Cicerone:La difesa di Milone

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Testo

“DIFESA DI MILONE” Cicerone
>I 1> Sebbene, giudici, io tema che non mi faccia onore essere qui pronto a parlare in difesa di un uomo molto coraggioso, e avere la voce paralizzata dalla paura, e che, mentre Tito Annio è più preoccupato del benessere della repubblica che del suo, sia per me disdicevole non mostrare nella causa la stessa grandezza d'animo, tuttavia questa nuova e particolare procedura giuridica inquieta i miei occhi che si volgono ovunque a ricercare nel foro l'atmosfera di un tempo e il consueto modo di fare processi. >2> Voi giudici non siete circondati, come al solito, da una cerchia di uditori e noi avvocati non siamo stretti dalla folla consueta; quei soldati, poi, che vedete dinanzi a tutti i templi, sebbene siano stati schierati per contrastare la violenza, incutono tuttavia un po' di paura all'oratore. E così, sebbene noi siamo protetti nel foro e nel tribunale da salutari e indispensabili presidi armati, non posso non essere in apprensione. Se sapessi che si è allestito tutto questo schieramento per contrastare Milone, mi arrenderei all'evidenza dei fatti, giudici; non reputerei che vi sia spazio per un'orazione di difesa in mezzo a così tante armi. Ma mi risolleva e mi conforta un po' il progetto di Gneo Pompeo, uomo molto saggio e giusto: egli non riterrebbe consono ai suoi principi di giustizia consegnare alle armi dei soldati l'imputato che aveva affidato alle decisioni dei giudici; inoltre considererebbe cosa indegna della sua saggezza armare, con la sua autorità di uomo pubblico, il furore della folla esagitata. >3> Ecco perché la presenza di tutte quelle armi, dei centurioni e delle coorti non costituisce un pericolo per noi, ma, al contrario, ci tutela, ci induce a star tranquilli e ad avere coraggio, e garantisce appoggio e silenzio alla mia difesa. Quanto al resto della folla, composto di cittadini, esso è tutto dalla nostra parte; sin dove può estendersi lo sguardo su una qualunque parte del foro, voi potete leggere sui loro visi la trepida attesa di un equo responso da parte di questa giuria e il vivo interesse per le varie fasi del processo: in effetti, sanno bene quanto valga Milone e considerano questa una buona occasione per meglio assicurarsi, lottando, la propria salvaguardia, quella dei figli, della patria e dei propri beni.
>II> Esiste poi una genia che ci è contraria e ostile: quella che la follia di Publio Clodio ha nutrito di rapine, incendi e pubbliche sciagure. Questi uomini, anche nel corso dell'assemblea preliminare al processo, che si è tenuta ieri, sono stati istigati a imporre con le loro grida il verdetto che voi dovete emettere. Ma le loro urla, se si leveranno, dovranno esservi più che mai di monito a non scacciare da Roma questo cittadino che non si è mai lasciato intimorire da quella gentaglia e dalle loro alte grida, a garanzia della vostra salvezza. >4> Quindi, non preoccupatevi, giudici, e abbandonate ogni timore, se ne avete. D'altra parte, se mai vi è capitato di giudicare uomini buoni e coraggiosi e cittadini che hanno ben meritato la vostra stima, se mai a persone scelte tra i ceti più autorevoli è stata offerta l'occasione di confermare a fatti e a parole tutta la simpatia, più volte già trapelata da sguardi e discorsi, per quegli stessi cittadini forti e valenti, ebbene, in questa circostanza avete il potere di decidere se noi, che siamo sempre stati rispettosi della vostra autorità, saremo costretti a un'infelicità eterna o se, grazie a voi, alla vostra lealtà, al vostro coraggio e alla vostra saggezza, potremo sentirci rinati, dopo tante vessazioni da parte di gente senza scrupoli. >5> Che si potrebbe dire o inventare, giudici, di più molesto, infelice o doloroso per noi due che, attratti alla vita politica dalla speranza dei più alti riconoscimenti, non possiamo liberarci dal terrore delle più crudeli vendette? Certo, io ho sempre pensato che destino di Milone fosse di affrontare tempeste e uragani, almeno quelli che si scatenano in mezzo ai flutti delle assemblee popolari, perché si era sempre schierato dalla parte dei cittadini onesti contro i soprusi dei prepotenti. Ma non ho mai pensato che all'interno del tribunale, nell'ambito di un processo dove a giudicare sono gli esponenti più autorevoli dei vari ordini romani, i nemici di Milone avessero qualche speranza, attraverso uomini come voi, di mettere in pericolo la sua vita o di sminuire la sua fama. >6> Del resto, in questa causa non mi avvarrò, giudici, del tribunato di Tito Annio e di quanto ha fatto per la salvezza della repubblica, per difenderlo. Se non vi apparirà chiaro che è stato Clodio a tendere un tranello ai danni di Milone io non insisterò affatto che ci assolviate da questo assassinio in virtù delle nostre numerose ed eccezionali benemerenze nei riguardi dello stato; né, sebbene la morte di Publio Clodio sia stata per voi la salvezza, vi chiederò di attribuirla al coraggio di Milone anziché alla fortuna del popolo romano. Se però l'agguato di Clodio risulterà evidente e più chiaro di questa luce, allora diventerò insistente e vi supplicherò - anche se avrò perso ogni altro diritto - di lasciarci almeno difendere la nostra vita dalla prepotenza e dalle armi degli avversari, senza per questo correre il rischio di essere puniti dalla legge.
>III 7> Ma prima di passare alla parte della mia orazione attinente alla vostra accusa, credo di dover confutare certe affermazioni avanzate in senato a più riprese dai nostri nemici, poi ripetute nel corso dell'assemblea popolare da gente senza scrupoli e infine poco fa ribadite dalla parte civile, perché, cancellato ogni equivoco, possiate esaminare con chiarezza la causa su cui dovete pronunciarvi. Gli accusatori sostengono che la legge divina non consente che contempli la luce del sole chi confessa di aver ucciso un uomo. Ma, mi domando, in quale città asseriscono una cosa del genere uomini tanto stupidi? Proprio a Roma, che vide quel primo processo che prevedeva la pena capitale per il grande Marco Orazio, uomo valorosissimo; egli, però, quando la città non era ancora stata liberata, fu assolto dal popolo romano raccolto in assemblea, sebbene ammettesse di aver ucciso di propria mano la sorella. >8> C'è forse tra voi qualcuno che non sappia come, quando si celebra un processo per omicidio, l'imputato sia solito o negare di aver commesso il fatto o sostenere di averlo commesso con ragione e secondo una legge? A meno che giudichiate pazzo Publio Africano, quando, interrogato provocatoriamente in assemblea dal tribuno della plebe Caio Carbone su cosa pensasse della morte di Tiberio Gracco, rispose che gli sembrava un'uccisione legittima. D'altra parte, non si potrebbero non considerare colpevoli il famoso Servilio Ahala, Publio Nasica, Lucio Opimio, Caio Mario o il senato stesso ai tempi del mio consolato, se fosse contro ogni diritto uccidere cittadini scellerati. Non senza ragione, giudici, uomini dottissimi hanno affidato al ricordo, attraverso le loro invenzioni, Oreste, che, accusato di aver ucciso la madre per vendicare il padre, quando il giudizio degli uomini non era concorde, fu dichiarato innocente dagli dèi, anzi, dalla dea più saggia.
>9> Anche le dodici Tavole hanno stabilito che si può uccidere in qualunque modo, senza timore di incorrere in sanzioni penali, il ladro sorpreso a rubare di notte; quello che, invece, agisce in piena luce del sole, solo se prova a difendersi con un'arma. C'è ancora qualcuno, quindi, che continua a esser convinto della punibilità di ogni omicidio, in qualunque circostanza commesso, quando sono proprio le leggi che talvolta ci forniscono l'arma per agire? IV Comunque, tra le tante occasioni in cui ci può capitare di uccidere un uomo ed avere la ragione dalla nostra parte, una è davvero giusta e ineluttabile: la legittima difesa, quando, cioè, si risponde alla violenza con la violenza. Un tribuno militare, che prestava servizio nell'esercito del comandante Caio Mario, di cui, per altro, era nipote, aveva tentato di fare violenza sessuale su un semplice soldato. L'onesto giovane, ribellatosi, lo uccise, preferendo reagire a proprio rischio e pericolo piuttosto che rassegnarsi a subire le voglie altrui. E Mario, mosso da un vivo senso di giustizia, lo scagionò da ogni colpa e lo lasciò libero. >10> Ma come si può chiamare ingiusta la morte inferta a chi ci tende insidie e ruba le nostre sostanze? E, ditemi, come si spiegano queste nostre scorte armate di pugnali? È ovvio che, se non fosse permesso in alcun caso di usarle, non sarebbe permesso nemmeno di tenerle. Esiste, dunque, giudici, questa legge non scritta, ma insita in noi, che non abbiamo letto o imparato sui banchi di scuola né ereditato dai padri: al contrario, l'abbiamo desunta dalla natura, assimilata completamente e fatta nostra: non ce l'hanno insegnata, ce la siamo presa ed è ormai connaturata in noi. Così, se dovessimo subire un agguato, una violenza, magari anche armata, per opera di un brigante da strada o di un avversario politico, ogni mezzo per salvare la nostra vita sarebbe lecito. >11> Le leggi, infatti, tacciono in mezzo alle armi e non prescrivono di affidarsi a loro, perché chi decidesse in tal senso dovrebbe comunque subire una pena immeritata prima di avere giustizia. Se vogliamo, c'è una legge che tutela la legittima difesa: essa, nella sua oculatezza, seppure implicitamente, non proibisce di uccidere un uomo, ma vieta che si vada in giro armati con l'intenzione di uccidere. E dunque, quando si indaga sulle cause e non sull'arma del delitto, chi ha usato un'arma solo per difendersi, non deve essere imputato di avere avuto con sé l'arma con l'intenzione di uccidere. Perciò, giudici, vorrei che questa mia riflessione restasse un punto fermo nel corso del dibattito; infatti, sono sicuro di convincervi con le mie parole di difesa, a patto che teniate sempre presente un dato che non si può dimenticare: si può legittimamente uccidere chi tende insidie.
