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Il primo ottocento
Dal punto di vista sociale il mondo della cultura dell’800 è investito dai processi della rivoluzione industriale. Gli scrittori devono innanzitutto fare i conti con le case editrici. Inoltre l’incremento dei ceti borghesi allarga il pubblico dei lettori. I principali luoghi di cultura non sono più salotti o accademie, ma vi è una diffusione della cultura grazie alla comparsa dei quotidiani o periodici d’informazione che facevano circolare le idee e le notizie formando così l’opinione pubblica. Gli scrittori raggiungevano facilmente popolarità anche se nessuno diventa ricco. Il fatto più inquietante è che lo scrittore deve vendere la propria opera, frutto dei suoi valori spirituali, come una qualsiasi merce. La prima reazione degli scrittori fu di contrapporre i propri valori spirituali a quelli mercantili, verso la fine del secolo si ebbero affiorerà il tema del isolamento della letteratura. Essi abbracciavano quindi la teoria romantica dello scrittore come guida spirituale dell’umanità. La cultura del primo ottocento è segnata dalla supremazia del sentimento sulla ragione, la proclamazione del valore dell’individuo, le differenze nazionali e il ritorno della religione, soprattutto in Francia e in Italia, Chateaubriand e Manzoni ne sono un chiaro esempio. Per alcuni intellettuali come Foscolo e Leopardi alla conquista dell’intelletto umano subentra anche l’angoscia per il mondo materiale. Nasce di qui la lotta dell’individuo contro tutta la realtà, un conflitto insanabile tra uomo e natura che porterà anche ad un pessimismo, come nei casi di Leopardi e Schopenhauer.
In questo periodo nasce anche la storiografia moderna. L’idea moderna di storia è infatti legata al concetto di nazione, che si traduceva nella rivendicazione politica di unità e indipendenza, di popolo, che significava un rifiuto della cultura elite. Questi concetti sono il motivo del interesse per la storia: la nazione si è formata attraverso vicende storiche mentre il popolo è importante perché rappresenta la spontaneità e la conservazione delle tradizioni storiche. La cultura neoclassica in Italia si accasa con facilità grazie al fatto che i modelli classici erano ben radicati nella formazioni degli intellettuali. La cultura neoclassica manifesta l’esigenza di tornare a un lavoro stilistico più rigoroso a avvicinandosi ai modelli latini e dei nostri secoli gloriosi. Un aspetto comune della letteratura neoclassica è l’impronta aristocratica. Lo stile elaborato e difficile può essere apprezzato solo da un pubblico colto e quindi aristocratico. Il romanticismo in Italia dura un breve periodo e non si sviluppa come negli altri paesi. I principali temi sono l’apertura alla cultura europea, il rinnovamento del linguaggio letterario e la popolarità della poesia che creasse una cultura nazionale. La poesia è caratterizzata da ritmi rapidi prendendo ad esempio Manzoni (Odi, Cori). Il lessico e la sintassi imitano Foscolo e Leopardi ma si sforzano ad essere più moderni e popolari. Le raccolte di versi sono dette Poesie o Canti ma ci sono novità come la Ballata o romanza e la novella in versi.
Giacomo Leopardi
Il pensiero di Leopardi parte dall’idea che l’infelicità è un dato constante dell’esistenza umana. Questa convinzione nasce, oltre che dalle sue esperienze, anche da un insieme di riflessioni iniziate intorno al 1818 di cui ne è una testimonianza lo Zibaldone, una raccolta di 7 quaderni. Secondo la concezione di Leopardi, che si rifà alle concezioni materialistiche e sensistiche del ‘700, ogni essere animato ha un continuo desiderio di piacere, poiché la felicità consiste nel piacere. Questo desiderio incessante potrebbe essere appagato solo da un piacere infinito, ma questi piaceri che ci sono offerti dalla realtà limitata sono insufficienti a soddisfare la nostra natura che ci spinge a volere sempre di più. L’infelicità deriva dalla distanza fra l’infinità del desiderio e la limitatezza della realtà. Perciò l’uomo è necessariamente infelice per la sua costituzione. In questa prima fase la Natura è concepita come benigna e sembra offrire un rimedio all’uomo grazie all’immaginazione e all’illusione che hanno velato gli occhi all’uomo.
I primitivi, i greci e i romani erano più vicini alla natura e quindi capaci d’illudersi e di immaginare erano più felici. Si passò quindi ad un’epoca di scienziati e filosofi, vincolati al sapere razionale. La ragione, secondo Leopardi, atrofizza la nostra capacità di immaginare ed è a causa sua che siamo coscienti della nostra infelicità. Questo processo è detto pessimismo cosmico. La valutazione negativa della ragione si può capire dal tempo e dal luogo della sua formazione: nell’epoca della restaurazione egli constata la diffusione delle idee illuministiche, le alterne vicende della rivoluzione francese e l’esperienza napoleonica, di umanizzazione del mondo. La Restaurazione è stata per Leopardi è stato il trionfo del bigottismo e della mediocrità. Egli afferma che l’uomo non deve rinunciare alla consapevolezza della ragione. Una delle illusioni moderne è secondo Leopardi il cristianesimo che ha svalutato la materia a favore dello spirito. Il cristianesimo svia l’uomo dalle sue tendenze naturali senza però offrirgli un conforto.
Leopardi fa coincidere l’età della felicità con l’epoca classica, grazie alle poesie dei grandi autori greci e latini. Le loro poesie sono state create con fantasie ingenue che danno ora un vitale equilibrio tra individuo e collettività. Per questo motivo Leopardi è contrario alle tesi dei romantici. La poesia vera è quella degli antichi perché è finalizzata al piacere. La poesia moderna non può essere poesia d’immaginazione ma poesia sentimentale o filosofica data dalla disarmonia tra uomo e natura. Lo scopo della vita dell’uomo è la ricerca del piacere. In questa caduta delle illusioni, il poeta rievoca i sogni dell’infanzia, l’età della vita in cui siamo più vicini alla natura. Leopardi evoca la poetica dell’indefinito, poiché il linguaggio poetico mira all’indefinito e la poesia la lingua delle illusioni. Egli definisce i termini, i vocaboli tipici della scienza e della filosofia; le parole invece sono vocaboli propri della poesia che hanno indeterminati significati. Nel linguaggio importante è il ricordo che filtra attraverso le emozioni vissute nel passato gli oggetti.
Canti, divisi in canzoni e idilli. Temi canzoni: 1)classicismo patriottico, contrappone il passato glorioso della nazione italiana alla sua decadenza presente (All’Italia). 2) Pessimismo storico, es. Ultimo canto di Saffo. Forme: intonazione energica, sostenuta difficoltà delle scelte lessicali, costruzione del periodo è libera e complessa.
