il decadentismo

Materie:Tesina
Categoria:Italiano

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Testo

CARATTERI GENERALI DEL DECADENTISMO
Il romanticismo aveva esaltato l’individuo in rapporto ad ideali generali, comuni a tutti gli uomini, come l’amore di patria o il rispetto per la personalità altrui.
Alla fine del XIX secolo, questi ideali avevano perso gran parte della loro credibilità e l’individuo sembrava divenuto incapace di profondi rapporti con gli altri uomini: si diffuse così un senso crescente di solitudine, aggravato da una drastica crisi che si scagliò contro il mondo contro il mondo borghese ed in particolare contro la piccola borghesia,emarginata dal potere economico e politico. Ne conseguì uno stato di insoddisfazione e incertezza che accentuò la solitudine dell’uomo:per superare questa situazione psicologica si finì per trasformare gli ideali del romanticismo in astratte aspirazioni,legate ad un certo perbenismo borghese, che nel desiderio dell’ordine sociale nascondeva soprattutto il proprio desiderio di potenza.
Si sviluppò così l’idea del superuomo, nato dal filosofo F.Nietzsche e ripresa in Italia in primo luogo da D’Annunzio, concretizzata nel rifiuto degli uomini comuni, nel desiderio di una vita aristocratica e raffinata, nella volontà di godere tutte le sensazioni possibili con un’acutissima sensibilità.
*(il tema del superuomo e le precisazioni ad esso relative saranno più dettagliatamente analizzate nella parte di approfondimento che seguirà)
questo stato psicologico valorizzò l’inconscio, ossia la parte più “oscura” dell’uomo dove fremono gli istinti e si accendono gli impulsi e le emozioni.
L’uomo così rimase in balia di uno stato irrazionale di inquietudine e di angoscia e non per nulla sorsero proprio allora (per chiarire le molteplici tensioni nervose) i primi studi di Freud sulla psicanalisi.
In una situazione così nuova ed inquietante, la cultura mise in discussione tutti i valori tradizionali e l’arte volle farsi rivelazione dell’inconscio mediante forme assolutamente libere dagli schemi del passato, per esprimere stati d’animo profondamente soggettivi. Cercando di liberarsi dai troppo concreti ideali borghesi, il decadentismo volle attuare, nell’arte come nella vita , le forme più ricercate e aristocratiche; quella raffinatezza che gli uomini del tempo consideravano un elemento comune a tutte le epoche di decadenza.
Per tutti questi motivi il termine decadentismo divenne il simbolo di tutti gli artisti innovatori e finì per indicare un periodo storico profondamente inquieto e irrazionale.
IL PROBLEMA DEL DECADENTISMO
In senso stretto il decadentismo può essere identificato con il movimento letterario sorto nella Parigi degli anni 80 del secolo XIX, tra i letterati vicini alla vita bohèmienne, che proprio per queste caratteristiche venivano definiti “decadenti” in tono dispregiativo. Essi, viceversa, si appropriarono provocatoriamente del termine e fondarono addirittura una rivista “Le dècadent” su cui vennero pubblicate le poesie di Mallarmè, Verlaine, Rimbaud.
In senso più ampio, invece, e ormai più diffuso, il termine viene a comprendere un vasto movimento culturale e letterario a carattere europeo che copre gli ultimi due decenni dell’ottocento per poi propagarsi nel novecento.
Alcuni studiosi ampliano il decadentismo anche al periodo tra le due guerre poiché non si avvertono modificazioni di fondo nel cima culturale e soprattutto perché molti autori producono sia in un periodo che nell’altro. Si pone, dunque, per il decadentismo lo stesso problema riscontrato per il romanticismo:l’impossibilità di identificare il movimento in una scuola e quindi la necessita di trovare un criterio di classificazione flessibile per poter ordinare il complesso di idee, autori, correnti, che ad esso fanno riferimento.
Per dare una risposta al problema, quantomeno approssimativa, proponiamo il concetto “Area di famiglia” espresso dal filosofo Wittgenstein: tra i membri di una data classe logica non vi sono precisi e definiti elementi in comune ma un insieme di somiglianze tra cui scegliere. Ragionando in termini di “Area di famiglia”, il decadentismo diviene un insieme di movimenti, un clima culturale, uno stato d’animo generalizzato, il corrispondente letterario di quel fenomeno descritto come crisi della ragione che copre il periodo tra il 1870 e il 1920.
L’effetto principale della crisi della ragione e dell’Io è lo spaesamento dell’artista scaturito dall’impossibilità di questo nel propugnare ideali: nel nuovo clima politico-sociale e nel contesto storico corrente sono proprio gli ideali ad entrare in crisi. È proprio questo il segno più netto di distacco dal romanticismo. Anche in età romantica si era parlato di spaesamento dell’artista, ma in generale il periodo era caratterizzato dallo slancio ideale verso la patria ed il popolo. Ora che la patria si è consolidata in strutture di potere e la nazionalità si è trasformata in nazionalismo e colonialismo, ora che il popolo romantico si è scisso in una borghesia benpensante e saldamente ancorata al potere, in una plebe rurale e diseredata, in un movimento operaio organizzato con una propria ideologia, nasceva il problema di quali ideali cantare, a chi e per chi cantarli.
Man mano che ci si avvia verso una società di massa, l’artista ha sempre più a che fare con un pubblico anonimo e distante, mentre i suoi interlocutori divengono le case editrici e le logiche di mercato: egli quindi è allo stesso tempo più libero e più vincolato. Più libero perché non ha un preciso pubblico dinanzi e la sua creatività può orientarsi nelle direzioni che più lo ispirano; è maggiormente vincolato, invece, in quanto la possibilità di pubblicare o meno è nelle mani degli editori. Poiché; però, gli editori non sono mecenati, ma imprenditori della letteratura, il problema del pubblico riemerge ancora più potente in quanto non viene più visto come interlocutore ma come potenziale mercato.