>V 12> E passiamo ora a un altro argomento. Gli avversari di Milone hanno più volte ripetuto che il senato avrebbe giudicato come un attentato contro la repubblica la rissa in cui fu ucciso Clodio. Al contrario, il senato si è dichiarato favorevole a questa azione non solo a parole, ma anche con manifestazioni di simpatia. Io, poi, lo so bene perché in più occasioni ho discusso quella causa nella curia e sempre ho riscosso palesi consensi da parte di tutti i senatori. Anzi, vi dirò di più: mai, nemmeno durante le riunioni più affollate, sono riuscito a trovare quattro, cinque persone che non fossero dalla parte di Milone! Lo attestano i discorsi, peraltro non conclusi, di questo bruciacchiato tribuno della plebe, nei quali puntualmente ogni giorno si scagliava con astio contro di me, invidioso del mio potere, e sosteneva che il senato non decideva secondo le proprie convinzioni, ma secondo la mia volontà. Certo, se si vuole chiamare potere, piuttosto che modesta autorità nelle giuste cause, quello che mi sono guadagnato per i miei meriti politici nei confronti della repubblica, o la simpatia che ispiro agli uomini probi per la mia faticosa attività, comunque sia, al di là delle definizioni, la cosa importante è che io me ne possa servire nell'interesse di chi è onesto e contro la follia dei malvagi. >13> Il senato, tuttavia, non ha mai deliberato di adottare questo tipo di tribunale, per altro conforme alla legge. Esistevano già provvedimenti, esistevano commissioni d'inchiesta preposti a indagare sulle stragi e sui fatti di violenza; oltre a ciò, la morte di Clodio non era stata per il senato così dolorosa da indurlo a istituire un nuovo tipo di procedura. Chi potrebbe pensare che il senato abbia ritenuto necessario istituire una procedura straordinaria per la morte di Clodio quando gli era stata strappata la facoltà di creare un tribunale per giudicarlo in merito a quella odiosa violazione ? Perché, quindi, il senato stabilì che si era agito contro la repubblica incendiando la curia, facendo incursione nella casa di Marco Lepido e assassinando Clodio? La risposta è una sola: in una città libera non ci può essere scontro tra cittadini senza che lo stato non ne rimanga coinvolto. >14> Sì, lo so, non si dovrebbe mai rispondere alla violenza con la violenza, ma a volte è necessario; a meno che il giorno dell'uccisione di Tiberio Gracco, di Caio, o quello in cui fu repressa la rivolta armata di Saturnino, benché utili alla repubblica, siano stati a essa dannosi. >VI> E così, quando iniziò a circolare la voce della strage della via Appia, io ritenni che chi si era difeso non avesse agito contro l'ordine costituito; tuttavia, poiché c'erano state premeditazione e ferocia, io biasimai il fatto e ne rimandai ai giudici l'accertamento. E se il senato non fosse stato ostacolato nell'attuazione dei suoi piani da quel tribuno della plebe completamente pazzo, adesso non ci ritroveremmo con una nuova procedura da seguire. Il senato ha fatto il possibile perché il processo si svolgesse secondo le antiche leggi, proponendo solo di discutere subito la causa. La decisione fu presa votando separatamente i due articoli, perché così aveva preteso qualcuno, non so chi: non è richiesto in questa sede che io sia troppo esplicito sulle gravi responsabilità dei singoli. Così, grazie a un'opposizione prezzolata, la seconda parte della proposta del senato decadde. >15> Ma ecco che Gneo Pompeo avanzò una proposta di legge relativa al fatto in questione e alle cause che lo avevano determinato. Parlò infatti del massacro avvenuto lungo la via Appia, in cui trovò la morte Clodio. Qual è stato lo scopo del suo intervento? Evidentemente dare inizio all'inchiesta. Ma cosa c'era da scoprire? Se il fatto sia avvenuto? Ma tutti lo sanno. Forse il nome del responsabile? Anche questo è noto. Pompeo, però, è dell'idea che il reo, benché confesso, abbia la possibilità di difendersi. Se non la pensasse così, non avrebbe permesso di istruire un processo, che prevede anche la possibile assoluzione di Milone, nonostante questi abbia ammesso tutto, come, e lui lo sa, faccio io; e neanche vi avrebbe consegnato questa tavoletta che rappresenta per l'imputato la salvezza o la condanna. Quindi, mi pare che Pompeo per primo non sia troppo maldisposto o prevenuto nei confronti di Milone, ma vi abbia indicato ciò che dovete valutare per esprimere il vostro giudizio. Infatti, Pompeo non ha punito il reo confesso, ma gli ha concesso una difesa e ha creduto che si dovessero vagliare le cause dell'omicidio, non l'omicidio in sé. >16> Ma sarà Milone stesso che, tra poco, ci dirà se pensa che la responsabilità di ciò che ha fatto vada attribuita a Publio Clodio o alle circostanze. >VII> Qualche tempo fa, un uomo di nobili natali, che sempre si era schierato a difesa del senato e quasi ne era diventato un patrono, fu barbaramente ucciso in casa propria durante l'anno del suo tribunato. Sto parlando di Druso, zio dell'illustre Marco Catone, presente tra noi in qualità di giudice. In occasione della sua morte il popolo non venne consultato né, tanto meno, il senato aprì un'inchiesta. Dai nostri padri abbiamo saputo quanto dolore abbia provocato in questa città la tragica scomparsa dell'Africano, ucciso in piena notte mentre dormiva tranquillo nel suo letto! Chi dinanzi a un simile atto di violenza non pianse, chi non fu fortemente colpito vedendo che non si era atteso che morisse per cause naturali quell'uomo che tutti, se fosse stato possibile, avrebbero desiderato immortale? Si è forse avviata un'istruttoria sull'uccisione di Publio Africano? No, nel modo più assoluto. >17> E perché mai? Perché nessuna differenza intercorre tra la morte di un nobile e quella di un comune cittadino. È evidente che, finché si è vivi, la condizione di chi ha potere e di chi non ne ha non è la stessa: però, quando c'è di mezzo un delitto, è giusto che lo si sottoponga alle medesime leggi e, di conseguenza, alle medesime pene. A meno che voi non vogliate considerare un po' più assassino chi ha ucciso un padre ex console rispetto a chi ha tolto la vita a un padre oscuro! Oppure, come qualcuno afferma con insistenza, riteniate la morte di Clodio più atroce perché avvenuta lungo la via Appia, che è la testimonianza dell'operato dei suoi antenati. Come se l'ideatore della strada, il famoso Appio Claudio Cieco, la avesse costruita non pensando all'utilità pubblica, ma perché i suoi discendenti vi potessero tendere agguati impunemente! >18> Forse per questo, quando Publio Clodio ha ucciso lungo la via Appia un illustre cavaliere romano, Marco Papirio, si è pensato bene di non punirlo per il delitto commesso, perché lui, un nobile aveva sì ucciso un cavaliere, ma lo aveva fatto sulla strada degli antenati! Ora, invece, basta pronunciare il nome della via ed ecco che subito si scatena una tragedia degna del miglior teatro greco! Quante scene patetiche quando si parla di questa via Appia - e non si fa altro, ultimamente -, bagnata del sangue di un assassino, sovvertitore dello stato! Niente, invece, neanche una parola, quando era insanguinata per l'uccisione di un uomo onesto e innocente! Ma probabilmente non è il caso che io torni tanto indietro con la memoria: poco tempo fa è stato catturato nel tempio di Castore un servo di Clodio, inviato dal suo padrone per uccidere Pompeo; sorpreso con un pugnale in mano, ha confessato tutto. Ecco perché Pompeo, da quel momento, ha preferito tenersi lontano dal foro, dal senato, dai luoghi pubblici. Barricato in casa sua, si è dovuto difendere con le spranghe alle porte, non con l'autorità della legge e del tribunale. >19> Tuttavia, si è forse avanzata qualche proposta di legge particolare? Si è stabilita una nuova procedura? Niente affatto. Eppure, erano presenti tutti i requisiti richiesti per giustificare un'istruttoria straordinaria: il fatto, l'uomo, l'occasione, insomma gli elementi fondamentali di una causa giuridica. Quel servo stava in agguato nel foro, anzi proprio nella sala d'ingresso del senato, pronto a dare la morte a un uomo, sulla vita del quale poggiava la salvezza di questa città: e per di più in un momento tanto delicato per la repubblica che la sua morte avrebbe significato la fine per Roma e per tutte le sue genti! A meno che non si dovesse punire quel crimine perché non era stato portato a termine, come se le leggi punissero soltanto la riuscita degli atti criminosi e non le intenzioni degli uomini. Certo, buon per noi che il crimine non sia stato commesso: una punizione, nondimeno, sarebbe stata necessaria. >20> Quante volte io stesso, giudici, sono sfuggito alle armi e alle mani lorde di sangue di Publio Clodio! E se la mia buona stella, o quella dello stato, non mi avesse sempre salvato, chi avrebbe istruito il processo per la mia morte? VIII Ma noi siamo proprio pazzi: abbiamo il coraggio di mettere a confronto Druso, l'Africano, Pompeo, me stesso, con Publio Clodio! Tutti quei misfatti furono tollerati, ma nessuno rimane insensibile pensando alla morte di Clodio: il senato è addolorato, l'ordine equestre versa lacrime amare, la cittadinanza intera è in preda alla disperazione; i municipi sono in lutto, le colonie afflitte e persino le campagne si struggono nel rimpianto di quell'uomo tanto incline al bene, indispensabile per lo stato, dall'indole tanto mite! >21> Non fu certo quello il motivo, giudici, perché Pompeo stabilisse di dover istituire un processo, ma quell'uomo saggio e dotato di una mente acutissima, addirittura divina, considerò molti aspetti: che Clodio gli era stato nemico, Milone, invece, amico; ebbe timore che, se anche lui nell'euforia generale si fosse rallegrato, sembrasse troppo incerta la sincerità della sua riconciliazione. Fece molte altre riflessioni, ma si preoccupò in modo particolare della severità con cui avreste giudicato, per quanto egli stesso avesse aperto l'inchiesta con inflessibilità. E così dalle classi sociali più alte scelse persone eminenti, e non è affatto vero che nella scelta dei giudici abbia escluso, come alcuni vanno dicendo, i miei amici. Infatti, non pensò a questo un uomo così giusto, e scegliendo tra persone perbene, non sarebbe riuscito, anche se lo avesse voluto. Infatti il favore di cui godo non è limitato entro l'ambito dei miei amici più intimi, che non possono essere numerosi, visto che è impossibile avere dimestichezza con molte persone; ma, se ho un qualche potere, lo devo al fatto che mi ha unito agli onesti la mia attività politica. Pompeo, scegliendo tra loro gli uomini migliori, e credendo che soprattutto tale dovere riguardasse la sua lealtà, non poté scegliere uomini che non fossero ammiratori del mio operato.
>22> Ma, quanto al fatto che volle a tutti i costi che tu, Lucio Domizio, fossi presidente di questo processo, non chiese nient'altro se non giustizia, serietà, bontà d'animo e lealtà. Io credo che Pompeo ritenne necessario un ex console, perché stimava che dovere dei cittadini più autorevoli fosse opporsi alla mutevolezza della folla e alla temerarietà di gente senza scrupoli. Tra tutti gli ex consoli ha eletto te; infatti, già da ragazzo avevi fornito esemplari testimonianze del tuo disprezzo per il furore popolare.
>IX 23> Perciò, per giungere finalmente alla discussione del capo d'accusa, giudici, se è vero che non è inconsueto confessare un delitto e se, a proposito della nostra causa, il senato espresse un giudizio non diverso da quello che noi avremmo voluto; se, infine, l'autore stesso della legge, pur non essendovi alcuna contestazione del fatto, tuttavia volle che ci fosse una discussione, e si scelsero tali giudici e si prepose un tale presidente, perché decidessero con giustizia e oculatezza, non vi resta, giudici, che stabilire chi tra Clodio e Milone tese l'agguato. Pertanto, affinché attraverso la mia argomentazione possiate più facilmente comprendere, vi prego di prestare attenzione mentre vi espongo brevemente i fatti.
>24> Publio Clodio, deciso a sovvertire lo stato con qualunque mezzo illecito durante la pretura, vedendo che nel corso dell'anno precedente i comizi erano stati differiti e che perciò non avrebbe potuto esercitare la pretura per molti mesi, e dato che non aspirava alla carica, come gli altri, ma voleva evitare di avere come collega Lucio Paolo, cittadino di straordinario valore, e aveva bisogno di un anno intero per rovesciare il sistema repubblicano, con mossa improvvisa rinunciò alla candidatura per quell'anno e si ripropose per il successivo; e ciò non, come accade, per una qualche credenza superstiziosa, ma, stando alle sue parole, per avere a disposizione un anno tutto intero in cui esercitare la carica di pretore - cioè, sovvertire lo stato. >25> Gli veniva il pensiero che la sua pretura sarebbe stata molto indebolita se Milone fosse stato eletto console; vedeva infatti che stava per diventare console con il pieno consenso del popolo romano. Si schierò allora dalla parte degli avversari politici di Milone, ma in modo da organizzare da solo, e anche senza il loro consenso, tutta la campagna elettorale, e in modo da reggere sulle sue spalle, come ripeteva, tutti i comizi. Radunava le tribù, faceva da tramite, istituiva una seconda tribù Collina arruolando masse di disperati. Ma quanto più Clodio fomentava disordini, tanto più Milone prendeva forza di giorno in giorno. Quando quell'uomo, dispostissimo a compiere ogni atto illecito, si accorse che il suo irriducibile nemico, dotato di grandissimo coraggio, sarebbe divenuto sicuramente console, e vide che veniva considerato tale non solo a parole, ma anche era stato spesso designato dai voti del popolo romano, iniziò ad agire apertamente e a dichiarare senza alcuna remora che occorreva eliminare Milone. >26> Aveva fatto scendere dall'Appennino schiavi rozzi e incivili, che anche voi avete conosciuto, con i quali aveva devastato i boschi di proprietà dello stato e aveva saccheggiato l'Etruria. Lo scopo non era per nulla oscuro: andava infatti dicendo che a Milone non si poteva certo portar via la sua carica di console, ma la vita sì. Lo fece capire spesso in senato, lo disse durante le assemblee del popolo; addirittura, quando Marco Favonio, un uomo dotato di grande coraggio, gli chiese con quale speranza infuriasse così finché Milone era in vita, gli rispose che Milone sarebbe morto nell'arco di tre, quattro giorni al massimo; Favonio allora riferì immediatamente queste sue parole al qui presente Marco Catone. >X 27> Intanto quando Clodio venne a sapere, e non era difficile saperlo, che, secondo la legge, Milone entro il 18 gennaio doveva necessariamente compiere il viaggio annuale a Lanuvio, poiché ne era supremo magistrato, per eleggere il flàmine, partì immediatamente da Roma il giorno innanzi con l'intenzione, come si capì dallo svolgimento dei fatti, di tendere un agguato a Milone davanti al proprio podere. E partì così in fretta da abbandonare una riunione assai animata, che si stava svolgendo proprio in quel giorno, nel corso della quale si sentì la mancanza del suo vigore polemico; non l'avrebbe mai lasciata se non avesse voluto approfittare del momento e dell'occasione opportune per il suo piano criminoso. >28> Milone, dal canto suo, dopo essere stato quel giorno in senato finché l'assemblea fu sciolta, tornò a casa, cambiò i calzari e gli abiti, poi aspettò un poco mentre la moglie, come accade, terminava di prepararsi, infine partì a un'ora tale che Clodio avrebbe potuto già essere di ritorno, se mai in quel giorno avesse voluto tornare a Roma. Gli si fa incontro, libero da ogni impaccio, Clodio a cavallo: niente carrozza, né bagagli, neanche, come era solito, i compagni di viaggio di origine greca, non c'era neppure la moglie, cosa che non capitava quasi mai. Questo assalitore, invece, che avrebbe organizzato quel viaggio con il solo scopo di fare una strage, procedeva sul carro in compagnia della moglie, avvolto in un mantello, impacciato da un grande e lento séguito femminile di ancelle e giovinetti. >29> Si imbatte in Clodio dinanzi al suo podere all'incirca alle cinque del pomeriggio e immediatamente da una collinetta parecchi uomini armati di pugnale si slanciano contro di lui; altri, attaccando di fronte uccidono il conducente del carro. Milone, allora, gettato dietro le spalle il mantello, salta giù dalla vettura e si difende accanitamente; quelli che stavano con Clodio, sguainate le spade, in parte tornano di corsa alla carrozza per assalire Milone alle spalle, altri, invece, poiché lo credevano già morto, incominciano ad ammazzare i suoi schiavi, che chiudevano la fila. E di costoro, che erano stati d'animo coraggioso e fedele nei confronti del padrone, una parte fu trucidata; altri, invece, vedendo che era scoppiata una rissa intorno al carro, ma si impediva loro di portare aiuto al loro signore, convinti che Milone fosse stato ucciso davvero - lo avevano sentito dire da Clodio in persona -, questi servi di Milone dunque, (parlerò in tutta franchezza, non per eludere l'accusa, ma secondo i fatti), senza che il padrone lo ordinasse, senza che fosse presente, senza che lo sapesse, fecero quanto ciascuno avrebbe desiderato dai suoi uomini in una simile circostanza.
