Analisi di una lirica: il temporale Giovanni Pascoli

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Testo

TEMA DI ITALIANO

“Temporale”: la poesia presa in esame è un’opera del noto poeta Giovanni Pascoli.
Pascoli nacque in Emilia Romagna nel 1855, da una famiglia di agiate condizioni dove il padre lavorava come fattore in una tenuta di una famiglia nobiliare.
Uno dei momenti più importanti per la vita del Pascoli e in seguito per la sua produzione letteraria è il giorno dell’assassinio del padre, il 10 agosto 1867, al quale Pascoli e la famiglia non riescono a farsene una ragione, e anche se sospettano sull’identità degli assassini non avranno mai prove certe per trovare i veri colpevoli.
Dal quel momento Pascoli ha una accentuata visione di famiglia, accosta il significato di nido a quello di famiglia; un nido che è stato distrutto con la morte del padre. La famiglia è come il nido, un posto accogliente e al sicuro, e il poeta in tutta la sua vita ricercherà la stabilità, l’accoglienza, l’amore di un “nido familiare”, ma non penserà mai di crearne uno suo; di creare una sua famiglia, infatti fin dalla morte del padre, e successivamente quella della madre e dei fratelli. Pascoli cercherà di formare un nido con le sue sorelle, e si legherà a loro con un affetto morboso.
Pascoli nelle sue poesie fa continui richiami al nido, al mistero, ai simboli e alla morte, inoltre essendo figlio di un fattore nelle sue opere si trovano numerosi quadretti di vita campestre, in stile impressionistico, componimenti molto brevi dove da semplici descrizioni della natura il poeta trasmette pensieri e valori più profondi, in questi componimenti il Pascoli usa dei termini dettagliati per quanto riguarda la botanica e gli animali; questo linguaggio a prima vista potrebbe richiamare alla mente il verismo, ma non si tratta di verismo, infatti leggendo si nota che non è verismo o comunque non è quello il fine delle sue opere, anzi molte sensazioni, emozioni e dati oggettivi sono descritti con i sensi nati dall’immaginazione, dunque si parlerà di opere impressionistiche.
Un esempio di questo linguaggio così legato alla natura, che Pascoli vede come madre benignina, si scorge nelle molteplici poesie raccolte nel “Myricae”, una di queste è “Temporale” concepita dall’autore nel 1892.
In questa poesia Giovanni Pascoli descrive un paesaggio dove in lontananza si udisce il rumore di un tuono, “un bubbolio lontano”, dirigendo lo sguardo verso il rumore appena udito, il quadro astratto del lettore in corrispondenza dell’orizzonte si colora; del rosso di un tramonto dove scintillano i lampi del temporale in arrivo, e pian piano questo orizzonte si dissolve come se affogasse nel mare, spostando lo sguardo verso un monte si vede un cielo che si sta ricoprendo di nuvoloni neri carichi di pioggia, ma questo nero è rischiarato da lievi e candide nuvole bianche, ma anche da un altro elemento infatti l’occhio del poeta cade su un dettaglio, un casolare (unico elemento che ci fa capire che in quel paesaggio c’è vita umana) che assomiglia a un’ala di gabbiano, e Pascoli con un’analogia (cioè un accostamento fra due oggetti concettualmente distanti tra loro, e il poeta li accosta ma senza dare al lettore i passaggi intermedi/logici) fa intuire il colore del casolare, bianco.
Questa poesia se colta nel suo profondo trasmette un sensazione di agitazione, di instabilità, qualcosa di misterioso e analizzandola più a fondo possiamo trovare maggiori dettagli sia sul suo significato che sulla sua struttura.