Idilli: poesia sentimentale aderente alle teorie leopardiane (l’Infinito, la sera del dì di festa) formati da endecasillabi sciolti. La parola deriva dalla letteratura greca designando in passato un’ambientazione pastorale poi una descrizione della natura. Temi: dolcezza del ricordo, infinito come appagamento della mente ecc. Forme: paesaggi e sensazioni rievocate sul filo della memoria.
Al pessimismo storico della prima ora subentra poi un pessimismo cosmico, nel senso l’infelicità non è legata più ad una condizione storica ma ad una condizione assoluta. L’infelicità che prima era concepita come assenza di piacere, ora è dovuta dai mali esterni a cui non si può fuggire: malattie, cataclismi ecc. La natura è crudele perché si preoccupa della salvaguardia della specie e non dell’individuo. Questa concezione porterà Leopardi a scrivere le Operette Morali caratterizzate dalla rassegnazione di fronte a ciò che è dato, anche se in momenti successivi tornerà il suo atteggiamento di lotta contro la natura (Ginestra). Tema operette morali: Polemica contro le concezioni ottimistiche e antropocentriche. Forma: Tono ironico a significare un atteggiamento di superiore distacco, anche con punte di umorismo. Le poesie sono formate da una prosa antica e artificiosa con un ritmo musicale.
Dopo sei anni di filosofia e di prosa riprende la scia poetica con i Grandi idilli. Temi: caduta dell’illusione, l’inesistenza del piacere, infelicità universale. Forme: usa un filtro della memoria ( A Silvia). Discorso ricco e articolato con una fluidità del discorso. Dal punto di vista metrico vogliono dare l’impressione di una poesia come voce interiore.
Giuseppe Gioacchino Belli
Belli visse di impieghi presso l’amministrazione pontificia. Egli frequenti gli ambienti romantici fiorentini che quelli milanesi. Ma l’ambiente culturale di Roma, a differenza di quello di Milano, era spezzato dalla nobiltà e la burocrazia pontificia da una parte e la plebe dall’altra. Perciò la situazione linguistica rifletteva molto su questa spaccatura: da una parte l’italiano e dall’altra il dialetto romanesco. Anche la personalità di Belli è sdoppiata, da un lato suddito dei papi e dall’altra poeta dialettale che schernisce i popolani romani rappresentando la loro miseria, la loro fede ingenua, la loro visione disincantata delle ingiustizie, della corruzione di preti e del governo. La sua non è una critica perché egli mostra il popolo così come lo vede. Il suo linguaggio è colorito dalla voce del popolo. Egli usa sonetti, adatto per schizzare dei rapidi quadretti del linguaggio dei personaggi popolari. Per diversi aspetti ricorda Poggio Bracciolini, scrittore apostolico presso la curia romana.
Carlo Porta
Poeta milanese, amico dei maggiori esponenti della cultura milanese e casa sua è uno dei primi circoli romantici. La sua scelta di scrivere in dialetto, contrariamente a Belli, si colloca progressista milanese che si poneva il problema di una letteratura libera dagli impicci accademici e aderente ai problemi della realtà. Inoltre il dialetto era a Milano la lingua d’uso comune di tutti i ceti colti e aveva una ricca tradizione letteraria. La sua opera raccoglie una rappresentazione satirica delle ingiustizie sociali, dei pregiudizi nobiliari e degli aspetti superstiziosi della religione.
Giuseppe Giusti
Poeta pistoiese le cui composizioni, peraltro caratterizzate da un piacevole e fluido verso e da un umorismo pungente e venate, talvolta, da una sottile malinconia, hanno come cornice la piccola provincia toscana. Interessante è anche il suo epistolario in cui si nota l’adesione alle tesi manzoniane sulla lingua. Egli predilige forme metriche elaborate ma brevi libere dall’endecasillabo e dalle terzine. I suoi scherzi poetici scherniscono i sovrani reazionari del tempo. La sua morale è spicciola e pettegola e i suoi orizzonti culturali sono provinciali. Piacciono le sue invenzioni caricaturali, la lingua vivace e il ritmo spigliato.
Giovanni Prati
Poeta veneto che partecipa alle lotte risorgimentali del 1848. La sua poesia spazia da temi autobiografici a quelli patriottici e sociali. Alle poesie imprime una facilità nel verseggiare, un sentimentalismo languido e un sentimento religioso alquanto bigotto.
Aleardo Aleardi
Anch’egli poeta veneto che partecipa ai moti del 1848. A differenza di Prati, egli era una poeta di più alta qualità stilistica. Compone dei poemetti in cui descrive, inserendo i suoi ricordi, paesaggi primitivi con un fascino esotico. La sua poesia ha come sfondo un senso dolente per la storia. Egli cancella ogni illusione sull’innocenza della natura umana.
Il secondo ottocento
Dopo l’unità d’Italia il problema che ci si pone è creare un’unità anche nella popolazione. Innanzitutto la necessità è di tipo linguistico. Ci furono una serie di dibattiti a riguardo. Grazie alla leva militare, alla crescita dei centri urbani e alle migrazioni interne dovute dagli avvii dei processi di industrializzazione una quota crescente della popolazione fu in grado di usare una forma di italiano accanto al proprio dialetto. Ben presto l’entusiasmo dell’unità muta in una delusione per le classi dirigenti, come nel caso di Carducci. Il problema del nuovo stato è la miseria delle plebi contadine e urbane. Perciò il mondo il mondo letterario non rimane insensibile a tali condizioni. Escludendo gli esteti come D’Annunzio che mantengono un aristocratico disprezzo, per molti scrittori la miseria popolare è un tema saliente, gli Scapigliati milanesi ne sono un esempio. I veristi denunciano la questione Meridionale al pubblico colto mentre altri si definiscono socialisti. Pascoli invece mostra il suo nazionalismo proletario trattando delle migrazioni transoceaniche degli italiani. Sembra scomparire la cultura cattolico liberale per dar spazio alla cultura positivista e anticlericale. Il mondo accademico italiano è fortemente permeato dal positivismo.
La poesia italiana dei decenni postunitari è essenzialmente poesia lirica. La tematica nuova di questa poesia si può definire “realismo”. La poesia riflette la concreta esperienza del poeta con un’attenzione agli aspetti più minuti della vita quotidiana. Anche il linguaggio manifesta una tendenza realista per quanto riguarda il tono, il lessico comune e l’accostamento ai modi della prosa. Dopo il 1860 tra i poeti è evidente la volontà di rompere con la maniera romantica. Le reazioni sono due: da un lato Carducci propone un ritorno alla tradizione classica italiana, dall’altra gli Scapigliati di Milano si richiamavano alle nuove tendenze della lirica europea.