>XI 30> Le cose sono andate così come le ho raccontate, giudici: chi ha teso insidie fu sconfitto, la violenza fu vinta dalla violenza, o meglio un atto oltraggioso fu schiacciato da uno di valore. Non dico nulla sui vantaggi che ne ricavò la repubblica, nulla sui vostri e su quelli degli onesti cittadini. A Milone non ha giovato; egli nacque con questo destino: non poter salvare la sua vita senza salvare al tempo stesso voi e la repubblica. Se ciò non poté accadere secondo la legge, è inutile che io lo difenda. Se invece la ragione agli uomini colti, la necessità ai barbari, la consuetudine agli uomini civili, l'istinto agli animali, prescrissero di respingere con qualunque mezzo la violenza dal loro corpo, dalla loro testa, dalla loro vita, non potete giudicare criminoso il fatto in questione, senza al tempo stesso decretare morte certa, o di mano dell'aggressore o con verdetto vostro, per tutti quelli che si siano imbattuti in un malintenzionato. >31> Ché se Milone avesse ragionato così, sarebbe stato per lui preferibile offrire la gola a Publio Clodio, che la desiderava da tempo, e non era quella la prima volta che lo dimostrava, piuttosto che venire ucciso da voi, perché non si era consegnato al nemico per farsi ammazzare! Se nessuno di voi la pensa così, la cosa da stabilire in questo giudizio non è se sia stato ucciso, cosa che riconosciamo, ma se sia stato ucciso a torto o a ragione - cosa che spesso è stato oggetto di discussione in molti processi. Che ci sia stato un agguato è cosa certa e il senato lo ha considerato un vero e proprio attacco allo stato; non è chiaro chi dei due avversari lo abbia teso. Ecco perché si propose di istruire un processo; così il senato mise sotto accusa l'episodio, non l'uomo, e Pompeo ha voluto che si accertasse la legalità del fatto, non il fatto in sé. >XII> Che cosa vi è, dunque, da definire se non chi dei due tese quell'imboscata all'altro? Niente, ne sono certo; se risulterà che responsabile è il qui presente Milone, che sia punito; in caso contrario, assolviamolo.
>32> In che modo si può quindi provare che è stato Clodio a tendere un agguato a Milone? Basta riuscire a dimostrare che quella belva tanto sfrenata e irriverente aveva un valido motivo e una grande speranza nella morte di Milone, da cui gli sarebbero venuti grandi vantaggi. Valga per questi personaggi il famoso detto di Cassio «a chi fu di vantaggio», anche se chi è onesto non è spinto all'inganno da alcun tornaconto, mentre i delinquenti spesso si accontentano di uno piccolo. Ebbene, se Milone fosse stato ucciso, Clodio avrebbe ottenuto questi vantaggi: non solo sarebbe stato pretore senza quel console, con cui non avrebbe potuto commettere alcuna scelleratezza, ma pretore sarebbe diventato con dei consoli che, se non lo avessero proprio appoggiato, certamente l'avrebbero lasciato fare, e gli consentivano di sperare nella realizzazione dei suoi folli progetti. Quei due, secondo il suo punto di vista, non avrebbero desiderato soffocare i suoi tentativi, pur potendolo fare, poiché ritenevano di essergli debitori di un così grande favore, ma se anche avessero voluto, si sarebbe forse rivelato quasi impossibile domare la spregiudicatezza, rafforzata ormai dal passare degli anni, di un uomo così scellerato. >33> O forse solo voi, giudici, non siete al corrente e vivete in questa città come stranieri? La vostra attenzione vaga altrove e non si sofferma su quanto in città si va dicendo sulle leggi - se leggi si devono chiamare e non fiamme incendiarie della città, peste della repubblica -, quelle che Clodio stava per imporre e marchiare a fuoco su noi tutti? Ti prego, Sesto Clodio, mostra, mostra la cassettina delle vostre leggi, perché dicono che te la sei portata via da casa e che l'hai messa in salvo, quasi fosse il Palladio, dal baccano notturno delle armi, per poterla consegnare come preziosissimo dono e strumento del tribunato, se per caso ti fossi imbattuto in uno disposto a condurre il tribunato seguendo i tuoi desideri. Ecco che mi ha lanciato un'occhiata delle sue solite di un tempo, quando minacciava tutti di ogni sorta di mali. Che paura mi fa, questo splendore della curia! >XIII> Ma come? Tu pensi che io sia adirato con te, Sesto, che hai anche inferto al mio più grande nemico una punizione ben più crudele di quella che, data la mia umanità, avrei osato chiedere? Tu hai trascinato fuori di casa il cadavere insanguinato di Publio Clodio, tu lo hai buttato tra la gente, tu lo hai spogliato delle immagini degli antenati, delle esequie, del corteo, dell'elogio, e, già mezzo bruciacchiato da un incendio funesto, lo hai lasciato in pasto ai notturni cani randagi. Perciò, se anche ti sei comportato empiamente, tuttavia, considerando che hai scatenato la tua ferocia contro un mio nemico, non posso complimentarmi, ma non devo affatto prendermela con te.
>34> Avete sentito, giudici, quanto vantaggio avesse Clodio dall'uccisione di Milone; rivolgete ora il vostro animo a Milone. Che interesse poteva avere che Clodio fosse ucciso? Quale ragione c'era perché non dico commettesse il fatto, ma lo desiderasse? «Per Milone Clodio costituiva un ostacolo alla sua speranza di divenire console». Ma, nonostante l'opposizione di Clodio, Milone sarebbe diventato console, anzi, per questa lo sarebbe diventato più facilmente; e non si serviva di me come sostenitore migliore di Clodio. Grande efficacia su di voi aveva, giudici, il ricordo dei meriti di Milone nei confronti miei e della repubblica; grande efficacia avevano le mie preghiere e le mie lacrime, da cui allora mi accorgevo che vi lasciavate sinceramente commuovere, ma molto più valeva la paura dei pericoli sovrastanti. Quale cittadino c'era, infatti, che pensasse alla pretura sfrenata di Publio Clodio, e non provasse una terribile paura di sconvolgenti novità? Eravate consapevoli che sarebbe stata senza freni, se non ci fosse stato un console che avesse osato e potuto tenerlo a bada. Siccome tutto il popolo romano riteneva che solo Milone potesse essere quel console, chi avrebbe esitato con il suo voto a liberare se stesso dal timore e lo stato dal pericolo? Ora, invece, che Clodio è uscito di scena, per salvaguardare la dignità della sua posizione, Milone deve ricorrere ai soliti espedienti; ormai con la morte di Clodio è finita quella gloria particolare che giorno dopo giorno aumentava e che era concessa a lui solo perché lui domava i furori dei Clodiani. Voi avete ottenuto di non temere di alcun cittadino; costui ha perso la possibilità di esercitare il suo valore e l'appoggio che lo avrebbe portato al consolato, fonte per lui di gloria eterna. E così il consolato di Milone, che non poteva essere indebolito finché Clodio era vivo, ora che è morto, ha incominciato a vacillare. Quindi, la morte di Clodio non solo a Milone non è servita a niente, ma gli crea problemi. >35> «Ma fu l'odio a prendere il sopravvento, agì in preda all'ira, si comportò da nemico, vendicò i torti, sfogò il proprio risentimento». E allora? Se questi sentimenti furono, non dico più vivi in Clodio che in Milone, ma fortissimi nell'uno e completamente assenti nell'altro, cosa volete ancora? Perché mai Milone avrebbe dovuto avere avversione per Clodio, nutrimento e mezzo della sua gloria, se non a causa di quell'odio civile che ci spinge a odiare tutti i malvagi? Clodio sì che aveva motivi per detestarlo: innanzitutto era stato difensore della mia salvezza, poi persecutore della sua furia, vincitore di scontri armati, infine, anche suo accusatore; infatti, per tutto il tempo che visse, Clodio fu accusato da Milone secondo la legge Plauzia. Con quale animo pensate che abbia sopportato tutto ciò quel despota? Quanto odio - odio giustificato, dal punto di vista di un uomo ingiusto - credete che avesse maturato? |#[continua]#|
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|#[DIFESA DI MILONE, 2]#|
>XIV 36> Resta un argomento: a difendere Clodio intervengono la sua natura e il suo modo di vivere, e questi stessi elementi accusano invece Milone! «Clodio non ha mai fatto nulla con la violenza, Milone, al contrario, se ne è sempre servito per tutto!». Cosa? Quando nel cordoglio generale, giudici, mi sono allontanato dalla città ho avuto forse paura di un processo? o di schiavi, di armi, di reazioni violente? Quale giusto motivo per farmi tornare si sarebbe trovato, se quello della mia espulsione non fosse stato ingiusto? Lui, credo, mi aveva fissato il giorno, mi aveva inflitto una multa, aveva intentato un processo di alto tradimento e io avrei dovuto temere il processo in una causa così malvagia o fatta apposta per me, e non illustre e diretta a tutti voi! Non volli che al posto mio i miei concittadini, salvati con pericolo dai miei consigli, fossero esposti alle armi di schiavi, di miserabili, di scellerati. >37> Io ho visto, ho visto davanti a me Quinto Ortensio qui presente, faro e onore dello stato, che a momenti veniva trucidato da una schiera di servi, perché prendeva le mie parti; in quella confusione il senatore Caio Vibieno, ottimo uomo, dato che si trovava con lui fu conciato talmente male che morì. Quando dunque, dopo di allora si riposò quel suo pugnale, che aveva ereditato da Catilina? Contro di me fu puntato, - ma non ho permesso che veniste coinvolti voi al posto mio -, fu rivolto contro Pompeo, macchiò di sangue con la strage di Papirio questa famosa via Appia, ricordo del nome di Clodio, infine, dopo un lungo intervallo di tempo, fu di nuovo puntato contro la mia persona; recentemente quasi mi uccise, come sapete, nei pressi della reggia. >38> Si può dire lo stesso di Milone? Lui ha speso sempre ogni energia per impedire a Publio Clodio di tenere questa città schiacciata con la violenza, visto che non lo si poteva trarre in giudizio. Ma se avesse voluto ucciderlo, quali e quante splendide occasioni ci sarebbero state! Forse non avrebbe potuto a buon diritto vendicarsi, nel tentativo di difendere la sua casa e gli dèi penati, quella volta in cui Clodio fece irruzione in casa sua? Non avrebbe potuto farlo quando fu ferito un cittadino illustre e uomo fortissimo, il suo collega Publio Sestio? E la volta in cui Quinto Fabrizio, persona irreprensibile, fu cacciato durante una ferocissima rissa nel foro, poiché proponeva una legge circa il mio ritorno? E quando fu assalita la casa di Lucio Cecilio, valorosissimo e integerrimo pretore? Non avrebbe potuto farlo nel giorno in cui fu presentata la legge relativa al mio rientro, quando la gente, accorsa da ogni parte d'Italia, spinta dalla volontà di salvarmi, avrebbe appreso con gioia la notizia di tale azione, al punto che tutta la cittadinanza, se anche l'avesse fatto Milone, avrebbe rivendicato come sua quella gloria? >XV 39> Ma quali erano le circostanze? Vi era un console, [Publio Lentulo], molto forte e famoso, nemico di Clodio, vendicatore di quella scellerata proposta di legge, sostenitore del senato, difensore della vostra volontà, protettore della concordia pubblica, mio salvatore; c'erano i sette pretori e gli otto tribuni della plebe, avversari politici di Clodio, schierati a mia difesa; c'era Gneo Pompeo, artefice e promotore del mio rientro, a lui ostile; le sue parole in favore della mia salvezza, assai ponderate ed eleganti, tutto il senato le approvò: proprio Pompeo, che si rivolse al popolo romano, che, quando a Capua emanò il provvedimento sul mio ritorno, a tutta l'Italia che desiderava e implorava la sua fiducia, diede in prima persona il segnale di accorrere in folla a Roma a votare perché fossi ripristinato nei miei diritti. Nei confronti di Clodio, infatti, ardeva l'odio di tutti i cittadini per il rimpianto che avevano di me, al punto che se qualcuno allora lo avesse ucciso, non si sarebbe discusso della sua impunità, ma del premio da dargli. >40> Milone, in quella occasione, si trattenne e citò Publio Clodio in giudizio due volte, senza provocarlo mai al combattimento. E allora? Quando Milone ritornò a essere un privato cittadino e Publio Clodio gli scagliò contro accuse davanti al popolo, quando fu assalito Gneo Pompeo che parlava in difesa dell'amico, allora sarebbe stata non solo una splendida occasione, ma anche un ragionevole motivo per eliminarlo! Qualche tempo fa, poi, quando Marco Antonio rappresentò la più grande speranza di salvezza per tutte le persone oneste, e, giovane dai nobilissimi natali, si assunse con tanta risolutezza una gravissima responsabilità nei confronti dello stato, e già teneva nelle reti quella belva, che tentava di sfuggire ai lacci di un'azione giudiziaria, quale opportunità, dèi immortali, quale occasione favorevole fu quella! Quando Clodio, fuggendo, riuscì a nascondersi nel buio di un sottoscala, sarebbe stato molto facile per Milone uccidere quel flagello di uomo senza attirare su di sé alcuna inimicizia, ma anzi attirando grande gloria su Marco Antonio! >41> Ma come? Quante volte Milone avrebbe potuto ucciderlo durante i comizi in campo Marzio, quando lui aveva fatto irruzione nei recinti e aveva creato l'occasione per sguainare le spade e scagliar sassi; ma, all'improvviso, terrorizzato dallo sguardo di Milone, si era dato alla fuga verso il Tevere, mentre voi e tutta la gente onesta facevate voti perché a Milone piacesse servirsi del suo coraggio.
