Materie: | Tesina |
Categoria: | Italiano |
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Data: | 21.03.2007 |
Numero di pagine: | 8 |
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Testo
IL DOLCE STIL NOVO
La terza e più importante scuola poetica del Duecento fu il “dolce stil novo”, nata a Bologna fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. L’iniziatore fu Guido Guinizzelli, seguito da un gruppo fiorentino, come Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia, ma il rappresentante più insigne fu Dante Alighieri.
Il nome della “scuola” deriva da un passo del Purgatorio di Dante Alighieri. Nel XXIV canto del Purgatorio Dante incontra Bonagiunta Orbicciani, il quale gli chiede la differenza fra i siculo-toscani e gli stilnovisti. Dante risponde che loro scrivono seguendo la diretta ispirazione d’Amore, e dopo di che Bonagiunta dice di aver capito la differenza fra i toscani e “questo vostro dolce stil novo”: di qui il nome alla “scuola”.
Dalle scuole precedenti gli stilnovisti prendono alcune tematiche già note:
1) l’esaltazione di Amore come suprema forma di aristocrazia spirituale;
2) l’affermazione che la vera nobiltà non deriva dal diritto di nascita, ma che essa risiede nell’animo;
3) la rappresentazione della donna come figura angelica.
Originale è invece il loro definirsi come un pubblico nuovo di produttori ed utenti della poesia, come libero gruppo di “cori gentili”, capaci di vivere e intendere la nobilitante esperienza d’amore. Essi fondano la loro superiorità sulla cultura, che è conquista individuale, e formano un gruppo di intellettuali che non coincide più con una corte, ma vive nella civiltà cittadina. Di conseguenza la loro dottrina d’amore non è espressa secondo i canoni del galateo cortese, ma s’ispira alla filosofia insegnata nelle Università, specialmente in quella di Bologna.
Gli stilnovisti intendono definire l’origine e la natura d’amore e riconducono alla vita della coscienza tutte le esperienze amorose, come la gioia, il tormento, la contemplazione, la passione.
Dalle scuole precedenti gli stilnovisti prendono alcune tematiche già note:
1) l’esaltazione di Amore come suprema forma di aristocrazia spirituale;
2) l’affermazione che la vera nobiltà non deriva dal diritto di nascita, ma che essa risiede nell’animo;
3) la rappresentazione della donna come figura angelica.
Originale è invece il loro definirsi come un pubblico nuovo di produttori ed utenti della poesia, come libero gruppo di “cori gentili”, capaci di vivere e intendere la nobilitante esperienza d’amore. Essi fondano la loro superiorità sulla cultura, che è conquista individuale, e formano un gruppo di intellettuali che non coincide più con una corte, ma vive nella civiltà cittadina. Di conseguenza la loro dottrina d’amore non è espressa secondo i canoni del galateo cortese, ma s’ispira alla filosofia insegnata nelle Università, specialmente in quella di Bologna.
Gli stilnovisti intendono definire l’origine e la natura d’amore e riconducono alla vita della coscienza tutte le esperienze amorose, come la gioia, il tormento, la contemplazione, la passione.
Negli ultimi decenni del 1200, a Firenze, una delle città più all’avanguardia e che sta diventando il centro della cultura italiana, si forma il nucleo più importante di una nuova tendenza poetica, cioè il “dolce stil novo”, con cui la lirica amorosa di stampo provenzale e di ispirazione cortese, tocca la sua fase culminante. I poeti più rappresentativi sono Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Dino Frescobaldi. Questi poeti si vogliono distaccare dall’impostazione della scuola siciliana e aretina, in particolare polemizzano con Guittone d’Arezzo. Dobbiamo dire anzitutto che si tratta di poeti da una spiccata personalità, tanto che ciascuno ha delle proprie caratteristiche, ma tutti sono accomunati dall’idea di allontanarsi dallo stile guittoniano. Essi vogliono uno stile più limpido e lineare, che viene definito, appunto, dolce. Per continuare ad usare il paragone con la lirica francese, possiamo dire che, mentre Guittone si rifaceva al trobar clus, questi nuovi poeti si rifacevano al trobar leu. Sul piano dei contenuti, al motivo dell’omaggio feudale del cavaliere alla dama, si sostituisce una visione molto più spiritualizzata della donna amata che, appunto, viene proprio gradualmente esaltata non solo per le sue qualità femminili, ma soprattutto come una figura angelica, come se fosse un angelo in terra. In quanto donna-angelo, la donna diventa dispensatrice, cioè colei che può donare all’uomo la salvezza, e una mediatrice tra Dio e l’uomo: l’amore per la donna diventa la via per arrivare a Dio. E’ chiaro che facendo della dama una dispensatrice, il poeta si caricava di una grossa responsabilità perché intellettualmente doveva motivare la funzione della dama e quindi questa poesia è molto densa per i contenuti intellettuali, del pensiero; per esempio è una poesia dove non sono rari dei riferimenti di carattere filosofico e teologico.