Il bisogno di realismo trova espressione più compiuta nella scuola veristica. Il verismo è una forma particolare un cui si è calato il naturalismo. Una difficoltà del verismo è la gestione della lingua che si cimenta in un difficile impasto di residui letterari, con influenze letterarie e innesti dialettali. I veristi si staccano dal naturalismo di Zola dando ai romanzi un significato esclusivamente artistico. Manca inoltre la fiducia positivista nel progresso. Le loro opere di molti autori meridionali esprimono la loro delusione per una condizione della realtà che non avrebbero mai desiderato. Nonostante il pessimismo, i veristi hanno i merito di aver messo in luce alla letteratura la realtà ignorata dal pubblico colto e dai ceti politici. Il predominio del realismo non fu mai totale. Già D’Annunzio, che inaugurava una un estetismo decadente, prendeva un distacco totale dal verismo, centrando sulle vicende sentimentali di personaggi aristocratici.
Gli Scapigliati
La Scapigliatura è la prima manifestazione italiana del disagio letterario nella società borghese. Essi mostrano un’insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea, per i principi e i costumi della società borghese, e dà un impulso di rifiuto e di rivolta, che si manifesta nell’arte come nella vita. Essi sono un gruppo di spostati e ribelli alla loro classe di provenienza, che amano vivere in maniera eccentrica e disordinata, analogamente al francese boheme. Il centro degli Scapigliati è Milano. La posizione della Scapigliatura nella storia della cultura dell’Ottocento è, quindi, quella di un grande crocevia intellettuale attraverso cui filtrano temi e forme delle letterature straniere, che contribuiscono a svecchiare il clima culturale italiano. Gli scapigliati, con il loro culto del vero, con l’attenzione a ciò che è orrido e deforme, e con il loro proposito di analizzarlo introducono in Italia il gusto naturalistico. Nella Scapigliatura vi sono dunque le potenzialità di un gruppo di avanguardia, capace di rifiutare di soddisfare il gusto medio del mercato letterario e sperimentare forme e temi del futuro, anche se tali condizioni no vengono del tutto realizzate, cadendo spesso nella riproduzione del linguaggio e delle forme metriche tipici del romanticismo.
Emilio Praga
Egli è l’esponente più tipico di questa generazione, per la sua vita sregolata e distrutto poi dall’alcolismo e per la prontezza con cui assorbe l’influsso di Baudelaire. I suoi versi alternano temi realistici e provocatori con momenti di slancio sentimentale. Stilisticamente adopera vari modi prosastici con una ricerca di effetti musicali, residui della tradizione romantica. Il linguaggio presenta espressioni comuni, ignote alla lingua poetica tradizionale.
Arrigo Boito
Egli concilia il ribellismo giovanile con la conquista della rispettabilità. Nella sua opera poetica la tematica scapigliata sembra però fine a se stesso per la capacità stilistica notevole. Egli tratta immagini di un gioco un po’ fine a se stesso.
Giosuè Carducci
La sua personalità ha dominato la cultura italiana nei primi decenni dopo l’unità di Italia. Guardando complessivamente l’immagine di Carducci si nota come questa personalità si mutata radicalmente con gli anni. Il Carducci della prima ora aveva costituito con un alcuni amici fiorentini la società degli “Amici Pedanti”, che avversava al romanticismo e agli artisti tardo-romantici come Prati e Aleardi, in nome del ritorno alla tradizione classica. Il suo atteggiamento si lega anche ad una difesa dei valori nazionali: la delusione per lo sbocco moderato della classe dirigente dopo l’unità d’Italia lo porta ad aderire alla monarchia, seguendo un patriottismo che farà del poeta anche un sostenitore della politica imperialistica di Crispi. Dal suo atteggiamento anticlericale assume la forma più provocatoria l’Inno a Satana. Nel primo periodo si dedica quindi ad una poesia latineggiante con richiami a Orazio, Virgilio e Lucrezio e con un forte gusto Ellenico. Col tempo questi aspetti si attenuano. I suoi interesse si allargano anche alla grande letteratura europea, soprattutto leggendo autori della prima età romantica (Hugo, Heine e Goethe). La sua produzione giovanile è raccolta in Juvenilia(“Cose giovanili”) e Levia Gravia(“Cose leggere,cose gravi”), in cui il poeta si esercita nell’imitazione dei classici. In questa poetica l’espressione è piuttosto convenzionale, i temi delineano già la personalità del poeta, che riprende motivi mitologici, usa toni antisentimentali, celebra i grandi vati del passato e predilige la poesia patriottica. Nel periodo della maturità pubblica “Giambi ed Epodi” che raccoglie poesie di satira politica. Il titolo allude al metro tipico dell’età greca per i giambi e ad Orazio per gli epodi. Questo è il momento più politico e di attualità della poesia carducciana che inveisce contro la classe dirigente. Di conseguenza lo stile subì delle svolte in senso realistico, infatti accanto alle espressioni auliche si alternano quelle della lingua quotidiana. Nei decenni successivi all’unità d’Italia escono invece le “Rime nuove”. In questa raccolta il poeta dedica sonetti a Omero, Virgilio, Dante. I temi amorosi si intrecciano a ricordi o a richiami della vita medioevale o rinascimentale. Esprime anche le situazioni affettive personali, i paesaggi e stati d’animo, affiancando anche ripiegamenti malinconici: lutti familiari e delusioni amorose e di gioventù. [Brindisi funebre]. Si incomincia a notare che nonostante Carducci si allontani dai furori polemici dei Giambi egli rimanga coerente al tono. Già in una buona parte delle Rime nuove, ma soprattutto nelle Odi Barbare si trova una novità metrica. In questa raccolta il poeta si sforza di riprodurre in italiano i metri della poesia latina. Le odi ottenute vengono definito barbare perché perchè per gli antichi avrebbe un suono tale. Questi metri barbari servono a Carducci per dare un effetto aspro e dissonante, per la mancanza di rime e la frequenza di parole sdrucciole come in “Dinanzi alle terme di Caracolla”, composta da strofe saffica, i versi sembrano aritmicamente sfalsati. Scompaiono i momenti di colloquialità e lo stile fa assumere alla poesia un tono più erudito. Anche nelle Odi rimangono i temi privati e paesaggistici collegate al tema della morte, come “Nevicata”. Nel tardo Carducci si nota quindi che la polemica democratica degli anni giovanili cede piegandosi verso una poesia celebrativa in cui c’è un desiderio vano della bellezza antica. Ciò si nota anche nell’ultima raccolta, Rime e ritmi, che riprende temi e forme precedenti.