>XVI> Quell'uomo che non volle uccidere con l'approvazione di tutti, è logico, forse, che l'abbia voluto con la disapprovazione di alcuni? Lui, che non osò farlo a buon diritto, in luogo favorevole, in una circostanza idonea e godendo dell'impunità, non avrebbe esitato a uccidere a torto, in luogo sfavorevole, in tempo inopportuno, col rischio della propria vita? >42> Oltretutto, giudici, quando si avvicinava il momento della lotta per la più alta carica ed erano imminenti i giorni dei comizi, nel tempo in cui - so infatti quanto inquieta sia la brama di popolarità e quanto grande e ansiosa sia la voglia di diventar console -, abbiamo paura di tutto, non solo di poter essere criticati apertamente, ma anche di ciò che può essere pensato in segreto, ci spaventiamo per vaghe chiacchiere sciocche, per false storielle, scrutiamo le espressioni e gli sguardi di tutti. Non esiste, infatti, niente di così instabile e aleatorio, di fragile e incostante come la disposizione d'animo e il sentimento dei cittadini nei nostri confronti - cittadini che non solo tuonano contro il degrado morale dei candidati, ma trovano spesso anche da ridire su comportamenti onesti. >43> Quindi Milone, che teneva fisso davanti agli occhi il giorno dei comizi, desiderato e rincorso, poteva presentarsi con le mani sporche di sangue ai sacri auspici delle centurie, ostentando e per nulla celando un'azione delittuosa? Quanto non è credibile in lui questo comportamento, quanto, invece, lo stesso fatto non deve creare alcun dubbio nel caso di Clodio, che pensava, una volta ucciso Milone, di spadroneggiare come un re. E che? O giudici, nel compiere atti temerari è di capitale importanza - chi non lo sa? - la speranza di rimanere impuniti. Chi dei due poté nutrire, quindi, questa speranza? Milone, che è chiamato a rispondere anche ora di un'azione giusta, gloriosa, di certo inevitabile? O Clodio, che aveva disprezzato processi e punizioni al punto da amare solo ciò che non è consentito dalla natura o non è lecito per le leggi?
>44> Ma perché devo addurre delle prove, perché devo discutere ancora? Mi rivolgo a te, Quinto Petilio, validissimo e ottimo cittadino, e a te, Marco Catone, chiedo testimonianza, a voi che la sorte veramente divina concesse a me in qualità di giudici. Avete ascoltato da Marco Favonio le parole di Clodio e avete sentito, quando Clodio era vivo, che Milone sarebbe morto da lì a tre giorni; il fatto avvenne tre giorni dopo che egli aveva parlato. Poiché egli non esitò a svelare il suo piano, potete avere dei dubbi sulla sua azione? >XVII 45> Come mai, dunque, non sbagliò il giorno? L'ho già spiegato poco fa. Non era affatto difficile conoscere i giorni stabiliti per i sacrifici del dittatore di Lanuvio. Si rese conto che Milone doveva partire per Lanuvio proprio in quella data in cui se ne andò, e così lo precedette. E che giorno era? Proprio quello, come ho detto prima, in cui si svolse un'assemblea popolare tra le più turbolente, agitata da un tribuno della plebe, pagato da Clodio; e quel giorno Clodio, se non avesse avuto fretta di portare a termine il suo piano, calcolato nei particolari, non avrebbe mai lasciato quella riunione e quei clamori. Egli non ebbe un motivo per andare, ebbe, anzi, un motivo per rimanere; Milone, invece, non ebbe alcuna possibilità di restare: non solo aveva un motivo, addirittura era obbligato a lasciare la città. E che direste se io vi convincessi che, come Clodio sapeva che quel giorno Milone sarebbe passato per quella via, così Milone non poteva proprio sospettarlo? >46> In primo luogo vi domando come potesse esserne al corrente - obiezione che non potete muovere a Clodio. Anche se non l'avesse chiesto ad altri tranne che al suo grande amico Tito Patina, avrebbe potuto sapere che in quel preciso giorno a Lanuvio il dittatore Milone doveva necessariamente eleggere il flàmine. Ma c'erano molti altri da cui informarsi con estrema facilità, a cominciare da tutti gli abitanti di Lanuvio. A chi Milone avrebbe potuto chiedere notizie a proposito del ritorno di Clodio? Poniamo che abbia pure interpellato qualcuno - vedete quanto vi concedo -, o che abbia persino corrotto un servo, come ha detto il mio amico Quinto Arrio. Leggete le deposizioni dei vostri testimoni. Caio Causinio Scola di Interamna, vicinissimo a Clodio e suo compagno d'avventure - secondo la cui testimonianza tempo fa Clodio si trovava alla stessa ora sia a Interamna che a Roma -, ha dichiarato che in quel famoso giorno Publio Clodio aveva tutte le intenzioni di fermarsi nella sua villa albana; ma all'improvviso gli venne annunciata la morte dell'architetto Ciro, e così decise di tornare subito a Roma. La stessa versione dei fatti ci è stata fornita da Caio Clodio, un altro compagno di Publio Clodio. >XVIII 47> Vedete, giudici, quanto siano importanti le precisazioni di questi testimoni. In primo luogo, scagionano certamente Milone dall'accusa di essere partito con la chiara intenzione di far cadere Clodio in un'imboscata lungo la strada: incontrarlo non era affatto prevedibile. Inoltre, - non vedo infatti perché non debba trattare anche la mia causa - voi sapete, giudici, che c'è stato chi, parlando in favore di questa procedura legale, ha detto che la strage è stata compiuta per mano di Milone, ma su istigazione di qualcuno più importante. Evidentemente questi uomini spregevoli e corrotti alludevano a me come brigante e assassino. Eccoli inchiodati dalle loro testimonianze, le quali negano che Clodio avrebbe fatto ritorno a Roma quel giorno, se non avesse appreso la notizia di Ciro. Ho tirato un sospiro di sollievo, libero dal sospetto; non temo più che mi si accusi di aver ideato quello che neppure potevo sospettare. >48> Proseguirò ora con i rimanenti argomenti, poiché mi si può fare la seguente obiezione: «Quindi neanche Clodio meditò sul suo piano insidioso, perché intendeva rimanere nella villa di Alba!». D'accordo, se la sua intenzione non fosse stata quella di uscire dalla villa per compiere la carneficina! Credo infatti che il messo, il quale si dice gli abbia annunziato la morte di Ciro, non gli abbia riferito ciò, ma che Milone si stava avvicinando. In effetti, cosa avrebbe dovuto annunziare a proposito di Ciro, che Clodio, partendo da Roma, aveva lasciato più morto che vivo? Fui insieme con lui, sigillai il testamento di Ciro insieme con Clodio, perché aveva fatto pubblicamente testamento e aveva designato come eredi lui e me. Il giorno prima, alle nove, Clodio lo aveva lasciato che era lì lì per andarsene: il giorno dopo, alle quattro del pomeriggio, gli si annunciava che era morto? >XIX 49> D'accordo, ammettiamo pure che le cose siano andate così: per quale motivo, però, si affrettò a tornare a Roma, perché si avventurò per la strada in piena notte? Quale causa poteva addurre per la sua fretta? Il fatto che fosse un erede? Innanzitutto, non c'era motivo che rendesse necessaria tanta fretta; inoltre, se ce ne fosse stato uno, cosa vi era, insomma, che egli potesse guadagnare in quella notte e che potesse perdere, se fosse giunto a Roma la mattina del giorno dopo? E come Clodio, invece di tentare quel viaggio, avrebbe dovuto evitare di arrivare di notte in città, così Milone, ammesso che volesse tendere un agguato, se sapeva che Clodio stava per arrivare in città di notte, avrebbe dovuto appostarsi e aspettare. Lo avrebbe ucciso di notte. Chiunque gli avrebbe creduto, se avesse negato. Lo avrebbe ucciso in un luogo pericoloso e pieno di briganti. >50> Chiunque gli avrebbe creduto, se avesse negato: tutti lo vogliono salvo, persino adesso che confessa. Sarebbe stato incolpato del delitto anzitutto quel luogo, riparo di sbandati: quindi né la muta solitudine né la notte scura avrebbero tradito Milone. In séguito, si sarebbero concentrati i sospetti su molti che erano stati da Clodio offesi, derubati, privati dei loro beni, su molti che anche solo lo temevano, infine si sarebbero citati in giudizio tutti gli abitanti dell'Etruria. >51> E quel giorno Clodio, di ritorno da Aricia, si fermò certamente nella sua villa di Alba. Ebbene: se davvero Milone sapeva che quello era stato ad Aricia, doveva tuttavia immaginare che Clodio, pur volendo tornare a Roma quel giorno, si sarebbe concesso una sosta nella sua abitazione, che si trovava sulla strada. Perché non gli andò incontro prima, per impedirgli di fermarsi nella villa, e perché non si appostò nel luogo dove sarebbe giunto a notte fonda?
>52> Fin qui vedo che è tutto chiaro, giudici; Milone aveva ogni interesse che Clodio fosse vivo, l'altro non desiderava altro che la morte di Milone per realizzare i progetti a cui aspirava ardentemente; lo odiava, quindi, con tutte le sue forze, mentre in Milone non c'era odio per lui; Clodio aveva la costante abitudine di agire con violenza, Milone, invece, soltanto di respingerla; a Milone la morte era stata da lui annunciata e apertamente resa nota, nulla di simile fu mai udito per bocca di Milone; Clodio, inoltre, conosceva il giorno di quella partenza, mentre Milone non era al corrente del suo ritorno; per lui il viaggio era necessario, ma per Clodio era piuttosto fuori luogo; Milone aveva annunciato a tutti che quel giorno avrebbe lasciato Roma, Clodio aveva nascosto che quel giorno sarebbe tornato; uno non mutò la decisione presa in nessun particolare, l'altro inventò un pretesto per motivare il suo cambiamento di programma; infine, se Milone avesse voluto tendere un agguato, avrebbe dovuto aspettare la notte nei pressi della città; Clodio, se anche non avesse temuto Milone, avrebbe dovuto tuttavia provare un po' di paura ad avvicinarsi in piena notte alla città!
