Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

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Testo

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (pag. 1086)
Parafrasi: Voi che ascoltate in poesie staccate tra di loro il suono di quei sospiri con i quali nutrivo il cuore al tempo del primo traviamento giovanile, quando in parte ero un altro uomo rispetto a quello che sono, delle varie forme poetiche nelle quali piango e ragiono tra le vane speranze e il vano dolore, spero di trovare pietà, non solo perdono, dove ci sia qualcuno che conosca l'amore per averlo provato. Ma vedo ormai come fui per tutto il popolo motivo di riso da gran tempo, per cui spesso mi vergogno di me stesso; e il frutto del mio amore impossibile è la vergogna, il pentimento e la chiara consapevolezza che tutto quello che piace al mondo è vano.

Il giudizio di Petrarca è estremamente negativo perché il Canzoniere testimonia l'oscillazione di sentimenti e il dissidio interiore del poeta. Inoltre, egli riponeva le speranze di gloria nelle opere in latino e non in quelle in volgare. Petrarca, nel Canzoniere, ha una concezione dell'amore terrena e si sofferma non tanto sulla lode di Laura quanto sui propri sentimenti, e in questo prende spunto da Cavalcanti. Inoltre, la concezione della vanità delle cose era già presente in una fonte biblica, l'Ecclesiaste. Nel passato è un giovane che ha perso la retta via mentre, nel presente, è un uomo pentito, anche se ancora innamorato. Petrarca ha una concezione dell'amore terrena. Nel sonetto Padre del ciel, dopo i perduti giorni, Petrarca, oltre ad essere pentito dei suoi gravi errori giovanili, prega Dio affinché lo liberi dal peccato e gli confessa le proprie colpe.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Voi che ascoltate, espressi in componimenti slegati tra loro,
il suono di quei sospiri che alimentavano la mia passione amorosa
al tempo del mio primo traviamento amoroso giovanile
quando ero, seppur in parte (traccia di quella passione permane ancora) un altro uomo rispetto a quello che sono ora:
spero di trovare comprensione, nonché perdono,
del mutevole stile con cui esprimo la mia sofferenza e parlo
oscillando tra le vane speranze e il vano dolore (vani perché terreni).
ovunque vi sia qualcuno che, avendolo provato, sappia cosa sia Amore.
Ma ora mi rendo ben conto di come fui per molto tempo una favola
per tutta la gente ignorante, visto che
io stesso mi vergogno di me,
e del mio perdermi dietro a cose vane sono conseguenze
il vergognarmi, il pentirmi e il capire chiaramente
che quanto piace nella vita terrena non è altro che una breve illusione.
Esercitazione
su
Francesco Petrarca
Nel sonetto “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” il poeta parla dell’esperienza amorosa ormai superata nella prospettiva cristiana (il pentimento, la coscienza della brevità e della illusorietà dei beni terreni).
Il poeta offre al lettore quattro tipi di informazioni:
- sono stato a lungo innamorato
- ora sono cambiato
- chiedo pietà e perdono
- (l’unico non esplicito) sono degno di riceverli.
Egli si rivolge a coloro (Voi), che, come lui, soffrono le pene dell’amore e spera di trovare in loro perdono e comprensione (spero trovar pietà, nonché perdono – di me medesimo che meco mi vergogno) poiché, a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile (giovanile errore) egli era ben diverso dall’uomo che è oggi (quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono). Non solo ha commesso un errore morale, mettendo da parte Dio, ma anche un errore letterario, visto che ha fatto produrre dei componimenti slegati fra loro (Rime sparse) che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d’animo.
Nel proemio troviamo termini specifici della materia amorosa (sospiri e core al v. 2, piango et ragiono al v. 5, speranze e dolore al v.6, amore al v. 7). Ma vi sono però nel sonetto anche alcuni riferimenti alla prospettiva cristiana, quali il richiamo alla trasformazione dell’individuo(v.4), che allude implicitamente al tema della conversione (con rimando alla vergogna ai v. 11e12), il motivo della inutilità e della illusorietà dei beni terreni (errore al v. 3, vane/van al v. 6, favola al v. 10).
Lo stesso tema si delinea nel sonetto “Io mi rivolgo indietro” in cui il poeta si paragona ad un viandante che, piangendo, si volge indietro e sospirando procede, proprio come un innamorato che è costretto ad abbandonare il suo amore.
Ne “Era il giorno ch’al sol si scoloraro” il poeta ripensa invece al giorno in cui si innamorò di Laura, giorno di commemorazione dellla morte di Cristo.
La coincidenza tra l’innamoramento e il giorno della Passione suggerisce il significato attribuito da Petrarca alla propria vicenda amorosa: un traviamento morale.
Dominatrice al centro dell’esistenza di Petrarca vi è una donna, Laura; ma, mentre per Dante l’amore per Beatrice è un punto di partenza, per giungere a una visione religiosa del mondo, alla fede in Dio, Laura resta una donna, amata per la sua bellezza, per il fascino dei suoi occhi, delle chiome bionde, delle mani sottili, del bel fianco (Chiare, fresche et dolci acque). Ad attirare Petrarca è la terra con tutte le sue seduzioni. Nella “Vita Nova” i segni che accompagnano la morte di Beatrice sono gli stessi che accompagnano la morte di Gesù: con questo Dante sottolinea il misticismo della donna. In Petrarca invece l’amore per la donna e l’immagine di Cristo sono in opposizione, anzi l’amore è di ostacolo alla salvezza (Era il giorno ch’al sol si scoloraro).
Questo concetto di amore che fa scaturire tutte le più basse passioni dell’animo è ripreso anche nel terzo libro del Secretum dove Agostino, con abili argomentazioni, fa confessare a Petrarca di aver amato la bellezza fisica di Laura e che questo amore è stato origine di traviamento.
Petrarca nel sonetto “Padre del ciel, dopo i perduti giorni” rivolge a Dio una preghiera nel quale lo supplica di perdonarlo per essere stato preda dell’amore. In questo sonetto l’amore è definito come un fero desio mentre nel “Benedetto sia’l giorno, e’l mese, et l’anno” viene addirittura benedetto. Queste sono le alternanze di sentimenti alle quali alludeva il poeta in “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”.
Il poeta chiede a Dio di farlo ritornare ad una vita degna di modo che il demonio, suo avversario, resti sconfitto.