Ciò che però non muta mai nella poesia carducciana è l’impianto classicista del linguaggio che viene applicato ad un’enorme varietà di situazione, dalla polemica alla descrizione paesaggistica.
Giovanni Pascoli
L’immagine che si può percepire di Pascoli è quella di un eroe del dolore, un uomo che con la sua forza di carattere ha vinto tutte le sventure che hanno segnato la sua vita, come la perdita della sua famiglia. Ma da alcune lettere che egli scrive traspare un atteggiamento di infantilismo da cui deriva la poetica del “fanciullino” come simbolo dell’ispirazione poetica. Pascoli in realtà si sente orfano tutta la vita e la sua poesia simboleggia l’immagine del “nido”, un luogo dove uniti ci si protegge dal mondo esterno. La realtà appare infatti a Pascoli oscura e minacciosa sia negli aspetti sociali che in quelli naturali. Egli ha un atteggiamento di smarrimento nella realtà che è quindi un mistero. Contrariamente a Leopardi, Pascoli non giunge ad un pessimismo cosmico e un rifiuto delle consolazioni, ma la sua angoscia rientra nella crisi generale del pensiero positivista. Inoltre l’espressione del mistero si lega anche si lega ad una visione animista che viene dalla superstizione contadina. Infatti questo mistero rimanda all’ossessiva presenza dei propri familiari morti, che sono amati e allo stesso tempo temuti perché rimangono un chiodo fisso nella sua immaginazione e lo costringono alle lacrime e alla sofferenza. Il pensiero dei familiari morti si intreccia con il tema della propria morte ma diventa insieme un rifugio dal mondo, un ritorno al nido. Queste sue idee sono espresse oltre che nelle sue poesie anche in un saggio intitolato appunto “Il fanciullino”. Egli afferma che in tutti noi c’è un fanciullo che durante l’infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la nostra, mentre in età adulta la lotta per la vita impedisce di sentire la voce del fanciullo, per cui il momento veramente poetico è in definitiva quello dell’infanzia. La poesia è quindi qualcosa di intuitivo e arazionale. Questa concezione della poesia Pascoli la matura nell’area simbolista anche se Pascoli si distingue dai simbolisti perché nega ogni importanza al lavoro tecnico-formale del poeta. La poesia per Pascoli nasce dalle cose e il compito del poeta è quello di scoprirle. Da qui nasce la necessità di un lessico che sappia determinare ogni particolare oggetto. Quindi procede ad arricchirlo attingendo anche a fonti dialettali che variavano di regione in regione.
La sua poesia ha inoltre un forte valore politico sociale. Egli militò per un periodo nell’Internazionale e continuò a definirsi per tutta la vita socialista. Il socialismo pascoliano convive con una forte esaltazione della proprietà privata. Infatti l’ideale sociale di Pascoli è il contadino che vive il suo con la sua casa e la sua famiglia (ritorna l’immagine del nido). Ma il suo socialismo contadino si prolunga in un forte nazionalismo in cui l’egoismo contadino si trasferisce sul piano della collettività nazionale. Pascoli appoggiò ed esaltò la guerra di Libia. Riguardo al problema dell’emigrazioni Pascoli ritiene l’Italia la nazione proletaria che esporta il proletariato nel mondo (la grande proletaria si è mossa).Ciò che vuole
Stile: Le prime prove poetiche di Pascoli sembrano una continuazione di alcuni motivi del suo maestro Carducci in Rime Nuove, ma il suo linguaggio è completamente nuovo nella letteratura italiana legata ancora alla tradizione classica. La sua poesia rimanda ai caratteri dell’impressionismo, una poesia della vita quotidiana fatta di stati d’animo. Fin dall’inizio la sua poesia è incrinata all’attenzione per il particolare, per i suoni (ricco di onomatopee), i colori (linguaggio pittorico) e gli odori [Novembre]. Ciò che vuole suggerire è la pura emozione. Ma Pascoli influisce soprattutto nella letteratura italiana per il suo linguaggio innovativo ricco di derivazione dialettali soprattutto romagnolo e della garfagnana ma con alcuni richiami a parole straniere come nella raccolta “Italy” dove compare il linguaggio “broccolino” con una sorta di inglese italianizzato. Anche la metrica ha un virtuosismo stilistico. Pascoli abbandona infatti la forma del sonetto e rifiuta il verso libero di D’Annunzio ma costruisce una varietà di versi regolari anche se contemporaneamente contraddice con pause imprevedibili e con continui enjambements.
Gabriele D’Annunzio
D’Annunzio mostra presto il suo talento e la sua prodigiosa abilità impadronendosi delle maniere di scrittura di Carducci per la poesia e Verga per la prosa. Dopo l'esperienza giovanile del Canto Novo, opera con la quale si distacca dall'imitazione scolastica classicista e si apre al decadentismo europeo. La poesia di D’Annunzio l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Egli accoglie modi e forme ma usandoli come elementi decorativi della sua arte fastosa e composita. Aderisce soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico del Decadentismo. Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza per abbandonarsi alle suggestioni del senso e dell’istinto; spesso vede nell’erotismo e nella sensualità il mezzo per attingere la vita profonda e segreta dell’io. Da qui nasce il concetto di “panismo dannunziano”, cioè quel sentimento di unione con il tutto in cui il poeta aderisce con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, cerca di confondersi essa. La poesia diviene quindi scoperta intuitiva.
La sua vocazione poetica muta col suo primo romanzo “Il Piacere”, avvicinandosi all’estetismo. La poesia è caratterizzata da un forte esibizionismo e da una moralità rovesciata, estremamente individualistica. Abbiamo quindi un’esaltazione dell’Io dai due aspetti: dall’estetismo e dal superomismo. L’estetismo è il culto del bello, del vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte, o al contrario vivere l’arte come fosse vita. Questo atteggiamento viene dal Decadentismo francese ed è molto consono alla personalità del poeta. Quindi l’esteta si limita a realizzare l’arte, ricercando sempre la bellezza; ogni suo gesto deve distinguersi dalla normalità, dalle masse. Di conseguenza vengono meno i principi sociali e morali che legano al contrario gli altri uomini. A differenza di questo il superuomo che D’Annunzio prende da Nietzsche interpretandolo a modo suo, assomiglia all’esteta, ma si distingue per il suo desiderio di agire. Il superuomo considera che la civiltà è un dono dei pochi ai tanti e per questo motivo si vuole elevare al di sopra della massa; è l’esteta attivo, che cerca di realizzare la sua superiorità a danno delle persone comuni. Con l’Alcyone il poeta esprime però il perdersi della coscienza individuale nell’identificazione con la natura.