Esso ormai ha subito una variegata stratificazione: troviamo quello popolare dei romanzi a puntate e c’è quello borghese benpensante, mentre il pubblico intellettuale è una variabile editoriale ancora secondaria.
A questo punto l’artista si ritrova dinanzi ad un nuovo problema: come scrivere per questo mercato che non avverte le lacerazioni dell’Io e della ragione di cui l’arte si fa espressione?
Di qui nasce la tendenza alla creazione di cenacoli artistici ristretti, di riviste, di movimenti letterari.
Tutto questo è espressione non solo del moltiplicarsi di ipotesi sulle funzioni dell’arte, ma del bisogno di comunicazione artistica al di fuori delle catene del mercato.
In conclusione, due sono le dimensioni dello spaesamento dell’artista: una relativa al pubblico e agli interlocutori, l’altra alla crisi dei valori e della ragione.
Nuovi interrogativi si pongono, dunque, dinanzi all’autore: quale ruolo, quale oggetto attribuire all’arte? E poi ancora a chi e di che cosa deve parlare? C’è ancora qualcosa da dire?
Su questo gruppo di quesiti l’arte del Decadentismo esplora diverse strade.
Una prima direzione è quella della separazione dell’arte dai problemi fin qui sorti. Essa non è in crisi perché quelle funzioni morali o realistiche non le appartengono: l’arte non ha fini sociali da raggiungere in quanto ha per oggetto il bello, quel bello che solo l’arte può cogliere. È l’ area della arte per l’arte. Essa si chiude in uno splendido isolamento dove vigono solo le regole dell’estetica, ma all’interno del quale vi è un proliferare di scelte:ci si può indirizzare verso il rigore formale del linguaggio con un’accuratissima ricerca lessicale e metrica che dia chiarezza e razionalità al testo poetico; oppure è possibile orientarsi verso un raffinato ed aristocratico estetismo, giungendo a mescolare il bello dell’arte con la bellezza raffinata e sofisticata dello stile di vita. Una seconda direzione è quella che attribuisce all’arte funzioni di conoscenza. Essa, con le sue capacità intuitive, e analogiche, riesce a rompere il velo delle apparenze del reale, costretto nella gabbia del senso comune e della razionalità, e avvicinarsi al mistero profondo delle cose dove i sensi si sovrappongono in un unico indistinto sentire e dove tende ad affievolirsi la separazione tra soggetto ed oggetto. È la strada intrapresa dai simbolisti ( Pascoli ).
Mente nel primo caso il modello dell’artista è il raffinato esteta, in questa il poeta è il veggente, colui che coglie sensazioni che il comune percepire umano non può raggiungere.
Le distinzioni tra i due percorsi non sono moltissime perché un’accentuata ed estetizzante ricerca del bello si può avvicinare alle sensazioni misteriose di cui parlano i simbolisti. In entrambe le direzioni, inoltre, la figura dell’artista si delinea come aristocratica separazione dal pubblico e dal senso comune. Non è più il poeta romantico che si rivolge al popolo o ne vuole rappresentare i valori e le idealità, ora egli intende sottolineare proprio la sua individuale diversità: la crisi del rapporto con il pubblico viene non solo riassorbita ma addirittura trasformata in punto di forza. Ora l’artista è solo, ma ciò è segno di superiorità. Da una dichiarata indifferenza alle masse si passa al disprezzo per la normalità e per la democrazia fino all’idea del superuomo ( Nietzsche ): è l’Io normale, comune, che non si riesce più ad accettare.
Un’altra direzione è quella che si potrebbe definire della morte dell’arte: è la via scelta dai “crepuscolari”. In essi è chiara la percezione che la grande arte è finita e che si può solo vivere di briciole. Questa è una direzione decisamente contraria alle precedenti: il poeta non è un essere né eccezionale né superiore, avverte solo, forse più di altri, il vuoto che circonda l’esistenza. Al posto delle sensazioni misteriose e sofisticate si trovano le >, il tutto dominato da una stanchezza malinconica che impedisce ogni slancio ideale e non riesce a dare neanche grandezza alla malinconia. L’unica funzione che quest’arte si attribuisce è quella di testimoniare la crisi.
Vi è invece una direzione, più diffusa a livello europeo, che non è solo testimonianza della crisi, ma analisi lucida e spietata di essa. È l’area della letteratura europea di Mann, Musil, Proust, Kafka, Joyce, Pirandello, Montale. Qui l‘arte non rinuncia alla razionalità, ma se ne serve per anatomizzare tutti gli aspetti di una condizione umana deludente e priva di prospettive.
Infine vi è un’ultima direzione che si potrebbe definire “ rovesciamento dell’arte “. Con questo termine si indica la tendenza a romperne completamente i canoni tradizionali mescolando suoni, parole, immagini, senza un preciso ordine sintattico o grammaticale per quanto riguarda la letteratura, senza il rispetto per la tradizionale forma estetica nelle arti figurative. La crisi dell’arte è ora considerata salutare, anzi va incrementata, perché solo così potranno sparire tutte le regole che vincolano la moderna espressività. In tale prospettiva anche la guerra è vista come un sano scossone agli equilibri tradizionali. In questa direzione l’artista diviene un rivoluzionario provocatore che ha come primo compito quello di rovesciare l’arte dei monumenti letterari e figurativi che la tradizione ha tramandato e nel frattempo di inventarne un’altra, del tutto moderna e proiettata verso il futuro, della tecnologia. Questa è la linea tracciata e seguita dai futuristi.
A quanto finora detto va aggiunto un ultimo elemento dell’>: la modificazione dei criteri formali di costruzione dell’arte. Se l’Io è diventato un problema e qualcosa di profondamente misterioso, se le tradizionali funzioni dell’arte sono improponibili, emerge il problema della redifinizione dei suoi strumenti. Si sviluppa quindi la ricerca di un linguaggio capace di andare oltre le apparenze del reale e di cogliere la dimensione profonda dell’essere, là dove non c’è distinzione tra i cinque sensi , né tra soggetto e oggetto. La poesia, per avvicinarsi a questa nuova realtà artistica, deve sottoporre il linguaggio ad uno sforzo paradossale: dire in parole ciò che in parole non si può dire.