>XX 53> Vediamo ora un punto di capitale importanza: a quale dei due sia stato più favorevole il luogo dell'agguato, quello dove vennero alle mani. Ma davvero vi sembra, giudici, che su questo si debba dubitare e discutere? Davanti alla proprietà di Clodio, nella proprietà dove, grazie a sotterranei costruiti con il criterio di un pazzo, potevano comodamente stare mille uomini pronti a tutto, vale a dire in un luogo alto ed elevato appartenente all'avversario, Milone poteva pensare di riuscire vincitore e scegliere perciò quel luogo come il più adatto per combattere? O non fu invece atteso proprio lì da Clodio, che aveva architettato di tendere un agguato confidando proprio in quel luogo? I fatti parlano da soli e nulla conta di più.
>54> Se voi queste azioni non le sentiste narrare, ma le vedeste dipinte, apparirebbe chiaro chi dei due tese l'imboscata, chi, invece, non ebbe alcuna cattiva intenzione: perché uno viaggiava sul carro, avvolto nel mantello, e con lui sedeva la moglie: quale di queste condizioni non è tale da creare ostacoli, l'abbigliamento, il mezzo di trasporto o la compagnia? Quale delle tre è meno consona a una battaglia, il fatto che fosse impedito nei movimenti dalla veste, svantaggiato dal veicolo o che fosse trattenuto dalla moglie ? Vedete ora l'altro che esce dalla villa, all'improvviso - perché? - di sera - è così necessario? - con lentezza - gli conviene, soprattutto considerando l'ora ? Si dirige verso la villa di Pompeo. Per incontrare Pompeo? Sapeva che era nel suo podere di Alsio. Per visitare la villa? - Ma se c'era già stato migliaia di volte! E allora, qual era il motivo? Perder tempo e tergiversare: fino al passaggio di Milone non ha voluto abbandonare il luogo.
>XXI 55> Avanti, fate ora un confronto tra il viaggio di quel bandito, libero di agire, e gli impedimenti di Milone. In precedenza Clodio era sempre accompagnato dalla moglie, allora era senza di lei; non si spostava se non in carrozza, ma quel giorno era a cavallo; quanto ai giovinetti greci che lo seguivano, ovunque andasse, persino quando si recava di fretta nei suoi possedimenti etruschi - niente di frivolo, quel giorno, nella sua scorta. Milone, che non aveva mai séguito, quella volta per puro caso recava con sé alcuni giovani musici schiavi della moglie e un gruppo di ancelle. L'altro, che invece conduceva sempre con sé sgualdrine, prostitute e ragazzetti, allora non aveva nessuno, se non uomini che avresti detto scelti a uno a uno. Perché dunque fu vinto? Perché non sempre chi viaggia viene ucciso dal brigante che lo assale, talvolta è il brigante a cadere per mano del viaggiatore; e poi perché Clodio, per quanto pronto ad assalire chi proprio non se l'aspettava, era come una femminuccia che si fosse imbattuta in uomini pieni di coraggio. >56> D'altronde Milone era preparato quasi a sufficienza a incontrarlo anche quando era impreparato. Sapeva bene quanto Publio Clodio ci tenesse a vederlo morto e quanto lo odiasse e di che cosa fosse capace. Per questo non esponeva mai al pericolo, senza una scorta o una guardia del corpo, la sua vita, che sapeva messa all'incanto con premi vantaggiosissimi e quasi aggiudicata. Si aggiunga il capriccio del destino, si aggiungano la sorte incerta delle battaglie e l'imparzialità di Marte, che spesso fa abbattere e colpire da chi era già caduto chi sta già spogliando il vinto ed esulta per la gioia; si aggiunga la mancanza di buon senso di un comandante che, insonnolito dal cibo e dal vino, dopo aver lasciato il nemico tagliato fuori alle spalle, non si preoccupò minimamente dei suoi compagni che chiudevano la fila: quando poi si imbatté in questi uomini che, accecati dalla rabbia, disperavano per la vita del loro padrone, incappò in quelle pene che servi fedeli gli fecero pagare in cambio della vita del loro signore. >57> Allora perché poi lì affrancò? Temeva di essere denunciato, è evidente, temeva che non potessero sopportare il dolore fisico, che fossero costretti dagli strumenti di tortura a confessare di avere ucciso loro, servi di Milone, Publio Clodio lungo la via Appia. Che bisogno c'è di un carnefice? Cosa vuoi sapere? Se Milone ha ucciso? Sì, l'ha fatto; a torto o a ragione? Non sono affari che riguardino il boia; l'indagine sull'accaduto va svolta sul tavolaccio delle torture, quella sul diritto spetta ai giudici.
>XXII> Quanto, dunque, si deve ricercare in una causa, lo si cerchi qui; quanto si vuole trovare servendosi della tortura, lo dichiariamo noi. Se uno mi domanda perché Milone ha reso liberi i suoi servi anziché colmarli di doni più generosi, non sa criticare il gesto del suo nemico. >58> Lo stesso Marco Catone qui presente, che ha sempre parlato in modo coerente e coraggioso, ha già espresso il suo parere, e ha asserito, durante una turbolenta assemblea popolare, resa tuttavia tranquilla dal suo autorevole intervento, che erano assolutamente degni non solo della libertà, ma anche di regali di ogni genere, gli schiavi che avessero difeso la vita del loro padrone. Quale ricompensa, infatti, è abbastanza generosa per servi così devoti, così virtuosi, così fedeli, ai quali deve la sua vita? Del resto, essere scampato alla morte non è così rilevante come, grazie a loro, il non aver saziato con il suo sangue e con le sue ferite l'animo e gli occhi di un nemico estremamente crudele. Se Milone non li avesse affrancati, si sarebbero dovuti sottoporre alle torture quelli che avevano salvato il loro padrone e, vendicando un atto delittuoso, tenuta lontana da lui la morte. Ma costui, nelle sue disgrazie, almeno una cosa non sopporta a malincuore: il pensiero che, indipendentemente da quello che gli accadrà, ha pagato il premio che loro si sono meritati. >59> Eppure, gli interrogatori che si stanno svolgendo adesso nel palazzo della Libertà, aggravano la posizione di Milone. Di quali schiavi si tratta? E me lo chiedi? Di quelli di Publio Clodio. Chi ha richiesto il loro interrogatorio? Appio. Chi li ha accompagnati a testimoniare? Appio. E da dove venivano? Dalla casa di Appio. Bontà degli dèi! Quale procedura più rigorosa si potrebbe seguire? [Non è per nulla legale far domande ai servi a proposito del loro padrone: a meno che non si tratti di un atto sacrilego come quello di Clodio.] Ecco Clodio a un passo dagli dèi, a loro più vicino di quanto lo fosse allora, quando penetrò sino a loro: si indaga sulla sua morte come se si fossero violate cerimonie sacre. Tuttavia i nostri predecessori non vollero che si indagasse sul padrone, non perché non si potesse giungere alla verità, ma perché sembrava una cosa ignobile e più triste della morte stessa del padrone: quando contro l'accusato si interroga un servo dell'accusatore, si può giungere alla verità? >60> Su, avanti, di che tenore poteva essere l'interrogatorio? Facciamo un esempio: «Ehi tu, Rufione! Stai attento a non mentire. È stato Clodio a tendere un'imboscata a Milone?» - «Sì»: gli tocca certamente la forca. - «No»: ed è sua la sospirata libertà. Che cosa esiste di più serio di questo interrogatorio? Loro, quelli tratti a testimoniare, in quattro e quattr'otto sono separati dai compagni, gettati in cella perché nessuno possa parlare con loro. Dopo essere stati per cento giorni a disposizione dell'accusatore, da quello stesso vengono presentati come suoi testimoni in tribunale. C'è un interrogatorio più imparziale e più onesto? >XXIII 61> Se non vedete ancora ben chiaro, con mente limpida e imparziale, e nonostante tante prove e indizi illuminanti, che Milone, senza essere macchiato da alcun delitto, senza provare alcuna paura, per nulla tormentato dal rimorso, se ne tornò a Roma, non dimenticate, in nome degli dèi immortali, con quanta fretta rientrò, quale fu il suo ingresso nel foro mentre la curia andava a fuoco, quali la grandezza del suo animo, l'espressione del volto e le parole. E si consegnò non solo al popolo, ma anche al senato, non solo al senato, ma anche alle scorte armate che presiedono all'ordine pubblico, e poi non solo a queste, ma anche al potere di colui al quale il senato aveva affidato tutta la repubblica, tutta la gioventù italica, tutto il potere militare romano. Certamente Milone, se non avesse confidato nella sua causa, non si sarebbe mai consegnato a Pompeo, tanto più che Pompeo ascoltava ogni chiacchiera, era pieno di timori, era molto sospettoso, e talvolta gli piaceva credere a quel che gli si raccontava. Grande è la forza della coscienza, giudici, grande per il colpevole e per l'innocente, così chi non ha commesso nulla non ha da temer nulla, e chi si è reso colpevole crede che gli si presenti sempre davanti agli occhi la punizione. >62> Il senato, inoltre, appoggiò sempre la causa di Milone e non senza una valida ragione. Erano, infatti, uomini molto saggi e coglievano il motivo della sua azione, la prontezza d'animo e la determinatezza nel difendersi. Non avrete dimenticato, giudici, i discorsi e le opinioni non solo degli avversari politici di Milone, ma anche di alcuni male informati, non appena fu annunciata la morte di Clodio? Dicevano che non si sarebbe più fatto vedere a Roma. >63> Se, infatti, per l'ira e la disperazione avesse agito così, se accecato dall'odio avesse massacrato il nemico, avrebbe dato alla morte di Publio Clodio - essi pensavano - così importanza da privarsi, dopo aver saziato il suo odio col sangue nemico, serenamente della patria; se avesse voluto con quella morte liberare la patria, dopo aver salvato a suo rischio il popolo romano, non avrebbe esitato a rimettersi alla legge con animo sereno, a portar via con sé una fama eterna, a lasciare a noi la possibilità di godere dei beni da lui messi al sicuro. Molti parlavano anche di Catilina e delle sue atrocità: «Piomberà qua all'improvviso, si impadronirà di qualche punto strategico, dichiarerà guerra alla patria». Come sono sfortunati, a volte, i cittadini che hanno ben meritato dello stato: gli uomini non solo dimenticano le loro azioni più nobili, ma anche nutrono nei loro confronti sospetti infamanti! >64> Sospetti che, per altro, si rivelarono infondati; ma che sarebbero, invece, stati veri, se Milone avesse fatto qualcosa che non poteva difendere con onestà e sincerità.
>XXIV> E poi? Con quanto ardore, dèi immortali, tenne fronte a quelle accuse che gli fecero ricadere addosso, accuse che avrebbero schiacciato anche chi avesse avuto sulla coscienza colpe da nulla. Le respinse? No, anzi, le disdegnò e non diede alcuna importanza a quelle accuse che né un delinquente incallito né un innocente, se non fosse stato un uomo forte e coraggioso, avrebbero potuto ignorare. Si denunciava l'esistenza di una gran quantità di scudi, di spade, di giavellotti, persino di catene, che gli si sarebbero potuti sequestrare; correva voce che non ci fosse un solo quartiere o vicolo in tutta la città in cui non fosse stata affittata una casa per Milone; si sosteneva che armi fossero state trasportate lungo il Tevere sino alla villa di Ocricoli, che la sua casa alle pendici del Capitolino fosse stipata di scudi e traboccante di ogni sorta di proiettili incendiari fabbricati apposta per dar fuoco alla città. Cose del genere non solo furono riferite, ma quasi credute, e non furono respinte prima di aver indagato. >65> Io lodavo il comportamento estremamente scrupoloso di Gneo Pompeo, ma ora parlerò in tutta franchezza, giudici. Troppe voci sono costretti ad ascoltare, e non possono fare diversamente, quelli a cui si è affidata tutta la repubblica. Egli dovette persino ascoltare la deposizione di un popa, un non so quale Licinio della zona del Circo Massimo, secondo cui nella sua taverna alcuni servi di Milone, completamente ubriachi, avevano confessato di avere ordito una congiura per uccidere Gneo Pompeo; in séguito, uno di loro lo avrebbe accoltellato perché non andasse a denunciarli. Pompeo viene informato della cosa nei suoi giardini; tra i primi sono convocato io: su consiglio degli amici riferisce la faccenda al senato. Di fronte a un sospetto così grave, da parte dell'uomo che vegliava sulla sicurezza mia e della patria, non potevo non essere paralizzato dalla paura; nondimeno ero meravigliato che si prestasse fede a un popa, si ascoltasse la confessione di servi, si considerasse una ferita nel fianco, che sembrava una puntura d'ago, come fosse il colpo di un gladiatore. >66> In realtà, credo, Pompeo più che avere timore, prendeva delle precauzioni non solo nei confronti di ciò che si doveva temere, ma nei confronti di tutto, per evitare che a dover temere qualcosa foste voi. Si sparse la notizia che per molte ore della notte si era presa d'assalto la casa di Caio Cesare, uomo famoso e di grandissimo coraggio. Nessuno aveva sentito, pur trattandosi di un luogo tanto frequentato, nessuno se ne era accorto; tuttavia, vi si prestava ascolto. Io non potevo immaginare che Gneo Pompeo, uomo di così grande coraggio, fosse pavido; non consideravo per nulla esagerati i suoi scrupoli, anche perché le sorti dell'intera repubblica dipendevano da lui. Poco tempo fa, in una seduta del senato assai affollata, tenutasi sul Campidoglio, fu trovato un senatore il quale sosteneva che Milone aveva un pugnale; si spogliò nel bel mezzo del tempio sacro, e, dato che la condotta di vita di un tale cittadino e di un tale uomo non era una sufficiente garanzia, tacque e furono i fatti a parlare.