Giovanni Verga
Nato a Catania da una famiglia di proprietari terrieri, Giovanni Verga trascorse la giovinezza nella città natale e fu educato ai valori romantico-risorgimentali. Dopo un primo soggiorno fiorentino nel 1865, Verga si stabilì nel1869 a Firenze dove risiedette fino al “72.
Alla fine del 1872 Verga si trasferì a Milano, dove restò fino al “93. Qui Verga divenne amico di diversi scrittori scapigliati. A Milano, capitale economica oltre che letteraria d’Italia, maturò l’adesione al naturalismo e la nascita del verismo. Dopo il 1893 Verga tornò a risiedere a Catania. Nel 1920 fu nominato senatore. Morì a Catania il 24 Gennaio del 1922.
La personalità letteraria: Verga verista, risoluzione stilistica e tematica.
Giovanni Verga attua in Italia una vera e propria rivoluzione stilistica e tematica che porterà in seguito alla nascita del “romanzo moderno”. Ancora condizionato dalla sua formazione tardoromantica, Verga, nel 1878, subirà una drastica svolta nel suo modo di concepire la letteratura. Il Verga dei grandi romanzi veristi ( I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo ), rinuncia alla prospettiva onnisciente: il punto di vista narrativo, rigorosamente dal basso, coincide con quello dei personaggi.
L’impersonalità verghiana comporta, infatti, una radicale rinuncia: l’autore non manifesta più, direttamente, i propri sentimenti e le proprie ideologie, ma assume l’ottica narrativa, l’orizzonte culturale, il linguaggio dei suoi stessi personaggi. Così facendo, Verga, offre al lettore uno spaccato perfettamente reale e coerente della società, dell’ambiente e della mentalità che egli stesso ha voluto mettere alla luce: un mondo nuovo, di particolari umili e concreti, il mondo della vita materiale e dell’esistenza quotidiana delle masse contadine, entra di prepotenza nella letteratura italiana. Oltretutto, nella produzione letteraria verghiana, compaiono elementi e caratteristiche tipici del positivismo. L’adesione a quest’ultimo è tuttavia parziale:Verga ne valorizza al massimo gli aspetti materialistici e deterministici rifiutandone però gli aspetti fiduciosi e ottimistici. Ne deriva un’ ottica integralmente critico negativa, una sorta di realismo duro e corrosivo che non concede spazi di speranza e che raggiunge il suo apice in opere come Mastro Don Gesualdo o I Malavoglia.
L’adesione al Verismo:la poetica.
La poetica Verista elaborata da Verga e Capuana dipende da quella naturalistica Francese. Sul piano filosofico rivela un impostazione di tipo positivistico, materialistico e deterministico. E’ positivistica perché parte dall’idea che la verità sia scientifica e oggettiva: solo un approccio scientifico, basato sullo studio dei fenomeni reali e non più sulla soggettività delle sensazioni, può permettere di conoscere a fondo la realtà. E’ materialistica perché il comportamento umano è assimilato a quello di ogni altro animale e viene visto in dipendenza dall’egoismo individuale, dai bisogni materiali e dalla spinta del sangue e del sesso. E’ deterministica perché lega la libertà del soggetto, il quale è sempre condizionato dall’ambiente in cui vive, dalle leggi economiche e dal comportamento ereditario, che influisce non solo sulla predisposizione alle malattie, ma anche sulle inclinazioni dell’uomo. Altro elemento fondamentale della poetica verista è l’esclusione della soggettività dell’autore e quindi l’impersonalità: nell’opera non si devono vedere né i sentimenti nè le opinioni dell’autore, il quale deve comportarsi come uno scienziato e un tecnico neutrale: deve cioè limitarsi ad indicare la realtà oggettiva, senza sovrapporre la propria interpretazione o le proprie reazioni psicologiche. Bisognerà dunque partire dalle classi più basse, nella rappresentazione delle quali è più facile cogliere il nesso tra causa ed effetto e il condizionamento naturale, per poi risalire a quelle più elevate, il cui studio è più complesso, “dato che la civiltà insegna a l’uomo a nascondere i sentimenti e a razionalizzare i comportamenti e dunque rende meno evidente la radice materiale che pure li determina” (Romano Luperini).
Secondo Verga, la narrazione deve essere condotta dal punto di vista dei personaggi rappresentati: lo scrittore deve annullarsi assumendo la loro prospettiva, la loro cultura, il loro modo di vedere le cose, il ritmo stesso del loro parlare. In altri termini Verga sostiene l’esigenza di una stretta correlazione tra livelli sociologici e livelli stilistici: modificando i primi dovrebbero modificarsi anche i secondi, e il lessico e la sintassi devono di volta in volta adeguarsi al mondo rappresentato.
L’intellettuale ha ormai perduto il ruolo ideologico e la centralità protagonistica che aveva avuto durante il Romanticismo.
Le Opere:
“Vita dei Campi ”: La prima opera verista di Verga è la raccolta di otto novelle intitolata “Vita dei campi”. In essa compaiono già i primi fondamenti della poetica verista: i personaggi sono di bassa estrazione sociale (contadini, pastori, minatori delle campagne siciliane); l’autore assume la prospettiva sociale e linguistica degli stessi personaggi (impersonalità); vengono rappresentati oggettivamente e scientificamente (concezione positivistica) tenendo conto dei condizionamenti della natura e dei bisogni materiali (matrialismo-determinismo). Tuttavia trapela ancora, in questa raccolta, la formazione tardo-romantica di Verga: agli elementi veristi si contrappongono il mondo arcaico-rurale, visto in una luce romantica, quasi idillica, e la fiducia in certi valori (amore e passione).
In ogni modo Verga fa trionfare i primi (l’egoismo economico e l’ordine sociale e naturale delle cose) sui secondi (la forza dei sentimenti, con la loro carica anarchica).
“Rosso Malpelo ”: Con Rosso Malpelo, protagonista della novella, Verga trova un personaggio addirittura emblematico della diversità: non solo egli è un orfano, e dunque più debole e indifeso dei suoi coetanei, ma ha anche i capelli rossi, che simboleggiano la sua estraneità e sembrano legittimare la persecuzione sociale di cui è vittima. Qui la voce narrante è quella malevola della comunità di contadini e di minatori che si accanisce contro il protagonista perché ha i capelli rossi e dunque sarebbe, di per se, “cattivo”. Tuttavia il punto di vista dell’autore, per quanto programmaticamente taciuto e nascosto, finisce per emergere comunque dalla regia del racconto, facendo capire che Rosso non è cattivo come parrebbe. Si crea così un punto di vista esplicito della voce narrante e un punto di vista implicito dell’autore: ebbene è proprio tale divario a fondare il procedimento di “straniamento” e la stessa struttura antifrastica del racconto.