Essa tende ora a collegare significati lontani, o addirittura contrari, perché in tal modo si amplia la zona di significato coinvolta e quindi crescono il senso e la capacità di suggestione del senso poetico. Si crea in tal modo quel meccanismo in cui poche parole hanno un grande potere immaginifico e portano in mondi non pensati. Qui vi conducono in maniera inconsapevole perché, agendo sull’abitudine naturale dell’uomo alla metafora, riescono a dare la sensazione di qualcosa di espresso e che pure appare inesprimibile.
All’interno di tutto ciò, particolare importanza assumono le figure retoriche e soprattutto la sinestesia, figura retorica in cui i cinque sensi si richiamano, si scambiano i ruoli, stanno l’uno per l’altro, oppure si associano in combinazioni contrastanti, mescolando in tal modo la sinestesia con l’ossimoro. Grazie a questi strumenti si crea il simbolo, che non è propriamente una figura retorica, semmai il risultato suggestivo dell’uso delle figure retoriche: è l’alone poetico di suggestione, è un prodotto poetico che, ampliando al massimo le figure retoriche, ne fa scaturire una suggestione ai confini del dicibile ( ciò è presente nel Pascoli, che tratteremo in seguito).
Nella narrativa, invece, assistiamo alla crisi del romanzo ottocentesco romantico e naturalista: entrambi gli stili narrativi cedono ora il passo ad una nuova ricerca che ha portato ad interessanti novità come la rottura della struttura cronologica della narrazione e l’avvento di nuove tipologie di personaggi come l’antieroe e l’eroe negativo.
La rottura della struttura cronologica della narrazione si attua sostituendo al tempo esterno degli avvenimenti quello interno della memoria o il flusso di coscienza del monologo interiore.
Nel secondo caso, invece, per antieroe si intende quel personaggio che si rivela inetto, incapace di gestire la propria esistenza, anche quando le cose vanno casualmente bene; è proprio quel “casualmente” che sembra svuotare di un possibile merito il ruolo del protagonista.
Questi sono i personaggi di Joyce, Svevo, di Mann e di Pirandello, personaggi che non sempre riescono ad imparare qualcosa dalle loro vicende.
L’eroe negativo, a differenza, è il personaggio che della decadenza , della stanchezza morale, del languore di vivere, fa quasi una norma esistenziale, non è il ribelle romantico che assume dimensioni eroiche, è l’indifferente che fa dell’indifferenza quasi una condizione negativa di superiorità.
LA NARRATIVA ESTETIZZANTE DI FINE SECOLO
In parallelo alle innovazioni narrative del Naturalismo e del Verismo, si afferma nella prosa una nuova corrente, appartenente alla cultura decadente, che si identifica col nome di Estetismo.
Il termine “Estetismo” deriva da “estetica”, che ha origine dal greco àisthesis ( percezione): fino a Kant, alla fine del Settecento, estetica aveva indicato lo studio delle sensazioni ; nel corso dell’Ottocento il termine acquista il significato odierno di conoscenza del bello dell’arte, poiché, in fondo, il bello artistico è la sensazione piacevole data dall’orecchio e soprattutto dalla vista.
Bisogna tener presente che il bello non è stato visto soltanto del tutto immerso nelle sensazioni. Nel classicismo, ad esempio, si partiva da esse ma poi si giungeva ad un’idea di bello che non risiedeva più nei sensi ma nella ragione, nella bellezza ideale. L’estetismo di fine Ottocento valorizza gli aspetti sensoriali della bellezza e dell’arte. Con ciò il bello, in quanto frutto dei sensi, si trasforma in piacere e l’estetismo in una forma di edonismo.
L’edonismo è una filosofia secondo la quale il piacere è il vero fine della vita, e siccome esso è concepito come attributo dei sensi, ne risulta che il bello-piacere diventa un modo di sentire la vita.
Arte e vita dunque si sovrappongono: l’arte, in quanto piacere, non va contemplata ma vissuta, sentita in tutta la varietà delle sensazioni e diventa in tal modo una condizione esistenziale, uno stile di vita.
L’esistenza stessa deve diventare esercizio di questa sensibilità e di questa raffinata ricerca del piacere estetico. Di qui scaturisce il modello dell’esteta, dell’uomo che non solo sa godere dell’arte come nessun’altro, ma che vive come se la sua vita fosse una metafora dell’arte stessa.
L’esteta non è quindi un produttore di oggetti artistici, ma un raffinato degustatore, è un artista della propria vita. Tra gli autori che hanno offerto modelli diversi di estetismo e che hanno fatto non solo scuola, ma anche costume e moda, troviamo Huysmans, Wilde e, soprattutto, Gabriele D’Annunzio.
Proprio su quest’ultimo concentreremo le attenzioni analizzandone minuziosamente il percorso letterario e tutte le caratteristiche che lo hanno reso, a parer mio, il miglior esponente della letteratura italiana dopo Dante Alighieri.
GABRIELE D’ANNUNZIO
Nacque a Pescara il 12 Marzo del 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta e Luisa de Benedectis. Il cognome D’Annunzio gli derivò dal fatto che il padre era da poco stato adottato da una zio e aveva voluto onorarne la memoria oltre che la cospicua eredità. La sua fu una vita che fin dall’inizio si delineò come quella di un vincente: carisma personale, enorme fiducia in se stesso, studi adeguati al suo rango, amori, sensazioni sopra le righe; il tutto sempre puntualmente registrato su diari e lettere. Nel 1881 iniziò la sua attività produttiva letteraria con la prima raccolta poetica intitolata Primo Vere, alla quale seguì la stesura del primo romanzo intitolato Il Piacere. Nel mezzo una vita vibrante, carica di emozioni: gli amori con la duchessa Maria Hardowin di Gallese prima e con la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas poi, dopo una breve parentesi con Barbara Leoni; l’attività giornalistica sulla rivista > e sul quotidiano >; quella di autori di slogan pubblicitari e di didascalie di film. E poi ancora amori (Elena Duse) e produzioni letterarie ( Le Vergini delle Rocce) e teatrali. Diventato ormai celebre come l’immaginifico per l’estrema capacità creativa e la sua incredibile abilità nel manipolare la lingua, D’Annunzio si rivelò protagonista anche nell’attività politica: nel 1887 venne eletto deputato della destra; nel 1914 partecipò alla Grande Guerra guidando una squadriglia da bombardamento e perdendo un occhio durante un ammaraggio nella laguna di Grado; ma l’impresa che più lo rese celebre per i suoi indubbi meriti fu la spedizione di Fiume nel 1919. divenuto ormai l’emblema del fascismo, D’Annunzio poté, fino alla sua morte, godere senza preoccupazioni del sostegno economico che il regime gli offriva in segno di riconoscimento per i meriti politici. Si spense nella sua villa sul lago di Garda nel 1938.
