7 versioni di latino

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Testo

La dea Latona punisce i contadini della Licia

Latona, dopo che ebbe generato Apollo e Diana nell’isola di Delo, fu costretta da Giunone a fuggire da quel luogo, poiché la regina degli dei e degli uomini era gelosa di Latona. In seguito la dea giunse nei confini della Licia con i piccoli figli e in quella situazione, lungo il viaggio, stanca e spossata dal bollore del sole, chiedeva acqua poiché era tormentata dalla sete. Forte vide un lago nella valle e contadini alle rive del fiume: lieta con i figli si avvicinò ma, mentre tocca le terre delle genti e tenta di prendere acqua con le mani, i contadini allontanarono la dea dall’acqua e la scacciarono dalla regione. Allora Latona indignata e piena d’ira gridò:
.
Immediatamente, volontà della dea, i contadini della Licia furono trasformati in rane.

Un esempio di straordinaria generosità

La grandezza dei doni fa si che il dono dato sia gradito; tuttavia sarà più gradito il dono, anche se piccolo, se sarà dato nel momento opportuno.
Nella seconda guerra punica, dopo la rovina che fu ricevuta dai romani presso il Trasimeno, dove lo stesso console Flaminio aveva perso la vita, il senato da Annibale, generale cartaginese, chiese che i prigionieri romani fossero restituiti. Ma il prezzo dell’accordo al riscatto era troppo e il senato non aveva abbastanza denaro che liberava (liberò) i prigionieri dalla schiavitù. Allora il dittatore Q. Fabio Massimo, conosciuto il fatto (la cosa), mandò il figlio a Roma per vendere l’unico podere che possedeva, e tutta la ricchezza, anche se poca, la diede al senato.
Tanta fu la magnanimità di Q. Fabio Massimo che tutto il suo patrimonio fu venduto e che fu in aiuto alla patria.

Le vittorie di Cesare

Le vittorie di Cesare sono così tante e grandi che è difficile contarle. Essendo stato nominato console, dapprima combatté contro i Galli e ridusse la tutta la Gallia sotto il dominio dei Romani, quindi portò l’esercito in Britannia con grande difficoltà dove combatté contro i Britanni, allora feroci e orribili d’aspetto. Dopo che scoppiò la guerra civile a Roma, richiamato dalla Gallia in Italia, Cesare superò con le sue legioni il fiume Rubicone, che allora segnava i confini dell’Italia, e si diresse a Roma dove celebrò la vittoria. Poi con un ingente esercito si diresse a Brindisi, quindi in Grecia per sconfiggere Pompeo: Cesare avendo vinto in una dura battaglia presso Farsalo i Pompeiani, Pompeo cercò la salvezza con la fuga e si rifugiò da Tolomeo, re degli Egiziani. Ma Cesare in Egitto seguì il nemico invano, poiché Pompeo era stato ucciso dal re per mezzo di un inganno. Cesare con incredibile velocità, portò l’esercito dall’Egitto al Ponto, dove sconfisse il re Farnace, nemico del popolo romano, in così breve tempo che mandò al senato un annuncio della vittoria con le famose parole:
Essendo tornato di nuovo a Roma, arruolò nuove legioni e condusse l’esercito in Africa per combattere contro i rimanenti Pompeiani presso Tapso. Vinti i Pompeiani, si diresse velocemente dall’Africa in Spagna per sconfiggere i figli di Pompeo. Avendo posto fine alla battaglia civile, ritornò a Roma per istruire il principato, ma visse per pochi anni: infatti il 15 marzo nell’anno 44 a.C. fu ucciso dai congiurati nella curia di Pompeo

Il cavallo di Troia

Poiché gli Achei non potevano espugnare Troia per dieci anni, Epeo, con l’ammonimento di Minerva e consiglio di Ulisse, costruì un cavallo di meravigliosa grandezza e là dentro furono legati Menelao, Ulisse, Diomede, Neottolemo e molti altri forti uomini greci. Gli Achei sul cavallo scrissero: > e trasferirono l’accampamento nell’isola di Tenedo. I Troiani, quando videro ciò, credettero alla prova della profezia dei nemici. Allora Priamo, re dei troiani, ordinò che il cavallo fosse condotto nell’altura di Minerva e dichiarò che i cittadini trascorressero un giorno di festa. Dopo che i troiani ebbero sistemato il cavallo sull’altura e si addormentarono spossati, per aver giocato a bevuto durante la notte, gli Achei uscirono dal cavallo aperto, uccisero i custodi delle porte da Sinone e fecero entrare in città i compagni. E occuparono e devastarono a ferro e fuoco i Troiani.

