento soldati e dirigendosi agli accampamenti, i Morini, che Cesare partendo per la Britannia aveva lasciato in pace, spinti dalla speranza di bottino, dapprima con un numero non così grande dei loro accerchiarono ed ordinarono, se essi non volevano essere uccisi, di deporre le armi.Poichè quelli, fatto un cerchio, si difendevano, al grido giunsero velocemente circa seimila uomini.Annunciata la cosa, Cesare dagli accampamenti mandò in aiuto tutta la cavalleria. Intanto i nostri soldati sostennero l'attacco dei nemici e per più di quattro ore combatterono molto valorosamente e ricevute poche perdite uccisero parecchi di essi.In seguito dopo che la nostra cavalleria giunse in vista, i nemici, gettate le armi, voltarono le spalle ed un gran numero di loro fu ucciso.
4.XXXVIII. Accampamenti invernali tra i Belgi e riti per venti giorni a Roma, voluti dal Senato.
Cesare il giorno dopo mandò il legato T. Labieno con quelle legioni, che aveva riportato dalla Britannia, contro i Morini che avevano fatto una ribellione.Ma essi a causa delle siccità delle paludi, dove si ritiravano, non avevano, il rifugio di cui s'erano serviti l'anno precedente, quasi tutti vennero in potere di Labieno.Ma i legati Q. Titurio e L. Cotta che avevano guidato le legioni nei territori dei Menapi, devastati tutti i loro campi, tagliati i cereali, perché i Menapi si erano nascosti tutti in densissime selve, si riportarono da Cesare.Cesare stabilì gli accampamenti invernali di tutte le legioni tra i Belgi. Dalla Britannia due nazioni in tutto mandarono là gli ostaggi, le altre (lo) tralasciarono.Per queste imprese (conosciute) dalle lettere di Cesare, fu decretato dal Senato un rendimento di grazie di venti giorni.

5.I. Ritorno di Cesare in Italia e costruzione delle navi.
Sotto il consolato di L. Domizio ed Ap.Claudio, Cesare partendo dagli accampamenti verso l'Italia, come ogni anno era solito fare, ordina ai legati, che aveva messo a capo delle legioni, che durante l'inverno di prodigassero di costruire il maggior numero possibile di navi e di riparare le vecchie.Insegna il loro modello e la forma. Per la velocità di caricarle e metterle in secco le fece un poco più basse, di quelle di cui siamo soliti servirci nel nostro mare, e questo tanto più perché sapeva che lì per i continui cambiamenti delle maree le ondate si facevano meno grandi, per i carichi (invece) e per trasportare la quantità di giumenti (le fece) un poco più larghe di quelle che usiamo negli altri mari.Tutte queste comanda di farle rapide, e per tale uso la bassezza aiuta molto.Quelle cose che sono di utilità per armare le navi, ordina che siano portate dalla Spagna.Egli concluse le sessioni giudiziarie della Gallia citeriore parte per l'Illirico, perché sentiva che da parte dei Pirusti la parte confinante della provincia veniva devastata.Giunto là, ordina soldati alle nazioni e comanda di radunarsi in un luogo preciso.Per tale fatto i Pirusti inviano a lui degli ambasciatori, che rivelano che nessuna di quelle cose è stata fatta per decisione pubblica, e dichiarano di essere pronti in tutti i modi di soddisfare agli oltraggi.Accolto il loro discorso Cesare ordina ostaggi e comanda che siano portati una giornata precisa, dichiara (altrimenti) che avrebbe perseguito la nazione con una guerra. Essendo essi stati portati alla data, come aveva ordinato, dà dei giudici tra le nazioni che valutino la lite e stabiliscano la pena.
5.II. Preparazione di cesare per la Britannia ed intervento contro i Treviri.
Terminate queste imprese e concluse le sessioni, ritorna nella Gallia citeriore e di là parte per l'esercito.Essendo giunto là, circondati tutti gli accampamenti invernali con la singolare cura dei soldati, nella massima scarsezza di tutte le cose, trovò allestite circa seicento navi di quel genere, di cui sopra parlammo, e ventotto da guerra, allestite e non mancava molto che in pochi giorni potessero essere varate.Lodati i soldati e quelli che erano stati a capo dell'impresa, dichiara che cosa voglia che si faccia ed ordina che tutti si radunino al porto di Izio, da questo porto aveva saputo che era molto facile esser portati in Britannia, passaggio a circa 30 mila passi dal continente .Per questa cosa, di soldati ne lascia quello che sembrò sufficiente. Egli con quattro legioni senza bagagli e 350 cavalieri parte per i territori dei Treviri, poiché essi non venivano alle assemblee né obbedivano all'ordine e si diceva sollecitassero Germani e Transrenani.
5.III.Il popolo dei Treviri, i loro capi Induziomaro e Cingetorige..
Questa nazione è di gran lunga la più potente di tutta la Gallia in cavalleria, ha grandi truppe di fanti e tocca, come prima dicemmo, il Reno.In quella nazione contendevano per la supremazia due, Induziomaro e Cingetorige.Tra questi uno, appena si seppe dell'arrivo di Cesare e delle legioni, venne da lui ed assicurò che lui e tutti i suoi sarebbero stati all'impegno e non si sarebbero allontanati dall'amicizia del popolo romano e rivelò le cose che si facevano tra i Treviri.Ma Induziomaro decise di radunare cavalleria e fanteria e nascosti quelli che non potevano essere in armi a causa dell'età nella selva Ardenna, che per la enorme estensione attraverso i territori dei Treviri dal fiume Reno arriva all'inizio dei Remi, e preparare la guerra.Ma dopo che alcuni capi tra quella nazione, spinti anche dal prestigio di Orgetorige ed atterriti dall'arrivo del nostro esercito, vennero da Cesare ed cominciarono a chiedergli a proposito dei loro affari in privato, poiché non potevano provvedere per la nazione, Induziomaro temendo di essere abbandonato da tutti, manda ambasciatori da Cesare: (dicendo che) lui per questo non s'era allontanato dai suoi e non era voluto venire da lui, per mantenere più facilmente nell'impegno la nazione, perché con la partenza di tutta la nobiltà la plebe per ignoranza non cadesse;e così la nazione era in suo potere e lui, se Cesare permetteva, sarebbe venuto negli accampamenti e avrebbe affidato i beni suoi e della nazione alla sua parola.
5.IV.Pace fatta da Cesare tra i Treviri Cingetorige ed Induziomaro..
Cesare anche se capiva per quale motivo fossero dette quelle cose e quale situazione lo distogliesse dal piano stabilito, tuttavia, per non essere costretto a consumare l'estate tra i Treviri, dopo aver preparato tutte le cose per la guerra britannica, ordinò che Induziomaro venisse da lui con duecento ostaggi.Portati questi, tra essi il figlio e tutti i suoi parenti, che aveva chiamato per nome, dopo aver rassicurato Induziomaro lo esortò a tenersi all'impegno; non di meno convocati presso di sé i capi dei Treviri, conciliò questi singolarmente con Cingetorige, poiché capiva che per suo merito si poteva agire da parte sua (di Cesare), poi riteneva che interessava molto che il suo prestigio valesse il più possibile tra i suoi, avendo visto una così nobile amicizia nei propri confronti.Tale fatto Induziomaro lo tollerò male, che il suo favore diminuisse tra i suoi e chi già prima era stato verso di noi di animo ostile, molto più pesantemente bruciò per questo dolore.
5.V.Decisione di Cesare di portare con sé anche i capi della Gallia.
Sistemate queste cose, Cesare giunse al poro di Izio con le legioni.Qui viene a sapere che 60 navi, che erano state fatte tra i Meldi, per una tempesta non avevano potuto tenere la rotta ed erano ritornate là donde erano partite.Le altre le trovò pronte a navigare ed allestite con tutte le cose.Là giunse la cavalleria di tutta la Gallia nel numero di quattro mila ed i capi da tutte le nazioni.Tra questi aveva deciso di lasciare pochissimi, la cui fedeltà verso di sé aveva ben controllato, in Gallia, gli altri di portarli con sé come ostaggi, perché temeva una ribellione della Gallia, quando lui fosse lontano.
5.VI.Volontà dell'eduo Dumnorige di restare in Gallia.
C'era insieme con gli altri l'eduo Dumnorige, di cui prima da parte nostra si è parlato.Aveva deciso di tenere costui anzitutto con sé, poiché aveva conosciuto avido di cose nuove, avido di potere, di grande coraggio, di grande autorevolezza tra i Galli.A questo si aggiungeva il fatto che già nell'assemblea degli Edui Dumnorige aveva sostenuto che il potere della nazione gli era stato conferito da Cesare; ma questa espressione gli Edui mal tolleravano e non osavano mandare ambasciatori a Cesare per contestare o implorare. Tale fatto Cesare l'aveva saputo da suoi ospiti. Quello prima con tutte le suppliche prese a chiedere di esser lasciato in Gallia, in parte perché non abituato a navigare temeva il mare, in parte perché diceva essere impedito da scrupoli religiosi. Dopo che vide che questo gli era ostinatamente negato, tolta ogni speranza di ottenerlo, cominciò a sollecitare i capi della Gallia, a chiamarli in disparte uno ad uno e ad esortare a restare nel continente:(diceva che) non senza motivo accadeva che la Gallia era spogliata di tutta la nobiltà; questo era il piano di Cesare, che quelli che temeva di far fuori al cospetto della Gallia, tutti questi, fatti passare i Britannia, li uccidesse;offriva la parola agli altri, chiedeva giuramento per affrontare con decisione comune quello che avessero compreso essere di utilità alla Gallia.Queste cose eran riferite a Cesare da parecchi.
5.VII.Uccisione di Dumnorige che rifiuta l'ordine di Cesare.
Saputa questa cosa, Cesare, poiché tributava un così grande onore alla nazione edua, decideva di costringere e spaventare Dumnorige con tutti i mezzi che potesse;ma, poiché vedeva che la sua pazzia avanzava troppo, si doveva provvedere che in qualcosa potesse nuocere a lui ed allo stato (romano). Così fermatosi in quel luogo circa 25 giorni, poiché il vento Coro impediva la navigazione, e questo è solito soffiare gran parte di ogni stagione in quei luoghi, faceva opera di mantenere Dumnorige nell'impegno, non di meno di sapere tutti i suoi piani.Finalmente colta l'occasione favorevole comanda che soldati e cavalieri salgano sulle navi.Ma mentre gli animi di tutti erano indaffarati, Dumnorige con i cavalieri degli Edui, all'insaputa di Cesare, cominciò ad allontanarsi dagli accampamenti verso la patria.Annunciato tale fatto, Cesare, interrotta la partenza e rimandati tutti gli impegni, manda gran parte della cavalleria ad inseguirlo e comanda che sia riportato;se facesse resistenza e non obbedisse, ordina di ucciderlo, pensando che costui, in sua assenza, non avrebbe fatto nulla di sano, avendo trascurato il comando di (Cesare) presente.Egli però richiamato cominciò a resistere a difendersi con la forza ed implorare la lealtà dei suoi, spesso gridando che lui era libero e di una nazione libera.Essi, come era stato comandato, circondano l'uomo e l'ammazzano.I cavalieri edui così ritornano tutti da Cesare.
5.VIII. Arrivo di Cesare in Britannia.
Fatte queste imprese, lasciato Labieno sul continente con tre legioni e due migliaia di cavalieri, per proteggere i porti e provvedere al vettovagliamento, e sapere le cose che si facevano in Gallia, e prendere decisione a seconda della opportunità e della situazione, egli con cinque legioni e numero di cavalieri pari (a quello) che lasciava sul continente, al calar del sole sciolse le navi e portato dal leggero Africo, a mezzanotte circa cessato il vento, non tenne la rotta e portato più lontanodalla marea, sorta la luce vide la Britannia lasciata a sinistra.Poi di nuovo seguendo il cambiamento della marea si diresse coi remi per raggiungere quella parte dell'isola. Dove l'estate precedente aveva scoperto esserci un ottimo sbarco.Ma in quella situazione il valore dei soldati fu da lodare molto, essi infatti con navigli da carico pesanti, senza interrompere la fatica di navigare uguagliarono la corsa delle navi da guerra.Si arrivò alla Britannia con tutte le navi quasi a mezzogiorno, ed in quel luogo il nemico non fu visto. Ma come poi Cesare seppe dai prigionieri, essendo giunte lì molte squadre, spaventate dalla quantità delle navi, queste infatti con quelle dell'anno prima e le private, che ognuno aveva costruito per sua utilità, nello stesso tempo ne furono viste più di ottocento, (i nemici) si erano allontanati dal lido e si eran nascosti in luoghi superiori.
5.IX.Primo assalto di Cesare contro i nemici.
Cesare, sbarcato l'esercito ed occupato un luogo adatto per gli accampamenti, quando seppe dai prigionieri in quale luogo le truppe dei nemici si erano fermate, lasciate presso il mare dieci coorti e trecento cavalieri, che fossero di guardia alle navi, alla terza veglia si diresse contro il nemico, temendo per questo di meno per le navi, perché le lasciava legate alle ancore su di un lido sabbioso ed aperto.Mise a capo di quella guarnigione Q. Atrio. Egli avanzando di notte circa 12 mila passi notò le truppe dei nemici.Essi avanzando lungo il fiume con cavalleria e carri cominciarono a fermare i nostri dalla postazione superiore ed attaccare battaglia.Respinti dalla cavalleria si nascosero nelle selve, raggiunti un luogo straordinariamente protetto e dalla natura e dalla fortificazione, che, come sembrava, avevano predisposto già prima a causa di una guerra intestina; infatti tagliati molti alberi tutti gli ingressi erano bloccati.Essi sparsi combattevano dalle selve ed impedivano ai nostri di entrare dentro le fortificazioni.Ma i soldati della settima legione, fatta una testuggine e costruito un terrapieno vicino alle fortificazioni occuparono la postazione e li cacciarono dalle selve, ricevute poche perdite. Ma Cesare proibì di inseguirli troppo mentre fuggivano sia perché ignorava la natura del luogo sia perché, passata gran parte del giorno, voleva che si lasciasse tempo per la fortificazione degli accampamenti.
5.X.Grave danneggiamento delle navi per una gravissima tempesta.
Il giorno seguente a quello, di mattina, fatte tre schiere, mandò in spedizione soldati e cavalieri per inseguire quelli che erano fuggiti. Avanzatisi questi un po' di strada, mentre ormai gli ultimi erano in vista, giunsero da Cesare cavalieri da parte di Q. Atrio per dire che la notte precedente, sorta una gravissima tempesta, quasi tutte le navi erano state danneggiate e scagliate sul lido, perché ne le ancore né le funi resistevano né marinai e piloti potevano contrastare la violenza della tempesta;così da quello scontro di navi era stato subito un grave danneggiamento.
5.XI. Decisione di Cesare di ricostruire le navi e ritorno contro Cassivellauno.
Sapute queste cose, Cesare ordina di richiamare le legioni e la cavalleria e di resistere durante la marcia, egli ritorna alle navi;quasi le stesse cose che aveva saputo da araldi e lettere, lo vede di persona, così che sembrava che, perdute circa 40 navi, le altre si potessero riparare con grande impegno.Così dalle legioni sceglie operai e ordina che se ne chiamino altri dal continente;scrive a Labieno che costruisca il maggior numero possibile di navi con quelle legioni che sono presso di lui.Egli, anche se la cosa era di molta fatica ed impegno, tuttavia decise che era utilissimo si tirassero in secca tutte le navi e con una sola fortificazione si unissero agli accampamenti.trascorse circa 10 giorni in queste cose, non tralasciati neppure i momenti di notte per il lavoro dei soldati.Tirate in secca le navi e fortificati egregiamente gli accampamenti, lascia le stesse truppe che prima ( aveva lasciato) a difesa per le navi, egli parte per lo stesso luogo donde era venuto. Essendo giunto là, già da ogni parte parecchie truppe dei Britanni s'erano riunite, affidato per comune decisione il massimo grado di potere e di dirigere la guerra a Cassivellauno, i cui territori li divide dalle nazioni marittime il fiume che si chiama Tamigi, circa a 80 mila passi dal mare.Per costui nel periodo precedente erano intercorse continue guerre con le altre nazioni.Ma al nostro arrivo i Britanni sconvolti avevano eletto costui per tutta la guerra ed il comando.