IL PERCORSO LETTERARIO: OPERE E PENSIERO DI D’ANNUNZIO
La figura di D’Annunzio all’interno della cultura decadente può essere riassunta come quella di un letterato “onnivoro”: da artista eclettico la sua “poliedricità” letteraria gli consente di cimentarsi in tutti i generi attraversando le correnti predominanti del suo tempo. La sua personalità di scrittore si caratterizza nell’arte per tre aspetti fondamentali:
• L’estrema sensibilità verso il gusto del pubblico e la ricerca del successo;
• La sovrapposizione tra arte e vita;
• L’artista esteta che vive immerso nella bellezza propugnandosi come esempio di vita unico ed eccezionale sollecitando le frustrazioni del pubblico borghese ed offrendo loro la sua figura di divo.
Come vedremo più avanti, il successo delle opere di D’Annunzio scaturisce dalla straordinaria, quanto innata, capacità dello scrittore di percepire in anticipo su tutti le necessità del variegato pubblico decadente ( dall’altolocato intellettuale fino al modesto borghese ) e di proporsi quindi come esempio di originalità e innovazione. Al tempo stesso riesce, da stratega qual era anche, a rimanere al centro dell’attenzione per tutto il periodo che ha caratterizzato la sua attività letteraria. Talento letterario da un lato e “stravagante” gusto della popolarità dall’altro,hanno originato un connubio perfetto che lo hanno elevato agli apici della letteratura italiana rivelandolo come figura unica ed inimitabile del Novecento.
Nel 1882 pubblica due raccolte, una poetica dal titolo Canto Novo ed una di racconti intitolata Terra Vergine. Già in questo caso D’Annunzio inizia a cogliere l’emergente gusto decadente del pubblico: egli infatti cattura le tradizioni culturali del tempo, quelle di Carducci da un lato e quelle del verismo di Verga dall’altro, per poi volgerle in senso estetizzante attraverso la sottolineatura di una sensualità primitiva e naturale.
Le abilità da stratega precedentemente accennate che ne hanno rivelato il volto nuovo dello scrittore divo, al centro dell’attenzione in ogni circostanza, iniziano a dare i primi frutti nel 1883, quando l’artista pescarese pubblica un nuovo volume di poesie, Intermezzo di rime, che subito suscitano scandalo per l’erotismo che le caratterizza: l’editore ne approfitta quindi per crearne un caso raccogliendo e pubblicando i commenti all’opera di D’Annunzio in un volumetto dal titolo provocatorio: Alla ricerca verecondia.
Nel giro di breve tempo D’Annunzio si insedia prepotentemente nel mondo dei letterati e degli scrittori, divenendone uno dei massimi esponenti, che avvertono nel pubblico la crisi del Positivismo e del Naturalismo e che sentono emergere un nuovo gusto legato al fascino dell’infrazione delle regole e della sensualità.
In seguito alla pubblicazione del romanzo di Huysmans A Rebours, che esalta la figura dell’intellettuale esteta impregnato di arte che rifiuta la grigia vita quotidiana degli uomini comuni e si rifugia in un’aristocratica esistenza solitaria popolata solo di oggetti raffinatissimi, D’Annunzio prende spunto dall’opera per scrivere, e poi pubblicare nel 1889, Il Piacere, romanzo narrante la raffinata vita di un nobile giovane aristocratico, educato al gusto del bello, che fa della propria esistenza una sottile arte dei sensi e del gusto, pagando però il tutto con la solitudine affettiva e con il vuoto morale. Dalla lettura dell’opera noteremo come accanto al fascino della vita da esteta, vi è il lato oscuro di una decadenza interiore. Qui compare il carattere dell’”esteta edonista” percepibile in D’Annunzio. L’edonismo rappresenta la prima variazione sul tema dell’estetismo; esso infatti è inteso come ricerca del piacere, diretta conseguenza del bello vissuto come percezione fisica; una sensazione bella infatti non può che essere piacevole. L’esteta edonista , per questo, vive l’arte, cioè sente l’esistenza come un’opera d’arte. Un’ostinata ricerca del piacere dunque diviene l’unico scopo dell’arte come della vita.
Sotto l’influenza dei grandi narratori russi Tolstoj e Dostoewskij, che nel frattempo riscuotono considerevoli successi in tutto il continente europeo, D’Annunzio ancora una volta capta la direzione verso la quale il gusto del pubblico si indirizza e, sulla linea dei romanzieri russi, pubblica due romanzi ed una raccolta di poesie. Nelle due prose, Giovanni Episcopo e L’innocente, a prevalere è l’influsso di Dostoewskij, mentre nella raccolta di poesie, Poema Paradisiaco, si percepisce il richiamo a Tolstoj ed al suo spirito di perdono e pentimento.