>XXV 67> Tutte le dicerie si rivelarono false e perfidamente inventate. Se, tuttavia, oggi si teme Milone, non è perché è accusato di avere ucciso Clodio: per i tuoi sospetti proviamo orrore, Gneo Pompeo, - parlo con te, e ad alta voce, perché tu possa udirmi distintamente sì, per i tuoi sospetti. Se hai paura di Milone, se credi che lui ora mediti qualche azione funesta per la tua vita o che abbia un tempo tramato qualche gesto inconsulto, se hai armato contro l'attacco di Milone le leve arruolate in tutta Italia, come andavano dicendo alcuni tuoi incaricati, questi uomini, le coorti di stanza al Campidoglio, le sentinelle notturne e diurne e uno scelto gruppo di giovani, che sorveglia la tua casa e te stesso, se hai allestito, disposto e diretto contro lui solo tutto ciò, allora certamente si attribuiscono a costui una grande energia, un incredibile coraggio, forze e mezzi non di un solo uomo; non può essere che così se si è scelto il miglior comandante e si sono fornite armi all'intero stato contro di lui solo. >68> Ma, chi non capisce che tutte le parti della repubblica indebolite e traballanti ti sono state affidate, perché le risanassi e le consolidassi anche con queste armi? Se, però, tu avessi dato a Milone la possibilità, ti avrebbe sicuramente dimostrato che mai nessun uomo fu più caro a un altro uomo di quanto tu lo sei a lui; che non fuggì mai alcun rischio pur di guadagnarsi la tua stima; che per difendere la tua gloria più e più volte lottò contro quella terribile piaga; che il suo tribunato fu guidato dai tuoi consigli per la mia salvezza, che ti era carissima; che successivamente fu da te difeso quando in gioco c'era la sua vita, e aiutato durante la campagna elettorale per la pretura; che aveva sperato di poter contare per sempre su due solide amicizie, la tua per i benefici tuoi, la mia per i suoi. Se, comunque, non fosse riuscito a convincerti, se questo sospetto si fosse così profondamente radicato in te, da non poterlo in alcun modo smuovere, se infine l'Italia non avesse mai trovato pace dagli arruolamenti e la città dalle armi senza la rovina di Milone, allora sì che Milone non avrebbe esitato a lasciare la sua patria, lui che così è nato e così fu solito vivere; ma prima avrebbe chiamato te, Magno, come testimone, cosa che fa anche ora. >XXVI 69> Vedi quanto sia varia e mutevole l'essenza stessa della vita, quanto capricciosa e instabile la sorte, quanto grandi le infedeltà nelle amicizie, quante le ipocrisie dovute alle circostanze, quante le fughe delle persone più intime nel pericolo, quanti i gesti vigliacchi. Ma verrà, verrà certo il tempo e spunterà prima o poi il giorno in cui tu, ti auguro senza danno per le tue cose, forse per un certo mutamento della situazione generale, - e con quanta frequenza ciò accada dovremmo per esperienza saperlo -, sentirai la mancanza della devozione di un vero amico, della fedeltà di una persona molto seria, e della grandezza d'animo dell'uomo più coraggioso che si conosca. >70> Del resto, chi potrebbe credere che Gneo Pompeo, fine conoscitore del diritto pubblico, delle tradizioni degli antichi e degli affari di stato, ricevuto dal senato il compito di fare in modo che la repubblica non andasse in rovina -, e sulla base di questa formula concisa, i consoli furono sempre sufficientemente armati, senza dar loro altre armi -, ricevuto un esercito e il potere di fare arruolamenti, sarebbe ricorso a un processo per punire i disegni di chi con la sua violenza impediva i processi stessi? Pompeo si è poi pronunciato in modo sufficientemente chiaro sulla falsità delle accuse contro Milone; ha avanzato una proposta di legge con cui, da quanto capisco, vi obbliga ad assolvere Milone, e voi - sono tutti concordi nell'ammetterlo - lo potete fare. >71> Il fatto che Pompeo se ne stia seduto là, circondato da un pubblico presidio, dimostra ampiamente che non vuole spaventarvi, - non sarebbe indegno di lui costringervi a condannare voi Milone, che egli stesso potrebbe punire secondo la tradizione dei nostri antenati e in virtù dei suoi poteri? -, ma vuole difendervi e aiutarvi a capire che siete liberi di esprimere le vostre opinioni, opponendovi all'assemblea popolare di ieri. |#[continua]#|
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|#[DIFESA DI MILONE, 3]#|
>XXVII 72> Quanto a me, giudici, tutto il trambusto fatto dai Clodiani non mi scompone affatto, e non sono così folle, così all'oscuro ed estraneo alle vostre idee da ignorare la vostra opinione sulla morte di Clodio. Se già non avessi confutato l'accusa, come ho fatto, a Milone sarebbe tuttavia lecito, senza temere punizioni, proclamare davanti a tutti questa gloriosa menzogna: «Sono stato io, sono stato io a uccidere non Spurio Melio, che, facendo calare il prezzo del grano e sperperando il patrimonio familiare, venne sospettato di aspirare al potere assoluto perché sembrava abbracciare un po' troppo la causa della plebe romana; non Tiberio Gracco, che privò il suo collega della carica di tribuno per mezzo di una rivolta, e i cui assassini riempirono il mondo della gloria del loro nome, ma colui» - non avrebbe, infatti, vergogna a dirlo, perché ha liberato la patria a suo rischio e pericolo - «il cui nefando adulterio, consumato sui pulvinari votati agli dèi, fu scoperto dalle più nobili matrone; >73> colui, con la cui condanna il senato spesso ritenne che si dovessero espiare le solenni cerimonie violate; colui, che Lucio Lucullo, fatte le debite ricerche, denunciò sotto giuramento, dicendo di avere scoperto che si era unito carnalmente in uno scandaloso incesto con la sorella; colui, che cacciò dalla patria con le armi dei suoi servi un cittadino, ritenuto dal senato, dal popolo romano, da tutte le genti salvatore della città di Roma e della vita dei suoi abitanti; colui, che diede, tolse, spartì regni e terre con chi volle; colui, che, dopo innumerevoli stragi nel foro, con la forza delle armi fece barricare in casa un uomo di particolare valore e fama; colui, per il quale non vi fu mai cosa illecita, né nei suoi delitti, né nelle sue passioni; colui, che diede fuoco al tempio delle Ninfe per distruggere l'elenco ufficiale del censo, trascritto nei registri pubblici; >74> colui, per cui, infine, non esisteva alcuna legge, alcuna norma fondamentale del diritto civile, nessuna delimitazione di confine dei suoi possedimenti; colui, che cercava di avere i terreni altrui non con pretestuosi cavilli, non con ingiuste rivendicazioni e querele, ma muovendo l'accampamento, l'esercito e le insegne; colui, che tentò di scacciare dai loro possedimenti, sempre con l'impiego delle armi, non solo gli abitanti dell'Etruria - infatti provava per loro un profondo disprezzo, ma anche il qui presente Publio Vario, ottimo e fortissimo cittadino, nostro giudice; colui, che percorreva in lungo e in largo ville e giardini non suoi con architetti e pertiche di dieci piedi; colui, che aveva la speranza di coprire presto con i suoi possedimenti tutta l'area che va dal Gianicolo alle Alpi; colui, che, non avendo ottenuto dall'illustre e forte cavaliere romano Marco Paconio di vendergli l'isolotto nel lago Prilio in un battibaleno, con delle barchette, trasportò su quel pezzo di terra legname, calce, pietre, sabbia e non esitò a costruirsi una casa sul suolo altrui, sotto gli occhi del legittimo proprietario che guardava dall'altra riva; >75> colui, che a questo Tito Furfanio, a quale uomo, dèi immortali! (ma che dire di Scanzia, una povera donna, e del giovane Publio Apinio? minacciò entrambi di morte, se non gli avessero lasciato il possesso dei loro giardini), a Tito Furfanio, appunto, ebbe il coraggio di dire che, se non gli avesse dato tutto il denaro che chiedeva, gli avrebbe messo in casa un cadavere, per suscitare l'odio contro di lui, contro un tale uomo; colui, che privò di un fondo di sua proprietà il fratello Appio, mio fedelissimo amico, mentre era lontano; colui, che incominciò ad alzare un muro attraverso il vestibolo della sorella, ne gettò le fondamenta, così da privarla non solo del vestibolo, ma anche di ogni entrata e della soglia».
>XXVIII 76> Questa situazione sembrava ormai tollerabile, anche se in egual modo attaccava violentemente la repubblica, i cittadini privati, gli stranieri, i parenti, gli estranei, gli intimi; non so come, lo spirito di sopportazione della città, davvero incredibile, sembrava divenuto indifferente e insensibile per l'abitudine. Come avreste potuto sopportare o neutralizzare gli atti di prepotenza di allora o quelli che già ci minacciavano? Se egli avesse ottenuto la carica di pretore - tralascio gli alleati, i paesi stranieri, i re, i tetrarchi; infatti avreste fatto dei voti perché scatenasse la sua ira contro quelli, piuttosto che contro i vostri possedimenti, le vostre case, il vostro denaro - denaro, dico? Non avrebbe mai tenuto a freno i più bassi istinti verso i vostri figli, Dio ci assista, e verso le vostre mogli! Vi sembrano immaginarie cose che sono evidenti, che sono note a tutti, che si possono toccare con mano, e, cioè che avrebbe arruolato un esercito di servi in città, con cui entrare in possesso dell'intero stato e dei beni privati di tutti?
>77> Pertanto, se Tito Annio, tenendo in mano un pugnale grondante di sangue, gridasse: «Prestate attenzione, vi prego, e ascoltatemi, cittadini! Io ho ucciso Publio Clodio, io ho respinto dalle vostre teste, con questo coltello e con questa destra, i suoi gesti inconsulti, che non potevamo frenare né con leggi, né con tribunali, così che per solo mio merito in questa città regneranno il diritto, la giustizia, le leggi, la libertà, l'onestà e il rispetto reciproco», si dovrebbe davvero temere la reazione della gente? Chi ora, infatti, non esprimerebbe la sua approvazione, chi non si complimenterebbe, chi non direbbe e non sentirebbe nell'animo che a memoria d'uomo Tito Annio è stato il più utile allo stato, e ha recato la più grande gioia al popolo di Roma, all'Italia intera e a tutte le genti? Non posso valutare l'intensità delle antiche gioie del popolo romano; eppure il nostro tempo ne ha viste di vittorie a opera di comandanti eccezionali, una più famosa dell'altra, ma nessuna di queste ha portato un'allegria così intensa e profonda. Ricordatevelo, giudici. >78> Io spero che voi e i vostri figli assisterete a molti avvenimenti felici nella repubblica; in ognuna di quelle gioiose circostanze, sempre penserete che, vivo Publio Clodio, non avreste avuto nessuna di quelle gioie. Visto che quest'uomo eccezionale sarà console, che è stata frenata la dissolutezza degli uomini, che si sono infrante le loro passioni, che si sono creati leggi e tribunali, abbiamo una speranza grandissima e, io credo, fondata che questo stesso anno sarà salutare per la città. C'è forse qualcuno tanto stupido da credere che sarebbe stato lo stesso se Publio Clodio fosse ancora vivo? E che? Quale certezza di continuare a possedere i beni, strettamente personali e vostri, avreste potuto avere, con un pazzo furioso come lui a fare il bello e il cattivo tempo?