5.XII. Natura della Britannia interna e costumi degli abitanti..
La parte interna della Britannia è abitata da coloro che essi stessi dicono tramandato dalla memoria esser nati nell'isola, la parte marittima da coloro erano emigrati dal Belgio per far preda e bottino - e tutti quelli si chiamano con quei nomi delle nazioni, dalle quali nazioni originari, giunsero là - e provocata la guerra sono rimasti lì e cominciarono a coltivare i campi. C'è una moltitudine infinita di uomini e densissime abitazioni quasi simili alle (abitazioni) galliche, un numero enorme di bestiame.Usano o bronzo o moneta d'oro o verghe di ferro valutate secondo un peso preciso al posto della moneta.Qui si trova lo stagno (piombo bianco) nelle regioni interne, nelle costiere il ferro, ma la sua quantità è esigua; usano bronzo importato.C'è materiale di qualunque genere, come in Gallia, eccetto il faggio e l'abete.Pensano non sia lecito assaggiare lepre, gallina, oca;questi (animali) però li allevano per passione e piacere. I luoghi sono più moderati che in Gallia per i freddi più miti.
5.XIII.Altre informazioni sui luoghi della Britannia.
L'isola è per natura triangolare, un lato solo di essa è di fronte alla Gallia.Un secondo angolo di questo lato, che si trova verso Canzio, dove quasi tutte le navi dalla Gallia approdano, volge verso il sole nascente, quello più basso (volge) a mezzogiorno.Questo lato misura circa cinquanta mila passi.Il secondo volge verso la Spagna ed il sole che tramonta.Da quella parte si trova l'isola Ibernia, minore della metà come si penda della Britannia, ma il tragitto dalla Gallia alla Britannia è di pari spazio.In questa rotta al centro c'è l'isola che si chiama Mona; sono contate inoltre parecchie isole minori contrapposte; alcuni scrissero su queste isole che in inverno la notte è di trenta giorni continui.Noi non scoprivamo nulla su ciò vedevamo, se non che vedevamo che da precise misurazioni con l'acqua (clessidre) le notti erano più brevi che nel continente.La lunghezza di questo lato è, come racconta la loro credenza, di settecento miglia.Il terzo (lato) è verso settentrione; a questa parte non è contrapposta nessuna terra, ma l'angolo di quel lato guarda soprattutto alla Germania.Si stima che questo sia di lunghezza ottocento mila passi. Così tutta l'isola è di venti volte cento mila (duemila) passi di perimetro.
5.XIV.Usanze dei Britanni.
Tra tutti questi di gran lunga i più civili sono quelli che abitano Canzio, e tutta quella regione è marittima e non differiscono molto dalla tradizione gallica.Parecchi interni non seminano cereali, ma vivono di latte e carne e sono vestiti di pelli.Tutti i Britanni poi si tingono di guado, che produce un colore ceruleo, e per questo in battaglia sono piuttosto spaventosi d'aspetto; sono di capigliatura lunga e di ogni parte del corpo rasata eccetto il capo ed il labbro superiore.Ogni dieci o dodici hanno mogli comuni e soprattutto fratelli con fratelli e genitori con figli.Ma se alcuni sono nati da questi, sono considerati figli di quelli, da cui ogni (donna da ) ragazza è stata presa la prima volta.
5.XV.Battaglia dei cavalieri e fuga dei nemici.
I cavalieri dei nemici e gli essedari dei nemici si scontrarono aspramente in battaglia con la nostra cavalleria durante la marcia, tuttavia così che o nostri furono superiori in tutte le parti e li respinsero nelle selve e sui colli.Ma essendone stati uccisi parecchi (dei nemici), inseguendo (i nostri) piuttosto accanitamente persero alcuni dei loro. Ma quelli frapposto dello spazio ( di tempo), essendo i nostri disattenti ed occupati nella fortificazione degli accampamenti, improvvisamente si slanciarono dalle selve e fatto un assalto contro quelli che erano stati posti di guardia davanti agli accampamenti, combatterono aspramente, ed inviate da Cesare in aiuto due coorti, e queste le prime di due legioni, essendosi esse fermate con pochissimo spazio interposto tra loro, spaventati i nostri dal nuovo genere di battaglia, molto audacemente ruppero in mezzo e si li si ritrassero incolumi.In quel giorno viene ucciso Q. Liberio Druso, tribuno dei soldati. Quelli, accorse parecchie coorti, sono respinti.
5.XVI.Tattica di guerra dei nemici e difficoltà dei nostri.
In tutto questo genere di battaglia scontrandosi sotto gli occhi di tutti e davanti agli accampamenti, si capì che i nostri per la pesantezza delle armi, poiché non potevano inseguire chi cedeva e non osavano allontanarsi dalle insegne, erano meno adatti contro un nemico di tal genere, che i cavalieri pure si scontravano in battaglia con grave rischio, per il fatto che quelli anche d'accordo per lo più cedevano e dopo aver allontanato un poco i nostri dalle legioni, saltavano giù dai carri ed attaccavano a piedi con mischia impari.La tattica dunque dello scontro di cavalleria offriva uguale e pari pericolo sia ritirandosi (i nostri) che inseguendo.Si aggiungeva a questo che mai combattevano serrati, ma sparsi ed a grandi intervalli ed avevano guarnigioni appostate ed alcuni a vicenda sostituivano gli altri e i freschi e riposati si avvicendavano agli spossati.

5.XVII.Improvviso attacco e fuga dei nemici.
Il giorno dopo lontano dagli accampamenti i nemici si fermarono sui colli e cominciarono a mostrarsi sparsi e provocare i nostri cavalieri più fiaccamente del giorno prima.Ma a mezzogiorno, avendo Cesare inviato tre legioni e tutta la cavalleria per foraggiare col legato C. Trebonio, improvvisamente da tutte le parti volarono contro i foraggiatori, così che non erano lontani dalle insegne e dalle legioni.I nostri, fatto un assalto contro di essi aspramente li respinsero e non posero fine dell'inseguimento, fin che i cavalieri confidando nella protezione, vedendo dietro a sé le legioni, volsero i nemici precipitosi ed ucciso un gran numero di loro, non diedero la possibilità né di raccogliersi né di resistere né di saltare giù dai carri. Da quella fuga, le truppe ausiliarie che erano giunte da ogni parte si allontanarono e dopo quella occasione mai i nemici si scontrarono con noi con grandissime truppe.
5.XVIII.Attacco dei nostri presso il Tamigi e fuga dei nemici.
Cesare, saputo il loro piano, guidò l'esercito presso il fiume Tamigi nei territori di Cassivellauno;questo fiume però solamente in un unico luogo ed in questo a fatica si può passare a piedi.Essendo giunto là, s'accorse che sull'altra riva c'erano schierate grandi truppe di nemici.La riva poi era fortificata con pali appuntiti e conficcati, pali dello stesso genere conficcate sott'acqua erano coperte dal fiume.Sapute queste cose da disertori e prigionieri, Cesare, mandata avanti la cavalleria, ordinò che le legioni lo seguissero subito. Ma i soldati avanzarono con tale celerità e con tale impeto, stando fuori dall'acqua con la sola testa, che i nemici no potevano sostenere l'impeto delle legioni e dei cavalieri ed abbandonavano le rive e si davano alla fuga.
5.XIX.Tattica di guerra di Cassivellauno e piano di Cesare.
Cassivellauno, come dicemmo prima, deposta ogni speranza di contesa, congedate le truppe maggiori, lasciati circa quattro mila essedari, seguiva le nostre marce ed un poco s'allontanava dal percorso e si nascondeva in luoghi impervi e selvosi ed in quelle regioni, in cui aveva saputo che noi avremmo marciato, e cacciava mandrie ed uomini dai campi nelle selve e, quando la nostra cavalleria si spandeva troppo liberamente nei campi per devastare e predare, da tutte le strade e sentieri conosciuti mandava essedari dalle selve e con grande pericolo dei nostri cavalieri si scontrava con questi e con questa paura impediva di vagare più in largo.Restava che Cesare non permettesse di allontanarsi troppo dalla schiera delle legioni e si nuocesse ai nemici col devastare campi e fare incendi tanto, quanto i soldati legionari potevano realizzare durante la fatica e la marcia.
5.XX.Ambasceria a Cesare dei Trinovanti per chiedere amicizia.
Intanto i Trinovanti, forse la nazione più salda di quelle regioni - da cui il giovane Mandubracio seguendo la protezione di Cesare era venuto da lui sul continente, e suo padre aveva detenuto il potere in quella nazione ed era stato ucciso da Cassivellauno, ed egli (Mandubracio) aveva evitato la morte con la fuga -, mandano ambasciatori a Cesare e promettono di arrendersi e di eseguire gli ordini;chiedono che difenda Mandubracio dall'attacco di Cassivellauno e lo rimandi alla nazione, per guidarla e tenere il potere.A questi Cesare comanda 40 ostaggi e vettovagliamento per l'esercito e manda ad essi Mandubracio.Essi velocemente eseguirono gli ordini, inviarono ostaggi secondo il numero e vettovagliamento.
5.XXI.Assedio della città di Cassivellauno.
Difesi i Trinovanti e protetti da ogni danneggiamento dei soldati, Cenimagni, Segontiaci, Ancaliti, Bibroci, Cassi, inviate ambascerie, si arrendono a Cesare.Da essi viene a sapere che la città di Cassivellauno distava da quel luogo non molto e fortificata da selve e paludi, dove era riunito un numero abbastanza grande di uomini e bestiame.I Britanni però chiamano città, quando hanno fortificato selve bloccate da trincea e fossato, dove sono soliti riunirsi per evitare l'incursione dei nemici.Vi si dirige con le legioni. Trova un luogo egregiamente difeso da natura e fortificazione.Tuttavia decide di assalirlo da due parti.I nemici resistendo un poco non sopportarono l'assalto dei nostri soldati e si lanciarono da un'altra parte della città.Qui fu trovato un gran numero di bestiame, molti furono catturati in fuga ed uccisi
5.XXII. Rivolta di Cassivellauno ed ambasceria di pace.
Mentre queste cose accadono in questi luoghi, Cassivellauno invia a Canzio, che dicemmo trovarsi sul mare, nelle regioni in cui comandavano quattro re, Cingetorige, Carvilio, Tassimagulo, Segovace, degli ambasciatori ed a questi ordina che radunate tutte le truppe assalgano gli accampamenti navali all'improvviso e li espugnino.Essendo essi giunti agli accampamenti, i nostri, fatta una sortita, uccisi molti di essi, catturato anche il nobile comandante Lugotorige, riportarono i loro incolumi.Cassivellauno, annunciato questo combattimento, ricevuti tanti danni, devastati i territori, soprattutto colpito dalla defezione delle nazioni, manda ambasciatori a Cesare per mezzo dell'atrebate Commio per la resa.Cesare avendo deciso di svernare nel continente a causa dei repentini movimenti della Gallia, e non restando molto dell'estate, e comprendendo e che ciò facilmente si poteva protrarre, ordina ostaggi e stabilisce quanto di tributo la Britannia pagasse nei singoli anni al popolo romano; minaccia e comanda a Cassivellauno di non nuocere a Mandubracio ed ai Trinovanti.
5.XXIII.Ritorno di Cesare in Gallia.
Ricevuti gli ostaggi riconduce l'esercito al mare, trova le navi ricostruite.Tratte queste in secca, sia perché aveva un gran numero di prigionieri ed alcune tempeste avevano rovinato le navi, decise di riportare l'esercito con due convogli. E così accadde che da un così grande numero di navi per tante navigazioni né in questo né nell'anno precedente assolutamente nessuna nave, che potava soldati, si rimpiangeva ma tra quelle che venivano rimandate a lui vuote dal continente sia del primo convoglio dopo aver sbarcato i soldati sia quelle che Labieno si era premurato di costruire nel numero di 60, pochissime raggiungevano il luogo, quasi tutte le altre venivano respinte.Ma avendole aspettate invano per un poco, Cesare, per non essere escluso dalla navigazione dal periodo dell'anno, poiché era vicino l'equinozio, mise i soldati più strettamente del necessario, sopraggiunta una grandissima bonaccia, essendo salpato alla seconda veglia, alla prima luce toccò terra e ricondusse tutte le navi incolumi.
5.XXIV. Sistemazione delle legioni negli accampamenti invernali di parecchie città.
Tirate in secco le navi, conclusa l'assemblea dei Galli a Samarobriva, poiché in quell'anno il vettovagliamento in Gallia era giunto troppo scarsamente per le siccità, fu obbligato a sistemare l'esercito negli accampamenti invernali diversamente dagli anni precedenti e distribuire le legioni in parecchie nazioni.Tra queste una la diede da guidare tra i Morini al legato C. Fabio, una seconda tra i Nervi a Q. Cicerone, la terza tra gli Essuvi a L. Roscio; la quarta ordinò che svernasse tra i Remi con Q. Trebonio nel confine dei Treviri; tre le pose in Belgio; ad esse mise a capo il questore M. Crasso ed i legati L. Minucio Planco e C. Trebonio.Mandò una legione, che aveva arruolato recentemente oltre il Po, e 5 coorti tra gli Eburoni, la cui maggior parte è tra la Mosa ed il Reno, che erano sotto il potere di Ambiorige e Catuvolco.Ordinò che a questi soldati fossero a capo Q. Titurio Sabino e L. Aurunculeio Cotta.In questo modo distribuite le legioni pensò che si potesse rimediare molto più facilmente alla scarsità di vettovaglie.E gli accampamenti invernali tuttavia di tutte queste legioni eccetto quella che aveva dato a L. Roscio da portare in una parte molto tranquilla e calmissima, erano contenute entro cento mila passi.Egli intanto, fino a quando avesse saputo sistemate le legioni e fortificati gli accampamenti, decise di fermarsi in Gallia.
5.XXV.Uccisione di Tasgezio, amico di Cesare, tra i Carnuti.
C'era tra i Crnuti Tasgezio, nato da nobile famiglia, i cui antenati nella loro nazione avevano tenuto il potere.A costui Cesare per il suo valore e l'affetto verso di lui, poiché in tutte le guerre si era servito della sua opera singolare, aveva restituito il ruolo degli antenati.Mentre già regnava da tre anni gli avversari apertamente uccisero costui, essendo molti i promotori (provenienti) dalla nazione. Quel fatto è deferito a Cesare.Egli temendo, poiché coinvolgeva parecchi, che la nazione per loro istigazione si ribellasse, comanda che L. Planco con la legione parta velocemente dal Belgio verso i Carnuti e lì sverni, e mandi da lui catturatili, coloro per la cui opera aveva saputo che Tasgezio era stato ucciso. Intanto fu informato da tutti i legati e dai questori a cui aveva assegnato le legioni che si era giunti agli accampamenti invernali ed il luogo per gli accampamenti invernali era stato fortificato.
5.XXVI.Improvvisa rivolta di Ambiorige e Catuvolco e tradimento.
Circa dopo quindici giorni che si giunse negli accampamenti invernali, sorse l'inizio di una improvvisa rivolta e ribellione da parte di Ambiorige e Catuvolco.Essi dunque essendo stati ad attendere ai confini del loro regno Sabino e Cotta ed avendo portato il vettovagliamento negli accampamenti invernali, spinti dai messaggeri del treviro Induziomaro sobillarono i loro ed improvvisamente uccisi gli approvvigionatori di legna con una grossa squadra vennero ad assediare gli accampamenti. Avendo i nostri prese rapidamente le armi e saliti sul trinceramento e mandati da una parte i cavalieri ispanici, essendo riusciti vincitori con uno scontro di cavalleria, essendo la situazione disperata, i nemici ritirarono i loro dall'assedio. Poi come loro abitudine gridarono che qualcuno dei nostri uscisse al colloquio: (dicendo che) essi avevano cose che volevano dire di comune interesse, sulle cui cose speravano che le controversie si potessero minimizzare.
5.XXVII.Scusa di Cingetorige.
Viene mandato presso di loro il cavaliere romano C. Arpinio, amico di Q. Titurio, ed un tale Q. Iunio della Spagna, che già prima era solito andare e venire da Ambiorige per mandato di Cesare.Davanti a loro Ambiorige parlò in questo modo:(diceva che ) lui doveva riconoscere moltissimo per i benefici nei suoi confronti di Cesare, perchè per intervento suo era stato liberato dal tributo, che era solito pagare ai loro confinanti Atuatuci, e perché gli erano stati liberati sia il figlio che il figlio del fratello, che gli Atuatuci, sebbene inviati in condizione di ostaggi, avevano tenuto in schiavitù ed in catene.Ma quello che aveva fatto per l'assedio degli accampamenti, non l'aveva fatto per decisione o volontà sua, ma per costrizione della nazione, ed i suoi poteri erano di tal genere che la folla non aveva meno autorità verso di lui che lui verso la folla.Quindi per la nazione la causa di guerra era stata questa, che non aveva potuto resistere alla improvvisa alleanza dei Galli.Facilmente per la sua pochezza lo poteva testimoniare, perché non era a tal punto inesperto delle cose da sperare con le sue truppe di superare il popolo romano.Ma il piano della Gallia era comune:era questo il giorno stabilito per espugnare tutti gli accampamenti invernali di Cesare, perché una legione non potesse venire in aiuto all'altra. Non facilmente come Galli avevano potuto dir di no a dei Galli, soprattutto perché sembrava giusto una decisione presa per recuperare la comune libertà.Ma poiché aveva dato soddisfazione ad essi per amor di patria, ora aveva morivo di dovere per i benefici di Cesare; chiedeva, pregava Titurio di ospitalità, di provvedere alla salvezza sua e dei soldati. Una grande schiera assoldata di Germani avevano passato il Reno; questa si sarebbe avvicinata in due giorni.La loro (dei Romani) decisione era, se volevano prima che i confinanti se ne accorgessero, riportare i soldati fatti uscire dagli accampamenti invernali o presso Cicerone o Labieno, uno dei quali era lontano da loro circa cinquanta mila passi, l'altro poco di più. Lui prometteva questo e lo confermava con giuramento, avrebbe concesso una marcia sicura attraverso i suoi territori.Facendo questo, egli provvedeva sia alla (sua) nazione, perché era sollevata da accampamenti invernali, e restituiva a Cesare il favore per i suoi meriti. Fatto questo discorso Ambiorige parte.
5.XXVIII.Lite nell'assemblea dei Romani.
Arpinio e Giunio, riferiscono ai legati, quello che avevano udito.Essi turbati dal fatto improvviso, anche se quelle cose erano dette da un nemico, pensavano tuttavia che non si dovessero trascurare e soprattutto erano scossi da questa cosa, che a stento si doveva credere che la nazione sconosciuta e povera degli Eburoni avesse osato fare guerra al popolo romano di sua iniziativa.Così riferiscono la cosa al consiglio e nasce tra esse una grande controversia.L. Auruncukeio e parecchi tribunu dei soldati ed i centurioni dei primi ordini giudicavano che non si doveva far nulla alla leggera e non si doveva partire dagli accampamenti invernali senza l'ordine di Cesare;sostenevano che con gli accampamenti invernali fortificati si potevano sostenere quante si voglia, anche grandi truppe di Germani, un fatto era a testimonianza, che avevano sostenuto il primo attacco dei nemici molto valorosamente, pur avendo inferte per giunta molte perdite; non erano preoccupati per il vettovagliamento; intanto stavano per arrivare rinforzi dagli accampamenti invernali vicini e da Cesare; infine cosa c'era di più sciocco o più brutto che prendere decisione su affari importantissimi su iniziativa del nemico?

