Giovanni Pascoli

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Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna. A sette anni entra nel collegio degli Scopoli, dove rimane fino al 1871. Il 10 agosto viene assassinato il padre. Nel 1868 muoiono la sorella maggiore Margherita e la madre, nel 1871 il fratello Luigi.
Nel 1869 Pascoli pubblica la sua prima poesia, Il pianto dei compagni. Lasciato in collegio a causa delle difficoltà economiche, Giovanni si trasferisce a Rimini. Nel 1873 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’università di Bologna: tra i suoi professori c’è Giosue Carducci. Avvicinatosi al socialismo, partecipa ad una manifestazione studentesca contro il ministro Ruggero Borghi, in seguito alla quale viene privato del sussidio che gli era necessario per continuare gli studi; la morte del fratello Giacomo aggrava ulteriormente la sua situazione economica. Arrestato per aver partecipato ad una manifestazione, esce dal carcere dopo tre mesi. Ottiene nuovamente il sussidio per l’università, riprende gli studi e si laurea con lode nel 1882. Viene subito nominato professore di Lettere classiche al liceo di Matera.
Intanto, in occasione delle nozze di Severino Ferrari, pubblica una raccolta di madrigali, L’ultima passeggiata, che entreranno nel suo primo libro, Myricae, stampato nel 1891. L’anno seguente pascoli pubblica una nuova raccolta di Myricae: intanto vince il concorso internazionale di poesia latina di Amsterdam, al quale parteciperà molte altre volte, collezionando tredici medaglie d’oro. Nel 1894 inizia un rapporto epistolare con Gabriele D’Annunzio.
Dopo il matrimonio a sorpresa della sorella Ida, che il poeta vive come un abbandono, prende in affitto nel 1896 una casa a Castelvecchio; nello stesso anno viene nominato professore straordinario di grammatica latina e greca all’università di Bologna. Nel 1897 viene nominato ordinario di Letteratura latina all’università di Messina, dove rimarrà fino al 1903, quando passerà a Pisa. Intanto pubblica il suo fondamentale testo di riflessione teorica, Il fanciullino. Nel 1905 muore il poeta e amico Severino Ferrari, mentre riprendono i buoni rapporti con D’Annunzio, che si erano interrotti precedentemente.
Sempre nel 1905 accetta la cattedra di Letteratura italiana all’università di Bologna, che era stata di Carducci: viene coinvolto in compiti ufficiali e discorsi celebrativi che influenzano la sua poesia: ne è una testimonianza la raccolta storica e civile Odi e inni. Nel 1906 escono i Pensieri e discorsi.
Il suo ultimo discorso celebrativo è scritto in occasione della guerra libica; nello stesso anno, 1911, escono i Poemi italici.
A partire dal 1908, gli erano stati diagnosticati i sintomi di un male inguaribile: muore il 6 aprile 1912.

Fra regressione e sperimentazione
Myricae, segna un momento cruciale e di rinnovamento per la poesia italiana, perché è un’opera che si distacca dalla tradizione che va da Petrarca a Carducci.
In un’intervista, Pascoli aveva parlato della necessità di uno “svecchiamento del lessico poetico per un rinnovamento della poesia italiana”, aggiungendo anche che “la poesia non è in ogni caso razionalità e non è nemmeno logicità”; il segreto della poesia, diceva ancora, sta in una “improvvisa rivelazione del mondo”. Siamo dunque di fronte a una sensibilità del tutto nuova e moderna, a un’idea della poesia che ha profonde relazioni con il simbolismo, che spezza la visione chiara e logica del mondo. Restituire alla singole cose il loro aspetto più autentico. Chiamarle con il loro nome, significa per Pascoli connotarle di un valore simbolico specifico e unico che deriva dal rapporto fondamentale ed esclusivo con il proprio io. Il mondo esterno, viene letto in chiave soggettiva proprio nel momento in cui sembra rappresentato con estrema oggettività e questa è la caratteristica della poesia pascoliano. Pascoli, lascia parlare il “fanciullino” che è nascosto in ognuno di noi e che guarda la realtà secondo prospettive inconsuete.
Per conseguire questo risultato, Pascoli si muove seguendo vie inedite, sia sul piano formale e linguistico, sia su quello contenutistico. Con straordinaria sapienza stilistica, introduce un linguaggio spesso mutuato dall’uso quotidiano o dialettale, ma utilizza anche vocaboli rari e dotti.
Tale linea compositive, inaugurata con la prima edizione di Myricae, è affiancata a partire dal 1897, da un modello poetico a essa completamente più che alternativo, rappresentato dai Poemetti: si tratta di componimenti di più ampio respiro, in terzine di endecasillabi, dove più esplicitamente il mondo rurale è caratterizzato dalla presenza umana. I protagonisti dei Poemetti sono uomini e donne, che attraverso l’esperienza del dolore, scoprono i valori della solidarietà con gli altri uomini e con gli animali, contro il male che incombe minaccioso.
Il tema della morte e del mondo dei morti, come pure quello della regressione a una dimensione infantile, prelogica, o addirittura prenatale, e della tenace chiusura protettiva del “nido”, con i ricorrenti riferimenti autobiografici e familiari, costituiscono motivi costanti della poesia pascoliano. Ma la complessità del mondo poetico pascoliano include anche l’attenzione al macrocosmo spaziale. Le scoperte scientifiche del tempo, lo portano a sentire e a esprimere il fascino t5erribile dell’universo astronomico in movimento, dove la Terra non è altro che un minuscolo atomo che ruota misteriosamente in uno spazio infinito. Una tale visione crea sgomento, e l’uomo, resta ancorato al piccolo guscio terrestre, come appunto a un nido o a un grembo materno.
L’orizzonte culturale di Pascoli e la sua formazione comprendono anche una specifica attenzione per il mondo classico e la mitologia greca. La distanza offerta dall’argomento mitologico, permette all’autore di staccarsi dalla dimensione individuale e soggettiva, per dare luogo a un’osservazione degli uomini nella loro realtà metastorica: i Poemi, proiettano sul lontano passato, l’angosciosa e moderna coscienza della precarietà del destino umano.
La varietà tematica e stilistica della sua poesia, hanno procurato a Pascoli una fortuna e un favore che sono anche il riflesso di una letteratura attenta soprattutto a certi rassicuranti ideali piccolo-borghesi, come gli affetti familiari, la pace e la concordia universale. Ma non bisogna dimenticare che l’impronta più profonda lasciata da Pascoli sulla poesia del Novecento, è da ricercare nello scardinamento radicale delle strutture poetiche.
Dopo quella che, si può definire la “rivoluzione inconsapevole” di Pascoli, la poesia italiana non sarà più la stessa; Pascoli apre ai poeti del nostro secolo la strada verso una lirica che abbandona il suo legame con una tradizione secolare, a favore di nuovi oggetti poetici, di un nuovo linguaggio, di rinnovate strutture metriche e sintattiche.

