Vita ed Opera di Giacomo Leopardi

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Testo

Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati nelle Marche, regione dello Stato Pontificio, dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici .Il padre, che in politica è legato al regime assolutistico, in famiglia è autoritario e severo ed esige dal figlio il rispetto di rigide regole. La madre , religiosa in modo ossessivo , si mostra con i figli esigente ed oppressiva, preoccupata solo di rimettere in sesto l’ economia familiare. L’ infanzia del poeta è perciò molto infelice, priva di affetti e giochi .A nove anni la sua educazione è affidata ad un precettore ad egli si dedica agli studi con straordinaria passione rivelando doti prodigiose. Ben presto è in grado di continuare da solo la sua formazione culturale, con uno studio da lui stesso definito "matto e disperatissimo ", usando la ricca biblioteca del padre : impara il latino, il greco, l’ ebraico, l’inglese e lo spagnolo; ancora giovanissimo scrive numerose opere di erudizione che testimoniano la vastità delle sue conoscenze ( a quindici anni, ad esempio, scrive una Storia dell’ Astronomia ) .L’ impegno nello studio è tale da compromettere la sua già debole salute: si aggrava la scoliosi che lo rende deforme ed una malattia agli occhi per qualche tempo gli impedisce la lettura .La solitudine della piccola città marchigiana spinse il poeta , isolato dal resto del mondo, a desiderare di evadere dal "natio borgo selvaggio" .Nel 1819 spinto da una grande insofferenza per il suo ambiente familiare e per il soffocante clima culturale di Recanati, progetta di fuggire, ma il tentativo non riesce: segue un periodo di grave depressione e di angosciosa solitudine .Finalmente, nel 1822, il padre gli permette di trasferirsi a Roma presso uno zio che intende avviarlo alla carriera ecclesiastica; il soggiorno romano è però una delusione poiché non trova, come sperava persone di grande cultura e di nobili ideali .Dopo solo sei mesi fa ritorno a Recanati dove rimase fino al 1825 ; poi si trasferisce a Milano, soggiorna a Bologna, Firenze e Pisa ed infine è costretto alle difficoltà economiche e dai problemi di salute a tornare alla casa paterna.Nel 1830, grazie all’aiuto di un gruppo di amici, si stabilisce a Firenze dove vive l’amore infelice per Fanny Targioni Tozzetti e stringe amicizia col l’esule napoletano Antonio Ranieri. Nel 1833 si trasferisce a Napoli nella speranza che il clima mite possa migliorare le sue condizioni di salute; in quella città muore nel 1837, conformato solo nell’amico Ranieri e in quella città è sepolto
.LE OPERE
lo ZIBALDONE , una storia di diario che Leopardi scrive dal 1818 al 1832; il poeta quasi giornalmente vi annota i suoi pensieri e i suoi appunti sugli argomenti più disperati: considerazioni filosofiche e letterarie, riflessioni sulla lingua, giudizi storici, considerazioni personali .
le OPERETTE MORALI (1823- 24 ): un ‘ opera filosofica qui Leopardi illustra la sua concezione pessimistica della vita ; alcune di esse sono in forma di dialogo tra due personaggi ( es . Dialogo di un folletto e di uno gnomo , Dialogo della Natura e di un’ anima ….. )
i CANTI: il libro dei Canti , cosi intitolato dal poeta nell’ edizione del 1831 , raccoglie: alcune canzoni – le più note sono quelle di argomento patriottico (es. All’Italia ) in cui Leopardi si attribuisce la missione di richiamare gli Italiani all’azione per cambiare le tristi condizioni della loro patria;
gli IDILLI (1819-1821): un gruppo di poesie dette anche Piccoli Idilli o Primi Idilli, tra cui l’ Infinito e Alla luna. Leopardi chiama queste poesie Idilli poiché esse prendono spunto da un elemento del paesaggio anche se divengono poi , come dice il poeta stesso "avventure ,affezioni storiche del mio animo ". (Nella poesia greca si chiamava Idillio un breve componimento descrittivo)
i GRANDI IDILLI (1828 –1830 ): sotto questo titolo sono raccolte poesie molto note come A Silvia, Il passero solitario, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Canto notturno di un pastore errante dell ‘ Asia .
La poesia del Leopardi è tutta pervasa dell’ ansia verso l’ infinito e dominata dal conflitto fra sogni e realtà che genera sentimenti di inquietudine e angoscia .Il tema ricorrente nelle sue opere è il dolore : secondo il Leopardi il dolore è la condizione ineliminabile della vita umana; l’ uomo è destinato all’ infelicità fin dalla nascita , è la vittima innocente della Natura , che è la forza cieca e superiore, indifferente al destino delle creature viventi .La nascita , la sofferenza e la morte non hanno un perché e l’ angoscia dell’ esistenza sarebbe veramente intollerabile se l’ uomo non cercasse conforto nelle ILLUSIONI; la giovinezza , le speranze, l’ amore …… aiutano a sopportare la vita , ma non sono che illusioni che durano soltanto quanto dura la giovinezza .
Quando l’ uomo acquista conoscenza della vanità dei sogni giovanili, della vanità della vita , subentra allora la noia, cioè quel senso di vuoto che afferra l’ uomo quando si rende conto che ogni speranza è tramontata e che egli non potrà mai essere felice .Altri temi presenti nella poesia leopardiana sono quelli della memoria , dello scorrere insopportabile del tempo , della nostalgia e del rimpianto .
Dal punto di vista del linguaggio il Leopardi introduce nelle sue poesie delle innovazioni strutturali : le strofe sono di lunghezza variabile, i versi sono sciolti dall ‘obbligo della rima, spesso sono endecasillabi e settenari che si alternano liberamente .
Le poesie del Leopardi hanno una intesa e suggestiva musicalità che deriva dalle rime, rime al mezzo e allitterazioni .Le parole sono scelte spesso per il loro significato vago e indistinto, ricco di contenuto poetico , oppure perché sono nobili, colte ed appartengono ad una lunga tradizione letteraria .

IL SABATO DEL VILLAGGIO
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

IL PASSERO SOLITARIO
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

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