5.XXIX.Parere di Titurio di partire contro i nemici.
Contro tali pareri Tiburio gridava che avrebbero agito tardi, quando maggiori truppe di nemici, unitisi i Germani, si fossero riunite, o quando nei vicini accampamenti invernali si fosse ricevuto un qualcosa di disastroso. Il momento di decidere era breve. Pensava che Cesare fosse partito per l'Italia;altrimenti i Carnuti non avrebbero presa la decisione di uccidere tasgezio, e gli Eburoni, se ci fosse presente lui, non sarebbero giunti agli accampamenti con così grande disprezzo di noi.Lui non guardava al nemico suggeritore, ma alla realtà;il Reno era vicino; per i Germani era di grande dolore la morte di Ariovisto e le nostre precedenti vittorie;la Gallia ridotta sotto il potere del popolo romano dopo aver ricevuti tanti oltraggi, bruciava, estinta la precedente fama di tattica militare. Infine chi si persuadeva in questo, che Ambiorige esse giunto ad una decisione di tal genere senza una sicura speranza? Il suo parere era certo in entrambe le direzioni;se non ci fosse nulla di troppo duro, con nessun rischio sarebbero giunti alla legione vicina; se tutta la Gallia si accodasse con i Germani, l'unica salvezza sarebbe stata posta nella velocità.Veramente il piano di Cotta e di quelli che dissentivano, quale esito avrebbe?In questo se non un pericolo presente, certamente però si doveva temere la fame per il lungo assedio.
SESTO LIBRO
(Sesto anno della guerra gallica: 53 a. C.)
6.I. Leve concesse dal proconsole Pompeo a Cesare per amicizia.
Per molte cause Cesare aspettando una maggiore sollevazione della Gallia decise di fare una leva per mezzo dei legati M. Silano, C. Antistio Regino, T. Sestio.
Contemporaneamente chiede al proconsole Gn. Pompeo, poiché egli rimaneva presso Roma col comando per motivo di stato, che, quelli che aveva chiamato dalla Gallia Cisalpina con giuramento consolare, ordinasse di raggiungere le insegne e di partire alla volta di lui (Cesare), pensando anche che importasse molto per il tempo successivo per la stima della Gallia che si vedessero le risorse dell'Italia così grandi, che, se in guerra si fosse ricevuto qualcosa di danno, non solo quello si risarcisse in breve tempo, ma anche si potesse incrementare con truppe maggiori. Ed avendolo concesso Pompeo per (motivi di) stato e di amicizia. Terminata velocemente la leva per mezzo dei suoi, organizzate prima della fine dell'inverno tre legioni e guidatele, e raddoppiato il numero di quelle coorti che aveva perduto con Q. Titurio, sia con la velocità che con le truppe insegnò cosa potessero la disciplina ed i mezzi del popolo romano.

6.II. Alleanza dei Treveri con Ambiorige.
Tolto di mezzo Induziomaro, come rivelammo, il comando è concesso ai suoi parenti da parte dei Treveri. Essi non desistono dal sollecitare i confinanti Germani e promettere denaro.
Non potendo ottenere dai vicini, tentano i lontani.
Trovate alcune nazioni si rassicurano tra loro con giuramento e con gli ostaggi garantiscono per il denaro; si uniscono Ambiorige con alleanza e patto.
Sapute queste cose, Cesare vedendo che da ogni parte si preparava la guerra, che Nervi, Atuatuci, Menapi, aggiuntisi tutti i Germani Transrenani, erano in armi, che i Senoni non venivano secondo l'ordine e scambiavano piani con Carnuti e nazioni confinanti, che i Germani erano sollecitati dai Treveri con frequenti ambascerie, pensò che dovesse riflettere più adeguatamente alla guerra.
6.III. Strage e resa dei nervi; concilio di tutta la Gallia indetto da Cesare.
Così non trascorso ancora l'inverno, raccolte quattro legioni vicine all'improvviso si diresse nei territori dei Nervi e, prima che essi potessero o riunirsi o fuggire, catturato un gran numero di bestiame e di uomini, e concessa quella preda ai soldati, devastati i campi, li costrinse a venire alla resa e dargli
ostaggi.
Conclusa velocemente quella impresa di nuovo ricondusse le legioni negli accampamenti invernali.
Indetto il concilio della Gallia in primavera, come aveva deciso, mentre gli altri eccetto Senoni, Carnuti e Treveri, erano arrivati, pensando essere questo l'inizio della guerra e della ribellione, tanto che sembrava (giusto) anteporre tutto trasferisce l'assemblea a Lutezia dei Parisi.
Questi erano confinanti dei Senoni ed al tempo degli antenati avevano unito la nazione, si pensava fossero lontani da questo piano. Detta questa cosa dalla tribuna nello stesso giorno parte con le legioni dai Senoni e vi arriva a marce forzate.

6.IV.Resa di senoni e Carnuti.
Conosciuto il suo arrivo, Accone, che era stato l'iniziatore di quella decisione, ordina che la moltitudine si riunisca in città.
Ai Carnuti viene annunciato, prima che si potesse fare ciò, che ci sono i Romani.
Necessariamente desistono dall'idea e mandano ambasciatori a Cesare per supplicarli; si presentano per il tramite degli Edui, sotto la cui protezione si trovava la nazione dall'antichità.
Volentieri Cesare, chiedendolo gli Edui, concede il perdono ed accoglie la scusa, poiché riteneva che l'estate fosse tempo di imminente guerra, non di processo.
Comandati i cento ostaggi li consegna da custodire agli
Edui.
Nello stesso luogo i Carnuti mandano ambasciatori e ostaggi, servendosi come intermediari dei Remi, nella cui clientela si trovavano; portano le stesse risposte. Cesare conclude l'assemblea e comanda cavalieri alle nazioni.
6.V.Piano di Cesare contro Ambiorige e marcia contro i Messapi .
Pacificata questa parte della Gallia con intelligenza e coraggio si dà tutto per la guerra di Treveri e di Ambiorige.
Comanda che Cavarino con la cavalleria dei Senoni parta con lui, perché non ci sia nessuna ribellione della nazione per il rancore di costui o per quell'odio, che aveva meritato.
Stabilite queste cose, poiché aveva per risaputo che non avrebbe indotto Ambiorige allo scontro, indagava con attenzione gli altri suoi piani.
I Menapi erano vicini ai territori degli Eburoni, fortificati da continue paludi e selve, che unici non avevano mai inviato ambasciatori a Cesare per la pace.
Sapeva che Ambiorige aveva vincolo di ospitalità con essi; ugualmente aveva saputo che tramite i Treveri era venuto in amicizia con i Germani.
Pensava che bisognava togliergli questi aiuti prima che lo provocasse con la guerra, perché, disperato lo scampo, o si nascondesse dai Menapi o fosse costretto ad unirsi ai Tranrenani.
Presa questa decisione, manda i carriaggi di tutto l'esercito da Labieno presso i Treveri e comandano che partano due legioni verso di lui, egli con cinque legioni libere parte per
i Menapi.
Quelli, radunata nessuna squadra, confidando nella difesa del luogo si rifugiano nelle selve e nelle paludi e là portano le loro cose.

6.VI. Resa dei Menapi.
Cesare, divise le truppe col legato C. Fabio ed il questore M. Crasso, costruiti velocemente dei ponti, avanza su tre fronti, incendia abitazioni e villaggi, s'impossessa di gran numero di bestiame e di uomini.
Costretti da queste cose, i Menapi inviano Ambasciatori a lui per chiedere la pace.
Egli, ricevuti gli ostaggi, conferma che li avrebbe considerato nel numero dei nemici, se avessero accolto nei loro territori o Ambiorige o i suoi ambasciatori.
Rafforzate queste posizioni, lascia l'atrebate Commio tra i Menapi in qualità di custode con la cavalleria, egli parte contro i Treveri.
6.VII.Piano di Labieno di fingere paura verso i Treveri.
Mentre da parte di Cesare si facevano queste cose, i Treveri, raccolte grandi truppe di fanteria e cavalleria, si preparavano ad assalire Labieno con una sola legione, che aveva svernato nei loro territori. Ed ornai non erano lontani da lui più di una marcia di due giorni, quando vengono a sapere che erano giunte due legioni per ordine di Cesare. Posti gli accampamenti a quindici mila passi decidono di aspettare gli aiuti dei Germani.
Labieno saputo il piano dei nemici sperando che per la loro impazienza sarebbe capitata qualche possibilità di scontrarsi, lasciata una guarnigione di 5 coorti per i carriaggi, con 15 coorti e con una numerosa cavalleria parte contro il nemico e lasciato in mezzo uno spazio d mille passi fortifica gli accampamenti.
C'era tra Labieno ed il nemico un fiume di difficile passaggio e con rive scoscese.
Egli né aveva in animo di passare questo né pensava che l'avrebbero attraversato i nemici.
Ogni giorno aumentava la speranza di aiuti.
Parla apertamente all'assemblea, poiché si diceva che i Germani si avvicinavano, lui non avrebbe messo a rischio le sorti sue e dell'esercito ed il giorno dopo alla prima luce avrebbe levato gli accampamenti. Velocemente queste cose vengono riferite ai nemici, poiché tra un gran numero di cavalieri galli la natura costringeva che alcuni favorissero le cose galliche.
Labieno di notte, radunati i tribuni dei soldati ed i primi ordini, rivela cosa ci sia di suo piano e, per dare ai nemici più facilmente il sospetto di paura, comanda di levare gli accampamenti con chiasso e disordine maggiore di quanto porti la consuetudine del popolo romano.
Con queste cose rese la partenza simile ad una fuga.
Queste cose prima della luce vengono riferite tramite gli esploratori ai nemici in così grande vicinanza di accampamenti.
6.VIII. Improvviso attacco di Labieno e fuga dei nemici.
L'ultima schiera (la retroguardia) era appena uscita fuori dalle fortificazioni, quando i Galli rincuoratisi tra di loro per non perdere la preda sperata - (dicendo che) era lungo aspettare l'aiuto dei Germani, essendo i Romani terrorizzati, e la loro dignità non tollerava di non osare assalire con così grandi truppe una squadra così piccola, soprattutto che fuggiva ed impacciata - non esitano a passare il fiume e attaccare battaglia in postazione sfavorevole.
Ma Labieno sospettando che sarebbe accaduto, per attirare tutti al di qua del fiume, usando la medesima finzione di marcia avanzava tranquillamente. Poi mandati avanti un poco i carriaggi e dislocatili su di una altura "Avete, disse, soldati, la opportunità che avete cercato;
tenete il nemico in un luogo difficile e sfavorevole: offrite a noi comandanti lo stesso valore che molto spesso avete offerto al vostro generale (Cesare), e pensate che lui è presente e vede queste cose di persona."
Contemporaneamente comanda che le insegne si girino contro il nemico e che la schiera avanzi, e lasciate poche squadre di guardia ai carriaggi, dispone gli altri cavalieri ai lati.
Velocemente i nostri, alzato il grido, lanciano i giavellotti contro i nemici. Quelli, quando al di là dell'attesa, videro quelli che poco prima credevano in fuga, venire contro di loro con le insegne contro, no poterono sostenere l'impeto e al primo scontro mandati in fuga di diressero alle selve vicine.
Avendoli quindi inseguiti, Labieno, fattone fuori un gran numero, catturatine parecchi, dopo pochi giorni accolse la (resa della) città.
Infatti i Germani che venivano in aiuto, sentita la fuga dei Treveri, si diressero in patria.
Con questi i parenti di Induziomaro, che erano stati autori della ribellioni, accompagnandoli se ne andarono dalla nazione. A Cingetorige, che fin dall'inizio abbiamo detto esser rimasto all'impegno, fu consegnato il comando ed il potere.