>XXIX> Io non temo, giudici, di sembrare uno che, acceso dal risentimento per inimicizie personali, vomita parole di fuoco contro di lui, più per soddisfazione mia che per amore della verità. Infatti, anche se in me era l'odio personale a prevalere, egli era comunque un nemico di tutti, tanto che i miei sentimenti ostili si riflettevano, quasi con la stessa intensità, nell'odio comune. Non è possibile spiegare a parole con sufficiente chiarezza, neppure immaginare, quanta scelleratezza fosse in lui, quanta capacità distruttiva. >79> Quindi, fate attenzione, giudici. Questa è l'inchiesta a proposito della morte di Publio Clodio. Immaginate - le nostre fantasie, infatti, non hanno freni, e si concentrano su ciò che vogliono, così come noi vediamo nella realtà gli oggetti che abbiamo davanti agli occhi -, immaginate, dunque, che lo abbia questa proposta: voi assolvete Milone, ma a patto che Publio Clodio risorga. Perché siete impalliditi in volto? Quale impressione vi farebbe da vivo, se, ora che è morto, il vano pensiero che risorga è riuscito a terrorizzarvi? Ma come! Se lo stesso Gneo Pompeo, che è tanto valoroso e fortunato da riuscire sempre là dove tutti, tranne lui, falliscono, se costui, ripeto, avesse avuto l'opportunità o di istituire un processo per indagare sulla morte di Publio Clodio o di richiamarlo dagli inferi, quale delle due cose credete che avrebbe preferito? Se anche, a titolo di amicizia avesse voluto evocarlo dall'aldilà, per il bene della repubblica non lo avrebbe fatto. Quindi, voi giudici sedete qui per vendicare la morte di un individuo a cui non restituireste la vita anche se vi credeste in grado di farlo; è stato aperto un procedimento sulla sua morte, in virtù di una legge che, se avesse avuto il potere di riportarlo in vita, non sarebbe mai stata approvata. Se Milone lo avesse ucciso con premeditazione, confessandolo, dovrebbe temere una punizione da parte di chi ha liberato da un incubo? >80> I Greci conferiscono onori divini agli uccisori dei tiranni. - Quali riconoscimenti ho visto in Atene, quali in altre città della Grecia! Cerimonie religiose, canti, opere in poesia sono riservate a uomini del genere! Attraverso il culto e la memoria essi diventano quasi immortali. Voi, invece, non solo non conferirete alcun onore a chi ha salvato il popolo di Roma, a chi ha punito un misfatto tanto grave, ma permetterete anche che venga condannato? Lui, però, se fosse responsabile del fatto, confesserebbe, dico, confesserebbe di aver compiuto con grande coraggio e con piacere, in nome della comune libertà, ciò che non dovrebbe soltanto confessare, ma di cui dovrebbe andare fiero.
>XXX 81> E quindi, se non nega un'azione da cui non può chiedere nulla, se non di essere perdonato, esiterebbe a confessare la paternità di un gesto da cui si dovrebbero anche esigere premi e riconoscimenti? A meno che non sia convinto di esservi più gradito come difensore della propria incolumità che della vostra; tanto più che, confessando ciò, nel caso che voleste essergli grati, potrebbe ottenere le più alte cariche. Se invece il suo gesto non vi trovasse d'accordo - ma come potrebbe a qualcuno non riuscire gradita la propria salvezza? -, tuttavia, se l'azione di valore di un uomo tanto coraggioso non avesse trovato consenso da parte dei suoi concittadini, egli se ne andrebbe con coraggio e determinazione da una città ingrata. Quale ingratitudine sarebbe più grande del fatto che, mentre tutti si rallegrano, solo lui, al quale si deve questa allegria, debba dolersi? >82> Eppure, quando si trattava di reprimere i traditori della patria, ci siamo sempre trovati tutti d'accordo, così pensavamo che, se nostra sarebbe stata la gloria, nostro era anche il pericolo e l'impopolarità. Infatti, quale riconoscimento mi si dovrebbe tributare se, quando nell'anno del mio consolato ho osato tanto per voi e i vostri figli, avessi creduto di poter realizzare il mio scopo senza rischiare nulla? Quale donna non avrebbe il coraggio di uccidere un cittadino malvagio e pericoloso, se non temesse il pericolo? Ma chi, avendo ben chiaro cosa significhino impopolarità, morte, castigo, difende lo stato con non minore energia, costui lo si deve considerare un vero uomo. Dovere del popolo riconoscente è premiare i cittadini che hanno ben meritato della repubblica, quello dell'uomo forte non lasciarsi indurre, nemmeno dai supplizi, a pentirsi di avere agito con coraggio. >83> Per questo Tito Annio potrebbe servirsi della stessa confessione di Ahala, di Nasica, di Opimio, di Mario, persino della nostra, e sarebbe contento se lo stato gliene fosse grato; se, invece, non lo fosse, si sentirebbe tuttavia a posto con la sua coscienza, pur in gravi circostanze.
La Fortuna del popolo romano, la vostra buona stella, e gli dèi immortali esigono che si riconosca loro il merito di questo beneficio. Nessuno potrebbe pensare diversamente, se non chi vive nella convinzione che non esista alcuna forza superiore o volontà divina, che non è convinto nemmeno dalla grandezza della nostra potenza, né dal sole, dal movimento del cielo e degli astri, né dall'avvicendarsi ben ordinato dei casi umani e, peggio ancora, neppure dalla saggia devozione dei nostri antenati che tramandarono a noi, loro successori, i riti, le cerimonie sacre e gli auspici, da loro venerati in prima persona con estrema scrupolosità. >XXXI 84> C'è, c'è senz'altro quella forza divina, e in questi nostri corpi, in questa nostra imperfezione non esiste niente di umano che sia così pieno d'energia e di sentimento, né esiste nello splendido e possente moto degli eventi di natura. A meno che non credano per il semplice fatto che questa forza non appare, non si riconosce; ma è un po' come se potessimo vedere e cogliere a pieno l'essenza e l'ubicazione della nostra stessa mente, che ci permette di essere intelligenti, di prendere decisioni, di agire e di usare la parola. Dunque, quella stessa forza, che più volte ha regalato a questa città successo e ricchezze inenarrabili, ha distrutto e neutralizzato quel pericolo pubblico, a cui prima ha infuso il coraggio necessario per irritare con la violenza e provocare con le armi il più valoroso degli uomini, poi ha fatto in modo che fosse vinto da lui, perché se Clodio avesse vinto, avrebbe ottenuto perpetua impunità e licenza di agire. >85> No, giudici, l'uccisione di Clodio non è avvenuta per la semplice volontà di un uomo, e nemmeno per un intervento poco convinto da parte degli dèi immortali. In verità, persino i luoghi che hanno visto quella belva cadere, sembra che si siano turbati e che abbiano reclamato la loro parte di diritto su di lui. Voi, boscose collinette albane, sì, voi, dico, chiamo a testimoni e imploro, e voi, altari sepolti, già oggetto di venerazione presso gli Albani e associati poi al culto del popolo romano, che quello, in preda alla follia, tagliati e abbattuti tutti gli alberi dei boschi sacri, aveva schiacciato con le fondamenta per chissà quali assurde costruzioni. Fu allora che deste prova di tutto il vostro potere, fu allora che prevalse la vostra forza, che lui aveva calpestato con ogni sorta di crimine; e tu, dall'alto del tuo colle, santo Giove Laziare, i cui laghi, i cui boschi, i cui territori aveva spesso infangato con i più turpi atti di violenza, hai finalmente aperto gli occhi per punirlo; ma, per voi, sì, e davanti a voi sono state espiate le colpe, in modo giusto e dovuto, per quanto tardivo. >86> A meno che non si voglia attribuire al caso la prima ferita, quella che lo portò a morire atrocemente, dinanzi al tempietto della Bona dea - che si trova nel campo di Tito Serto Gallo, giovane veramente onesto e distinto -, sì, davanti alla dea Bona, là dove Clodio diede inizio allo scontro, appare evidente che, lungi dall'aver evitato il castigo in séguito a una sentenza scandalosa, gli era stata riservata una pena esemplare. >XXXII> E in realtà l'ira degli dèi sconvolse la mente ai suoi partigiani, al punto che lo gettarono in mezzo alla piazza e gli diedero fuoco, senza immagini, senza canti né giochi, senza esequie, senza lamenti, senza discorsi elogiativi, senza corteo funebre, tutto lordo di sangue e di fango, privato della pompa di quel giorno supremo durante il quale persino i nemici, di solito, sentono il dovere di inchinarsi. Non credo che gli dèi avrebbero gradito che i ritratti degli uomini più illustri rendessero qualche onore a quell'odioso assassino, sempre ostile alla patria: per far scempio del suo cadavere non c'era posto migliore di quello dove si era decisa la sua condanna.
>87> In nome di Giove Fidio, a me sembrava che la Fortuna del popolo romano fosse stata dura e crudele, perché per tanti anni permise a Clodio di insultare questa repubblica. Aveva infranto il mistero di una sacra cerimonia con un atto sacrilego; non aveva rispettato i provvedimenti più importanti del senato; aveva pubblicamente corrotto i giudici; quand'era tribuno, aveva preso di mira il senato; aveva cancellato con un colpo di spugna quanto si era fatto con il consenso di tutti gli ordini per il bene dello stato; aveva scacciato me dalla patria, aveva confiscato i miei beni, aveva incendiato la mia casa, maltrattato i miei figli e mia moglie; a Gneo Pompeo aveva sfacciatamente dichiarato guerra; aveva fatto strage di magistrati e privati cittadini; aveva dato fuoco all'abitazione di mio fratello, messo sottosopra l'Etruria con le sue incursioni, privato molti di case e ricchezze; ci stava addosso, ci premeva; la città, l'Italia, le province e i regni non potevano porre un freno alla sua devastante follia; già nella sua casa si incidevano leggi che ci avrebbero resi schiavi della nostra servitù; non c'era proprietà di chicchessia a cui egli non mirasse e che non pensasse di far sua nell'arco dell'anno. >88> Nessuno, tranne Milone, si opponeva ai suoi piani. Clodio era convinto che perfino colui che era capace di tenergli testa, fosse in qualche modo vincolato dalla recente riconciliazione; andava dicendo di poter disporre anche del potere di Cesare; le persone che si erano interessate alla mia causa le aveva messe brutalmente a tacere. Solo Milone lo incalzava.
>XXXIII> A questo punto gli dèi immortali, come ho già detto, suggerirono a quel pazzo perverso l'idea di tendere un agguato a Milone. Quella peste non avrebbe potuto finire in modo diverso; lo stato non ce l'avrebbe mai fatta a punirlo, rispettando la legge. E senato, almeno credo, avrebbe potuto limitare la sua autorità, se fosse diventato pretore; ma analoghi sforzi non avevano ottenuto risultati neppure quando costui era privato cittadino. >89> E i consoli avrebbero avuto la forza necessaria per porre il veto a lui, pretore? Anzitutto, ucciso Milone, avrebbe avuto consoli a lui devoti; e poi quale console avrebbe avuto il coraggio di sfidare un pretore come lui, ricordando che da tribuno si era accanito contro un rappresentante dell'istituzione consolare? Avrebbe schiacciato, posseduto, tenuto stretto tutto; secondo una nuova legge, ritrovata in casa sua insieme alle altre leggi clodiane, avrebbe reso i nostri schiavi suoi liberti. Quindi, se gli dèi immortali non avessero indotto quell'effeminato a tentare di uccidere un uomo fortissimo, oggi non avreste nessuna repubblica. >90> Forse che da vivo e da pretore, anzi da console - ammesso che questi templi e queste stesse mura fossero rimasti in piedi tanto a lungo da vederlo rivestire la toga consolare -, non avrebbe fatto niente di male, lui che è riuscito da morto a dar fuoco alla Curia per mano di uno dei suoi uomini? Che cosa abbiamo visto di più vigliacco, meschino o doloroso di questa azione? Il tempio dell'inviolabilità, delle più alte cariche, dell'intelligenza, del senno di tutti, il punto di riferimento della città, l'ara dei nostri alleati, il rifugio di tutte le genti, la sede affidata all'unanimità al solo ordine senatorio, l'abbiamo vista bruciata, distrutta, profanata, e ciò non è accaduto per colpa di una folla impazzita - per quanto il gesto sarebbe già deprecabile di per sé -, ma per la responsabilità di uno solo. Colui, che ha avuto l'ardire di fare il becchino di Clodio cadavere, che cosa non avrebbe osato come suo braccio destro, finché era vivo? Preferì gettarlo nella curia, perché da morto la riducesse a un rogo, mentre da vivo l'aveva messa sottosopra. >91> E c'è gente che si lamenta di quanto è accaduto sulla via Appia, ma non spende una parola sulla curia, convinta che si sarebbe potuto difendere il foro dalle ingerenze di Clodio vivo, mentre nemmeno al suo cadavere la curia è riuscita a resistere! Se ne siete in grado, provate, provate a resuscitarlo; saprete contenere la furia di un uomo il cui cadavere insepolto quasi non siete riusciti a fermare? Siete forse riusciti a trattenere chi accorreva alla curia e al tempio di Castore con torce o falci in mano, e gli altri che, armati di spada, si agitavano per tutto il foro. Siete stati testimoni del massacro del popolo romano e di un'assemblea sciolta a colpi di spada, mentre in silenzio ascoltava il discorso del tribuno della plebe Marco Celio, uomo importantissimo nella repubblica, coerente fino all'eccesso in ogni causa da lui abbracciata, dedito ad assecondare le richieste della gente onesta e l'autorità del senato, legato a Milone, sia nella malasorte sia al culmine della fortuna, da una fedeltà incredibile, divina.
