La situazione dell'Italia nell'età Napoleonica

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Testo

Falone Luca
Tesina di Italiano
A.S. 2005/2006
La situazione dell’Italia nell’età napoleonica

1. L’età Napoleonica
L’età napoleonica comprende quel periodo storico di 25 anni che va dallo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789 al Congresso di Vienna, aperto nel 1814. Essa è così chiamata, perché, considerata sotto il profilo storico – politico, fu dominata dalla potente personalità di Napoleone Bonaparte.
Sotto il profilo letterario, culturale e artistico, è più opportuno denominarla età del neoclassicismo, perché fu caratterizzata dal risorto culto della poesia e dell’arte classica.
L’età napoleonica fu un’età ricca di contrasti, di guerre e di mutamenti rapidi e profondi, non soltanto in Italia, ma in tutta l’Europa. L’Europa aveva salutato con gioia la Rivoluzione francese, perché essa era incominciata in nome della libertà, della democrazia, della giustizia e del progresso sociale, tutti ideali che l’Illuminismo, durante il Settecento, aveva diffuso ovunque e fatto maturare nelle coscienze.
La Rivoluzione fu pertanto il banco di prova dell’ottimismo illuministico, la verifica dei suoi postulati filosofici, politici e sociali.
Tuttavia l’Europa, dapprima entusiasta, era rimasta poi inorridita dinanzi agli eccessi della rivoluzione e della sua violenza sanguinaria, che smentiva le idealità illuministiche. Aveva, in seguito, applaudito a Napoleone e alle sue armate liberatrici che avanzavano agitando ancora ideali di libertà, fraternità e uguaglianza, ma poi rimase ugualmente delusa e ferita dal suo dispotismo, e gli si rivoltò contro fino a travolgerlo.
Anche in Italia la dominazione napoleonica ebbe per effetto il risveglio della coscienza nazionale e diede inizio al Risorgimento. Al primo sincero entusiasmo col quale furono accolti come liberatori i Francesi e Napoleone, subentrò la delusione per i saccheggi, le violenze e le condizioni di vassallaggio delle varie repubbliche giacobine prima, e dei viceregni napoleonici poi.
Tuttavia, nonostante le delusioni subite, molti patrioti italiani, come il Foscolo si adattarono a servire i Francesi e a militare negli eserciti napoleonici: l’ancien règime, socialmente chiusa e retriva, e quella napoleonica, aperta e progressiva, la seconda era indubbiamente innovatrice e rappresentava, in quel momento, quasi una tappa obbligata nel cammino verso la libertà e l’indipendenza.
Lo spirito del mondo, intravisto in Napoleone, era lo spirito della libertà e del progresso in un’Europa reazionaria e arretrata rispetto all’evoluzione politica e sociale della Francia.
Se consideriamo l’età napoleonica sotto il profilo letterario artistico, è più opportuno definirla, come abbiamo detto, età del neoclassicismo, che fu la forma più appariscente – e quasi ufficiale, per i favori ricevuti da Napoleone – della cultura caratterizzata dal risorto amore per l’antichità classica.
Ma il panorama culturale italiano in quegli anni non è così semplice, come potrebbe sembrare.
C’è, infatti, una letteratura ufficiale, d’intonazione classicistica, celebrativa, cortigiana e adulatoria, rappresentata da letterati servili, che celebrano gli avvenimenti spettacolari del proprio tempo, colti nei loro aspetti superficiali ed esteriori, incapaci di comprendere il senso profondo della storia e la crisi spirituale che serpeggia nelle coscienze.
L’altro aspetto della letteratura italiana dell’età napoleonica ha carattere decisamente preromantico. Vi sono, infatti, poeti e scrittori – come Foscolo, Pindemonte e quasi tutti i giovani – che, sotto l’incalzare degli avvenimenti, avvertono la crisi degli ideali illuministici e i segni precorritori di una nuova sensibilità.
I nostri intellettuali, criticando l’astratto dottrinarismo dell’Illuminismo, ricoprono pertanto il realismo del Machiavelli e apprendono lo storicismo del Vico, diffuso a Milano dagli esuli napoletani dopo la caduta della Repubblica Partenopea nel 1799.
Nello stesso tempo gli italiani, e soprattutto i giovani, avvertirono nell’Alfieri un autentico maestro d’italianità, per la sua polemica antifrancese, per la sua celebrazione dell’eroe in lotta contro il destino avverso, e per la sua visione profetica di un’Italia libera, unita e indipendente. Oltre all’Alfieri, esercitò una notevole influenza sul Risorgimento anche un altro gran poeta italiano del’700, Giuseppe Parini.
Il Foscolo, che si considerò sempre un loro discepolo, celebrò i due poeti nei Sepolcri, presentando il Parini come fustigatore della corrotta aristocrazia dell’Italia settecentesca, e l’Alfieri, sepolto a S. Croce, come ispiratore d’amor di patria.
