Cicerone vita e opere

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Testo

Vita.
La contestualizzazione storica. C. nasce da una famiglia agiata, potremmo dire dell'alta borghesia provinciale, conscia e fiera delle proprie prerogative di ceto: il padre apparteneva all'ordine equestre, e la madre veniva da una famiglia che aveva giа dato a Roma dei senatori. Egli и dunque un "homo novus", nella politica romana, e se sarа il primo della propria famiglia ad accedere alle magistrature, ciт lo dovrа - и vero - al proprio talento, ma anche agli appoggi che, sin dall'adolescenza, troverа presso le famiglie nobili, legate alla sua in via amicale o parentale.
Ma, evidentemente, ed и bene dirlo subito, le vere ragioni del suo successo furono piщ profonde, e prettamente storico-politiche: esso . [E. Narducci]
Gli studi. C. compie studi di retorica e filosofia a Roma, discepolo del giurista Q. Muzio Scevola e ascoltatore assiduo di Marco Antonio e di Licinio Crasso, i due oratori piщ apprezzati nel senato e fra il popolo. Nella casa di Scevola, venne a contatto con l'aristocrazia intellettuale romana raccolta intorno al "circolo degli Scipioni" (Scevola era il genero di Lelio), al cui interno erano propugnati e salvaguardati i valori della "gravitas", della dignitа personale, ma anche il gusto della cultura.
Queste impressioni giovanili s'imprimeranno duraturamente nell'animo di C.: verso la fine della sua vita, ogni volta che vorrа animare, in un dialogo, le sue idee piщ care, metterа in scena le figure di quel mondo che sarа per lui una specie di "etа aurea" della repubblica, anche se di quell'etа egli aveva conosciuto solo il crepuscolo. C. vedeva anche, intorno a sй, il quadro animato degli scrittori, dei poeti, dei filosofi, dei grammatici venuti dalla Grecia, che a nessuno sarebbe piщ venuto in mente di bandire, e di cui anzi i piщ nobili romani ricercavano la compagnia: il poeta Archia, i filosofi Diodoto (stoico) e Fedro (epicureo), nonchй Filone di Larissa, rappresentante della "Nuova Accademia", che tanta influenza avrebbe esercitato su di lui.
L'esordio in politica e nel foro. Questi primi studi furono interrotti dalla "guerra sociale", alla quale C. partecipт nello Stato maggiore di Pompeo Strabone e poi in quello di Silla. Non appena concluso questo servizio militare, obbligatorio per chi volesse avviarsi alla carriera politica, C. cominciт a intervenire ai dibattiti nel Foro: nell'81 debutta come avvocato e un anno dopo difende Sesto Roscio, accusato di parricidio, contro importanti esponenti del regime sillano. Vinse la causa del proprio cliente ma, probabilmente su consiglio di coloro che avevano utilizzato il suo giovane ingegno, partм per l'Oriente per farsi dimenticare e rimanere in attesa che Silla abbandonasse il potere.
Tra il 79 e il 77 compie, dunque, il viaggio in Grecia e in Asia, dove studia filosofia e retorica per migliorare il proprio linguaggio. Nel 75 diventa questore in Sicilia (esempio di onestа ed oculatezza amministrativa) e nel 70 gli verrа chiesto di sostenere l'accusa di concussione dei siciliani contro l'ex governatore Verre ("Verrine"): il processo non era limitatamente giudiziario, ma aveva implicazioni politiche, dato che con la figura Verre veniva messo in discussione l'intero sistema del regime oligarchico: C. accettт, correndo il rischio di separarsi dai suoi protettori. Ortensio Ortalo, piщ anziano di C. e oratore rinomato per il suo talento, assunse il compito della difesa. C. portт avanti le cose in tal modo, riunм testimonianze cosм schiaccianti, che Verre non osт neppure perorare la sua causa e se ne andт in esilio dopo un solo giorno di dibattimento.