“I Malavoglia”: La vicenda è tutta imperniata sulla storia di una famiglia di pescatori siciliani (chiamati in paese “Malavoglia”) e
sulle conseguenze che in essa provoca il progresso. Il contrasto tra il vecchio e il nuovo è rappresentato dalla contraddizione fra nonno
(padron ‘Ntoni) e il nipote (‘Ntoni). La narrazione è in larga misura filtrata attraverso il discorso indiretto libero, mediante il quale, le
varie voci della comunità arcaico-rurale raccontano la vicenda. Pertanto le similitudini, le metafore, le immagini, i proverbi, esprimono sempre la cultura e il punto di vista di un paese di contadini e di pescatori, con gli effetti di “straniamento” già riscontrati in
Rosso Malpelo. Anche il linguaggio tende al “parlato” e cerca di riprodurre l’immediatezza e la cadenza della sintassi siciliana. E’ con questa soluzione tecnica, risolutamente sperimentale, che Verga risolve nei Malavoglia la questione dell’impersonalità.
Per rendere la cultura e le immagini del mondo popolare, Verga ha usato come “fonti” gli studi di antropologia, etnologia, nonché di sociologia: tale metodo è dovuto alla sua concezione scientifica e deterministica della realtà acquisita dalla cultura positivista.
Nell’ideologia del romanzo convivono spinte diverse e contraddittorie: da un lato, l’aspirazione romantica alla ricerca di valori incontaminati in un idillio premoderno, e dall’altro, l’opposta tendenza veristica a verificare, a ogni gradino della scala sociale, e dunque anche ai più bassi e primitivi, la presenza del motivo economico e il predominio dell’egoismo individuale. Tende a prevalere l’amara coscienza che la società moderna, penetrando nel mondo della campagna siciliana, ne travolge inevitabilmente i valori e i sentimenti autentici. Essi possono essere salvaguardati solo attraverso l’atto eroico della rinuncia al progresso, arroccandosi nella difesa di un mondo ormai condannato dalla storia.
“Novelle rusticane”: Il mondo romantico della campagna e dei sentimenti appare, ormai, in crisi. Infatti, Novelle rusticane, raccolta di novelle uscita nel 1883, segna una svolta decisiva. Il mondo romantico dei valori ormai non è più proponibile. A partire da questi due libri, tutti i personaggi verghiani appaiono dominati esclusivamente dalla roba, e cioè dalla logica economica e dalle leggi dell’interesse e dell’egoismo. Il metodo verista è d’ora in poi del tutto coerente con la prospettiva pessimistica e materialistica dell’autore, che, ad ogni gradino della scala sociale, scopre il meccanismo della “lotta per la vita”.
Per il materialista Verga l’umano comportamento è e sarà sempre determinato esclusivamente dall’egoismo individuale: ogni motivazione ideale dell’agire umano appare perciò sistematicamente demistificata.
“La Roba”: Protagonista del racconto è Mazzarò, un contadino siciliano che a poco a poco, tutto sacrificando alla logica economica, è divenuto il maggior proprietario terriero della regione, sostituendosi al barone. Ma il processo di accumulazione economica si scontra con la sua sostanziale insensatezza: di fronte alla morte, infatti, Mazzarò scopre il non-senso di una vita dedicata esclusivamente alla roba. Il ritmo dell’accumulazione economica diventa ritmo del racconto, trasferendosi nella cadenza di epica popolaresca. Mazzarò, inoltre, pare identificarsi con la terra stessa che possiede: uomo e natura si scambiano le parti in una sorta di panismo antropocentrico e simbolico:”Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”. Viene a delinearsi quindi una nuova figura, tipica della produzione letteraria verghiana, e cioè quella dell’arrampicatore sociale. Ma per poco: in realtà la roba non può dare senso alla vita e l’epica dell’accumulazione si rovescia, alla fine, nella scoperta della sua insensatezza.
Il Novecento
La critica alle società di massa è uno dei grandi temi del Novecento. Gli intellettuali entrano in crisi perché si trovano a far parte della piccola media borghesia, cioè una parte della massa. Non c’è più un mondo della cultura ma un insieme di specializzazioni. Il progetto unitario del positivismo che auspicava in una collaborazione di tutti i settori della cultura era fallito. In questo contesto il segno più vistoso del mutato rapporto fra arte e società sono le avanguardie artistiche e letterarie. Il termine deriva dal linguaggio militare, le avanguardie si spingono avanti nell’esplorazione di nuovi territori. Questi movimenti si presentano sempre con un gruppo organizzato che porta un nome, in genere un –ismo e con un proprio testo programmato. Le avanguardie hanno in comune il rifiuto delle tradizioni e praticano la sperimentazione di nuove forme in sé. L’intenzione di “cambiare la vita” che veniva da Rimbaud è il segno di un po’ tutti questi gruppi.
Crepuscolarismo: è il primo movimento d’avanguardia anche se non fu una scuola con un programma esplicito. Il tono malinconico si traduce in un repertorio d’immagini tipiche come luoghi deserti o personaggi desolati. Ma questo “crepuscolo” assume un tono polemico nei confronti di D’Annunzio, poeta inizialmente imitati da tutti nel primo Novecento: mentre D’Annunzio usa un linguaggio raffinato e non si accosta mai a modelli umili e se li usa li porta in una dimensione più raffinata grazie al linguaggio, i crepuscolari usano una poesia di cose umili. Già D’Annunzio nel poema paradisiaco aveva indicato la via dei toni colloquiali e degli scenari dimessi ma non aveva mai rinunciato ad affermare una forte soggettività poetica. La novità dei crepuscolari è la messa in questione nella poesia e nella figura del poeta. Essi sono quindi degli innovatori anche perché adottano un linguaggio fatto da versi liberi, dimesso e prosaico usando termini che la tradizione aulica aveva escluso.
Guido Gozzano
Poeta torinese che morì giovane di tisi. Egli, poeta di famiglia agiata, è annoiato dalla vita mondana e soprattutto dopo la lettura di Schopenhauer e Nietzsche, è stufo del decadentismo letterario e propone un ritorno alla natura e alla semplicità. La sua ironia colpisce quindi sia la retorica d’annunziana che la banalità piccolo-borghese (La signorina Felicità o la Felicità). Gozzano maneggia con perizia i metri e le forme tradizionali richiamando spesso i versi danteschi o leopardiani ma li usa più come citazioni o frammenti. D’altro canto egli dà alla sua poesia un andamento prosastico.
Sergio Corazzini
E’ uno dei primi crepuscolari, romano, morto di tisi a 21 anni. In poche raccolte percepiamo oggi un’immagine di lui come un “piccolo fanciullo che piange” tormentato dalla consapevolezza della morte vicina. Ma in lui c’è anche l’eco dei simbolisti francesi, una modulazione esperto del verso libero e momenti di provocazione e di ironia.