Ricordiamo infatti che in Tolstoj predomina una pietà cristiana legata al culto della natura dei sanisentimenti popolari; nel Dostoewskij invece prevale l’indagine impietosa delle oscure e violente pulsioni che si agitano al fondo dell’animo umano. Sulla scia di quanto detto pertanto, attraverso un “parallelismo tematico”, noteremo che ne L’innocente si raccontano le vicende di un intellettuale che, attratto dal piacere, tradisce la moglie che gli rimane fedele finchè anch’ella non cede all’amore di un uomo dal quale ha un figlio. Nella contorta mente del protagonista si afferma una pulsione omicida: uccide il “figliastro” esponendolo al freddo notturno e così è “l’innocente creatura”, appunto, a pagare per tutti.
In Giovanni Episcopo il protagonista, caratterizzato da una personalità instabile, si ritrova a dover confessare un delitto.
Il riscontro con le tematiche di Dostoewskij nelle due opere quindi è più che evidente.
Nel Poema Paradisiaco, il tono generale dei versi si allontana dall’estetismo edonistico del Piacere e si avvicina a quello che si potrebbe definire “estetismo del languore”. Nei contenuti D’Annunzio sembra indicare quasi un pentimento della vita da esteta, il rimpianto della purezza passata. Il languore di cui si parla quindi è questo e, anche in questo caso il parallelismo con Tolstoj combacia perfettamente.
È necessario ricordare però che nonostante il pentimento alla vita da esteta, le parole non si allontanano dall’estetismo della parola sensazione ma esso è semplicemente piegato nella direzione del voluttuoso abbandono, del “languore”.
Tra il 1889 ed il 1893 si hanno gli incontri che segneranno indelebilmente la sua carriera artistica: quello con il compositore Wagner e quello con il filosofo Nietzsche, un connubio che ha orientato l’estetismo nella direzione di una piena e totale affermazione del culto della bellezza dei sensi e del mito del superuomo.
La conoscenza di Wagner ha indirizzato l’autore verso la ricerca di una lirica che facesse della musicalità dei suoni il proprio centro poetico; il contatto con Nietzsche invece ha avuto riscontri “universali” poiché ha coinvolto ogni settore della vita dell’autore.
La teoria del filosofo tedesco stava ad indicare la prospettiva filosofica del ricongiungimento di due anime separate dell’umanità: lo spirito apollineo della razionalità, che è quello che ha dominato nella cultura occidentale; lo spirito dionisiaco, che rappresenta la capacità di sentire, di unirsi alle forse profonde della natura. In questo contesto il superuomo di nitzschiano è una figura che emerge sul grigiore delle masse. D’Annunzio, spoglia questo concetto da contenuti filosofici e lo immerge nell’estetismo. Il superuomo diventa così l’esteta che trasforma il suo eccezionale gusto per la bellezza e la sua ipersensibilità al piacere in una forma di superiorità individuale rispetto alle masse, alle norme sociali, alla morale. Il superuomo è colui che si separa dal gregge umano e ritrova un rapporto totalizzante con le sensazioni della natura.
Nella versione poetica, il superomismo si sposa con il panismo, ossia la capacità dell’esteta superuomo di immergersi completamente ,con i propri sensi, nella natura, dalla quale trae rafforzamento dell’Io.
Il tema del Panismo è possibile analizzarlo in Alcyone: il superuomo, in questo caso l’esteta è dotato di un’eccezionale sensibilità con la quale avverte sensazioni sensuali che provengono dalla natura e che nessuna persona “normale” è in grado di cogliere.
D’Annunzio, spinto dal fervore superomistico, inizia un ciclo prolifico di produzioni letterarie abbraccianti ogni genere: dalla poesia alla prosa fino a giungere al teatro.
Nei primi anni del Novecento elabora un grandioso progetto poetico che purtroppo rimarrà in concluso. Esso si rifà alla ideologia superomistica di uno scrittore che si sente vate, profeta, simbolo vivente di arte, essere superiore. Il progetto consiste in una raccolta di sette libri, in poesia, ispirata alla costellazione delle Pleiadi, un libro per ogni stella, intitolata Del mare della Terra Del cielo degli Eroi.
Entro il 1904 escono i primi tre libri: Maia, Elettra ed Alcyone ( del quale abbiamo prima accennato). Nel primo libro, Maia, sullo spunto di un viaggio condotto dallo stesso D’Annunzio in Grecia, la forza trasfiguratrice del mito antico viene trasferita nella modernità. Il poeta superuomo è il moderno Ulisse, terrenamente teso ad oltrepassare i limiti posti alla sua capacita di esperire. Nel secondo libro delle laudi, Elettra, si assiste al richiamo verso il passato latino, medievale e rinascimentale dell’Italia che contrasta con il presente imbelle e spinge il poeta vate a farsi profeta di futuri destini imperiali. Nella prosa, il superomismo dannunziano si presenta sotto quattro importanti componimenti:
• Il trionfo della morte;
• Le vergini delle rocce;
• Il fuoco;
• Forse che si forse che no.
Anche se sotto le suggestioni nietzschiane e wagneriane, D’Annunzio continua a conservare nei suoi personaggi un lato oscuro e tragico. Se ne Il trionfo della morte il protagonista si uccide perché incapace di liberarsi di quella insoddisfazione perenne che gli impedisce di sentirsi superuomo, ne Le Vergini delle Rocce, il principio del superuomo diventa ideologia politica antidemocratica. Qui il protagonista si sente l’ultimo erede della stirpe latina e vuole generare un vero superuomo che diventerà re di Roma e restaurerà gli antichi fasti imperiali. Nel teatro il superuomo approda prepotentemente sotto dieci importanti opere scritte nel giro di un decennio:
la città morta, Francesca da Rimini, Parisina, La Nave, Fedra, Il Martirio di S. Sebastiano, La gioconda, Più che l’amore e La figlia di Iorio.
L’idea di teatro è lontana dal dramma borghese realistico; esso infatti aspira a rappresentare vicende e personaggi fuori dalla norma, a connotare caratteri eroici e declamatori. Un teatro insomma segnato dall’estetismo e dal superomismo. L’ossessiva attenzione a differenziarsi dal dramma borghese si realizza attraverso il tono poetico della rappresentazione o tramite la forte presenza del messaggio politico-ideologico teso ad affermare il mito del superuomo e di un mondo retto da un’aristocrazia di uomini superiori che hanno il diritto di infrangere le regole.