L'ascesa e il successo. Edile nel 69, pretore nel 66, C. и eletto in ciascuna delle consultazioni a cui gli и consentito di partecipare come candidato, con una schiacciante maggioranza di voti. Per lui, sono ora schierate non tanto le famiglie nobili ma, oltre al popolo, che и sensibile alla sua parola, le famiglie degli equiti, l'ordine equestre del quale, come sappiamo, и egli stesso originario. Nel periodo in cui и pretore, C. pronuncia un discorso importante, il "Pro lege Manilia", a favore del progetto di conferire a Pompeo poteri straordinari in Oriente, dove la guerra contro Mitridate si prolunga da tempo. Gli aristocratici erano ostili a questa legge, per timore di queste insolite procedure. Ma l'assemblea popolare seguм il parere di C., e la legge fu approvata.
Nel 63 diviene finalmente console, e nel periodo della sua carica si schiera con fermezza contro un altro progetto che ledeva gli interessi dell'aristocrazia, una legge agraria appoggiata sottobanco da Cesare. Le quattro orazioni sulla legge agraria (De lege agraria), di cui possediamo solo una parte, sbarrarono la strada a questa mozione.
Lo stesso anno C. ebbe la responsabilitа di difendere l'ordine contro una pericolosa congiura ordita da L. Sergio Catilina ("Catilinarie") con l'aiuto di alcuni altri nobili che speravano di ripetere, a proprio vantaggio, l'avventura di Silla: fu necessaria tutta l'energia del console (il suo collega era sospetto di simpatie a favore dei congiurati), per evitare che Roma fosse incendiata e le maggiori autoritа dello Stato assassinate. C. ebbe dunque la meglio e, sostenuto da un senatoconsulto, fece giustiziare i congiurati che era stato possibile arrestare. Gli altri, compreso Catilina, perirono sul campo di battaglia ai primi dell'anno successivo. In quel momento, C. poteva dire di aver realizzato intorno a sй l'unione di tutte le "persone oneste", gli "optimates", ma il trionfo non ebbe lunga durata.
Il declino della sua fortuna politica e il ritiro dalla scena pubblica. Dopo il consolato di Cesare (nel 59), le violenze del partito popolare condotto da P. Clodio Pulcro, allora tribuno, portarono alla messa sotto accusa dell'ex console, per aver fatto giustiziare, senza processo, dei cittadini. La coalizione degli "ottimati" non fu in grado di resistere alla volontа dei "triumviri" (Cesare, Pompeo e Crasso) e, mentre Cesare si avviava verso la Gallia di cui s'iniziava la conquista, C. fu costretto in esilio in Grecia (marzo 58).
Torna tuttavia a Roma l'anno seguente e cerca di allacciare rapporti con il triumvirato. Fu questa, per lui, l'occasione di un'intensa attivitа oratoria: ringraziamenti ufficiali ("Oratio cum Senatui gratias egit", "Oratio cum populo"), invettive al senato contro coloro che l'avevano tradito ("In Pisonem", eccetera).
Ma in una repubblica lacerata da ambizioni feroci, piщ che altro si dedica a scrivere le sue opere maggiori, non partecipando - giocoforza - che marginalmente alla vita politica: nel 55 pubblica il "De oratore", nel 51 portт a termine il "De repubblica". Nel 51 и governatore in Cilicia.
In seguito allo scoppio della guerra civile, nel 49, dopo molte esitazioni, si unirа (malvolentieri) al partito del senato, capeggiato da Pompeo. Quando quest'ultimo viene sconfitto, C. ottiene facilmente il perdono di Cesare. Nel frattempo, divorzia dalla moglie Terenzia e sposa Publilia. Nel 45 gli muore la figlia Tullia: in uno stato di profonda angoscia, dove alle delusioni politiche si univano i dispiaceri familiari, inizia la composizione "consolatoria" di una lunga serie di opere filosofiche.
L'effimero ritorno e la morte. Nel 44, morto Cesare, rientra finalmente nella vita politica e comincia la sua lotta contro Antonio ("Filippiche"). Ma dopo il voltafaccia di Ottaviano, che stringe il II triumvirato, il suo nome viene inserito nelle liste di proscrizione: muore di lм a poco, sotto i colpi dei sicari di Antonio.
Considerazioni sul personaggio storico e sul suo pensiero politico e filosofico.