Marino Moretti
Egli è vicino a Gozzano per il rispetto della tradizione metrica ma è meno ironico e problematico. Si rifà più che altro all’eredità pascoliana d’una poesia della cose umili e quotidiane.
Aldo Palazzeschi
Egli si pone a metà strada tra i crepuscolari e tra i futuristi. Coi crepuscolari ha in comune un certo repertorio di paesaggi deserti, mentre col futurismo, al quale aderì per alcuni anni, condivide certi atteggiamenti iconoclasti. Egli resto più unico nel suo genere. La sua poesia giovanile ha molti richiami al crepuscolarismo, infatti mette anch’egli in questione la sua posizione di poeta. Ma questa fase scade presto, infatti egli reagisce all’estetismo d’annunziano e alla crisi del ruolo della poesia affidandosi al puro gioco verbale. La canzonetta “E lasciatemi divertire” è il motto della sua poetica. La poesia è divertimento e non più un modo di rappresentare le proprie angosce perché la poesia è un gioco di parole quindi tesa a divertire.
Futurismo: il movimento viene lanciato nel 1909 su un quotidiano parigino da Filippo Marinetti. Il primo manifesto futurista è anticlassicista ed esalta la civiltà moderna. Il futurismo distrugge il sentimentalismo romantico e tutte le regole, tutto viene messo in discussione. Parte da un linguaggio simbolista che vede l’esaltazione del culto della macchina. Questa avanguardia si avvicina fin dall’inizio al terreno politico, infatti per la sua miscela di accenni sovversivi di patriottismo militarista e con un culto maschilista, aderisce entusiasticamente al fascismo perché appare più innovatore del socialismo. Sul piano formale Martinetti giunge a distruggere la sintassi, gli aggettivi, pone verbi all’infinito e fa largo uso di onomatopee.
Dino Campana
Poeta fiorentino nato a Morradi che entra in manicomio con la diagnosi di demenza precoce. Ciò ha fatto di Campana un mito, genio e pazzia. Nella sua poesia si incontrano anche se frammentariamente per la sua irrequietezza, echi di D’Annunzio e di Carducci, un po’ di decadentismo e tracce del futurismo fiorentino. Ma c’è anche una certa assimilazione di Rimbaud e del simbolismo. Egli aspira ad una poesia che sia rivelazione di un segreto ineffabile delle cose, in cui allude nei Canti Orfici che richiama il mito di Orfeo simbolo della potenza magica della parola poetica. Nei canti orfici distrugge il confine tra prosa e poesia. I versi di Campana lasciano sempre l’impressione del non finito, ma le sue prose, di cui però si mostra padrone, sono prose di viaggi, ricordi o fantasie. Ma il suo impressionismo talvolta è frutto del suo delirio e diventa un’allucinazione. Scrive infatti di viaggi a Montevideo e Buenos Aires e può facilmente essere che essi siano frutti della sua immaginazione. La sua prosa è anche tramata da echi musicali.
Camillo Sbarbaro
Poeta ligure la cui poesia nasce dall’assunzione lucida della crisi dell’ordine umano propria del nostro tempo. Il poeta non indaga le cause ma soffre in se stesso fino alla scoperta dell’alienazione come condizione umana incontrastabile. Tutti i suoi componimenti di Pianissimo mostrano il tema dell’estraneità. In Sbarbaro c’è quindi la coscienza che non è compito nostro scoprire l’ordine nell’universo e che non è legato al destino dell’uomo, la cui pena si consuma nella solitudine e nell’indifferenza. Il simbolo dell’alienazione è la città, la cui presenza corposa, indifferente e ostile rivela la vicenda vana del trascorrere delle generazioni e l’impossibilità di ogni colloquio. Il poeta rinuncia alle consolazioni e ai miti illusori e si abbandona al proprio destino.
L’ermetismo: L’ermetismo è una tendenza poetica sviluppatasi all’inizio del secolo. Il termine ermetismo significa "perfettamente chiuso", ma anche "arcano, misterioso". Infatti, le poesie ermetiche sono molto scarne di spiegazioni e di descrizioni, ma sono piene di significati profondi. L’ermetismo si divide in due generi: la poesia delle cose quotidiane e la poesia evocativa. La prima descrive cose abituali, spiegandole con termini inusuali, esprimendo pensieri e sentimenti. A volte è ispirata a pensieri autobiografici, legati ai luoghi d’infanzia del poeta. La seconda tendenza è composta da piccole liriche che cercano nell’espressività delle immagini, la potenza evocativa per creare atmosfere e stati d’animo.
Umberto Saba
Nacque a Trieste da madre ebrea subito abbandonata dal marito. Visse sempre a Trieste da cui si allontanò solo durante la seconda guerra mondiale per le leggi razziali. Dalla cultura triestina di fine secolo assorbì gli elementi essenziali della sua personalità artistica: un vigoroso impegno morale e una certa vena romantica. Inoltre apparteneva alla generazione di inizio Novecento che reagiva al dannunzianesimo. A differenza dei coetanei egli rifiuta lo sperimentalismo e si riallaccia alla tradizione setto-ottocentesca e al melodramma. Il suo stile tende ad un andamento quasi discorsivo e di colloquio che riprende soprattutto da Leopardi, col quale condivide anche la consapevolezza amara del vivere come sofferenza. Usa una metrica tradizionale con un lessico per lo più povero ma con una sintassi che ricorre alle inversioni della tradizione illustre. Le sue poesie sono raccolte parzialmente nel Canzoniere dove mostra chiaramente la poesia come canto o conforto alla pena di vivere. Esso rispecchia un momento della vita del poeta trascritto nella sua realtà biografica, con una totale rinuncia all’astrazione tipica della lirica post-simbolista. Le sue poesie sono inoltre ricche di immagini della sua città, di figure della vita quotidiana e popolare in cui il poeta vorrebbe identificarsi anche se si sente separato e diverso. Questa alienazione è presente anche in Sbarbaro.