Il tema principale del Canzoniere è l’amore per Laura. A differenza del dolce Stilnovo, in cui il protagonista è lo stato d’animo, in Petrarca è il conflitto interiore. Il poeta è diviso tra amore e gloria e aspirazione al misticismo in Dio.
Al contrario della Beatrice di Dante, che è una luce che guida gli uomini e li avvicina ad Dio, Laura è una nobilissima creatura terrena (in “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” viene addirittura descritta da vecchia) e pertanto l’amore verso di lei lo allontana dalla fede in Dio.
In “Chiare, fresche et dolci acque” il poeta descrive Laura che aveva visto in quegli stessi luoghi utilizzando molti termini della bellezza stilnovista (bionda, occhi luminosi, voce soave, capelli d’oro, viso di perla….). Qui, la bellezza di Laura, che è tutt’uno con le meraviglie del paesaggio avvicina il poeta, invece, in “ A qualunque animale alberga in terra” sono le stesse virtù della donna ad allontanarlo.
La donna è anche occasione per parlare ed esplorare se stessi, per affrontare problematiche teologiche. Nel Secretum Agostino mira a liberare l’animo di Francesco da due errori pericolosi: l’amore per la gloria e l’amore per Laura.
Nel terzo libro Francesco si difende sostenendo che il suo amore è stato solo spirituale. Agostino, invece, lo induce a confessare che ha amato la bellezza fisica di Laura e che questo amore è stato origine di basse passioni. Anche nei sonetti “Io mi rivolgo indietro” e in “Solo et pensoso” sono affrontate le tematiche del tormento esistenziale.
Decisivo appare nel Canzoniere il tema della memoria legato al tema della lontananza e alla fugacità del tempo. Nel sonetto “Io mi rivolgo indietro” vengono trattate entrambe le tematiche. La lontananza nel verso “io mi rivolgo indietro” e “poi ripensando al dolce ben ch’io lasso e la labilità del tempo nel “viver corto”.
Il rapporto con la donna, impossibile nella realtà, si costruisce nella assenza, affidato al potere rievocativo ed elaborativo.
La figura femminile assume spessore e prende concretezza anche fisica grazie al ricordo. Nel sonetto “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” Laura viene addirittura descritta mentre sta invecchiando. La bellezza è sfiorita, i capelli un tempo splendidi come la sua giovinezza si sono fatti più grigi e radi, gli occhi un giorno lampeggianti hanno conosciuto il tramonto. Tutto è diverso, sconvolto , distrutto; una cosa però resta immutabile perché non può morire: l’amore.
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono (I)
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
del vario stile in ch'io piango e ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
In questo sonetto il poeta si rivolge ad un pubblico ben specifico, ovvero a quelli che soffrono le pene dell'amore, presso il quale spera di trovare perdono e comprensione poiché a causa di questo sentimento, frutto di uno sbaglio giovanile, quando il poeta era ben diverso dall'uomo che è oggi, non solo ha commesso un errore dal punto di vista morale, mettendo da parte Dio, ma anche dal punto di vista letterario, visto che l'amore ha prodotto sotto quest'aspetto dei componimenti slegati fra loro e che esprimono sentimenti contrastanti, frutto di diversi stati d'animo del poeta. Dopodiché si rende conto che a causa del suo vaneggiar d'amore egli è divenuto la favola del popolo e quindi si vergogna di sé stesso e il frutto del suo amore è la vergogna stessa. Il sonetto si conclude con la presa di coscienza che tutto ciò che c'è di terreno è vano.
Ecco i topoi presenti nella poesia (se il vostro docente è fissato con questa roba!!):
Sospiri, topos che risale agli stilnovisti; solo alla vista della donna amata l'amante sospira.
Verso 11, in cui il Petrarca dice di essere la favola del popolo, già usato da Orazio nell'Epodo libro 11 versi 7-8
Il verso 14, in cui Petrarca afferma che tutto quello che è terreno è vano, esprime un concetto già definito nelle "Ecclesiaste"

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