Un oratore zelante

Gaio Macro ebbe sempre poca autorità, ma fu avvocato dalla diligenza pressoché ineguagliabile. Se la sua condotta di vita, i suoi costumi, infine la sua stessa fisionomia non avessero completamente guastato la reputazione che doveva al suo talento, avrebbe goduto di maggiore rinomanza tra gli avvocati. Senza avere grande ricchezza di eloquio, non era tuttavia misero; lo stile non era particolarmente forbito, ma neppure trasandato; la voce, il gestire, e tutta l'azione non avevano grazia; ma nell'invenzione e nella composizione era di una accuratezza straordinaria: difficilmente saprei indicarne, in altri, una maggiore, o più scrupolosa; ma era tale, che l'avresti detta piuttosto da mestierante che da oratore. Egli, anche se si faceva apprezzare nei processi penali, aveva tuttavia un ruolo più in vista nelle cause private.

Le due accuse a Gellio

Due son dunque i capi d'accusa: l'oro e il veleno. Per l'uno e per l'altro è in gioco la stessa persona: l'oro si dice preso a prestito da Clodia, il veleno procurato per esser propinato a Clodia. Tutto il resto non sono imputazioni, ma pettegolezzi; materia di stizzoso diverbio, piuttosto che argomento di processo. «Adultero, impudico, trafficante!... »: ma questa è villania, non accusa. Non c'è, in quei capi d'imputazione, né fondamento, né puntello: sono vociferazioni calunniose, temerariamente lanciate da un accusatore furioso e irresponsabile.
Per quei due titoli d'imputazione, invece, io vedo un autore, vedo l'origine, vedo ben definito un nome e una persona. Aveva egli bisogno dell'oro: se lo fece prestare da Clodia, prestare senza testimoni, e se lo tenne quanto tempo volle: prova evidente di una strettissima intimità. Ma poi, la volle uccidere; si procurò il veleno, cercò di guadagnarsi quanti poté, lo preparò fissò il luogo, ve lo portò: prova evidente di un grande odio nato da un crudele dissidio. Tutta la causa, o giudici, è di Clodia, donna non soltanto notabile, ma assai nota. Di lei nulla dirò più di quanto sia necessario per ribattere l'accusa.

La forza della poesia

Per questo motivo ben a ragione il nostro Ennio definisce "sacri" i poeti, in quanto sembra che ci siano stati concessi quasi come un prezioso dono degli dèi. Sia dunque, giudici, sacro presso di voi, uomini coltissimi, questo nome di poeta, che mai nessuna gente, per quanto barbara, ha osato oltraggiare. Le rupi e i deserti rispondono al suono di una voce, spesso bestie feroci si arrestano placate dal canto: e noi, educati dai migliori insegnamenti, non dovremmo sentirci toccati dalla voce dei poeti? I Colofoni dicono Omero loro concittadino, i Chij lo rivendicano per sé, i Salarninii lo reclamano; gli Smirnei poi, ribadiscono che è loro compatriota, e pertanto gli hanno anche eretto un tempietto nella città; e ancora moltissimi altri se lo contendono con dispute accese. E così queste comunità anche dopo la sua morte reclamano uno straniero, perché era un poeta; e noi vogliamo respingere costui, che è vivo ed è, per sua volontà e per legge, nostro? Tanto più che Archia da gran tempo ha consacrato tutto il suo zelo e il suo talento alla celebrazione della gloria e della fama del popolo romano.

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