Giuseppe Ungaretti
La raccolta completa delle poesie di Ungaretti è intitolata Vita d’un uomo. La sua intenzione è quella di lasciare una sua biografia poiché la poesia è la rappresentazione autentica della nostra vita. Ciò rimanda all’autenticità, trovare delle maschere diverse per mettersi in scena. Ungaretti nasce in un clima letterario dominato dall’estetismo dannunziano e dall’altra dalle ricerche dei futuristi. Fin dall’inizio Ungaretti assegna alla sua poesia un’ambizione alternativa. Infatti la sua poesia è caratterizzata da continue correzioni, le poesie vengono rivedute e corrette durante gli anni, cambiando spesso anche il titolo, e queste correzioni hanno spesso un fine esclusivamente ritmico. Quindi per Ungaretti l’autenticità è valida nella rivisitazione dei problemi del passato al fine di rappresentare la maschera che muta nel tempo. L’autobiografia non è però qualcosa di intimo o individuale ma è una ricerca nel profondo di ciò che è universalmente umano. Col tempo Ungaretti precisa una poesia dell’analogia, di evidenza simbolista, procedendo per similitudini prive di ogni riferimento logico: accosta parole apparentemente lontane e scoprendo una relazione di esse. Già nel 1919 quando compone Sentimento del Tempo egli unisce la moderna poetica dell’analogia con un ritorno all’ordine, tema diffuso in quel tempo per cui dopo Ungaretti aderisce al fascismo. Egli abbandona i poeti simbolisti per dedicarsi a Petrarca e Leopardi. Il suo scopo è quello di riacquistare il metro, il ritmo della tradizione italiana. Questo atteggiamento suggerisce che per Ungaretti la poesia ha sempre il compito di esplorare il mistero che è in noi, deve salvare l’animo umano facendogli ritrovare le proprie fonti della vita morale.
L’Allegria è la sua opera che raccoglie le famose poesie scritte sul fronte di guerra, ma accanto ai temi della vita in trincea e sul contatto quotidiano con la morte, troviamo ricordi del suo passato, momenti di sconforto, di contemplazione della natura o motivi religiosi indefiniti. Il messaggio dominante è attaccamento alla vita. Il titolo quindi può essere suscettibile di una lettura antifrastica che corrisponde all’Allegria dell’umanità oppure è rammemorante della dimensione di gioia e creatività che c’è sempre nell’arto poetico. Analogamente anche per Leopardi la poesia è sempre stata una via di consolazione, come dimostrano i Canti che trattano per lo più il tema della sofferenza. Queste poesie sono in genere brevi e composte da versi liberi, prive di punteggiatura. Le parole sono povere e il discorso è ridotto ai termini essenziali ma ciò non significa trascuratezza formale ma l’intento di creare idee molteplici e indefinite. Il sentimento del tempo descrive paesaggi, stati d’animo o evocazioni mitologiche. Questo è il momento del massimo impegno formale con lo sviluppo da un lato della ricerca analogica e di effetti sonori e dall’altra la riconquista della tradizione poetica italiana. Nella seconda parte della raccolta compaiono anche temi religiosi dominata dal senso del peccato e dall’aspirazione dell’anima a Dio.
Eugenio Montale
Montale nasce a Genova nel 1896. Al contrario di Ungaretti egli non si è mai attribuito una missione o un ruolo profetico anche se è convinto che la poesia sia qualcosa di importante. Egli non è indifferente agli avvenimenti del tempo riferendosi al suo antifascismo, ma afferma che l’importanza della sua poesia è che tratta della condizione umana in sé e non del singolo avvenimento. All’origine della poesia di Montale sta un sentimento di totale disarmonia con la realtà si per quanto riguarda il piano psicologico si a riguardo della condizione umana in generale. Questa concezione che vede l’uomo moderno abbandonato in un mondo privo di valori e significato è nota come il “male di vivere”. Ciò lo si nota in Ossi di Seppia. La sua poesia affronta una tematica filosofica che affronta la ricerca di una volontà puntuale e non generale. Egli coglie i singoli oggetti nella loro concretezza. In questi dati egli riconosce i segni di una condizione umana votata all’assurdo e alla ricerca di un varco che apra i limiti. Per questo motivo si parla di poetica dell’oggetto in cui le idee e le emozioni sono materializzate in oggetti. La poetica dell’oggetto è ben distinta dalla poetica dell’analogia di Ungaretti e risale ad una lirica pura intesa come gioco di suggestioni sonore che alludono ad un vago mistero. La musicalità è importante nella poesia di Montale che propone suoni aspri che incidono nettamente sui contorni materiali degli oggetti ed esprime la disarmonia del vivere. Il lessico attinge da tutti i registri linguistici. La sua poetica è molto vicina alle idee di T.S. Eliot sulla poesia come “correlativo oggettivo”, una serie di oggetti o una catena di eventi che saranno la formula per di quelle emozioni particolare. Il correlativo oggettivo rimanda alle allegorie medievali. Ma mentre le allegorie erano emblemi che si riferivano ad un repertorio simbolico di cui solo un lettore colto possedeva le chiavi di interpretazione, il correlativo oggettivo costituisce un cifrario personale del poeta che è quindi difficile da interpretare. In Montale rimandano ad una ricerca aperta senza approdi sicuri.
OPERE: 1) Ossi di seppia; danno il titolo alla prima raccolta di poesie e sono relitti scarnificati che il mare getta sulla riva. D essi il poeta paragona i suoi versi, che nascono da un confronto fra il suo “io” e una potente natura che è sede del “male di vivere”. Di fronte alla natura il poeta cerca di identificarsi in essa, ma ciò è impossibile perché il suo sentimento lo porta ad estraniarsi. Sullo sfondo esiste un dubbio filosofico sulla consistenza reale del mondo. Egli cerca di andare oltre ad una semplice osservazione cercando una realtà più vera. Le forme delle sue poesie si estraniano dalle ricerche sperimentali tipiche del primo ‘900 per il semplice fatto che Montale le ignora. Egli si serve di un verso libero e di forme come le quartine di endecasillabi. La poesia mantiene una sintassi strutturata e un tono discorsivo a volte colloquiale. Il poeta usa un lessico raro e ricercato.
2) Le occasioni; segna il passaggio ad una poesia che nasce da un’ esperienza concreta di eventi (occasioni). Il poeta è coinvolto da precisi istanti di vita ed esperienze quasi sempre con figure femminili. Un tema ricorrente è l’amore fatto di assenza e lontananza. Infatti la donna appare solo nel ricordo con il quale il poeta cerca di farla riapparire e di far rivivere un istante vissuto insieme.
Sandro Penna
Nasce a Perugina. La sua poesia può essere accostata al gusto ermetico per la tendenza alla purezza lirica, ma ciò che lo diversifica è la discorsività della sua poesia molto vicina per questo punto di vista a Saba. Penna fu un poeta irregolare e diverso, infatti il tema fisso dei suoi versi è l’amore omosessuale. Le sue poesie, molto brevi, esprimono istanti di vita come apparizioni di begli adolescenti, dichiarazioni d’amore ma anche paesaggi e episodi della vita popolare visti con un sentimento doloroso. Tutti questi versi sono accompagnati da una limpidezza delle immagini e una delicata musicalità.
Materiale ed argomenti da inserire perr una tesina sulla montagna e l'uomo (maturità scientifica)