In termini non letterari D’Annunzio sfrutta la grande guerra per concretizzare finalmente il sogno superomistico: partecipa attivamente alle questioni politiche dando un vivo contributo alla causa attraverso importanti imprese la più importanti delle quali e la spedizione e l’occupazione di fiume. Per i risultati ottenuti e per la dedizione mostrata D’Annunzio viene onoreficiato ed emblematizzato dal regime fascista. Finalmente la sua missione è compiuta: D’Annunzio è un mito vivente, un eroe nazionale, il superuomo dalla vita unica ed eccezionale, il poeta vate.
Dopo l’ultimo romanzo pubblicato,Forse che si forse che no, assistiamo però ad un ultimo importante cambiamento. Nei discorsi pubblici che accompagnano le sue imprese il tono è gonfio, retorico, tribunizio. In letteratura inizia la fase del “Notturno”, dove predominano la prosa, il frammento, il ritmo spezzato e soprattutto un tono più intimo e personale che abbandona i caratteri edonistici e superomistici per lasciar posto ad una forma di ripiegamento con venature di dolore, di malinconica rimembranza e di meditazione sulla morte. La definizione di notturno per indicare questa fase, deriva dall’omonima raccolta di poesie “Notturno” scritta in condizioni di cecità forzata(ricordiamo che l’autore nell’impresa fiumana perse un occhio). Per capire questo ripiegamento letterario bisogna ricorrere ancora una volta all’onnivora versatilità dannunziana. Le nuove tendenze d’avanguardia hanno rimesso in discussione la tradizione narrativa promuovendo una nuova prosa, quella spezzata. Si era anche teorizzata la fine del romanzo, e si era lasciata come unica possibilità narrativa quella del frammento. Ecco quindi una ennesima suggestione letteraria che D’Annunzio ha voluto sfruttare; così,ancora una volta, cambia modulo poetico e si cimenta con questa nuova modalità narrativa: abbandona il vate, il superuomo e l’edonista e si immerge in una sorta di antivitalismo letterario dalle atmosfere tristi e malinconiche.
UNA NUOVA TENDENZA DEL DECADENTISMO: IL SIMBOLISMO
Il simbolismo è un movimento letterario e artistico, nacque in Francia per iniziativa di Jean Moréas, che ne pubblicò il manifesto su "Le Figaro" del 18 settembre del 1886, lo stesso anno della pubblicazione della rivista "Le Decadent". I simbolisti pubblicarono numerose riviste, tra le quali spiccano le diverse riviste da cui il verbo simbolista si diffuse: Le Symbolisme (1886), La Plume, Le Mercure de France (1889), la Revue blanche.Il simbolismo prende lo spunto da una della più celebri poesie di Charles Baudelaire, «Correspondences», in cui il poeta francese scrive che tutte le cose hanno tra di loro un legame misterioso, per cui spesso una ne richiama l'altra, come un profumo o un colore o una musica richiamano ricordi e tempi lontani. Baudelaire venne riconosciuto come il maestro simbolista e più tardi anche Verlaine, Rimbaud, Mallarmè che rappresentarono l'espressione più alta di questa tendenza.
Caratteristiche
Per l'artista simbolista la realtà è mistero e la natura si presenta come una foresta di simboli che al poeta spetta di interpretare e svelare con un atto di intuizione-espressione. A tale scopo il poeta simbolista rifiuta la tradizionale logicità e referenzialità del linguaggio e ricorre massicciamente a tecniche come il simbolo, l’allegoria, l’analogia, la metafora ricercata, la sinestesia, gli accostamenti imprevisti e misteriosi, le accumulazioni apparentemente insignificanti, l’uso sapiente e simbolico degli spazi bianchi, degli artifici tipografici e iconici. La poesia deve comunicare in forme non razionali, che trovano il loro grande modello nel linguaggio della musica.
• La parola poetica deve ricreare magicamente la realtà (Gabriele D’Annunzio);
• Se il poeta deve farsi veggente al lettore è richiesto di essere persona dotata di cultura, intuizione e sensibilità non comuni, di lasciarsi coinvolgere in un’esperienza di lettura che va al di là di ogni normale atto di comunicazione, di tendere i suoi sensi e la sua sensibilità per cogliere i segni e gli indizi dell’esperienza sovranazionale compiuta dal poeta. (Stéphan Mallarmé).
La poesia simbolista
Per i simbolisti la realtà non è quella della scienza, della ragione o dell'esperienza, è qualcosa di più profondo e misterioso che può essere inteso soltanto dalla poesia. Poesia è perciò la rivelazione dell'essenza misteriosa del reale: essa cerca le affinità segrete nelle apparenze sensibili, per cogliere idee primordiali; essa intende il linguaggio della realtà profonda, il messaggio segreto della natura, l'essenza. L'arte è l'unico valore e la vita per potersi realizzare deve risolversi in arte. L'arte è atto vitale, è la realizzazione dell'essenza stessa della vita, è creazione e va al rovescio rispetto ai valori della società borghese.Il poeta rinuncia alla funzione morale e sociale caratteristica dei romantici; aspira a risalire alle sorgenti stesse dell'essere, vuol farsi veggente, rivelare, cioè, l'ignoto, percepibile per illuminazioni, e dell'inconscio, secondo le misteriose leggi delle universali corrispondenze e delle analogie.La natura è rappresentata come una foresta di simboli (da un verso di Baudelaire) tra loro corrispondenti che racchiudono le chiavi del significato dell'universo. Il mondo è un insieme di simboli che ci parlano in un misterioso linguaggio: né la scienza né la ragione possono penetrarlo ma solo l'arte. Il poeta per intuizioni misteriose ed improvvise coglie il senso riposto nella realtà, scoprendo collegamenti apparentemente illogici fra oggetti diversi, associando colori, profumi, suoni di cui riesce a percepire la misteriosa affinità, scegliendo le parole non per il loro significato concreto ed oggettivo ma per le suggestioni che possono evocare con il loro suono ed il loro ritmo.