C. conservatore "moderato": il suo progetto politico. Degno testimone e protagonista del tramonto della Repubblica, C. - nonostante la sua (relativa) chiusura alle esigenze degli strati piщ disagiati - non puт esser definito semplicemente un "reazionario", ma piщ esattamente un conservatore "moderato": il progetto politico, che cercherа di difendere nel corso della sua carriera, sarа infatti quello dell'egemonia di un blocco sociale ("concordia ordinorum"), costituito sostanzialmente dalla classe possidente dei senatori e dei cavalieri, allo scopo di porre un argine alle tendenze sovversive che serpeggiavano nella societа del tempo: la necessitа di consolidare e orientare questo blocco sociale significava di per sй un superamento degli obiettivi tradizionali della politica romana, per lo piщ prigioniera di una lotta di fazioni e di cricche clientelari. [Come vedremo, questo progetto - rivelatosi, col tempo, fallimentare - sarа adeguatamente "corretto" nel concetto di "consensus omnium bonorum", cioи "concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti": tuttavia, identica rimarrа l'idea di fondo].
Non ultima sua arma politica, a tal proposito, fu la sua straordinaria capacitа oratoria. Il fine dell'oratoria e della filosofia ciceroniane, infatti, и quello di dare una solida base ideale, etica, politica a una classe dominante, il cui bisogno di ordinare non si traducesse in ottuse chiusure, ma rispettasse gl’ideali dell’ "humanitas", cui l’ossequio per la tradizione antica non impedisse l'assorbimento della cultura greca.
Le ragioni dell'insuccesso. Quindi, l'intero operato di C. si puт interpretare come la ricerca di una difficile situazione di equilibrio fra istanze di ammodernamento e necessitа di conservazione delle leggi tradizionali. La stessa collaborazione con i triumviri fu una risposta al bisogno di un governo autorevole, ma anche in questo caso - coerentemente - egli si preoccupт di mantenere saldo il potere del senato.
All'Arpinate, tuttavia, mancarono le condizioni per crearsi il seguito clientelare o militare necessario a far trionfare la sua linea politica; inoltre, sottovalutт il peso che gli eserciti personali avrebbero avuto nella soluzione della crisi; infine, non tenne conto del fatto che i ceti possidenti avrebbero potuto ritenere che le loro esigenze fossero meglio garantite dalla politica di Cesare.
La matrice politica del suo pensiero. Fedele alla tradizione, come visto, C. non puт immaginare un mondo dove l'impegno nella gestione della cosa pubblica non sia il valore supremo. Ed и forse qui che si situa il centro e il fine ultimo di tutti i suoi pensieri. Ciт, ad es., spiega le sue opzioni filosofiche, la ripugnanza che prova nei confronti dell'epicureismo, chй giudicava la felicitа incompatibile con la partecipazione ai pubblici affari. Allo stesso modo, le sue simpatie per lo stoicismo si rivolgevano a quegli aspetti della dottrina che mettevano in luce l'importanza delle virtщ sociali: la giustizia, l'umanitа, il coraggio civico, la devozione alla patria. E, infine, si spiega anche la sua definitiva predilezione per il "probabilismo pragmatico" di matrice "accademica", che subordinava la conoscenza teorica (giudicata, nella maggior parte dei casi, inaccessibile nella sua perfezione) all'efficacia e soprattutto al valore morale dell'azione: una filosofia che non mirava all'utopica veritа, ma che si "accontentava" del "verosimile", e metteva questo verosimile alla base pragmatica di ogni scelta, garantiva un discreto margine all'azione politica, di cui C. proponeva la figura del princeps "intellettuale" come guida.
E’ altresм evidente come possa essere giustificato (e, in una certa misura, anche criticato) l'epiteto di "eclettico" affibbiato al C. filosofo, laddove perт questo eclettismo non era fatto di elementi sparsi e contingenti, bensм era una sintesi originale ed autonoma, operata in funzione di bisogni spirituali ben definiti e soprattutto in funzione delle necessitа politiche di Roma (in tutto questo, C. resta appunto "romano", nonostante la sua immensa cultura greca). A riprova di ciт, la determinazione con la quale egli si lanciт nella sua ultima battaglia politica fu proprio rafforzata da questa meditazione filosofica.
Opere.