>XXXIV 92> Ma ormai ho speso già fiumi di parole per questa causa, anzi forse ho parlato fin troppo e non sempre a proposito. Che cosa mi resta da fare se non pregare e scongiurare voi, giudici, perché concediate a un uomo tanto coraggioso quella pietà che lui non implora, ma che io imploro e richiedo, anche se egli non ne vuol sapere? Se in mezzo alla commozione generale non avete scorto la benché minima lacrima sul volto di Milone, se vedete l'espressione di sempre, fermi e impassibili il timbro della voce e le parole, non vogliate per questo non perdonarlo; non so se questa non sia una ragione per aiutarlo di più. E infatti, se durante gli scontri tra i gladiatori - dunque tra uomini infimi per condizione e fortuna - di solito detestiamo quelli che hanno paura e vengono a implorare supplici il diritto alla vita, mentre desideriamo salvare i forti e i coraggiosi, che si dimostrano disposti ad affrontare con audacia la morte, e proviamo maggior compassione per quelli che non chiedono la nostra pietà, rispetto a chi insiste per ottenerla, altrettanto dovremmo fare nei confronti di cittadini che mostrano di avere coraggio.
>93> Dilaniano e spezzano il mio cuore, giudici, le parole di Milone, che ascolto ripetutamente e con le quali ho quotidiana familiarità. Ecco cosa dice: «Stiano bene, stiano bene i miei concittadini; siano sani e salvi, fiorenti, felici; questa mia città, a me patria carissima, sia famosa, qualunque sia il giudizio che esprimerà sul mio conto; possano i miei concittadini godere di una repubblica serena, anche senza di me, poiché non mi spetta di gioire con loro, ma per merito mio. Me ne andrò in esilio. Se proprio non potrò cogliere i frutti di una sana amministrazione, almeno mi sarò liberato dell'incubo di una tirannide e, non appena avrò trovato una città ben governata e libera, vi stabilirò la mia dimora».
>94> E poi aggiunge: «Quanta fatica per niente, quante illusorie speranze, quanti pensieri inutili! Quando io, mentre lo stato era oppresso, mi dedicai, in qualità di tribuno della plebe, alla causa del senato, che avevo trovato privo ormai di ogni potere, ai cavalieri romani, le cui forze andavano spegnendosi, alla gente perbene, che si era spogliata di tutti i suoi diritti di fronte alle armi dei Clodiani, avrei mai potuto immaginare che mi sarebbe venuto a mancare il sostegno dei cittadini onesti? E quando io», questo me lo ripete molto spesso, «ti ho restituito alla patria, avrei potuto credere che in patria non ci sarebbe stato un posto per me? Dove sono andati a finire ora il senato che ho sempre appoggiato, cavalieri romani a te devoti, dove sono gli abitanti dei municipi a me favorevoli e le voci che si alzavano da tutta Italia, dove, infine, le tue parole di difesa, Marco Tullio, che a moltissimi furono d'aiuto? Solo a me, che per te ho rischiato più di una volta di morire, il tuo intervento non servirà a nulla?».
>XXXV 95> A dire il vero, mi fa queste confidenze e non versa una lacrima, al contrario di me ora, giudici, ma parla con la medesima espressione che vedete adesso sul suo volto. Nega, infatti, nega di aver fatto quel che ha fatto per cittadini ingrati, ma non nega di averlo fatto per gente spaventata e timorosa di ogni pericolo. Quanto alla plebe e alla volgarissima gentaglia, che, capitanata da Publio Clodio, attentava alle vostre ricchezze, ricorda di averla tratta a sé, per tutelare la vostra vita, non solo piegandola con i suoi atti di valore, ma anche ingraziandosela con denaro attinto dalle sue tre eredità familiari; Milone è, quindi, abbastanza tranquillo: ha placato la plebe allestendo i ludi gladiatorii, ha guadagnato la vostra stima con le sue eccezionali benemerenze nei confronti dello stato. Sostiene poi che spesso in questi ultimi tempi il senato ha palesato nei suoi confronti una certa benevolenza, e che, qualunque sia il corso che la sorte imprimerà agli eventi, porterà via con sé la cordialità, le dimostrazioni d'affetto e le parole di conforto con cui è stato sostenuto da voi e da quelli del vostro rango. >96> Gli torna anche alla memoria che, sebbene gli sia mancata la proclamazione del banditore, a cui non teneva affatto, era stato dichiarato console con l'approvazione di tutto il popolo, e questo sì che lo desiderava! Ora, infine, se queste armi gli si rivolteranno contro, avremo la prova che grava su di lui il sospetto di sedizione, non l'accusa di omicidio. Aggiunge poi una considerazione che è certamente vera: e cioè che gli uomini dotati di coraggio e saggezza, di solito hanno come scopo non tanto le ricompense delle loro buone imprese, quanto invece la riuscita dell'impresa in sé; nella sua vita Milone non ha mai fatto nulla se non nel migliore dei modi, poiché certamente la massima soddisfazione per l'uomo è liberare la patria dai pericoli. >97> Sono fortunati quelli che a causa delle loro gesta ottennero riconoscimenti e onore dai loro concittadini, ma non sono infelici quelli che hanno superato i concittadini in generosità. Comunque, tra tutti i riconoscimenti al valore, se si dovesse stabilire una gerarchia di preferenze, il premio più ambito è la gloria: essa è l'unica capace di compensare una vita tanto breve con il ricordo dei posteri, di farci presenti anche se lontani, di farci vivere anche se morti: sui suoi gradini sembra che gli uomini salgano al cielo. >98> «Il popolo romano», dice Milone, «e tutte le genti parleranno per sempre di me, nessun tempo, per quanto il mondo invecchi, potrà fare a meno di nominarmi. Persino ora, mentre i miei nemici scagliano contro di me gli strali dell'odio, io vengo complimentato, ringraziato, esaltato in ogni riunione e in ogni discorso. Non parlo dei giorni festivi organizzati e istituiti in Etruria: sono già trascorsi centodue giorni, mi sembra, dalla morte di Publio Clodio. Sin dove si estendono i confini del potere romano, non solo si è sparsa ormai la notizia, ma si è anche diffusa la gioia. È anche per tale motivo» conclude, «che non mi preoccupo di dove si trovi questo mio corpo, giacché ormai in tutte le terre già vive e sempre vivrà la gloria del mio nome».
>XXXVI 99> Tu mi ripeti spesso queste parole, e loro non ci sono; ma ora, mentre questi ascoltano, io ti rispondo, Milone: «Certamente tale è il tuo coraggio che non posso tessere a sufficienza le tue lodi, ma, poiché sei simile per valore agli dèi, con grandissimo dolore mi separo da te. Se mi sarai strappato, non mi resta neanche la consolazione di potermela prendere con chi ha provocato in me una ferita tanto profonda. A portarti via da me, infatti, non saranno i miei avversari, ma gli amici più fedeli, che non si sono mai comportati male verso di me, anzi sempre ottimamente». No, giudici, non mi infliggerete mai un dolore così grande - quale potrebbe essere altrettanto grande? -, ma neppure questo mi induce a non ricordare quanto mi avete sempre stimato. Se ve ne siete dimenticati o magari avete qualche motivo di irritazione nei miei riguardi, perché non ve la prendete con me, anziché con Milone? Sarò vissuto gloriosamente, se mi accadrà qualcosa prima di assistere a un'ingiustizia tanto grande. >100> Al momento, mi sostiene un'unica consolazione: la consapevolezza che non ti sono venuti a mancare, Tiro Annio, il mio affetto, la mia attenzione, la mia riconoscenza. Per te mi sono tirato addosso l'odio di gente potente, per te ho esposto più volte alle armi dei tuoi avversari il mio corpo e la mia vita, per te mi sono gettato supplice ai piedi di moltissime persone, e ho associato alle tue sventure ogni bene e ricchezza miei e dei miei figli. Infine, in questo frangente, se si è predisposto qualche atto di forza e ci sarà da combattere per aver salva la vita, chiedo di questo una parte. Che altro mi resta, ormai? Che altro posso fare in ricompensa dei tuoi benefici verso di me, se non considerare anche mia la sorte, qualunque essa sia, che tra poco ti toccherà? Non la sfuggo, non la rifiuto, e vi prego, giudici, o di accrescere con la salvezza di costui i benefici di cui mi avete colmato, oppure di porvi fine se decreterete per lui la rovina.
>XXXVII 101> Milone non si lascia commuovere da queste lacrime - è dotato di straordinaria forza d'animo -; crede che dove non c'è posto per la virtù, ivi sia l'esilio; la morte, per lui, è la fine di un ciclo naturale, non un castigo. Mantenga tale carattere con cui è nato. E allora? Ma come vi comporterete voi, giudici? Serberete il ricordo di Milone, ma lo caccerete di qui? E ci sarà un posto sulla faccia della terra più di questo che gli ha dato i natali, degno di ospitare un tale esempio di virtù? Mi appello a voi, sì, a voi, uomini fortissimi, che avete versato il vostro sangue in difesa dello stato; a voi, dico, centurioni, mi appello e a voi soldati, perché qui c'è un cittadino indomabile che corre un grave pericolo! Sarà scacciato, bandito, gettato fuori da questa città un uomo così valoroso, mentre voi non solo guardate, ma anche presidiate armati questo processo? Ah, me misero, me infelice! >102> Tu, Milone, grazie a costoro hai potuto richiamarmi in patria, mentre a me non sarà possibile farti restare, servendomi del loro aiuto? Che risponderò ai miei figli, che ti considerano un secondo padre? E a te, Quinto, fratello mio, che ora sei lontano, ma hai condiviso con me quelle vicende ? Potrò risponderti che non sono riuscito ad assicurare la salvezza a Milone con l'aiuto di quegli stessi uomini che gli hanno consentito di garantire la mia? In che genere di causa ho fallito? In una causa che aveva il sostegno di tutti. E chi è stato a impedire il nostro successo? Soprattutto chi, con la morte di Publio Clodio, ha ritrovato la serenità. E chi è stato a implorare? Io!
>103> Quale delitto così grave ho concepito, giudici, o quale così grande scelleratezza ho compiuto, quando mi misi alla ricerca, smascherai, denunciai, neutralizzai i germi della rovina di tutti? Ecco, è stata quella la fonte da cui derivano tutte le sofferenze per me e i miei cari. Perché avete voluto che tornassi? Perché sotto i miei occhi venissero esiliati gli artefici del mio rientro? Vi prego, non permettete che il mio ritorno si trasformi per me in un peso più difficile da sopportare della mia partenza. Come potrei, infatti, credere di essere stato reso alla patria, se vivessi lontano da chi mi ha fatto tornare?
>XXXVIII> Oh, se gli dèi immortali avessero fatto in modo che (con tua pace, patria, mi sia permesso di dirlo; temo, infatti, di parlare in maniera offensiva nei tuoi confronti, parlando con equità in favore di Milone) Publio Clodio non solo vivesse ancora, ma fosse anche pretore, console, dittatore, piuttosto che assistere a uno spettacolo del genere! >104> O dèi immortali, che uomo eccezionale è questo, e quanto degno di essere da voi assolto, giudici! «Assolutamente no» interviene lui; «anzi, è giusto, invece, che Clodio abbia subìto il castigo meritato; noi, se è necessario, subiamo, anche se non ne abbiamo colpa». Vi sembra possibile che un uomo simile, fatto apposta per la patria, debba morire in un qualunque altro luogo che non sia la patria, e, forse, non per la patria? Conserverete il ricordo del suo grande animo e tollererete che non ci sia in Italia un sepolcro per il suo corpo? Ci sarà qualcuno che vorrà scacciare da questa città chi, una volta uscito da qui, sarà conteso da tutte le città? >105> Fortunata quella terra che accoglierà un simile eroe! Ingrata e sventurata, invece, questa nostra patria, se deciderà di allontanarlo e perderlo così per sempre. Ma è giunta la fine; il pianto mi impedisce di parlare, e costui vieta che io lo difenda con le lacrime. Io vi supplico e vi scongiuro, giudici: abbiate il coraggio di esprimere la vostra intima convinzione, quando si tratterà di formulare la sentenza. Credete a me: chi, nella scelta dei giudici, ha preferito uomini molto coraggiosi, saggi e forti, soprattutto saprà apprezzare il valore, il senso di giustizia e la fedeltà che vi contraddistinguono.

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