I poeti
La poesia simbolista ebbe i suoi grandi protagonisti in Rimbaud, Verlaine e Mallarmé; essi influirono in misura determinante sui successivi svolgimenti della poesia europea, specie in Inghilterra, in Germania, in Russia. In Italia il simbolismo ebbe un'eco indiretto nella poesia di Pascoli e D'Annunzio. Ma fu soprattutto nei primi anni del nuovo secolo che esso fu veramente conosciuto nella pienezza delle sue affermazioni teoriche e delle sue proposte di novità espressiva, influendo così in misura determinante sui futuristi e sui poeti ermetici.
L’arte simbolista
Nelle arti visive il termine simbolismo si riferisce al movimento artistico, nato in Francia a partire dal 1880, che interpretò gli stessi atteggiamenti del gusto e della sensibilità che caratterizzarono il simbolismo in ambito letterario. Fra i suoi primi rappresentanti furono i pittori Pierre Puvis de Chavannes, Gustave Moreau e Odilon Redon, che facevano uso di colori brillanti e linee fortemente espressive per rappresentare visioni oniriche di notevole emotività, a volte tendenti al macabro, ispirate a soggetti letterari, religiosi o mitologici.Il simbolismo influenzò anche la pittura dell'olandese Vincent Van Gogh e dei francesi Paul Gauguin ed Emile Bernard. Lo stile dei due pittori francesi, fu definito sintetista o simbolista, in pratica si contrapponeva all'analiticità dell'impressionismo.
GIOVANNI PASCOLI
Per comprendere a fondo la sua poetica è necessario conoscere la sua biografia;la sua produzione letteraria infatti e strettamente influenzata dalle esperienze traumatiche della sua infanzia.
Nato a San mauro di romagna nel 1855, Pascoli già dai primi anni della sua vita si ritrovò ad essere vittima prediletta del destino:il padre, fattore della tenuta La Torre dei Principi Torlonia, fu assassinato nel 1867 per motivi di rivalità sul lavoro e, nel giro di pochi anni morirono anche la sorella maggiore, la madre e Luigi, fratello prediletto del poeta. Iniziò gli studi letterali presso l’università di Bologna , dove si avvicinò alle idee socialiste partecipando attivamente alle proteste contro il governo(a causa delle quali perse la borsa di studio e dove conobbe il socialista Andrea Costa, che lo portò ad assumere posizioni sempre più attive e radicali. Arrestato con l’accusa di adunata sediziosa per 4 mesi ed assolto grazie alle testimonianze del suo professore universitario Carducci, si allontanò dalla politica per immergersi negli studi:laureatosi a pieni voti iniziò la carriera di insegnante che sancì totalmente il distacco dalla famiglia(insegnò infatti a Matera.). questo distacco fu talmente doloroso che fin dall’inizio l’unico desiderio di Pascoli fu quello di ricostruire il nido familiare con le due sorelle rimastigli. In un primo momento vi riuscì ma la decisione di meritarsi di una delle due sorelle, vista dal poeta come un tradimento, lo indusse a “inasprire” le attenzione verso l’unica sorella rimastagli vicino e che gli impedì di vivere amori duraturi a causa, anch’essa, della sua gelosia. Dopo l’abbandono della sorella sposata Pascoli decise di riperseguire l’obiettivo da sempre impostosi, quello di ricostruire il nido dei due sogni. Finalmente vi riuscì definitivamente: grazie alle medaglie vinte nei concorsi di poesia latina ad Amsterdam, che pascoli decise di fondere e vendere, questi decise di acquistare una nuova casa in Garfagnana. È questo il nido dei suoi sogni di bambino: una casa che domina la vallata, un ampio giardino interno circondato da un muro, tutte le stanze che girano intorno al grande e luminoso studio e due piccole camere comunicanti tra loro dove i letti suo e di Mariù stanno con la testiera appoggiati allo stesso muro. È ancora una volta il sogno impossibile di garantirsi sicurezza, di esorcizzare la paura dell’abbandono provata da bambino in una continua ricerca di conferme che mai avrebbero potuto sciogliere il nodo d’angoscia formatosi nella sua infanzia. Dopo una vita vissuta tra stenti e ristrettezze economiche ma illuminata da numerosi riconoscimenti letterari per la qualità e l’originalità delle sue opere, morì stroncato da un tumore al fegato nel 1912 a Bologna dopo aver ricevuto per la dodicesima volta il premio internazionale di poesia latina ad Amsterdam.
PERCORSO LETTERARIO:OPERE IDEE E POETICA DEL PASCOLI
Il percorso letterario di Pascoli è un continuo girare intorno al nucleo della sua angoscia infantile, una continua ricerca di calore, di sicurezza, di affetto e di quella protezione che “il fanciullino” Pascoli non ha mai provato. In questa impossibile e frustrante ricerca nasce la suggestione della sua produzione letteraria. Proprio in questa illusoria e infantile semplicità di temi stà nascosto un cuore oscuro, affascinante e allo stesso tempo inquietante, che si manifesta attraverso l’uso “simbolista” che egli fa della lingua.
Se si può affermare che la produzione poetica di Pascoli non sia un itinerario vero e proprio, ma una continua e incessante rielaborazione degli stessi temi, bisogna però osservare come dal punto di vista formale essa conosca un’evoluzione non lineare, ma che procede simultaneamente nell’esplorazione di diversi registri espressivi: per questo motivo la sa produzione si concentra nell’arco di pochi anni e si può dividere in 3 grandi parti. La prima è quella delle Myricae e dei Canti di Castelvecchio , dove iil poeta parte da un tema, spesso legato alla natura, alla campagna, alla vita semplice e familiare che poi sviluppa poeticamente; la seconda parte è quella dei Poemetti, dove elabora composizioni più ampie e complesse anche sotto il profilo contenutistico, una sorta di romanzo virgiliano; la terza parte, infine, è quella dei Poemi Conviviali in cui raccoglie le poesie più legate alla tradizione classicista che affrontano le storie dei personaggi e dei miti dell’antichità.