*Oratoria. Come giа accennato, l'attivitа oratoria di C. si intreccia inevitabilmente con le vicende politiche di Roma negli ultimi cinquanta anni di repubblica. Queste, grosso modo, le tappe e le orazioni principali:
Esordio. Nell'81, C. debutta nel foro come avvocato;
Pro Roscio Amerino. Nell'80, durante la dittatura di Lucio Silla, C. si espone accettando di difendere Sesto Roscio, accusato di parricidio da alcune potenti figure amiche del dittatore. Il padre di Sesto Roscio era stato ucciso su mandato di due suoi parenti, in combutta con Lucio Cornelio, liberto di Silla: gli assassini, per avere le mani pulite, decisero di sbarazzarsi del figlio accusandolo di avere ucciso il padre. C. dovette stare molto attento nell'accusare personaggi vicini al potente dittatore e, per non sembrare sovversivo, copriva di lodi Silla: il bravo avvocato non era ostile al buon governo sillano ma, come molti, avrebbe preferito porre un freno agli arbitrii e alle proscrizioni. L'orazione "Pro Roscio Amerino" ebbe successo e Sesto Roscio fu ritenuto innocente.
Verrinae. Nel 70 i siciliani gli proposero di sostenere l'accusa nel processo da essi intentato contro l'ex governatore Verre, che aveva sfruttato la provincia, pensando solo ai propri interessi. C. raccolse rapidamente le prove, il che permise di anticipare i tempi del processo, per cogliere alla sprovvista la controparte, che puntava invece alla dilazione: al dibattito, C. non fece in tempo a esibire tutte le prove e i testimoni (un espediente rivoluzionario, per allora) che aveva raccolto e organizzato (la cosiddetta "Actio prima in Verrem"): dopo solo pochi giorni, infatti, Verre fuggм dall'Italia e venne condannato in contumacia.
Solo successivamente C. pubblicт quelle che noi oggi conosciamo come "Verrinae", che si presentano in forma di arringa accusatoria suddivisa in 5 "discorsi" fittizi, a formare un lunghissimo e serrato dossier sulle malefatte compiute da Verre (la cosiddetta "Actio secunda in Verrem").
La vittoria su Ortensio, difensore di Verre, fu - inoltre - anche una vittoria in campo letterario; lo stile delle "Verrinae" и giа completamente maturo: C. ha eliminato alcune esuberanze, il periodare и armonioso, architettonicamente complesso, ma la sintassi e lo stile sono estremamente duttili, tanto che non rifuggono dall'uso di un fraseggio coinciso e martellante, se l'occasione lo richiede.
Le orazioni - come detto, mai effettivamente pronunciate - si rivelano, infine, come un documento storico di grande importanza per conoscere i metodi di cui si serviva l'amministrazione romana nelle province.
Pro lege Manilia. Nel 66 a.C., pretore nel senato, parla a favore del progetto di legge presentato dal tribuno Manilio, che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari su tutto l'Oriente, minacciato tra le altre cose da Mitridate, re del Ponto ("Pro lege Manilia"). Parlando di fronte al popolo in favore di tale legge, C. insistette sull'importanza dei tributi che affluivano dalle province d'Oriente; la popolazione di Roma sarebbe stata privata di tale beneficio se Mitridate avesse continuato la sua azione. In realtа, C. mirava a tutelare soprattutto gl'interessi degli appartenenti al ceto finanziario e imprenditoriale (messi a rischio appunto dalla situazione orientale), cui egli stesso era legato. C. era completamente contrario a qualsiasi progetto di distribuzione delle terre pubbliche ai ceti meno abbienti; egli cominciava a vedere la via d'uscita dalla crisi che minacciava la repubblica nella "concordia" tra ceti abbienti, senatori e cavalieri ("concordia ordinum").
Catilinarie. C. divenne console nel 63, e soffocт la congiura di Catilina ai danni dello stato: da allora in poi sarebbe stato il teorizzatore di quella "concordia ordinum" che lo aveva portato al potere. Le piщ celebri orazioni consolari di C. sono appunto le 4 "Catilinarie", tenute di fronte sia al senato sia al popolo, con le quali egli svelт le trame sovversive che il nobile decaduto aveva ordito una volta vistosi sconfitto nella competizione elettorale: C. lo costrinse a fuggire da Roma e giustificт la propria decisione di far giustiziare i suoi complici senza processo.
I toni delle orazioni sono spesso accesi e veementi (nella I si fa uso, ad es., di un artificio retorico chiamato "prosopopea" - "personificazione" - della patria, che и immaginata rivolgersi a Catilina con parole di biasimo), ma vi sono altresм presenti interessanti spunti piщ razionali di analisi "sociologica" del quadro delle forze sociali in campo.