I colori dominanti in questa poesia sono il rosso, il nero e il bianco che rappresentano rispettivamente: il caldo, il fuoco, una situazione caotica, c’è poca serenità attorno, mentre il nero simboleggia la tristezza, l’amarezza, la paura, la morte…però Pascoli vede in questo grigiore dei piccoli accenni di bianco, che simboleggia la speranza, la purezza, la vita e la libertà infatti questo casolare di colore bianco viene affiancato alla figura di un gabbiano, non un uccello qualsiasi, in questo caso ritroviamo il linguaggio specifico che l’autore utilizza. Il casolare rappresenta proprio l’unico appiglio del poeta in questo paesaggio/esistenza triste, anche perché il casolare rappresenta il nido, infatti c’è questo accostamento casolare-nido-uccello, il ritorno al nido in questo paesaggio tormentato, tetro e misterioso. Ovviamente in questo componimento le sensazioni visive, sono le più importanti in quanto sono proprio esse che esprimono la profondità della poesia. Questa poesia si lega benissimo con la poesia “tuono”, “lampo” e “novembre” sempre del medesimo autore infatti c’è la continua utilizzazione delle tematica: natura.
Per quanto riguarda la tecnica narrativa questo componimento è una ballata, i versi sono dei settenari ed è una composizione abbastanza frammentaria.
In questo componimento come in molti altri del “Myricae”, ne è un esempio “Novembre”, prevalgono aggettivi e nomi, infatti troviamo un solo verbo: “Rosseggia”, che nella frase in cui è inserito forma una similitudine; la parola Bubbolio ha un valore onomatopeico, mentre si scorgono due metafore verso la fine della poesia: in “nero di pece” e “stracci di nubi”.
La lingua usata dall’autore, lo caratterizza; infatti non solo Pascoli chiama ogni “creazione della natura” con il proprio nome, e qui ritroviamo la poetica del “Fanciullino” (dove il poeta si sente come un bambino, un piccolo Adamo che nomina ciò che gli sta attorno impossessandosene) ma Pascoli sembra utilizzare lingue differenti, speciali.
Contini addirittura parla di un triplice linguaggio, secondo lui Pascoli usa: un linguaggio grammaticale, cioè la normale lingua italiana; un linguaggio pregrammaticale, cioè quello che viene prima delle regole grammaticali, ne è un esempio quello in cui vengono utilizzate le onomatopee; infine utilizza un linguaggio postgrammaticale infatti nei “Primi poemetti” utilizza un linguaggio colloquiale o gergale come il dialetto garfagnino, posto in cui poi ambienterà alcune sue opere come la raccolta dei “Canti di Castelvecchio”.
La produzione di Pascoli è vasta ma non è molto differente.
La sua prima raccolta uscì nel 1891 una prima edizione del “Myricae”, il titolo di questa raccolta proviene da una parola latina, infatti è il nome di un piccolo arbusto e questo titolo simboleggia la profondità che Pascoli riesce a scorgere nelle piccole cose, infatti per lo più il lettore trova in questa raccolta scene quotidiane di campagna che introducono nell’esistenza un po’ tormentata di Pascoli infatti ci sono anche richiami al pensiero della morte. Questa opera presenta talvolta anche un ritmo musicale (tecnica che successivamente verrà utilizzata frequentemente dagli ermetici) che serve anche a sottolineare le piccole cose da cui il lettore deve cogliere i simboli.
Nel 1897 esce la raccolta “Primi poemetti” che sarà seguita nel 1909 da una nuova raccolta intitolata i “Nuovi poemetti”, in queste due raccolte ci sono sempre collegamenti legati alla natura, e sono sempre più presenti allusioni, impressioni e simboli.
Successivamente ai “primi poemetti”, nel 1903, pubblica i “Canti di Castelvecchio” dove c’è un ritorno ai ricordi d’infanzia, con numerosi cenni autobiografici, per la tecnica narrativa utilizzata l’opera è molto simile a “Myricae” in quanto anch’essa è composta da liriche brevi.
Una svolta anche se minima si avrà nel 1904 con i “Poemi conviviali” dove inizialmente il poeta elogia la civiltà classica che vede un po’ come un rifugio, da questo mondo rovinato dalla cattiveria degli uomini e dal progresso, ma alla fine riesce a trasmettere anche nel passato il suo malessere.
Nel 1906 uscì una raccolta intitolata “Odi e inni” dove decanta l’eroismo e il patriottismo, la fraternità umana e la giustizia sociale.
Pascoli socialista da giovane e poi nazionalista in età adulta, d’accordo con la Guerra di Libia per la quale tenne anche alcuni discorsi, morirà nel 1912 per malattia.

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