6.IX.Piano di cesare di costruire un ponte e resa degli Ubi..
Cesare, dopo che giunse (provenendo) dai Menapi ai Treveri, decise di passare il Reno per due motivi;
uno di questi era il fatto che avevano mandato aiuti ai Treveri contro di lui, il secondo, perché Ambiorige non avesse accoglienza da loro. Decise queste cose, poco più sopra a quel luogo, dove aveva fatto passare l'esercito, ordinò di costruire un ponte. Essendo conosciuto e stabilito il sistema, con grande sforzo dei soldati, in pochi giorni l'opera è compiuta.
Lasciato tra i Treveri una forte guarnigione presso il ponte, perché nessuna ribellione sorgesse da parte di questi, fa passare le altre truppe e la cavalleria.
Gli Ubi che prima avevano dato ostaggi ed erano venuti alla resa, per scusarsi gli mandano ambasciatori, a dire che né dalla loro nazione erano stati inviati aiuti verso i Treveri né da loro era stata violata la lealtà; chiedono e scongiurano di perdonarli, perché per il comune odio dei Germani (loro) innocenti non pagassero il fio al posto di colpevoli; promettono, se volesse un di più di ostaggi, che sia dato.
Saputo il motivo, Cesare scopre che gli aiuti erano stati mandati dagli Svevi, accolse la giustificazione degli Ubi, indaga (per sapere) gli accessi ed le strade verso gli Svevi.
6.X. Decisione degli Svevi di aspettare l'arrivo di Cesare alla selva di Baceni.
Intanto dopo pochi giorni viene informato dagli Ubi che gli Svevi radunano tutte le truppe in uno stesso luogo e ordinano alle nazioni che sono sotto il loro potere di inviare aiuti di fanteria e di cavalleria.
Conosciute queste cose provvede il vettovagliamento, sceglie un luogo adatto per gli accampamenti; ordina agli Ubi di portare via le mandrie e di radunare tutte le loro cose dai campi in città, sperando che uomini barbari ed inesperti spinti dalla mancanza delle cibarie possano essere indotti ad una sfavorevole condizione di combattere; comanda di inviare continui esploratori dagli Svevi e sapere le cose che si fanno presso di loro.
Essi eseguono i comandi e trascorsi pochi giorni riferiscono: ( che) tutti gli Svevi, dopo che erano giunte notizie piuttosto sicure sull'esercito dei Romani, con tutte le truppe loro e degli alleati, che avevano radunato, si erano raccolti completamente agli estremi confini; lì c'era una selva di infinita grandezza, che si chiama Baceni; questa si estende molto all'interno e gettata come un muro naturale blocca da danneggiamenti ed incursioni i Cherusci dagli Svevi e gli Svevi dai Cherusci. All'inizio di quella selva gli Svevi avevano deciso di aspettare l'arrivo dei Romani.

6.XI.Tradizioni della Gallia e della Germania.
Poiché si è giunti a questo luogo, non sembra
essere strano riflettere sulle tradizioni della Gallia e della Germania e in che cosa queste nazioni differiscano
tra loro. In Gallia ci sono dei partiti non solo in tutte le nazioni e in tutti i villaggi e frazioni, ma quasi anche nelle singole case e sono capi di quei partiti, coloro che sono stimati avere
il massimo prestigio secondo il loro parere, all'arbitrio
e giudizio dei quali vada la conclusione di tutte le cose e decisioni.
E sembra che ciò sia stato organizzato anticamente a causa di quel motivo, perché nessuno tra la plebe mancasse di aiuto contro uno più potente. Nessuno infatti sopporta che i suoi siano oppressi o circuiti, altrimenti se lo facesse, non ha più alcun prestigio tra i suoi. Questo è un metodo nel complesso di tutta la Gallia; infatti tutte le nazioni sono divise in due partiti.
6.XII.I due partiti della Gallia: Edui e Sequani.
Quando Cesare venne in Gallia, capi di un partito erano gli Edui, dell'altro i Sequani.
Questi valendo di meno in sé, perché anticamente
la totalità del prestigio era negli Edui e le loro
clientele erano grandi, si erano alleati i Germani ed
Ariovisto e li avevano attirati a sé con grandi danni e
promesse.
Fatti quindi parecchi scontri favorevoli e fatta fuori tutta la nobiltà degli Edui erano cresciuti così tanto in potenza, da trascinare a sé dagli Edui gran parte dei clienti e ricevere da essi come ostaggi i figli dei capi e costringere a giurare pubblicamente di non intraprendere nessuna decisione contro i Sequani e possedere la parte del territorio confinante,occupata per mezzo della forza, e mantenere il potere di tutta la Gallia.
Spinto da questa necessità Diviziaco partito per Roma per chiedere aiuto al senato, era ritornato, senza concludere l'impresa. All'arrivo di Cesare, avvenuto il cambiamento, restituiti gli ostaggi agli Edui, ripristinate le vecchie clientele, procuratene nuove grazie a Cesare, perché quelli che si erano aggregati alla loro amicizia, vedevano che godevano di migliore condizione e potere più giusto, essendo amplificata per le altre cose il loro favore e prestigio, i Sequani avevano perso la supremazia. Al loro posto erano succeduti i Remi; e poiché si capiva che essi li eguagliavano in favore presso Cesare, quelli che a causa di antiche inimicizie in nessun modo potevano essere uniti agli Edui, si davano ai Remi per la clientela.
Essi li difendevano attentamente; così ottenevano una nuova autorevolezza e raccolto improvvisamente; ed allora la situazione era in uno stato tale che di gran lunga i capi erano ritenuti gli Edui, i Remi detenevano in secondo posto di prestigio.

6.XIII. Due classi di persone in Gallia.
In tutta la Gallia di quelle persone che sono in qualche stima ed onore, ci sono due classi.
Infatti la plebe è considerata quasi alla maniera di schiavi, ed essa nulla osa da sé, non è usata per nessuna decisione.
Parecchi quando sono oppressi o da debito o da
quantità di tributi o da oltraggio di più potenti, si offrono in schiavitù.
I nobili hanno su questi tutti gli stessi diritti che i padroni (hanno) sugli schiavi.
Ma tra queste due classi la prima è dei druidi, la seconda dei cavalieri.
Quelli intervengono nei riti sacri, curano i sacrifici pubblici e privati, interpretano le cose religiose.
Presso questi accorre un gran numero di giovani per l'educazione e questi presso di loro sono in grande onore.
Infatti decidono di quasi tutte le controversie pubbliche e private, e se è stato commesso qualche delitto, se c'è stata una uccisione, se la controversi è per l'eredità, per i confini, ugualmente giudicano e decidono premi e castighi.
Se qualcuno o privato (cittadino) o un gruppo non si è attenuto alla loro decisione, lo interdicono dai sacrifici.
Questo castigo presso di loro è gravissimo.
A chi si è interdetto, questi sono considerati nel novero degli empi e degli scellerati, tutti schivano costoro, sfuggono dal loro incontro e dialogo, per non ricevere dal contatto un qualcosa di danno, né anche se questi lo chiedono è data giustizia e non si concede alcun onore.
Ma uno solo è a capo di tutti questi druidi, che ha tra loro la massima autorità.
Morto questi o succede, se qualcuno eccelle per prestigio, o se parecchi sono i pari, si elegge col suffragio dei druidi;
talvolta si scontrano anche con le armi per la
supremazia.
Questi in un preciso periodo dell'anno risiedono in un luogo sacro nei territori dei Carnuti, regione che è considerata centrale di tutta la Gallia. Qui tutti da ogni parte, quelli che hanno controversie, si riuniscono ed obbediscono ai loro decreti e giudizi. Si ritiene che la dottrina sia stata inventata in Britannia e di lì portata in Gallia e adesso quelli che vogliono conoscere meglio quella cosa, per lo più vanno là per imparare.

6.XIV. La classe di druidi.
I druidi sono soliti esser lontani dalla guerra e non pagano tributi insieme con gli altri.
Hanno la dispensa del servizio militare e l'immunità di tutte le cose.
Spronati da così grandi premi molti sia spontaneamente vanno a scuola sia vengono mandati da genitori e parenti.
Si dice che lì imparano a memoria un gran numero di versi.
Così alcuni restano a scuola per venti anni.
Ritengono non essere lecito affidare quelle cose alla scrittura, mentre in quasi tutte le altre cose, in affari pubblici e privati, usano la scrittura greca.
Questo a me sembra l'abbiano stabilito per due motivi, perché né vogliono che la dottrina sia portata al volgo né quelli, che imparano, confidando nella scrittura occupino meno la memoria, cosa che accade quasi a parecchi che con la garanzia della scrittura tralasciano l'impegno nell'apprendere bene e la memoria. Anzitutto vogliono persuadere di questo, che le anime non muoiono, ma dopo la morte da alcuni passano al altri, e ritengono che questo soprattutto sproni al valore, trascurata la paura della morte. Inoltre trattano molte cose sulle stelle ed il loro moto, sulla grandezza del mondo e delle terre, sulla natura delle cose, sulla forza ed il potere degli dei immortali e le trasmettono alla gioventù.
6.XV. La seconda classe dei cavalieri.
La seconda è la classe dei cavalieri.
Questi quando c' bisogno e capita qualche guerra - cosa che prima dell'arrivo di Cesare soleva accadere quasi annualmente che o essi recassero danni o respingessero quelli inferti -,
tutti si trovano in guerra e quanto uno di loro è più ricco per famiglia e ricchezze, così ha attorno a sé moltissimi servi e clienti.
Conoscono questo unico credito e potenza.
6.XVI. Pratiche religiose dei Galli.
Tutta la nazione dei Galli è molto dedita alle pratiche religiose e per tale motivo, quelli che sono affetti da malattie piuttosto gravi e quelli che si trovano nei combattimenti e nei pericoli o sacrificano persone come vittime o promettono di sacrificarne, e per tali sacrifici si servono dei druidi come ministri, perché pensano che la volontà degli dei immortali non possa essere placata altrimenti se per la vita di un uomo non è ripagata dalla vita di un ( altro ) uomo, e a spese pubbliche hanno stabilito sacrifici di tal genere. Altri hanno statue di enorme grandezza, le cui membra intessute di vimini riempiono di uomini vivi; ed essendo queste (statue) bruciate, gli uomini, circondati dalla fiamma, muoiono.
I supplizi di coloro che siano stati sorpresi nel furto o nella rapina o colpevoli di qualcosa, ritengono siano più graditi agli dei immortali.
Ma quando manca la disponibilità di tal genere, ricorrono anche a sacrifici di innocenti.
6.XVII. Le divinità dei Galli.
Come dio adorano soprattutto Mercurio.
Di costui ci sono moltissime immagini, questi lo dicono inventore di tutte le arti, questi guida delle vie e dei viaggi, credono che questi abbia una potenza grandissima per ricerche di denaro e per i commerci.
Dopo questi Apollo, Marte, Giove, Minerva.
Su di questi hanno quasi la stessa concezione che (hanno) gli altri popoli:
(che) Apollo caccia le malattie, Minerva tramanda i principi delle attività e dei mestieri, Giove detiene il potere dei celesti, Marte governa le guerre.
A questi, quando hanno deciso di scontrarsi in battaglia,dedicano per lo più le cose che hanno preso con la guerra; quando hanno vinto, sacrificano gli animali catturati e radunano le altre cose in un solo luogo: In molte nazioni è possibile vedere tumuli di queste cose innalzati in luoghi sacri;
né capita spesso che qualcuno, trascurato lo scrupolo religioso, osi o nascondere presso di sé le cose prese o togliere quelle deposte, per questa cosa è stato stabilito il supplizio più grave con la tortura.
6.XVIII.Origine dei Galli ed educazione dei figli.
I Galli proclamano di essere nati tutti da Dite e dicono che ciò è stato tramandato dai druidi.
Per tale motivo definiscono gli spazi di tutto il tempo non col numero dei giorni, ma delle notti; i giorni natalizi e gli inizi dei mesi e degli anni li celebrano così che il giorno venga dopo la notte. Nelle altre istituzioni della vita in questo un poco differiscono dagli altri, per il fatto che non tollerano che i loro figli vadano da loro in pubblico, se non quando sono cresciuti da poter sostenere il dovere della vita militare e reputano disdicevole che un figlio in età da bambino appaia in pubblico alla presenza del padre.
6.XIX.Mariti e mogli.
I mariti, quanti beni hanno ricevuto dalle mogli a titolo di dote, altrettanti dei loro, fatta la stima, li mettono in comune con le doti.
L'amministrazione di tutto questo bene si tiene congiuntamente ed i frutti si conservano; chi di loro sia sopravvissuto, a lui va parte di entrambi con i frutti dei tempi precedenti.
I mariti hanno sulle mogli potere di vita e di morte come sui figli e quando un capo famiglia di rango piuttosto elevato è morto, i suoi parenti si riuniscono e per la morte, se il fatto viene in sospetto, fanno una inchiesta sulle mogli al modo degli schiavi e, se si è avuta prova, le fanno fuori dopo averle seviziate col fuoco e con tutte le torture.
I funerali a confronto della civiltà dei Galli sono magnifici e sontuosi; tutte le cose che pensano fossero state a cuore ai vivi le gettano sul fuoco, anche gli animali, e fino a poco prima di questa epoca anche schiavi e clienti, che risultava esser stati da loro amati, fatti i rituali funerali, venivano cremati insieme.
6.XX.Segreti di stato conservati dai magistrati.
Le nazioni che sono stimate amministrare meglio il loro stato, hanno sancito per legge che, se uno ha saputo qualcosa dai confinanti sullo stato da notizia e voce, lo riferisca al magistrato e non lo comunichi con un altro, poiché è risaputo che uomini imprudenti ed inesperti si spaventano per false chiacchiere e sono indotti a mala azione e prendere decisione su cose importantissime.
I magistrati segregano quello che è parso (giusto) e rivelano alla folla quello che hanno giudicato essere di utilità.
Sullo stato non è concesso parlare se non per mezzo dell'assemblea.
6.XXI. Tradizioni dei Germani.
I Germani si differenziano molto da questa consuetudine.
Non hanno infatti druidi, che presenzino ai riti religiosi, né si curano dei sacrifici.
Considerano nel novero degli dei i soli, che vedono e dai cui potenze sono aiutati, (cioè) Sole, Vulcano, Luna, gli altri non li hanno accolti neppure per fama.
Tutta la vita consiste in cacce ed impegni di attività militare; da piccoli si applicano alla fatica ed alla asprezza.
Quelli che sono rimasti per molto tempo casti, ottengono molto onore tra loro; con questo credono che si aumenti la statura, si rafforzino forze e nervi.
Ma l'aver avuto conoscenza di una femmina entro il ventesimo anno lo considerano tra le cose più brutte.
Di questa cosa non c'è alcun mistero, perché promiscuamente si lavano nei fiumi o usano piccoli rivestimenti, con gran parte del corpo nuda.
6.XXII.Agricoltura, alimentazione, voglia di guerra.
Non praticano l'agricoltura, e la maggior parte del loro vitto consiste in latte, formaggio, carne.
Nessuno ha una misura precisa di terreno o territori propri, ma i magistrati ed i capi per i singoli anni attribuiscono alle famiglie ed alle parentele di persone e quelli che si sono messi insieme, quanto di terreno e in che luogo sia parso (opportuno) e dopo un anno li obbligano a passare altrove.
Di tale cosa portano molti motivi:
perché presi da continua abitudine non mutino la voglia di far guerra con l'agricoltura;
perché non vogliano procurare territori vasti e (uomini) più potenti caccino dai possedimenti (uomini) più umili;
perché non costruiscano (abitazioni) troppo accuratamente per evitare i freddi ed i caldi; perché non nasca una bramosia di denaro, dalla qual cosa nascono partiti e divisioni;
perché mantengano il popolo con l'eguaglianza dell'animo, vedendo ciascuno che le sue ricchezze si equiparano con i più potenti.