Pro Archia poeta. Nel 62 a.C. compose, invece, la "Pro Archia poeta", orazione pronunciata in difesa del poeta Archia, venuto a Roma nel 102 e accusato di usurpazione della cittadinanza romana. Essa и celebre per l'appassionata difesa della poesia che contiene e per la rivendicazione della nobiltа degli studi letterari.
Pro Sestio. Richiamato dall'esilio nel 57, C. trova Roma in preda all'anarchia: si fronteggiavano le opposte bande di Clodio e di Milone (tra l'altro, amico personale del nostro). Fu in tale clima che, nel 56, trovandosi a difendere Sestio ("Pro Sestio"), un tribuno accusato proprio da Clodio di atti di violenza, l'Arpinate espose una nuova versione della propria "teoria" sulla "concordia" dei ceti abbienti. La "concordia ordinum" si era rivelata fallimentare: C. ne dilata ora il concetto in quello di "consensus omnium bonorum", cioи la "concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti", amanti dell'ordine politico e sociale. I "boni", una categoria "trasversale" rispetto agli strati sociali esistenti, senza identificarsi con alcuno di essi in particolare, saranno d'ora in poi il principale destinatario della "predicazione" etico-politica di C.: il loro dovere и quello di non rifugiarsi egoisticamente nel perseguimento dei propri interessi privati, ma di fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa. L'esigenza di un governo piщ autorevole spinge tuttavia C. a desiderare che il senato e i "boni" si affidino alla guida di personaggi eminenti e illustri: questa teoria verrа approfondita nel "De repubblica" ed и la principale causa che portт C. ad avvicinarsi al triumvirato (l'autore cercherа, invano, di fare sм che il potere dei triumviri non prevarichi su quello del senato, ma si mantenga nei limiti delle istituzioni repubblicane).
De domo sua. Sempre nel 57 a. C., col "De domo sua" - discorso tenuto di fronte al collegio dei pontefici per rientrare in possesso dell’area dove sorgeva la sua casa, che Clodio aveva fatto demolire per edificare al suo posto un tempietto di Libertas - C. polemizza con quanti avevano criticato la presunta scarsa fermezza d’animo mostrata durante il suo esilio: la grandezza del dolore per le sorti della patria, e l'amara consapevolezza del proprio fallimento, egli spiega, lo avevano persuaso riguardo l’impossibilitа di affrontare quelle privazioni con una saggezza di tipo stoico (и, questo, il primo passo nell'avvicinamento alle posizioni "accademiche").
Pro Celio Rufo. Tra le orazioni anticlodiane, poi, occupa un ruolo particolare quella in difesa di Marco Celio Rufo ("Pro Celio Rufo"), un giovane brillante e amico dello stesso C.. Celio era stato l'amante di Clodia (sorella del tribuno, probabilmente la Lesbia di Catullo) e ora lo avevano condannato di tentato avvelenamento nei confronti di quest'ultima. Attaccando Clodia, in cui indicт l'unica regista di tutte le congiure contro Celio, C. ebbe modo di sfogare il suo rancore nei confronti del fratello di lei: la donna и descritta come una persona infima e viene accusata pure di rapporti incestuosi. Tramite la descrizione della vita di Celio, C. ha modo - inoltre - di dipingere uno spaccato della societа romana del suo tempo, e si sforza di giustificare agli occhi della giuria i nuovi costumi, morali e politici, che l'esuberante gioventщ romana (Celio compreso) ha assunto da tempo e che possono destare scandalo solo allo sguardo di moralisti "bacchettoni" e retrogradi.
Qui, a ben vedere, aldilа della facezia, C. propone un originale modello culturale, teso a ricondurre i nuovi comportamenti all’interno di una scala di valori che continui ad essere "programmaticamente" tradizionale, laddove perт la stessa tradizione sia opportunamente spogliata del suo eccesso di rigore e resa piщ flessibile alle esigenze di un mondo sentito consapevolmente in trasformazione.
L'orazione и una delle piщ divertenti, brillanti e variegate di C.: nell’intento di pilotare i giudici attraverso gli stati d’animo piщ diversi, egli si avvale di una pittoresca alternanza di toni e di registri, che lascia emergere di preferenza la vena brillante, ironica (soprattutto nei riguardi di Clodia), talora apertamente comica.