Questo panorama a noi oggi appare abbastanza organico e lineare, ma gli uomini di quel tempo non ebbero piena coscienza del nuovo corso storico e culturale.
Volendo ora tracciare un quadro sintetico della cultura italiana dell’età napoleonica, dobbiamo distinguere:
1. La critica all’astratto dottrinarismo illuministico;
2. Il neoclassicismo letterario che oscilla dal gusto arcadico e preromantico del Pindemonte a quello aulico e superficiale del Monti, fino a quello più profondo e nuovo, già pervaso di sensibilità romantica, del Foscolo;
3. Il riproporsi della questione della lingua, per combattere il liberismo linguistico del’700 e dare alla nostra lingua un’impronta di maggiore italianità.
Vittorio Alfieri
Nato ad Asti il 16 gennaio 1749 da Antonio Amedeo, conte di Cortemilla, di antica nobiltà che muore quando il figlio aveva solo 3 anni. Viene quindi affidato a un parroco.
Studia presso l’accademia militare di Torino dalla quale esce con il grado di sottotenente. Ricordando gli anni dell’infanzia confesserà di avere subito una ineducazione che lo ha portato ad essere asino fra asini e sotto un asino.
A causa di una madre bigotta che non lo fa uscire, tenta di uccidersi; poi, per reagire alla sua malinconia e per sottrarsi al chiuso e provinciale ambiente del Piemonte, inizia a viaggiare. Le prime mete sono italiane, in seguito europee: dall’odiata Francia all’amata Inghilterra, in Olanda, Svezia, Finlandia, Russia, Spagna, Portogallo, in una fuga da quella noia che lo coglie a ogni sosta troppo prolungata. E’ di questi anni la storia d’amore con l’inglese Penelope Pitt conosciuta a Londra.
Tornato in Italia nel Maggio del 1772, dà vita a Torino a un circolo letterario, ispirato alla cultura francese dove vengono studiati Montesquieu, Voltaire, Rousseau e i classici come “Le vite parallele del greco Plutarco”.
Trova poi un’altra vocazione, le tragedie; la prima fu Cleopatra, rappresentata al teatro Carignano di Torino.
Abbandona il Piemonte per andare a Pisa, Siena e Firenze a contatto con la parlata toscana.
Conosce poi Luisa Stolberg, moglie del pretendente cattolico al trono d’Inghilterra Carlo Edoardo Stuart.
Rinuncia ai beni familiari in favore della sorella Giulia in cambio di una cospicua pensione.
Si trasferisce a Roma con la Stolberg che voleva allontanarsi dal vecchio marito che non voleva concederle la separazione legale.
Scrive tragedie tra cui Filippo, Agamennone, Della Tirannide.
Intanto la sua irregolare relazione con la contessa d’Albany era diventata oggetto di pettegolezzo così che fu costretto a lasciare Roma e a vagare tra diverse città italiane: ad Arquà visita la casa di Petrarca, a Ravenna la tomba di Dante, a Roma quella di Tasso e a Milano vuole conoscere Parini.
Viaggia ancora per l’Europa, a Colmar in Alsazia e a Parigi.
Scrive ‘Del principe e delle lettere’ per l’amico Gori e “la virtù sconosciuta”. Entrambe le opere trattano della libertà.
Durante la rivoluzione francese compone l’ode ‘Parigi sbastigliato’.
Torna in Italia e si stabilisce a Firenze con la sua donna.
Muore l’8 ottobre del 1803 e viene sepolto in Santa Croce dove la contessa d’Albany gli fa erigere da Canova un grandioso monumento funebre.
Una personalità ‘post-illuministica’ o protoromantica?
Negli scritti di Alfieri si trovano motivi illuministici, temi come la visione meccanicistica del mondo, l’idea di una letteratura quale strumento per illuminare le coscienze, l’amore per la libertà e l’avversione ai tiranni.
Egli rappresenta la crisi di quel razionalismo che aveva mortificato le aspirazioni e la personalità dell’individuo.
Contrappone all’ottimismo illuministico il pessimismo, così come in opposizione del cosmopolitismo,cioè l’idea che l’uomo sia cittadino del mondo, sente piuttosto la necessità dell’uomo libero di avere una patria.
Alfieri, che era aristocratico, vive un conflitto con la propria classe d’appartenenza. Tuttavia si batte con le armi della poesia per salvaguardare l’aristocrazia dello spirito in contrapposizione alla borghesia. Da qui prese spunto il suo progetto di un rinnovamento morale e civile che però era accessibile a pochi. la Per Alfieri l’esaltazione del forte sentire è per Alfieri prima di tutto un esaltazione del proprio personale forte sentire: cioè una concezione della passione come sentimento individuale.
Dalla scontentezza del poeta, deriva la sua stessa biografia, l’irrequietezza e l’ansia di viaggiare che in lui dipendono dall’ansia perennemente insoddisfatta di riconciliarsi con il mondo e con gli altri.

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