6.XXIII.Usanze di vita..
Per le nazioni è massima gloria è che essi abbiano attorno il più ampiamente possibile, devastati i territori, dei deserti. Questo stimano proprio del valore, che i confinanti espulsi si ritirino dai campi r che nessuno osi fermarsi vicino a loro.
Con questo insieme pensano che saranno più sicuri, tolto il timore di un improvviso assalto.
Quando la nazione o s'oppone ad una guerra dichiarata o la dichiara, vengono scelti magistrati che presiedano a quella guerra ed abbiano il potere di vita e di morte.
In pace non c'è nessun magistrato comune, ma i capi delle regioni e dei villaggi amministrano la giustizia tra i loro e riducono le controversie. Le rapine non hanno nessuna infamia, quelle (però) che siano fatte fuori dei territori di ogni nazione, e proclamano che si facciano per esercitare la gioventù e diminuire la pigrizia.
Ma quando uno tra i capi ha detto in assemblea che sarà comandante (d'una spedizione) e quelli che vogliono seguirlo lo dichiarino, si alzano quelli che approvano la causa e la persona e promettono il loro aiuto e sono approvati dalla folla;
quelli tra loro che non l'anno seguito sono considerati nel novero dei disertori e traditori, ed in seguito a questi è tolta il credito di tutte le cose.
Credono sacrilego violare l'ospite; quelli che per qualunque motivo sono arrivati da loro, li difendono da danno e li considerano sacri, per questi le case di tutti sono aperte e viene condiviso il vitto.
6.XXIV.Povertà dei Germani e ricchezze dei Galli.
Ma ci fu prima un tempo, quando i Galli superavano i Germani per valore, spontaneamente dichiaravano guerra, inviavano colonie oltre il Reno a causa della quantità di uomini e povertà di terreno.
Così quei luoghi della Germania che sono i più fertili attorno alla selva Ercinia, che vedo esser stata conosciuta per fama ad Eratostene e ad alcuni Greci, che essi chiamano Orcinia, li hanno occupati i Volci ed i Tettosagi e lì si sono insediati; questo popolo fino a questa epoca si mantiene in queste sedi ed ha una grandissima fama di giustizia e di valore militare.
Ora poiché i Germani permangono nella stessa povertà, bisogno, rassegnazione usano lo stesso vitto e cultura, ai Galli invece la vicinanza delle province e la conoscenza delle cose d'oltremare offre molte cose per l'abbondanza e l'utilità, a poco a poco assuefatti ad esser superati e vinti da molte battaglie, essi non si paragonano neppure con essi per il valore.
6.XXV. La selva Ercinia.
La larghezza di questa selva Ercinia, che sopra è stata nominata, si espande per un cammino di nove giorni di buona lena:
infatti non può essere misurata altrimenti e non sanno le misure dei percorsi.
Nasce dai territori di Elvezi, Nemesi, Rauraci e dalla regione
parallela del fiume Danubio giunge ai territori dei Daci e degli Anarti.
Di qui si flette a sinistra in regioni diverse dal fiume e per la grandezza tocca i territori di molti popoli.
E non c'è nessuno di questa Germania che dica o di aver raggiunto l'inizio di quella selva, pur avendo camminato (per) un percorso di 60 giorni o abbia saputo da quale luogo nasca.
Risulta che in essa nascono generi di fiere, che non sono state viste negli altri luoghi, ma tra questi quelli che particolarmente differiscono dagli altri e sembrano da assegnare al ricordo, sono questi
6.XXVI.Un bue dall'aspetto di cervo.
C'è un bue dall'aspetto di cervo, dal centro della cui fronte si alza tra le orecchie un unico corno più grande e più diritto di questi corni, che sono noti a noi;
dalla sua sommità si diffondono attorno come palme e rami.
Identica è la natura del maschio e della femmina, identico l'aspetto e la grandezza delle corna.
6.XXVII. Le alci.
Ci sono ugualmente quelle che si chiamano alci.
L'aspetto di queste e la varietà delle pelli è simile alle capre, ma per la grandezza le superano un poco, sono mozze di corna ed hanno le zampe senza giunture ed articolazioni.
Non si coricano per il riposo, né se sono cadute per qualche caso, possono ergersi o alzarsi. Esse hanno le piante come tane;
ad esse si appoggiano e così appena un poco piegate prendono riposo.
Quando da parte dei cacciatori è stato notato dalle orme dove sono solite ritirarsi, in quel luogo scalzano tutti gli alberi o li tagliano, tanto che si lascia la massima apparenza di quelle (piante) che stanno (in piedi).
Quando si so sono piegate qui per abitudine, col peso colpiscono le piante ed esse insieme stramazzano.
6.XXVIII. Gli uri.
Terza è la specie di quelli che si chiamano uri.
Questi per grandezza sono un poco sotto gli elefanti, con aspetto, colore, figura di un toro.
Grande è la loro forza, e grande la velocità; ma non risparmiano né una persona né una fiera, che hanno visto.
Fanno fuori costoro, catturatili con buche.
In questa fatica si fortificano i giovani e si esercitano con questo genere di caccia, e quelli tra essi che ne hanno uccisi moltissimi, portate in pubblico le corna, che siano di testimonianza, riportano grande gloria.
Ma catturati neppure da piccoli possono abitarsi agli uomini ed essere addomesticati.
L'ampiezza delle corna, la figura e l'aspetto differisce molto dalle corna dei nostri bovini.
Queste (corna) appassionatamente ricercate, le coprono di argento sugli orli e le usano come coppe nei banchetti più fastosi

6.XXIX.Partenza di Cesare contro Ambiorige.
Cesare dopo che venne a sapere attraverso gli esploratori Ubi che gli Svevi si erano ritirati nelle selve, temendo la scarsità di vettovagliamento, perché, come prima dicemmo, i Germani non praticano minimamente l'agricoltura, decise di non avanzare più a lungo; ma, per non togliere completamente ai barbari la paura di un suo ritorno e per ritardare i loro aiuti, riportato indietro l'esercito taglia l'ultima parte del ponte, che toccava le rive degli Ubi per la lunghezza di duecento piedi ed all'estremità del ponte costruisce una torre di quattro piani e pone una guarnigione di dodici coorti per custodire il ponte e rafforza quel luogo con grandi fortificazioni.
Mette a capo di quella postazione e guarnigione C. Volcacio Tullo il giovane.
Egli, poiché i cereali cominciavano a maturare, partito per la guerra di Ambiorige attraverso la selva Ardenna, che è la maggiore di tutta la Gallia e si estende dalle rive del Reno ed i territori dei Treveri fino ai Nervi e si espande per più di cinquecento miglia in lunghezza, manda avanti L. Minucio Basilo con tutta la cavalleria, se potesse guadagnare qualcosa con la velocità della marcia e l'opportunità dell'occasione;
dispone che vieti si facciano fuochi negli accampamenti, perché da lontano non si faccia una qualche segnalazione del suo arrivo; dice che lui segue subito.
6.XXX.Fuga di Ambiorige, con l'aiuto della sorte.
Basilo fa come è stato comandato.
Effettuata la marcia velocemente e contro l'aspettativa di tutti, sorprende molti che no sospettavano nei campi.
Con la loro indicazione si dirige contro lo stesso Ambiorige, nel luogo in cui si diceva che fosse con pochi soldati.
Molto sia in tutte le cose, sia in tattica militare può la (dea) Fortuna.
Infatti accadde per grande casualità, che capitasse proprio su di lui incauto e pure impreparato, e che il suo arrivo fosse visto da tutti prima che la fama e la notizia venisse arrecata, e così di grande fortuna, tolto ogni apparato militare che aveva attorno a sé, essendo stati catturati carri e cavalli, che lui sfuggisse alla morte.
Ma questo avvenne perché, essendo l'abitazione circondata da una selva, come sono per lo più le case dei Galli, che per evitare il caldo generalmente cercano le vicinanze di selve e fiumi, i suoi compagni e famigliari in un luogo ristretto sostennero un poco l'attacco dei nostri cavalieri.
Mentre questi combattevano, uno dei suoi lo mise a cavallo,
le selve lo protessero.
Così sia per affrontare il pericolo sia per evitarlo molto valse la (dea) Fortuna.

6.XXXI.Nazioni congedate da Ambiorige e suicidio del re Catuvolco.
Se Ambiorige non guidò le sue truppe per decisione, perché non ritenesse di scontrarsi a battaglia, o distolto dalla situazione e bloccato dall'arrivo improvviso dei cavalieri, credendo che il resto dell'esercito seguisse, è cosa dubbia.
Ma certamente mandati messaggeri per i campi ordinò che ciascuno badasse a se stesso.
E una parte di essi si rifugiò nella selva Ardenna, parte nelle paludi vicine.
Quelli che furono vicini all'Oceano, questi si nascosero nelle isole che le maree sono solite fare.
Molti usciti dai propri territori affidarono se e tutte le loro cose ai più estranei.
Catuvolco re della metà degli Eburoni, che insieme con Ambiorige aveva intrapreso il piano, ormai oppresso dall'età, non potendo sostenere la fatica o della guerra o della fuga, dopo aver detestato con grandi imprecazioni Ambiorige, che era stato promotore di quel piano, col tasso, di cui in Gallia ed in Germania c'è grande abbondanza , si suicidò.
6.XXXII.Accampamenti posti ad Atuatuca nei territori degli Eburoni.
Segni e Condrusi, della razza e della popolazione dei Germani,
che sono tra Eburoni e Treveri, mandarono ambasciatori da Cesare per pregare di non considerarli nel numero dei nemici e non pensasse che la causa di tutti i Germani, che sono di qua dal Reno fosse unica;
essi non avevano macchinato nulla circa la guerra, non avevano mandato nessun aiuto ad Ambiorige.
Cesare esaminata la situazione con l'interrogatorio dei prigionieri, ordinò che se alcuni Eburoni fosse venuto in fuga da loro, fosse riportato da lui; se avessero fatto così, disse che no avrebbe violato i loro territori.
Poi distribuite le truppe in tre parti portò i carriaggi di tutte le legioni presso Atuatuca. Tale è il nome della fortezza.
Questa è quasi al centro dei territori degli Eburoni, dove Titurio ed Aurunculeio si erano stanziati per svernare.
Approvava sia per altre cose questo luogo, sia poiché le fortificazioni dell'anno precedente rimanevano intatte, per alleviare le fatiche dei soldati.
Lasciò a guarnigione per i carriaggi la quattordicesima legione, una delle tre, che recentemente arruolate aveva portato
dall'Italia.
A tale legione ed accampamenti mise a capo Q. Tullio Cicerone e gli assegnò duecento cavalieri.
6.XXXIII.Divisione dell'esercito su Oceano, Atuatuci e fiume Schelda.
Diviso l'esercito ordina che T. Labieno parta con tre legioni per l'Oceano verso quelle parti, che toccano i Menapi, L. Trebonio con pari numero di legioni per quella regione,
che giace vicino agli Atuatuci, lo manda a saccheggiare, egli decise di andare con le altre tre legioni presso il fiume Scheda, che sfocia nella Mosa ed alle parti estreme dell'Ardenna, dove sentiva (dire) essere partito Ambiorige con pochi
cavalieri.
Partendo assicura di ritornare entro il settimo giorno, data per la quale sapeva che si doveva il frumento a quella legione, che era rimasta a presidio.
Esorta Labieno e Trebonio, se potessero farlo a vantaggio dello stato, di ritornare per quella data, perché, di nuovo riunito il consiglio ed esplorate le tattiche dei nemici potessero intraprendere un altro inizio di guerra.
6.XXXIV.Massima prudenza di Cesare per la natura del luogo.
C'era, come accennammo prima, nessuna truppa precisa, non una città, non un guarnigione che si difendesse con le armi, ma una folla dispersa per tutte le parti.
Dove o una valle nascosta o un luogo selvoso o una palude inaccessibile offriva ad uno una qualche speranza di difesa o di scampo, s'era stanziato.
Questi luoghi erano noti ai vicinati e la cosa richiedeva grande attenzione non per difendere la totalità dell'esercito - nessun rischio infatti poteva accadere a tutti insieme da parte
di atterriti e sparpagliati -, ma nel preservare i singoli soldati; cosa che in parte riguardava l'incolumità
dell'esercito.
Infatti sia la brama di bottino invitava molti troppo lontano sia le selve per insicuri e nascosti passaggi impediva di andare uniti.
Se si voleva concludere il problema e far fuori una masnada di uomini scellerati, bisognava impiegare parecchie squadre e disporre i soldati; se volevano tenere i manipoli vicini alle insegne, come richiedeva una organizzazione consolidata e la tradizione del popolo romano, il luogo stesso era di protezione per i barbari, e non mancava l'audacia ai singoli di insidiare da un luogo nascosto e circondare quelli che erano sparsi.
Come si poteva provvedere in difficoltà di tal genere quanto ad attenzione, si provvedeva, tanto da tralasciare qualcosa nel nuocere, anche se gli animi di tutti ardevano per vendicarsi, piuttosto che si nuocesse con qualche danno dei soldati.
Cesare spedisce messaggeri alle nazioni confinanti; spinge con la speranza di bottino a saccheggiare gli Eburoni, perché fosse in pericolo nei boschi la vita dei Galli più che un soldato
legionario, ed insieme perché la stirpe ed il nome della nazione,
attorniata da grande folla fosse tolta per un tale misfatto.
Da ogni parte giunse un gran numero.

6.XXXV.I Sigambri condotti ad Atuatuca.
Queste cose si facevano in tutte le parti degli Eburoni e si avvicinava il settimo giorno, data per la quale Cesare deciso di ritornare ai carriaggi ed alla legione.
A questo punto si potè verificare quanto possa la Fortuna in guerra e quali gravi casi produca.
Dispersi ed atterriti i nemici, come dicemmo, non c'era
nessuna squadra che producesse un soltanto piccolo motivo di timore.
Oltre il Reno arrivò ai Germani la notizia che Gli Eburoni erano saccheggiati e che per giunta tutti erano chiamati al bottino.
I Sigambri, che sono vicini al Reno, raccolgono due mila cavalieri, e da essi dicemmo prima erano stati accolti i Tenteri e li Usipeti in fuga.
Attraversano il Reno con navi e zattere a trenta mila passi tra quel luogo, dove era stato completato il ponte ed il presidio lasciato da Cesare.
entrano nei primi territori degli Eburoni; catturano molti dispersi in fuga, si impossessano di un gran numero di bestiame, di cui i barbari sono avidissimi.
Invitati dal bottino avanzano maggiormente.
Questi non li fermano la palude - nati nelle guerre e nelle rapine - non le selve.
Chiedono ai prigionieri, in quali luoghi sia Cesare; lo scoprono partito più avanti e vengono a sapere che tutto l'esercito
è partito.
Ma uno dei prigionieri " Perché voi, disse, inseguite questa misera e leggera preda, a cui è permesso essere già fortunatissimi?
In tre ore potete arrivare ad Atuatuca; qui l'esercito dei
Romani ha portato tutti i suoi averi; c'è tanto di difesa, che nemmeno si può cingere il muro e nessuno osa uscire dalle fortificazioni".
Offertasi la speranza, i Germani, quella preda che avevano ottenuto, la lasciano in un luogo nascosto; essi si dirigono ad Atuatuca servendosi come guida dello stesso, per indicazione del quale avevano saputo queste cose.

