L'industrializzazione ha distrutto il villaggio

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Testo

Oggi, sempre più spesso si parla di globalizzazione in quanto elemento essenziale per la sopravvivenza dell’economia di uno stato. Oggi tutto è relativo ad un costo, tutto deve essere rapido ed essenziale, ma soprattutto competitivo. Da qui va da sé, che per forza l’industrializzazione, ma non solo, deve essere in rapida e costante evoluzione, non si deve arrestare di fronte a nulla e deve essere totalmente disinteressata rispetto ai problemi collettivi. Industrializzazione che però nel suo auto generare sviluppo, non manca di creare effetti negativi sulla società, specie quando si considerino i rapporti interpersonali sempre più carenti. Pur consapevole dell’importanza che ha la globalizzazione, specialmente per una nazione come l’Italia che non può considerarsi certamente autartica, personalmente tendo a divenire un nostalgico ed a ritenere corretta l’affermazione del titolo, riguardante la nostalgia del passato. Un passato nel quale i valori veri nelle società erano certamente più radicati tra le genti. Dire però che l’industrializzazione ha distrutto il concetto di villaggio, o ancor meglio, il senso di società, è forse troppo. Se ci si riferisce a villaggio in quanto concetto di territorio con caratteristiche rurali, di autonomia con prevalente aspetto legato alla produzione della terra, o al villaggio con il suo aspetto artigianale, la classicità delle botteghe in cui si producevano e vendevano gli oggetti della tradizione, oppure al villaggio inteso come piccolo paese dove tutto è di tutti, dove la coralità è consuetudine, beh allora direi che da sempre, quando la ricerca di migliorare le proprie condizioni di vita ha spostato ampi gruppi di persone dalla campagna o dai villaggi in genere alle città, il risultato è stato senz’altro la distruzione della nozione di comunità. Le città, nella loro dimensione, nascondono tutto quello che rende gelido ogni rapporto. Più che all’industrializzazione darei la responsabilità per la perdita di valori, all’evoluzione del concetto società non in senso etimologico, ma in senso pratico. La società, con accezione di insieme di individui con comunanza di interessi per i quali è richiesto un coinvolgimento diretto, oggi in realtà, vede individui inerti, distaccati, oserei dire quasi disinteressati al concetto di “comune”. Gli interessi che contano sono sempre più quelli personali, e questo inesorabilmente ci conduce alla solitudine e all’isolamento.
Se vogliamo, all’interno delle aziende, per assurdo, si vengono a formare dei piccoli “borghi”. Nei reparti di produzione le amicizie si rinsaldano e lo scambio di opinioni, il tentativo di fare comunità sono presenti. Il problema è che più sono grandi le aziende e più anche questo particolare viene meno, mi sembra quasi di poter alla fine attribuire grosse responsabilità alla “dimensione”.
Tutto quello che è “mega” crea distanza.
Queste distanze, si dice, vengono ridotte dalla televisione, dai “ mass media” in genere. Vero? Non so! Sta di fatto che comunque oramai sembra che tutti noi si ricerchi nell’informazione televisiva, quel po’ di società che ci manca. Ma condivido nel dire che un conto è vivere la situazione da protagonista e un conto è ascoltare tranquillamente seduti in poltrona la vicenda più o meno drammatica avvenuta in chissà quale paese. Il progresso questo ci ha regalato. Le distanze si accorciano. Ora i fatti di cui ci interessiamo non sono quelli del vicino di casa o del concittadino, bensì quelli di qualche individuo o di qualche paese che dista magari molti km da noi, forse addirittura di un altro continente. Ideologicamente parlando, definirei molto nobile il concetto, peccato però che la passività con cui si affronta il problema rende tutto alquanto vano. La partecipazione diretta, a mio avviso, è ben altra cosa. Altre immagini ci giungono attraverso trasmissioni culturali in genere che tentano di tramandarci e farci vivere tradizioni paesane. Istruttivo, non c’è dubbio. Se il tutto è finalizzato ad una mera conoscenza, ben venga, sicuramente non deve assumere un carattere sostitutivo. Alimentare le tradizioni laddove esiste la possibilità deve essere prioritario. Le tradizioni non possono essere solo fonte di un’ informazione indiretta, dove è possibile vanno vissute. Da aristotelico quale sono, credo che la verità sia sempre in mezzo. Direi quindi che il progresso, l’industrializzazione abbiano grosse responsabilità sul cambiamento culturale dei popoli, ma assumendoci la nostra responsabilità, da esseri intelligenti e razionali quali siamo, dovremmo riuscire a non perdere di vista i veri valori e riuscire quindi a mantenere saldi i rapporti nella comunità di appartenenza. Dialogo, partecipazione, interesse sono elementi essenziali per una società che voglia evolversi.
Trascurarli sarebbe un grave errore!

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