- La nuova concezione della corte e la nobiltà d’animo
Un altro obiettivo di questo gruppo di poeti fu anche quello di sostituire alla realtà della corte reale, che stava alla base della poesia provenzale e siciliana, con un modello di corte tutta “ideale”, in cui si ritrova una cerchia ristretta di “spiriti eletti”, cioè l’idea di ricreare una specie di circolo molto elitario, in cui si distinguono delle teste intelligenti, pensanti, qualitativamente superiori alla massa.
Questa cerchia si contrappone, appunto, al volgo “villano”. Quindi lo stil novo si rivela come espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali. Naturalmente essi aspiravano a presentarsi come una nuova aristocrazia, non nel senso di nobiltà di sangue, ma una aristocrazia basata sulla qualità dell’ingegno, intellettuale (“altezza di ingegno”, usato da Dante).
Questo nuovo concetto di nobiltà diventa uno dei temi fondamentali del dolce stil novo perché viene ad identificarsi nel tema corrispondente tra amore e gentilezza (nel senso di nobiltà, cioè: sapere amare diventa l’indizio fondamentale della nobiltà d’animo).
- L’espressione “dolce stil novo”
Questa formula è stata coniata da Dante nel 24° canto del Purgatorio, in cui Bonagiunta degli Orbicciani chiede a Dante se è lui che “trasse le rime nove”. Bonagiunta fa questa domanda partendo dalla lirica dantesca “Donne c’avete intelletto d’amore”. Dante risponde: “Io sono uno che quando Amore m’ispira, noto, e a quel modo che ditta dentro vo’ significando” (quando l’amore lo ispira, egli lo analizza in base a ciò che gli comunica: il tema che indaga l’animo del poeta è quello dell’amore profondo e complesso). A questa risposta di Dante, Bonagiunta dice che allora comprende bene il “nodo” che trattenne Iacopo da Lentini, Guittone d’Arezzo e lui stesso a non entrare nella cerchia di Dante, cioè a tenersi “al di qua di quel dolce stil novo che io odo”.
Un’altra formula che Dante usa per indicare questa poesia è quella di definire le rime “dolci e leggiadre” (26° canto del Purgatorio); tali aggettivi hanno una connotazione tecnica, stilistica e indicano le caratteristiche di questo stil novo. Precursori di questi poeti è Guido Guinizzelli, con una canzone che è la più illustre e può essere considerata come il “manifesto” di questa tendenza poetica: “Al cor gentil rempaira sempre amore”.
L'origine dell'espressione è da rintracciare nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Canto XXIV del Purgatorio): in essa infatti il rimatore guittiniano Bonagiunta da Lucca definisce la canzone dantesca "Donne ch'avete intelletto d'amore" con l'espressione Dolce Stil Novo, distinguendola dalla produzione precedente, come quella del "Notaro" (ovvero Jacopo da Lentini), per il modo di poetare luminoso e semplice, libero dal "nodo" dell'eccessivo formalismo stilistico.
«"Ma dì s'io veggio qui colui che fòre
trasse le nuove rime, cominciando:
Donne ch'avete intelletto d'amore."
Ed io a lui: "Io mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'ei ditta dentro vo significando."
"O frate, issa vegg'io", diss'egli, "il nodo
che il Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo."»
(Purg. XXIV, vv. 49-57)
Secondo alcuni critici moderni, tra cui G. Baldi, sarebbe più corretto parlare di rime dolci e leggiadre (Purg. XXVI), in quanto con l'espressione Dolce Stil Novo Dante descrive soltanto il suo stile poetico e non quello del movimento a cui il nome è stato assegnato.