Pro Milone. Gli scontri tra le bande di Clodio e di Milone durarono ancora a lungo e nel 52 Clodio rimase ucciso. C. si assunse la difesa di Milone, accusato dell'omicidio. L'orazione ("Pro Milone") и considerata uno dei suoi capolavori, per l'equilibrio delle parti e l'abilitа delle argomentazioni, basate sulla tesi della legittima difesa e sulla esaltazione del tirannicidio. C. davanti ai giudici, perт, fece un fiasco completo (evidentemente, l'orazione che noi possediamo и dunque frutto di una successiva rielaborazione letteraria): gli cedettero i nervi a causa della situazione di estrema tensione in cui si trovava la cittа, e cosм Milone dovette fuggire in esilio.
Orazioni cesariane. Dopo la vittoria di Cesare, C. - come visto - ne ottenne il perdono: nella speranza di rendere il regime meno autoritario, cercт forme di collaborazione e accettт di perorare di fronte al dittatore le cause di alcuni pompeiani pentiti. Le "orazioni cesariane" ("Pro Marcello"…) si collocano tra il 46 e il 45 e sono caratterizzate da un'abbondanza di elogi a Cesare la cui completa sinceritа и piuttosto difficile ammettere.
Filippiche. Dopo la morte di Cesare, per indurre il senato a dichiarare guerra ad Antonio, C. pubblicт invece le "Filippiche" (44), in numero forse di 18 (il titolo, che risale a una definizione scherzosa dello stesso autore, intendeva sottolineare il legame ideale coi celebri discorsi di Demostene, il piщ grande oratore ateniese, contro le pretese all’egemonia di Filippo di Macedonia). Uno solo dei discorsi, il II, un attacco di violenza inaudita, non venne effettivamente pronunciato, ma fatto circolare come pamphlet. Nelle "Philippicae", Antonio viene dipinto - con sapiente varietа di toni, dall'ironico al satirico - come un volgare bandito, programmatore di proscrizioni e di confische, alla stregua dei suoi loschi fautori. Le "Philippicae" costituiscono anche un tentativo assai ardito (e fallito) di influenzare l’opinione pubblica, lanciando in tutto il mondo romano dei programmi che fissavano di volta in volta l’obiettivo da raggiungere nella lotta contro Antonio.
*Retorica. Abbiamo visto in quale misura l'arte oratoria, in C., sia stata legata all'azione; и chiaro, dunque, che nessuno meglio di lui era in grado di elaborare una teoria romana dell'eloquenza, come mezzo di espressione e come strumento politico. Le prime riflessioni al riguardo risalgono giа alla sua giovinezza, anche se, in quell'epoca, egli non ha ancora concepito il problema in tutta la sua ampiezza. Ecco un resoconto delle sue opere di retorica principali:
De inventione. Ancora troppo vicino ai suoi maestri greci, per i quali l'eloquenza era una "tecnica" fra le altre, scrisse in gioventщ un manuale scolastico, il "De inventione".
De oratore. Solo nel 55, quando le circostanze lo sollecitarono a riflettere sulla reale funzione dell'eloquenza all'interno della cittа, compose il "De oratore", un’opera in forma dialogica, "platonica" ma con contenuti romani (opera che, dunque, giа nella struttura originale supera con un balzo tutti i trattati precedenti in materia): Crasso e Antonio, i due piщ insigni oratori dei tempi della sua giovinezza, sono i principali interlocutori (il dialogo и ambientato nel 91 a.C., e Crasso и l'evidente alterego dello stesso C.).
La "trattazione" - precisamente - verte non tanto sull'eloquenza in quanto tale, o sulle regole per praticarla, quanto piuttosto sulla figura stessa dell'oratore (come recita il titolo, del resto), assunto come ideale civico e umano, uomo politico della classe dirigente, guidato dalla "probitas" e dalla "prudentia", intellettuale garante - nella sua stessa persona - dei valori (morali, ma anche culturali) dell'aristocrazia: l' "orator" dovrа servirsi della sua abilitа non per scopi demagogici, ma per invogliare alla volontа dei "boni".