6.XXXVI.Imprudenza di Cicerone.
Cicerone, che nei giorni precedenti secondo gli ordini di Cesare aveva mantenuto con grandissimo scrupolo i soldati negli accampamenti e non aveva permesso che neppure un portatore qualsiasi uscisse fuori delle fortificazioni, al settimo giorno diffidando che Cesare avrebbe rispettato la parola sul numero dei giorni, perché sentiva che lui era partito troppo lontano e non gli veniva portata nessuna notizia sul suo ritorno, insieme spaventato dalle chiacchiere, che chiamavano la sua pazienza quasi un assedio, dal momento che non si poteva uscire dagli accampamenti, aspettando nessun caso di genere tale, per cui, essendo disposte nove legioni e grandissima cavalleria, essendo i nemici dispersi e quasi cancellati, si potesse esser danneggiati in tremila passi, manda cinque coorti a far vettovagliamento nelle messi vicine, tra le quali e l'accampamento c'era in tutto una sola collina. Parecchi tra le legioni erano rimasti negli accampamenti malati; tra questi coloro che nello spazio di (sette) giorni erano guariti, circa trecento vengono inviati insieme col vessillo; inoltre una grande moltitudine di facchini, una gran quantità di giumenti, che erano stati negli accampamenti, dato il permesso, seguono.
6.XXXVII.Attacco dei nemici e turbamento in tutti gli accampamenti.
In questo stesso tempo per caso i cavalieri germani sopraggiungono e subito con la stessa corsa con cui erano giunti tentano di irrompere dalla porta decumana negli accampamenti e, frapposte le selve, non furono visti prima che si avvicinassero agli accampamenti, al punto che i mercanti che si attendavano sotto il trinceramento, non avevano la possibilità di ritirarsi. Non aspettandoselo i nostri si scompigliavano per il nuovo fatto, e a stento la coorte in guardia sostiene il primo attacco. Dalle altre parti i nemici si spandono, se potessero trovare qualche passaggio.
A fatica i nostri difendono le porte; il luogo stesso difende gli altri ingressi e per la fortificazione se stesso.
In tutti gli accampamenti si trepida, ed uno chiede all'altro la causa dello scompiglio; e non vedono dove si portino le insegne, né in quale parte uno si riunisca.
Uno annuncia gli accampamenti già presi, uno afferma che, distrutto l'esercito ed il generale, i barbari erano arrivati vincitori.
Parecchi dalla situazione si immaginano nuovi elementi religiosi e mettono davanti agli occhi la disgrazia di Cotta e Titurio, che erano caduti nella stessa fortezza.
Spaventati tutti da tale paura, si conferma per i barbari l'idea, come avevano sentito dai prigionieri, che dentro non ci fosse alcuna difesa. Tentano di irrompere e di esortano a vicenda, di non lasciarsi scappare dalle mani una così grande fortuna.
6.XXXVIII.Eroismo del primipilo P. Sestio Baculo..
C'era malato, rimasto nella guarnigione il primipilo P. Sestio Baculo, che presso Cesare aveva guidati la prima fila, di cui abbiamo fatto menzione in precedenti combattimenti, e già da tre giorni era privo di cibo.
Costui diffidando della salvezza sua e di tutti,
inerme esce dalla tenda; vede che i nemici incalzano e che la situazione è in pericolo; prende le armi dai vicini e si ferma sulla porta.
Lo seguono i centurioni di quella coorte era di guardia; insieme per un poco sostengono insieme la battaglia.
Lo spirito abbandona Sestio, dopo aver ricevute gravi ferite;
svenendo a stento è salvato sottratto di mano in mano.
Trascorso questo tempo, gli altri si rafforzano tanto che osano fermarsi sulle fortificazioni ed offrono una parvenza
di difensori.

6.XXXIX.Scompiglio di tutti i nostri.
Intanto finito di far frumento i nostri soldati sentono il grido; i cavalieri corrono avanti; s'accorgono quanto la cosa sia in pericolo.
Qui però non c'è alcuna fortificazione che accolga gli atterriti;
ora le reclute e gli inesperti della tattica militare volgono gli sguardi al tribuno dei soldati ed ai centurioni;
aspettano cosa da questi si comandi.
Nessuno è tanto forte, che non si turbi dalla novità di una cosa:
i barbari avendo visto da lontano le insegne desistono dall'assedio, prima credono che siano tornate le legioni, che avevano saputo dai prigionieri essere partite abbastanza lontano; poi, disprezzata l'esiguità da tutte le parti fanno un assalto.

6.XL.Attacco di Trebonio e valore di tutti.
I facchini corrono sull'altura vicina.
Di qui velocemente cacciati si gettano tra le insegne ed i manipoli; tanto più atterriscono i soldati impauriti.
Altri fatto un cuneo per attaccare velocemente, pensano, poiché gli accampamenti sono così vicini, anche se una parte circondata fosse caduta, confidano però che gli altri si possano salvare, altri (pensano) di fermarsi sul giogo e tutti affrontare lo stesso caso.
I soldati anziani non approvano questo, quelli che abbiam detto partiti insieme col vessillo.
Così rincuoratisi tra loro, sotto il comando di C. Trebonio, cavaliere romano, che era stato messo a capo di essi, irrompono in mezzo ai nemici ed incolumi fino all'ultimo arrivano tutti agli accampamenti. Seguendo questi, cavalieri e facchini con lo stesso attacco si salvano per l'eroismo dei soldati.
Ma quelli che si erano fermati sul giogo, non avendo ricevuta fino ad allora nessuna esperienza di tattica militare e di permanere in quella decisione, che avevano presa, di difendersi sulla posizione superiore e non poterono imitare quella forza e velocità che avevano visto aver giovato agli altri, ma tentando di ritirarsi negli accampamenti si persero in un luogo sfavorevole.
I centurioni di cui alcuni dagli ordini inferiori delle altre legioni erano passati per il valore agli ordini superiori di questa legione, per non perdere l'onore dell'impegno militare guadagnato prima, combattendo molto eroicamente caddero.
Parte dei soldati, cacciati i nemici dal valore di questi giunse negli accampamenti contro (ogni) speranza, parte circondata dai barbari perì.
6.XLI.Partenza dei nemici e terrore dei soldati.
I Germani essendo disperato l'assedio degli accampamenti, perché vedevano che i nostri già si erano stabiliti sulle fortificazioni, si ritirarono oltre il Reno con quella preda, che avevano deposto nelle selve.
E tanto fu il terrore dei nemici anche dopo la partenza, che in quella notte, essendo C. Voluseno, inviato con la cavalleria, giunto negli accampamenti, non faceva credere che Cesare si avvicinasse con l'esercito incolume.
La paura aveva preso così gli animi, che quasi impazzita la mente, dicevano che , distrutte tutte le truppe, la cavalleria s'era salvata dalla fuga e sostenevano che con l'esercito incolume i Germani non avrebbero assediato gli accampamenti.
Questo timore lo cancellò l'arrivo di Cesare.
6.XLII.. Lamentela di Cesare e potenza della sorte.
Ritornato, egli, non ignorando gli eventi di guerra, lamentatosi d'una sola cosa, che le coorti che erano state mandate per guarnigione e presidio - neppure per il minimo caso si sarebbe dovuto lasciare la postazione - giudicò che la Fortuna aveva potuto molto nell'improvviso arrivo dei nemici, ed anche molto di più perché aveva respinto i barbari quasi dalla stessa trincea e dalle porte degli accampamenti. Tra tutte quelle cose soprattutto sembRava da meravigliarsi, il fatto che i Germani, che avevano attraversato il Reno con quel proposito, (cioè) di devastare i territori di Ambiorige, portatisi presso gli accampamenti dei Romani avevano offerto ad Ambiorige un vantaggio molto gradito.

6.XLIII.Partenza di Cesare per molestare i nemici ed inseguimento di Ambiorige.
Cesare di nuovo partito per devastare i nemici, radunato un gran numero di cavalieri dalle città confinanti, le manda in tutte le parti.
Tutti i villaggi e tutte le abitazioni, che uno aveva visto, erano incendiati, le mandrie uccise, da tutti i luoghi si portava
bottino; i cereali non solo da una così grande quantità di uomini e di giumenti erano rovinati, ma erano anche cadute per la stagione dell'anno e per le piogge, tanto che se alcuni al momento si fossero nascosti, da parte di questi, passato l'esercito, sembrava che si dovesse morire per la scarsità di tutte le cose.
E spesso si giunse a tal punto, mentre era inviato in tutte le parti una così grande cavalleria, che i prigionieri vedevano attorno Ambiorige appena visto da loro in fuga e sostenevano che non era ancora del tutto scappato dalla vista, tanto che presa la speranza di raggiungerlo e intrapresa l'infinita fatica, quelli che pensavano che avrebbero incontrato la somma riconoscenza di Cesare, quasi vincevano la natura con l'impegno, e sembravano esser mancati per poco alla massima fortuna, e quello si sottraeva in nascondigli o selve o gole e nascostosi di notte si dirigeva in altre regioni e parti con una guardia (del corpo) non maggiore di quattro (uomini), ai quali soli osava affidare la sua vita.
6.XLIV.Assemblea della Gallia indetta da Cesare e partenza per l'Italia.
In tale modo devastate le regioni Cesare riporta l'esercito con la perdita di due coorti a Durocontoro dei Remi ed indetta l'assemblea di tutta la Gallia in quel luogo decise di tenere una inchiesta sulla congiura dei Senoni e dei Carnuti e su Accone, che era stato il promotore di quel piano, pronunciata una sentenza piuttosto pesante, ne decretò la morte secondo la tradizione degli antenati. Alcuni temendo il giudizio fuggirono.
Avendo interdetto questi dall'(uso dell') acqua e del fuoco, pose due legioni ai confini dei Treveri, due tra i Lingoni, le altre sei nei territori dei Senoni negli accampamenti invernali ad Agedinco e provvisto il vettovagliamento, come aveva deciso, partì per l'Italia per fare le sessioni giudiziarie.
7.I. La Gallia pacificata ed assemblee occulte contro i Romani.
Quietata la Gallia, Cesare, come aveva deciso, parte per l'Italia per fare le sessioni giudiziarie.
Qui viene a sapere della uccisione di P. Clodio ed informato della legge del senato di arruolare tutti i giovani d'Italia, decise di tenere una leva per tutta la provincia.
Quelle cose velocemente vengono riferite nella Gallia Transalpina. Gli stessi Galli aggiungono ed inventano con dicerie, cosa che la situazione sembrava richiedere: (che) Cesare era trattenuto da una sollevazione romana e che in così gravi scontri non poteva venire presso l'esercito. Spinti da questa occasione, quelli che prima si lamentavano di essere soggetti al potere del popolo romano, più liberamente ed audacemente cominciano ad intraprendere piani sulla guerra. Indette assemblee in luoghi selvosi e lontani i capi della Gallia si lamentano della morte di Accone; dichiarano che questa sorte può capitare anche a loro; compiangono il comune destino della Gallia;
con tutte le promesse e premi cercano chi faccia l'inizio della guerra e col pericolo della propria testa riporti la Gallia alla libertà.
Anzitutto dicono che bisogna avere una strategia, prima che i loro piani clandestini siano rivelati, che Cesare sia tagliato fuori dall'esercito.
(Dicono che) ciò era facile, perché le legioni non osano, assente il generale, uscire dagli accampamenti invernali né il generale può senza presidio, arrivare alle legioni.
Infine (dicono) esser meglio esser fatti fuori in battaglia che non recuperare l'antica gloria di guerra e la libertà, che avevano ricevuto dagli antenati.
7.II. Giuramento dei Galli contro i Romani.
Trattate queste cose, i Carnuti dichiarano di non rifiutare nessun pericolo per la comune salvezza e promettono, primi fra tutti, di fare la guerra e, poiché al momento non possono garantirsi con ostaggi tra loro, perché la cosa non sia rivelata, ma chiedono che si sancisca con giuramento e parola data, radunate le insegne militari, con questo rituale la loro cerimonia è importantissima, per non essere abbandonati dagli altri, dichiarato l'inizio della guerra. Poi approvati i Carnuti, dato il giuramento da tutti quelli che erano presenti, stabilito il tempo dell'impresa, ci si congeda dall'assemblea.
7.III.Strage di cittadini romani e sua fama in tutte le nazioni.
Quando venne quella giornata, i Carnuti sotto la guida di Cotuato e Conconnetodumno, uomini disperati, dato il segnale corrono a Cenabo e fanno fuori i cittadini romani, che si erano fermati lì per commerciare, tra questi C. Fufio Cita, famoso cavaliere romano, che era a capo del vettovagliamento per ordine di Cesare, e sequestrano i loro beni.
La notizia è portata celermente a tutte le città della Gallia.
Infatti dovunque accade una cosa piuttosto grande e famosa, la segnalano col grido per campi e regioni;di qui altri poi la ricevono e trasmettono ai vicini; come accadde allora.
Quelle cose che erano accadute a Cenabo al sorgere del sole, prima della fine della prima veglia furono udite nei territori degli Averni, e questa distanza è di circa cento sessanta mila
passi
7.IV. Vercingetorige e la sua crudeltà.
Con simile metodo qui Vercingetorige, figlio di Celtillo, giovane arverno di grandissima potenza, il cui padre aveva tenuto il primato di tutta la Gallia e per tale motivo, perché aspirava al potere, era stato ucciso dalla nazione, convocati i clienti facilmente li incendia.
Saputo il suo piano si corre alle armi.
Viene bloccato da Gobannizione, suo zio e dagli altri capi, che non ritenevano si dovesse tentare questa sorte, viene cacciato dalla città di Gergovia.
Non desiste tuttavia e nelle campagne tiene una leva di indigenti e banditi.
Raccolto questo manipolo, chiunque incontra della nazione, lo induce alla sua idea; esorta a prendere le armi per la comune libertà, e raccolte grandi truppe, caccia dalla nazione i suoi avversari, dai quali poco prima era stato cacciato.
E' acclamato re dai suoi.
Manda ovunque ambascerie; scongiura che rimangano nella lealtà.
Velocemente si unisce Senoni, Parisi, Pittoni, Caderci, Turoni, Aulirci, Lemovici, Andi e tutti gli altri, che toccano
l'Oceano; con consenso di tutti il comando viene conferito
a lui.
Offertogli questo potere, ordina ostaggi a tutte queste nazioni, comanda che velocemente gli sia portato un preciso numero di soldati, stabilisce quanto di armi ogni nazione ed in quale tempo debba fare; anzitutto si occupa della cavalleria.
Alla massima scrupolosità aggiunge una massima severità di potere; obbliga gli esitanti con la gravità dei supplizi.
Infatti per un delitto abbastanza grave commesso uccide col fuoco e con tutte le torture, per un motivo più leggero, tagliate le orecchie o cavati gli occhi, li rimanda in patria, perché siano di insegnamento ai rimanenti ed atterriscono con l'enormità della pena gli altri.