Posto fondamentale a parte è quello occupato dal saggio Il fanciullino del 1897 che raccoglie, chiarisce ed esemplifica la sua concezione poetica esistenziale legata al recupero del mondo dell’infanzia. Secondo l’idea pascoliana, l’uomo è scisso: c’è una parte che diviene e si trasforma ed una fanciullesca che rimane identica a se stessa nel tempo. Pascoli non vive come elemento di crisi questa scissione, la ritiene anzi una salvezza perché la parte fanciullesca è la zona dell’anima in cui può risuonare la poesia. Se però questa tesi viene riferita al quadro generale della crisi dell’Io, essa acquista un diverso significato perché va ad aggiungersi all’insieme delle rappresentazioni della crisi del principio di identità personale.
È ancora l’Io normale, l’Io quotidiano, che non viene accettato e la poesia diventa il luogo di quest’”altro” Io. Ma se in alcuni poeti questa zona poetica “altra” costituiva un elemento di superiorità e isolamento, in Pascoli il discorso viene universalizzato: il fanciullino è in tutti gli uomini. La scissione dell’Io che nella poesia decadente era un punto di partenza per la maledizione, in Pascoli diviene la base per un umanitarismo dei buoni e innocenti sentimenti che secondo lui permetterebbe di superare i conflitti sociali. Il fanciullino infatti non conosce differenze di classe: è nel contadino, nell’operaio, nel professore, nel banchiere. Pascoli sceglie una strada unicamente sua nella poesia moderna: non sceglie il viaggio, la fuga, l’esotismo, ma la Regressione. Per “regressione” si intende il tornare indietro, il ritorno all’infanzia come fase di ingenuità ed innocenza, come condizione aurorale di una umanità non ancora dominata dal male.
Il fanciullino pertanto si differenzia dall’adulto:
• A livello conoscitivo, perché ha un approccio prefazionale al mondo, un rapporto animistico con cose e animali e la sua è una conoscenza dominata dallo stupore aurorale;
• A livello delle sensazioni, in quanto vede, ode e percepisce tutto ciò che alla parte adulta risulta lontano e impercettibile e che linguisticamente si traduce nell’uso delle sinestesie e onomatopee;
• A livello dei sentimenti, nel quale svolge un duplice ruolo. Sul piano ideologico diviene il modello di una sorta di interclassismo poetico dei sentimenti in quanto il fanciullino è in ogni uomo senza differenza di classe; sul piano dell’intimità pascoliana diviene catarsi e dunque rasserenamento dei turbamenti di un’anima a disagio nel mondo degli adulti;
• A livello della poesia, che deve essere pura, cioè priva di fini morali, pedagogici, sociali e politici. Ciò richiama quindi il concetto dell’arte per l’arte.
Proprio perché la poesia è dare voce al fanciullino che stà dentro ad ogni individuo, essa assume due nuovi volti: quello della memoria e quello dell’inquietudine. Questi, a loro volta, corrispondono anche ai due volti della natura che spiegheremo a breve.
Il poeta legge nel presente che lo circonda i segni di un remoto passato, quelli dell’infanzia, quando tra il fanciullino interiore e quello destinato a crescere non vi è differenza. La poesia diventa perciò, con il suo linguaggio allusivo e analogico, lo strumento della regressione. Conoscere è ri-conoscere, rievocare, ritrovare nel presente una dimensione lontana nel tempo. Questa ricerca del passato si colora di aspetti inquietanti e il rammemorare assume la dimensione del regredire: le sensazioni del presente si annebbiano e dal fondo della coscienza riappaiono i fantasmi del tempo trascorso, quasi sempre dominati da funebri presenze. Sull’analisi di quanto detto nasce il concetto di poesia della memoria.
Dietro l’ingenuità del fanciullino è però nascosto qualcosa di inquietante e morboso: è l’adulto turbato che torna alla dimensione di una presunta innocenza infantile, portandosi però appresso tutto il carico delle inquietudini adulte. È questo il secondo volto della poesia, quello dell’inquietudine che si traduce tramite la compresenza di due elementi fondamentali: la Rimozione e la Manifestazione (dell’inquietudine).
L’elemento di rimozione si caratterizza attraverso l’immagine del fanciullino che si mantiene lontano da una realtà per lui estranea e misteriosa quale quella della sessualità . Essa si manifesta nel “fanciullino Pascoli” che resta escluso dall’alcova e nella “fanciullina Mariù” che non si è mai avvicinata al fiore proibito. La manifestazione dell’inquietudine, invece, si percepisce attraverso il significato simbolico nascosto dietro due fiori:il gelsomino notturno, che è il simbolo della sessualità femminile; la digitale purpurea che lo è della sessualità maschile.
Come in precedenza accennato, i due volti della poesia tracciano il percorso che giunge all’identità della natura interpretata da Pascoli. Essa non appare soltanto come sereno spazio per la meraviglia e lo stupore del fanciullino,ma anche come inquietante immagine della realtà del mondo. In Pascoli l’esistenza appare attraversata dal dolore per la morte dei propri cari, che si vorrebbero trattenere in vita coltivando il ricordo dell’infanzia e conservandone una tomba viva: il nido. Ma dietro il dolore personale, spesso, compare l’immagine di una sofferenza più universale che nessuno può consolare.
Il poeta non ha slanci metafisici, ma in alcune zone dell’anima legge a volte le immagini della natura come simbolo di una tragica condizione umana.
In conclusione, attraverso una via tutta personale, pascoli è giunto ad una poetica che può pienamente scriversi nel decadentismo. Non vi è il poeta maledetto, non vi è l’estetismo, nè l’aristocratico chiudersi rispetto al mondo banale della normalità, però vi è ugualmente la fuga, la poesia pura, la ricerca dell’ a-logico;solo che tutto questo non si manifesta in una provocazione e in una fuga in avanti ma in una REGRESSIONE.

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Il Decadentismo.

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