Per memorizzare
La poetica
Pascoli scrive le sue opere tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Egli si può accostare ai contemporanei autori decadenti e a simbolistici per due elementi:
- il senso del mistero e dell’inconoscibilità del reale, soprattutto del mondo naturale, ma anche della storia umana;
- il rifiuto del positivismo e della conoscenza scientifica, a cui contrapporre il valore dell’intuizione e della poesia.
Riflettendo sulla propria poetica, Pascoli elabora il mito del fanciullino: il poeta, secondo lui, deve lasciar parlare il fanciullino, che è presente in ciascun uomo, e assumerne il punto di vista, l’unico capace di scoprire l’essenza delle cose e di presentarle in una luce nuova e profondamente originale.
La poetica del fanciullino ha due conseguenze:
- il poeta deve concentrare l’attenzione sulla realtà quotidiana, sulle piccole cose, facendole riscoprire al lettore, mostrandogliele in maniera inaspettata;
- il poeta deve rifuggire dai toni oratori, esortativi, civili, e deve invece lasciare che la poesia svolga la sua funzione educativa in maniera indiretta, attraverso la sollecitazione dei sentimenti migliori.

Il nido e l’infanzia
La poesia di Pascoli si caratterizza per il ricorrere di alcune immagini e di alcuni temi:
- gli affetti famigliari sono considerati un valore supremo: di fronte a un mondo misterioso e inquietante, dominato dalla violenza e dalla morte, il “nido” famigliare è l’unico rifugio capace di garantire solidarietà e protezione;
- il paesaggio naturale è il luogo in cui il poeta si immerge per meditare; esso è quasi sempre un paesaggio ambiguo, in cui i segni della vita e quelli della morte coesistono, a volte drammaticamente;
- l’amore, soprattutto per la sua componente sessuale, è un tema che Pascoli affronta con grande delicatezza di accenti, ma anche con sensibilità morbosa; il poeta si sente infatti nello stesso tempo attratto, ma anche spaventato dalla vitalità che si esplica nell’eros.

Una rivoluzione inconsapevole
Dal punto di vista formale, Pascoli è un rivoluzionario inconsapevole. Egli rispetta la metrica tradizionale, con poche innovazioni molto meno evidenti di quelle dei suoi contemporanei. Ma la sua opera influirà profondamente sulla produzione poetica del Novecento soprattutto per tre aspetti:
- per l’introduzione nel lessico della poesia di nuovi elementi, tratti dal linguaggio tecnico e da quello infantile e onomatopeico;
- per la ricerca di musicalità, legata soprattutto alla sperimentazione metrica e sintattica;
- per il rifiuto della retorica carducciana e dannunziana.

Il percorso poetico
Momento culminante della produzione pascoliano, proprio per il rinnovamento che essa introdusse nella poesia italiana, fu la pubblicazione di Myricae, nel 1891: l’importanza dell’opera è legata non solo al piano stilistico, ma anche ai temi che il poeta vi affronta, che trattano gli aspetti più semplici della vita in contrapposizione polemica con i temi “aulici” di ispirazione carducciana. Ricordiamo inoltre i Primi e Nuovi poemetti (1904-1909), nei quale prevale la dimensione della memoria, e i Canti di Castelvecchio (1903), che riprendono i temi di Myricae, approfondendone però il dato simbolico. Un accenno a parte meritano i Poemi conviviali, mediante i quali l’autore rievoca il fascino della cultura classica attraverso una sua contaminazione con la propria sensibilità decadente.

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