Il vecchio problema di Catone и riproposto in termini nuovi, ma seguendo il medesimo spirito. Per C. l'oratore и un pensatore universale, "enciclopedico", che deve conoscere a fondo tutto ciт su cui si puт trovare in obbligo di parlare (e in ciт C. si avvicina alle tesi di Platone), ma deve superare anche tutte le tecniche particolari, essere un artista della parola per persuadere con la grazia, e al tempo stesso essere un filosofo (e la "filosofia morale" principalmente la sua guida), per scoprire ogni volta le ragioni profonde delle cose.
Il I libro tratta cosм proprio della preparazione generale - appunto "enciclopedica" - dell’oratore (soprattutto, come detto, filosofica e con predilezione per la filosofia morale); il II dell’invenzione, della disposizione, della memoria; il III della elocuzione e dello stile.
Brutus. La riflessione di C. sull'eloquenza trovт espressione, in seguito, nel "Brutus" (46), che и un profilo insieme storico e critico, sempre in forma di dialogo (avente per protagonisti l’autore stesso, l’amico Attico e Bruto, cui и dedicato), della figura dell'oratore romano, dalle origini fino allo stesso C.. Vi si combattono gli "atticisti" (un gruppo di giovani oratori, fautori di uno stile piano, conciso, incisivo, come quello del loro modello, il greco Lisia); ma forse - piщ correttamente - si prende una posizione intermedia tra quelli e gli "asiani" (piщ attenti, invece, agli effetti "plateali" del discorso, e dunque al suo ritmo, alla sua sonoritа e alla sua "ampollositа"), teorizzando, per cosм dire, una sorta di "duttilitа situazionale" (cioи, legata alla specifica situazione processuale o assembleare) dell’oratore stesso, che privilegiasse comunque uno stile dagli effetti potenti e grandiosi, tali da scuotere davvero in profonditа le coscienze.
Il "Brutus" и tuttavia percorso da una fortissima vena di pessimismo sulle sorti future dell’eloquenza romana, dal momento che la dittatura di Cesare, secondo C., ormai inibiva la libera espressione politica e precludeva ogni spazio ai nuovi talenti.
Orator. L' "Orator" (46), infine, и opera piщ tecnica, che affronta in modo tutto particolare il problema del ritmo e dello stile nella prosa.
*Politica. Le opere politiche di C. nascono, al pari delle successive opere filosofiche, dal bisogno di cercare un risposta alla gravissima crisi politica e morale che Roma stava attraversando. Partendo dalle cose piщ urgenti, in una cittа in piena decomposizione politica, scrisse soprattutto:
De republica. Il "De republica" (tra il 54 e il 52), in 6 libri, un trattato sullo Stato, il cui proposito era ispirato dal celebre dialogo di Platone (ma, a differenza dello "stato ideale" da quest'ultimo auspicato, lo stato descritto da C. ha trovato giа, come vedremo, una realizzazione storica pressochй "perfetta" nella Repubblica romana). Noi ne conosciamo solo una parte - buona parte dei primi 2 libri e frammenti degli altri - trasmessaci principalmente da un palinsesto scoperto nel 1822 da Angelo Mai. L’opera и, piщ specificamente, costituita da 3 dialoghi, tenuti in 2 giorni, a ognuno dei quali sono dedicati 2 libri.
Nel dialogo, ambientato nel 129 a. C., intervengono Scipione Emiliano e altri membri della sua cerchia; la conversazione ha per oggetto quale sia la migliore forma di stato. Delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) nessuna и buona ed esaustiva per se stessa [il rischio palese и che esse, separatamente prese, degenerino nelle rispettive forme "estreme" della "tirannide" (governo dispotico di uno solo), della "oligarchia" (governo dei pochi) e della "oclocrazia" (governo della feccia del popolo)]: ideale и, dunque, la Repubblica romana, in cui queste tre forme trovano giusto temperamento ed equa applicazione ("costituzione mista", il cui primo referente ideologico и lo storico Polibio) nella "collaborazione" tra consolato (elemento monarchico), senato (elemento aristocratico) e comizi (elemento democratico): tuttavia, in veritа, viene preferita la repubblica aristocratica realizzatasi nell’etа scipionica [I libro]; inoltre, la costituzione romana supera le altre perchй non si deve ad uno solo, ma и opera di piщ generazioni e di molti uomini d’ingegno [II libro].
In realtа,

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