7.V.Slealtà dei Biturigi ed incerta lealtà degli Edui..
Con queste crudeltà raccolto velocemente un esercito, manda il caduco Lucterio, uomo di somma spregiudicatezza con una parte delle truppe contro i Ruteni; egli parte contro i Biturigi.
Al suo arrivo i Biturigi mandano ambasciatori agli Edui, nella cui protezione si trovavano, per chiedere aiuto, per poter sostenere più facilmente le truppe dei nemici.
Gli Edui su consiglio degli ambasciatori, che Cesare aveva lasciato presso l'esercito, mandano truppe di cavalleria e di fanteria in aiuto ai Biturigi.
Essendo giunti questi al fiume Loira, che divide i Biturigi dagli Edui, fermatisi lì pochi giorni e non osando attraversare il fiume ritornano in patria e riferiscono ai nostri ambasciatori che temendo la slealtà dei Biturigi, erano ritornati, ed avevano saputo che essi avevano avuto quel piano, che, se avessero passato il fiume, da una parte essi ( i Biturigi), dall'altra gli Arverni li avrebbero accerchiati.
Se avessero fatto ciò per quel motivo, che avevano detto agli ambasciatori, o spinti da malafede, cosa che per nulla risulta a noi, non sembra che si debba dare per certo.
I Biturigi alla loro partenza subito si uniscono agli Arverni.
7.VI. Difficoltà di Cesare di arrivare in Gallia presso l'esercito..
Annunciate queste cose a Cesare in Italia, comprendendo egli che ormai le situazioni romane per merito di Gn. Pompeo erano arrivate ad uno stato più vantaggioso, partì per la Gallia Transalpina.
Essendo giunto là, era preso da grande difficoltà, con quale modo potesse arrivare all'esercito.
Infatti se richiamasse le legioni in provincia, capiva che avrebbero combattuto in battaglia durante la marcia, essendo lui assente; se egli si dirigesse verso l'esercito, neppure a quelli che in quel tempo sembravano quieti, vedeva che si affidava bene la sua incolumità.

7.VII.Arrivo di Cesare nella città di Barbona contro il caduco Lucterio.
Intanto il caduco Lucterio, mandato contro i Ruteni concilia quella nazione con gli Arverni.
Avanzando contro i Nitobrogi ed i Gabali riceve da entrambi ostaggi e raccolta una grande squadra intende fare una irruzione in provincia alla volta di Barbona.
Annunciata tale cosa Cesare pensò di anteporre a tutti i piani, di partire per Narbona.
Essendo giunto là, rassicura i timorosi, organizza guarnigioni tra Ruteni provinciali, Volci, Arecomici, Tolosati ed attorno a Barbona, luoghi che erano confinanti coi nemici, ordina che parte delle truppe dalla provincia ed il rinforzo, che aveva guidato dall'Italia, si riunisse verso gli Elvi, che toccano i territori degli Arverni.

7.VIII.Improvviso arrivo di Cesare tra gli Elvi oltre la Cevenna.
Preparate quelle cose ed ormai allontanato e cacciato Lucterio, pechè pensava pericoloso entrare in mezzo a guarnigioni, parte verso gli Elvi.
Anche se il Monte Cevenna, che separa gli Arverni dagli Elvi, impediva la marcia per la durissima stagione dell'anno per la neve, tuttavia spalata la neve di sei piedi d'altezza e così aperte le vie con somma fatica dei soldati giunse ai territori degli
Arverni.
Vintili mentre non se l'aspettavano, perché si credevano protetti dalla Cevenna come da una muraglia e in quella stagione dell'anno neppure ad un uomo da solo le strade erano aperte, ordina ai cavalieri, che, quanto più possano attorno, si spandino ed incutano il più possibile terrore ai nemici.
Velocemente queste cose vengono riferite da fama e messaggeri a Vercingetorige.
Atterriti, tutti gli Arverni lo attorniano e lo scongiurano di provvedere ai loro beni e non permetta di essere rapinati dai nemici, soprattutto vedendo che tutta la guerra è passata su di loro.
Egli scosso dalle loro preghiere, leva gli accampamenti dai Bituriig in direzione degli Arverni.
7.IX. Improvviso arrivo di Cesare nella città di Vienne.
Ma Cesare fermatosi in questi luoghi per due giorni, poiché aveva previsto per supposizione secondo esperienza su Vercingetorige che sarebbero avvenute queste cose, si allontana dall'esercito a motivo di raccogliere rinforzo e cavalleria, mette a capo di queste truppe Bruto il giovane; lo esorta che i cavalieri scorazzino il più ampiamente possibile attorno; lui avrebbe fatto in modo di non essere lontano dagli accampamenti più di tre giorni. Stabilite queste cose, mentre tutti i suoi non se l'aspettavano, arriva a marce il più possibile forzate a Vienne.
Qui ottenuta una cavalleria fresca, che molti giorni prima aveva mandato avanti, non interrotta la marcia né diurna né notturna si dirige attraverso i territori degli Edui nei Linoni, dove svernavano due legioni, in modo che, se da parte degli Edui si tramasse un qualcosa sulla sua incolumità, lo prevenisse con la velocità. Essendo giunto là, manda (ordini) alle altre legioni e raduna tutti in un solo luogo prima che si potesse riferire agli Arverni del suo arrivo.
Conosciuta questa cosa, Vercingetorige di nuovo riporta l'esercito nei Biturigi e di lì partito per Gorgobina, città dei Boi, che Cesare aveva sistemato lì, vinti con la battaglia elvetica, ed aveva affidati agli Edui, decide di assediare la città.
7.X.Piano di Cesare di tollerare tutte le difficoltà.
Questa cosa presentava a Cesare grande difficoltà per prendere una decisione:
se teneva per la restante parte dell'inverno le legioni in uno stesso luogo, (temeva) che, sottomessi i tributari degli Edui, tutta la Gallia si ribellasse, perché vedeva che nessuna difesa veniva riposta in lui per gli amici; se troppo presto faceva uscire (le legioni) dagli accampamenti invernali, (temeva) che fosse in difficoltà per il vettovagliamento per i duri trasporti. Sembrò esser meglio sopportare tuttavia tutte le difficoltà piuttosto che, ricevuto un così grande disonore, alienarsi gli animi di tutti i suoi.
Così rincuorati gli Edui a sopportare il trasporto, manda (ordini) ai Boi, che informino del suo arrivo ed esortino a restare sotto la protezione e sostenere l'assalto dei nemici con grande
coraggio.
Lasciate ad Agedinco due legioni ed i carriaggi di tutto l'esercito parte verso i Boi.

7.XI.Assedio di Vellaunoduno posto da Cesare .
Il giorno dopo essendo giunto a Vellaunoduno, città dei Senoni, per non lasciare dietro di sé nessun nemico, per servirsi di un vettovagliamento più libero, decise di assediare e così la cinse di trincea in due giorni.
Al terzo giorni, inviati ambasciatori dalla città per la resa, ordina che sian consegnate le armi, che sian condotti giumenti, che sian dati seicento ostaggi. Per concludere tali cose lascia il legato C. Trebonio; egli per concludere la marcia al più presto, parte per Cenabo (città) dei Carnuti.
Ma questi, appena portata la notizia dell'assedio di Villaunoduno, pensando che quella cosa sarebbe stata condotta abbastanza a lungo, preparavano una guarnigione, da mandare là, per difendere Cenabo.
Qui arriva in due giorni.
Posti gli accampamenti davanti alla città, bloccato dal tempo della giornata, rimanda l'assedio al giorno dopo, ordina ai soldati quelle cose che sono necessarie per quella impresa e poiché il ponte del fiume Loira raggiungeva la città di Cenabo, temendo che di notte fuggissero dalla città, comanda che due legioni vigilino in armi. I Cenatesi poco prima di mezza notte in silenzio usciti dalla città cominciarono a passare il fiume.
Annucciato tale fatto dagli esploratori a Cesare, incendiate le porte fa entrare le legioni, che aveva comandato fossero pronte e si impadronisce della città, essendo mancati pochissimi dal numero dei nemici che fossero presi tutti, perché le strettezze del ponte e dei passaggi avevano bloccato la fuga.
Saccheggia ed incendia la città, regala il bottino ai soldati, fa passare l'esercito oltre la Loira e giunge nei territori dei
Biturigi.

7.XII.Improvviso arrivo di Vercingetorige nella città di Novioduno, già arresasi a Cesare.
Vercingetorige, quando seppe dell'arrivo di Cesare, desiste dall'assedio e parte contro Cesare.
Egli aveva deciso di assediare Novioduno, città dei Biturigi posta sulla strada.
Essendo però giunti da lui ambasciatori da quella città per chiedere di perdonarli e provvedere alla loro vita, per concludere le altre cose con velocità, con cui aveva ottenuto parecchie cose, comanda che siano consegnate le armi, portati cavalli, dati ostaggi. Consegnata ormai gran parte degli ostaggi, mentre si organizzavano le altre cose, entrati i centurioni e pochi soldati, per cercare armi e giumenti, da lontano fu vista la cavalleria dei nemici, che aveva preceduto la schiera di Vercingetorige.
Ed appena gli abitanti lo videro e vennero nella speranza di aiuto, alzato un grido, cominciarono a prendere le armi, chiudere le porte, assieparsi sulla muraglia.
I centurioni in città, avendo capito dalla segnalazione dei Galli che da perte loro si intraprendeva qualcosa di un nuovo piano, sguainate le spade occuparono le porte e riportarono incolumi tutti i loro.

7.XIII. Vittoria di Cesare.
Cesare comanda di far uscire la cavalleria dagli accampamenti ed attacca uno scontro di cavalleria; essendo i suoi ormai in difficoltà, invia circa 400 cavalieri germani, che aveva deciso di tenere con sé dall'inizio.
I Galli non poterono sostenere il loro attacco e cacciati in fuga, perduti molti, si rifugiarono presso la schiera.
Essendo stati essi ricacciati, i cittadini di nuovo atterriti condussero da Cesare dopo averli catturati quelli per la cui opera pensavano che il popolo fosse stato sobillato, e si consegnarono a lui. Concluse queste cose, Cesare partì per la città di Avarico, che era la più importante ela più fortificata nei territori dei Biturigi ed in una regione fertilissima di terreno, perché confidava che, presa quella città, egli avrebbe ridotto in (suo) potere la nazione dei Biturigi.
7.XIV.Assemblea di Vercingetorige contro gli insuccessi provocati da Cesare.
Vercingetorige, ricevuti tanti continui insuccessi a Vellaunoduno, a Cenabo, a Novioduno, chiama i suoi ad un'assemblea.
Dichiara che bisogna fare la guerra assolutamente con un'altra strategia di quanto sia stato fatto prima; in tutti i modi bisogna impegnarsi in questa cosa, per impedire i Romani da pascolo e vettovagliamento. Ciò è facile, perché essi abbondano di cavalleria e sono aiutati dal periodo dell'anno.
Non si può tagliare il foraggio; necessariamente i nemici dispersi lo cercano dalle abitazioni; tutti questi quotidianamente possono esser annientati.
Inoltre per la salvezza bisogna trascurare i vantaggi del bene famigliare; occorre che siano incendiati villaggi ed abitazioni accessibili in questo spazio in ogni direzione, dove sembri si possa andare per foraggiare. La disponibilità di queste cose viene assicurata ad essi, perché sono aiutati dai mezzi di coloro nei cui territori si faccia la guerra; i Romani o non sopporteranno la mancanza o con grande pericolo s'allontaneranno dagli accampamenti; ad essi non interessa se ucciderli o spogliarli dei carriaggi, perduti i quali, non si può fare la guerra.
Inoltre occorre che siano incendiate le città, che non sono sicure da ogni pericolo per fortificazione e natura del luogo, perché non siano rifugio ai loro per rifiutare il servizio militare né siano offerti ai Romani per prendere quantità di vettovagliamento e preda. Se queste cose sembrano pesanti e dure, si doveva stimare più pesantemente quelle cose: che figli e mogli siano strappati in schiavitù, essi stessi uccisi; cose che è necessario accadere per i vinti.
7.XV.Tutti i villaggi dei Galli bruciati..
Col consenso di tutti, approvata questa idea in un solo giorno più di 20 città dei Biturigi sono incendiate.
La stessa cosa avviene nelle altre nazioni.
In tutte le parti si vedono incendi.
Anche se queste cose tutti le sopportavano con grande dolore, tuttavia questo di sollievo si proponevano, il fatto che, quasi con una vittoria intravista, confidavano di recuperare velocemente le cose perdute. Si decide su Avarico nell'assemblea comune se si stabilisca di incendiarla o difenderla.
I Biturigi si gettano ai piedi di tutti i Galli, perché la città quasi più bella di tutta la Gallia, che è di difesa e di prestigio per la nazione, non siano costretti ad incendiarla con le proprie mani; dicono che l'avrebbero difesa con la natura del luogo, perché circondata quasi da tutte le parti da un fiume e da una palude ha un solo accesso e strettissimo.
Si dà l'autorizzazione ai richiedenti, mentre inizialmente Vercingetorige disapprova e poi accorda sia per le loro preghiere che per pietà del popolo. Si scelgono difensori adatti per la città.
7.XVI.Grave perdita inflitta da Vercingetorige ai nostri.
Vercingetorige segue Cesare con tappe più piccole e sceglie per gli accampamenti un luogo difeso da paludi e selve lontano da Avarico 16 mila passi.
Qui attraverso esploratori sicuri nei singoli momenti del giorno sapeva le cose che si facevano presso Avarico e comandava cosa voleva si facesse.
Osservava tutti i nostri foraggiamenti e gli approvvigionamenti ed assaliva i dispersi, quando si allontanavano più lontano del necessario e colpiva con grave danno, anche se, per quanto si poteva prevedere con strategia, si ricorreva da parte dei nostri, che si andasse per periodi imprevisti e diverse strade.
7.XVII. Gravità della carestia: pazienza e coraggio dei nostri.
Cesare, posti gli accampamenti verso quella partedella città, che interrotta dal fiume e dalla palude, come dicemmo prima, aveva uno stretto accesso, cominciò a preparare un terrapieno, tracciare gallerie, costruire due torri; infatti la natura del luogo impediva di chiudere attorno con una trincea.
Non smise di sollecitare Boi ed Edui per il vettovagliamento; ma di costoro gli uni agivano con nessun impegno, non aiutavano molto, gli altri per le non grandi disponibilità, poiché la nazione era piccola e debole, velocemente consumarono, quello che avevano.
Colpito l'esercito dalla somma difficoltà di approvvigionamento per la leggerezza dei Boi, per la povertà degli Edui, per gli incendi delle abitazioni, fino al punto che i soldati per parecchi giorni mancarono di frumento e sopportavano una estrema fame col bestiame portato da villaggi piuttosto lontani, da essi tuttavia nessuna frase è stata sentita non degna della maestà del popolo romano e delle precedenti vittorie.
Anzi addirittura quando Cesare sul lavoro chiamava le singole legioni e, se sopportavano troppo duramente la privazione, diceva che avrebbe smesso l'assedio, tutti gli chiedevano di non
farlo:
(dicevano che) così loro per parecchi anni, sotto il suo comando, avevano prestato servizio, che non accettavano nessun affronto, mai se n'erano andati, non conclusa l'impresa: questo l'avrebbero preso come un affronto, se avessero lasciato un assedio iniziato; era meglio che tutti sopportassero le asprezze, che non vendicare i cittadini romani che a Cenabo per la slealtà dei Galli erano periti. Queste stesse cose le presentavano ai centurioni ed ai tribuni dei soldati, perché per mezzo loro le riferissero a Cesare.
7.XVIII. Piano di Cesare di assalire Vercingetorige.
Essendosi le torri ormai avvicinate al muro, Cesare seppe dai prigionieri che Vercingetorige, finito il foraggio, aveva mosso gli accampamenti più vicino ad Avarico e lui con la cavalleria e fanti (armati alla leggera), che erano soliti combattere tra i cavalieri era partito per fare un agguato là, dove pensava che il giorno seguente i nostri sarebbero andati per foraggiare.
Sapute queste cose, a mezzanotte, partito in silenzio, al mattino giunse agli accampamenti dei nemici.
Essi conosciuto velocemente l'arrivo di Cesare per mezzo degli esploratori, nascosero i carri e le loro salmerie in selve piuttosto folte, schierarono tutte le truppe in luogo sopraelevato ed aperto.
Riferita tale cosa, Cesare comandò che si riunissero velocemente i bagagli, di preparare le armi.
7.XIX. Rabbia dei soldati romani contro i nemici.
Il colle era leggermente in pendio dal basso.
questo da tutte le parti lo cingeva una palude difficile ed inaccessibile non più ampia di cinquanta piedi.
Su questo colle, interrotti i ponti, i Galli si tenevano nella fiducia della posizione e distribuiti per tribù secondo le nazioni occupavano tutti i guadi ed i passaggi di quella palude con guarnigioni sicure, pronti di spirito così che, se i Romani tentavano di forzare quella palude, assalissero gli esitanti dalla postazione superiore, tanto che, chi osservava la vicinanza del luogo, pensava fossero pronti a combattere quasi con Marte pari (scontro alla pari), chi esaminava la disparità di condizione, s'accorgeva che essi si gloriavano di una finzione vuota.
Cesare istruisce i soldati frementi, perché i nemici potevano sopportare la loro presenza, lasciato un così piccolo spazio in mezzo, e che chiedevano il segnale di combattimento, di quanto grande perdita e della morte di quanti uomini forti fosse necessario che costasse una vittoria; ma vedendoli di spirito così pronti, da non rifiutare nessun rischio per il suo ( di Cesare) onore, (dice che) egli si doveva condannare al colmo della ingiustizia, se non considerava la loro vita più cara della sua incolumità. Così confortati i soldati nello stesso giorno li riporta negli accampamenti e decise di organizzare le altre cose che miravano all'assedio della città.

