Don Abbondio e Federico Borromeo: due personalità a confronto

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Testo

Don Abbondio e Federico Borromeo: due personalità a confronto

Nei personaggi dei Promessi Sposi la religiosità assume svariate forme, si incontrano figure giudicate "negative" (da un punto di vista prettamente religioso) dal Manzoni, come la Monaca di Monza e Don Abbondio, e altre giudicate "positive", come Fra Cristoforo e il Cardinale Federigo Borromeo, anche se molto differenti tra loro, che rispecchiano l'ideale di religiosità dell'autore stesso.
Il primo ecclesiastico che compare nel romanzo è Don Abbondio, curato nel paese in cui vivono Lucia ed Agnese. E' un uomo dominato quasi patologicamente dalla paura, “Non era un cuor di leone” scrive il Manzoni, per usare una litote.
Dalla sua ripetitività quasi patologica esce il ritratto di un uomo sfatto dalla paura, che impegna tutta la sua vita ad evitare uomini potenti e vendicativi che potrebbero turbare la menzogna che si è creato. In una società in cui bisognava farsi largo con forza, Don Abbondio accorgendosi di non aver né coraggio né denaro né qualcosa per cui essere rispettato, aveva ubbidito ai parenti che volevano che seguisse la carriera ecclesiastica, e che carriera! Preticello di un paese lontano da dio e dagli uomini, tutto per amore della calma: non aveva neanche pensato agli obblighi e ai fini della vita ecclesiastica, la sua scelta era condizionata semplicemente dal fatto che sarebbe così entrato a far parte di una classe rispettata e avrebbe potuto godere di una vita più o meno calma.
La sua figura rappresenta una critica al limite del tragicomico, mostrandoci questo uomo completamente privo di ogni potere decisionale, un verme senza spina dorsale.
Più che affrontare i problemi, li allontanava con un calcio (proprio come il ciottolo sul vialetto sulla via di casa) e non prendeva mai posizioni ben definite.
Don Abbondo è un uomo schiavo dalla società in cui vive: in un mondo dove la legge non è quella civile e nemmeno quella canonica, ma quella del più forte, quest’uomo per amore della “quiete” si rassegna a non vivere, pur di non rischiare la propria vita.
Il Cardinale invece fonda il suo potere sull'affermazione della sua autorevolezza. La sua vita fu costantemente tesa ad uno scopo, quello religioso, ma non aderì alla religione per folgorazione mistica o per abitudine familiare, ma anzi, operò una scelta razionale e la sua accettazione al cattolicesimo fu il risultato di una lunga meditazione. Nonostante il tenore di vita elevato, si dedicò all'insegnamento della dottrina agli emarginati e ad aiutare i poveri e i bisognosi; per lui le rendite ecclesiastiche erano proprietà dei poveri e non esitava ad aiutare coloro che avevano bisogno di denaro, se la loro causa gli appariva giusta. Era un uomo generoso, benefico e liberale, ma allo stesso tempo era anche severo e brusco. I suoi modi erano cortesi e soavi e anche per questo era molto ammirato.
Il loro incontro, che ha inizio nel capitolo XXV e termine nel XXVI è una chiara testimonianza dei due modi diametralmente diversi di concepire la fede e di applicarla nella vita e in questo passo vengono alla luce alcune delle morali più alte e notevoli del romanzo. Don Abbondio, con la sua filosofia "vivi e lascia vivere" viene contrapposto dal Manzoni alla grande fede e al gran coraggio del cardinale che pur di aiutare il prossimo darebbe in cambio la sua vita. Borromeo chiede per quale motivo non ha sposato Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ma le risposte di Don Abbondio sono evasive e denotano sempre una superficialità ed un'indifferenza non proprie ad una vero religioso. Le argomentazioni trattate dal cardinale sono un'essenziale esempio di religiosità e le sue parole sarebbero entrate nel cuore di chiunque, ma l'apatia regna nell'animo del curato che non accoglie, come filosofia di vita, la morale di Cristo. Non è più quella simpatia di un uomo bonaccione, ma un pò pauroso; ora il modo di porgersi di Don Abbondio diviene inadatto. Ci stupisce che non nasca alcuna scintilla di cambiamento nel suo animo: sono forse argomenti troppo importanti per lui, povero curato di campagna, non abituato a sentir parlare di amore, di fede, di religiosità, di donare la vita al prossimo senza pensare ai propri interessi e solo a comportarsi in un modo che possa essere d'esempio per gli altri.

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