[modifica] L'amore
Si afferma un nuovo concetto di amore, e quindi un nuovo concetto di donna, vista ora come donna angelo: la donna, nella visione stilnovistica, ha la straordinaria virtù di nobilitare l'animo dell'uomo, che inizia attraverso lo scambio d'un occhiata fugace fino a produrre un senso di smarrimento, come avviene nel sonetto di Guido Cavalcanti "Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira". Ma quest'immagine femminile rischia di allontanare da Dio: per questo nella canzone "Al cor gentil reimpaira sempre Amore", Guido Guinizzelli immagina di doversi giustificare di fronte al Sommo Fattore che lo interroga sul motivo per cui indirizzò ad un essere umano le lodi e l'amore che a Lui solo convengono; a tali domande egli risponde con le seguenti parole: "Tenne d'angel sembianza / che fosse del tuo regno; / non me fu fallo, s'in lei posi amanza" (vv. 57-60). Questi ultimi tre versi esprimono il seguente concetto: la donna da me amata era così simile ad un angelo del tuo regno che non mi fu colpa ("fallo") se in lei riposi il mio amore ("amanza").
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Dolce_Stil_Novo"
DANTE ALIGHIERI
«u adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d'onestissimi panni sempre vestito in quell'abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.»
(Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante)
Dante Alighieri - diminutivo di Durante Alighieri (Firenze, maggio o giugno, 1265 circa – Ravenna, 14 settembre 1321) è stato un poeta, scrittore e politico italiano; è considerato il primo grande poeta della lingua italiana: per questo motivo fu definito "il sommo poeta", persino "il vate" (cioè "il profeta"). Per l'aver tenuto a battesimo l'esordio letterario della nostra lingua nella prima opera di ampio respiro viene anche detto Il Padre della lingua italiana..
Ebbe una vita per molti versi travagliata e morì quando si trovava esiliato dalla sua città natale.
Dante è l'autore della Divina Commedia, considerato il capolavoro per antonomasia della letteratura di tutti i tempi.
Lo "stil novo" e Beatrice
A 18 anni, incontrò Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia e subito dopo Brunetto Latini; insieme essi divennero i capiscuola del Dolce Stil Novo. Brunetto Latini successivamente fu ricordato nella Divina Commedia (Inferno, XV, 82), per quello che aveva insegnato a Dante: non come un semplice maestro, ma uno dei più grande luminari che segnò profondamente la sua carriera letteraria e filosofica: maestro di retorica, abile compilatore di trattati enciclopedici, dovette iniziarlo alla letteratura cortese provenzale e francese, scrivendo il Tresor proprio in Francia. Brunetto mette in evidenza il rapporto tra gli studi di grammatica (latino) e di retorica e la filosofia amorosa cortese, gettando le basi degli interessi speculativi del futuro Dante.
Altri studi sono segnalati, o sono dedotti dalla Vita Nuova o dalla Divina Commedia, per ciò che riguarda la pittura e la musica. Quando aveva 9 anni incontrò Beatrice Portinari, la figlia di Folco Portinari. Si è detto che Dante la vide soltanto una volta e mai le parlò (ma altre versioni sono da ritenersi ugualmente valide). Più interessante è però, al di là degli scarni dati biografici che ci sono rimasti, è la Beatrice divinizzata, e dunque sublimata della Vita Nuova: l'angelo che opera la conversione spirituale di Dante, lo studio psicologico che compie il poeta sul proprio innamoramento. L'introspezione psicologica, l'autobiografismo, ignoto al medioevo, guardano già al Petrarca e più lontano ancora, al Rinascimento.
Andrea del Castagno, serie dei fiorentini illustri, Dante Alighieri
È difficile riuscire a capire in cosa sia consistito questo amore, ma qualcosa di estremamente importante stava accadendo per la cultura italiana: è nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce stil novo e condurrà i poeti e gli scrittori a scoprire i temi dell'amore, in un modo mai così enfatizzato prima.
L'amore per Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura) sarà il punto di partenza per la formulazione della sua concezione del dolce stil novo, nuova concezione dell'amor cortese sublimata dalla sua intensa sensibilità religiosa (il culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche del Duecento, dai Francescani in poi), per poi approdare alla filosofia dopo la morte dell'amata, che segna simbolicamente il distacco dalla tematica amorosa e l'ascesa del Sommo Poeta verso la sapienza, luce abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso della Divina Commedia