7.XX. Vercingetorige accusato di tradimento dai suoi e suo discorso.
Vercingetorige, essendo ritornato tra i suoi, accusato di tradimento, perché aveva tolto gli accampamenti troppo vicino ai Romani, perché s'era allontanato con tutta la cavalleria, perché aveva lasciato senza comando così grandi truppe, perché con la sua partenza i Romani erano giunti con così grande tempestività e velocità; - (che) tutte queste cose non erano potute capitare a caso o senza un piano; che lui preferiva il regno della Gallia per concessione di Cesare che col loro favore - in tale modo accusato, rispose a queste cose: che avesse levato gli accampamenti, era accaduto per mancanza di foraggio mentre anche loro lo esortavano; che si fosse avvicinato troppo ai Romani, era stato persuaso dalla opportunità del luogo, che si difendeva da sé senza fortificazione; inoltre l'opera dei cavalieri non doveva essere richiesta in un luogo paludoso ed era stata utile là dove erano andati. Quando partiva non aveva dato il supremo comando a nessuno di proposito, perché egli non fosse spinto dalla voglia della moltitudine a combattere; vedendo che tutti miravano a quella cosa per debolezza di spirito, per cui non potevano sopportare a lungo la fatica. Se i Romani erano per caso sopraggiunti, bisognava ringraziare la (dea) Fortuna, se chiamati dalla spia di qualcuno, (ringraziare) costui, perché avevano potuto conoscere dalla località superiore sia la loro esiguità sia disprezzare il loro valore, (Romani) che non osando combattere s'erano ritirati vergognosamente negli accampamenti. Lui non desiderava da parte di Cesare col tradimento nessun potere, che poteva avere con la vittoria, che ormai era per lui e per tutti i Galli pregustata; addirittura si rimetteva a loro, se sembravano attribuire a lui più onore che ricevere salvezza da lui.
"Perché capiate che queste cose, disse, sono affermate sinceramente da me, ascoltate i soldati romani."
Fa avanzare degli schiavi, che pochi giorni prima aveva catturati nel foraggiamento ed aveva torturato con la fame e le catene.
Questi istruiti già precedentemente cosa dire, (se) interrogati, dicono di essere soldati legionari; spinti dalla afme e dalla indigenza erano usciti di nascosto dagli accampamenti, se potessero reperire qualcosa di cereale o di bestiame nelle campagne; tutto l'esercito era oppresso da simile indigenza e le forze di nessuno ormai erano sufficienti e non potevano sopportare la fatica del lavoro; cosi il generale aveva deciso che, se non si fosse guadagnato nulla nell'assedio della città, dopo tre giorni leverebbe l'esercito. "Questi, disse, i favori da me Vercingetorige, che voi accusate di tradimento; per la cui opera voi vedete, senza il vostro sangue, un così grande esercito vincitore quasi consumato dalla fame; e quello mentre vergognosamente si ritira in fuga, perchè nessuna nazione lo riceva nei propri territori, è stato provveduto da me."

7. XXI.Vercingetorige acclamato comandante supremo dai suoi.
Tutta la moltitudine acclama e secondo il suo costume rumoreggia con le armi, cosa che sono soliti fare per colui di cui approvano il discorso; (dicevano che) Vergingetorige fosse il comandante supremo e che non c'era da dubitare sulla sua lealtà.
E (che) la guerra non si poteva organizzare con metodo migliore.
Decidono che 10 mila uomini scelti tra tutte le truppe siano inviati in città, e non pensano che la salvezza comune non sia da affidare ai soli Biturigi, perché capivano che il risultato della vittoria consisteva quasi in questo, se avessero mantenuta quella città.
7.XXII.Assedio posto dai Romani ed ostacoli dei nemici.
Strategie dei Galli di qualunque tipo contrastavano il singolare valore dei nostri soldati, come è una razza di somma abilità e capacissima ad imitare e fare le cose che sono date da
chiunque.
Infatti con lacci distoglievano le nostre falci, che quando le avevano afferrate, le tiravano dentro con macchine, facevano crollare il terrapieno con cunicoli, tanto più abilmente per il fatto che presso di loro ci sono molte miniere di ferro ed ogni tipo di cunicoli è noto e praticato.
Avevano poi attrezzato di piani tutto il muro con torri e le avevano ricoperte di pelli.
Poi con frequenti sortite diurne e notturne o
appiccavano il fuoco al terrapieno o assalivano i soldati occupati nel lavoro ed eguagliavano l'altezza delle nostre torri, quanto il terrapieno quotidiano le innalzava, legate travi delle loro torri e bloccavano i cunicoli aperti con materiale
appuntito e induriti al fuoco e con pece bollente e massi di enorme peso ed impedivano di avvicinarsi alle mura.
7.XXIII. Forma delle mura dei Galli.
Tutte le mura galliche sono press'a poco di questa foema.
Travi continue perpendicolari sono poste sul suolo
in lunghezza a pari intervalli, distanti tra loro due
piedi.
Queste sono legate all'interno e rivestite di molto terrapieno, poi quegli intervalli che dicemmo sono riempiti di fronte con grandi massi.
Collocati questi e congiunti, sopra si aggiunge un'altra serie, sicchè si conservi quello stesso intervallo e che le travi non si tocchino tra loro, ma dislocate a pari spazi siano tenute ognuna sui singoli massi posti.
Così poi tutta l'opera viene costruita, fin che si completi la giusta altezza del muro.
Questa opera da una parte non è brutta per l'aspetto e la varietà con alterne travi e macigni, che conservano le loro file con linee rette, dall'altra ha un'ottima opportunità per l'utilità e la difesa delle città, perché la pietra difende dall'incendio ed il materiale da ( i colpi de) ll'ariete, e tale materiale legato all'interno da travi per lo più lunghe quaranta piedi non si può spezzare
né staccare.
7.XXIV.Sortita notturna fatta dai nemici.
Impedito l'assedio da queste tante cose, i soldati, essendo bloccati per tutto il tempo da fango, freddo e piogge continue, tuttavia con una fatica incessante vinsero tutte queste cose ed in 25 giorni costruirono un terrapieno largo 330 piedi ed alto 80 piedi.
Quando quello (terrapieno) toccava quasi il muro dei nemici e Cesare secondo l'abitudine sorvegliava il lavoro ed esortava i soldati a non interrompere assolutamente nessun momento dall'impresa, poco prima la terza veglia si vide il terrapieno fumare, ed i nemici con un cunicolo l'avevano incendiato e nello stesso tempo alzatosi un grido da tutto il muro dalle due porte da entrambi i lati delle torri avveniva una sortita.
Alcuni da lontano lanciavano fiaccole e materiale secco dal muro sul terrapieno, rovesciavano pece ed altre cose, con cui si può ravvivare il fuoco, così che a stento si poteva intraprendere una strategia dove si corresse per prima cosa o a quale cosa si portasse aiuto. Tuttavia poichè per decisione di Cesare due legioni vegliavano sempre davanti agli accampamenti e parecchi, divisi i tempi, erano all'opera, velocemente avvenne che alcuni resistevano alle sortite, altri ritiravano le torri e tagliavano il terrapieno, poi tutta la folla dagli accampamenti accorreva a spegnere.

7.XXV.Eroismo dei Galli degno di menzione.
Combattendosi in tutti i luoghi, passata ormai la restante parte della notte e sempre per i nemici si rinnovava la speranza della vittoria, tanto più che vedevano bruciati i parapetti delle torri e capivano che (soldati) scoperti non potevano avvicinarsi per soccorrere e mentre essi sempre avvicendavano (uomini) freschi agli spossati e ritenevano che tutta la salvezza della Gallia era riposta in quel frammento di tempo, accadde, mentre noi guardavamo, quello che sembrò degno di menzione e noi giudicammo non doversi trascurare. Un gallo davanti alla porta della città, che lanciava nel fuoco nella zona della torre zolle di grasso e pece passate di mano in mano, trapassato dal fianco destro da uno scorpione cadde stramazzato.
Uno tra i vicini passando su questo che giaceva (a terra) svolgeva lo stesso compito.
Al secondo stramazzato per la stessa ragione da un colpo di scorpione successe un terzo ed al terzo un quarto e quel posto non fu lasciato vuoto dai difensori, prima che, spento il terrapieno ed allontanati da tutta quella parte i nemici, fu messa la fine del combattere.
7.XXVI.Suppliche delle madri ed abbandono del piano di fuga.
Avendo sperimentato tutto i Galli, poiché nessuna cosa era successa, il giorno dopo presero la decisione di fuggire dalla città, esortando ed orinandolo Vercingetorige.
Tentando ciò col silenzio della notte speravano di farlo con non grande perdita dei loro, per il fatto che gli accampamenti di Vercingetorige non erano lontano dalla città ed una palude continua, che si frapponeva, ritardava i Romani dall'inseguire.
Ormai preparavano per fare queste cose di notte, quando le madri di famiglia subito corsero in (luogo) pubblico e gettatesi ai loro piedi piangendo chiesero con tutte le suppliche di non consegnare loro ed i figli comuni ai nemici per il supplizio, loro che la debolezza di natura e delle forze impediva a prendere la fuga.
Quando li videro persistere nell'idea, poiché per lo più nel massimo pericolo il timore non accoglie la pietà, cominciarono a gridare e segnalare ai Romani della fuga.
Atterriti da questo spavento i Galli, perché le strade non fossero occupate dalla cavalleria dei Romani, desistettero dal piano.
7. XXVII.Premi offerti da Cesare ed improvvisa scalata delle mura.
Il giorno dopo Cesare fatta avanzare la torre e concluse le operazioni, che aveva deciso di fare, scatenatasi una grande pioggia, ritenendo che questa non fosse una inutile occasione per prendere una decisione, poiché vedeva sul muro le sentinelle disposte un po' troppo incautamente e ordinò che pure i suoi si applicassero al lavoro piuttosto con calma e mostrò cosa volesse che si facesse, e con le legioni pronte nelle gallerie di nascosto, esortando che finalmente raccogliessero in cambio di così grandi fatiche il frutto della vittoria, promise premi e diede
il segnale.
Essi subito volarono fuori da ogni parte e velocemente riempirono (occupando) la muraglia.

7.XXVIII. Grande strage di nemici.
I nemici atterriti dalla cosa nuova, buttati giù dal muro e dalle torri si raccolsero sulla piazza e nei luoghi più aperti a cuneo con questo intento, di, se si venisse contro da qualche parte, combattere in fila serrata.
Quando videro che nessuno scendeva su postazione adatta, ma si spandevano su tutto muro da ogni parte, temendo che fosse tolta del tutto la speranza di fuga, gettate le armi si diressero alle ultime parti della città con slancio continuo, e qui una parte, premendosi loro stessi nella stretta uscita delle porte, fu uccisa dai soldati, parte ormai uscita dalle porte (fu uccisa) dai cavalieri.
E non ci fu nessuno che si occupasse del bottino.
Così eccitati sia dalla strage di Cenabo sia dalla fatica del lavoro, non risparmiarono i gravati dall'età, non le donne, non i bambini.
Infine da tutta quella folla, che fu di circa 40 mila, a stento 800, che si erano buttati fuori dalla città, sentito il primo grido, giunsero incolumi da Vercingetorige.
Ed egli già a notte fonda nel silenzio li accolse dalla fuga così, temendo che negli accampamenti sorgesse una qualche ribellione del popolo per il loro arrivo e pietà, che lontano lungo la strada, dislocati suoi congiunti e capi di nazioni curasse a dividere e portare i loro, (a quella) parte degli accampamenti che dall'inizio era toccata ad ogni nazione.
7.XXIX.Conforto ed esortazione di Vercingetorige.
Il giorno dopo, convocata l'assemblea, confortò e rincuorò di non abbattersi troppo nello spirito e di non turbarsi per la
disgrazia.
(Diceva che) i Romani non avevano vinto col valore ed in campo aperto, ma con un'astuzia e con la tecnica dell'assedio, di cui essi eran stati sprovvisti.
Sbagliavano, se alcuni aspettassero in guerra come favorevoli tutti gli avvenimenti delle cose.
A lui non era mai piaciuto che si difendesse Avarico, della cui cosa aveva loro stessi come testimoni, ma era accaduto per la stoltezza dei Biturigi ed il troppa accondiscendenza degli altri, perché fosse ricevuta questa perdita. Lui tuttavia avrebbe rimediato con maggiori vantaggi. Infatti le nazioni che dissentivano dagli altri Galli, queste con la sua premura le avrebbe alleate ed avrebbe realizzato un unico piano di tutta la Gallia, al cui assenso neppure il mondo intero potrebbe resistere; egli lo riteneva quasi già realizzato.
Intanto era giusto chiedere a loro per la salvezza comune, di decidere di fortificare gli accampamenti, per sostenere più facilmente gli improvvisi attacchi dei nemici.

7.XXX.Crescita del prestigio di Vercingetorige.
Questo discorso non fu sgradito ai Galli e soprattutto perché egli non s'era perduto d'animo, ricevuta una così grande perdita e non si era nascosto in segreto ed evitata la vista del popolo e si riteneva che aveva previsto e pronosticato con intelligenza meglio, perché aveva ritenuto, essendo la situazione intatta, prima che bisognava incendiare Avarico, poi abbandonarlo.
Così come le avversità diminuiscono il prestigio degli altri comandanti, così l'autorevolezza di costui al contrario, ricevuta la perdita, si accresceva di giorno in giorno.
Contemporaneamente arrivavano alla speranza, su sua affermazione, circa l'allearsi le altre nazioni; anzitutto i Galli decisero di fortificare gli accampamenti, ed uomini non abituati alla fatica erano così prostrati di spirito, che tutte le cose che venivano loro comandate pensavano si dovessero sopportare e tollerare.

Esempio



  


  1. selene monaci

    versione latino tradotta del capitolo 13 di de bellico gallico i druidi