Definizioni di Allegoria

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Testo

ALLEGORIA
Definizioni enciclopediche e citazioni

Diamo qui di seguito alcune definizioni di "allegoria" tratte da manuali di retorica, enciclopedie o saggi di analisi letteraria pubblicati nel corso del XX secolo. La selezione è quanto mai limitata e deve servire da spunto sia per andare a leggere nella loro completezza i testi da cui le citazioni sono tratte, sia per operare ulteriori approfondimenti. A questo proposito rimandiamo alla selezione bibliografica dal sito internet del Servizio Bibliotecario Nazionale riportata in fondo.

Demetrio Ferrari: Traslati o tropi. Allegoria.
L'allegoria o metafora continuata si distende a più proposizioni e periodi e, talvolta, anche a discorsi interi. Essa mostra in apparenza un oggetto, ma in realtà ne intende un altro somigliante. Si usa quando, non potendo o non parendo conveniente significare apertamente una cosa, si manifesta figurandola in un'altra consimile.
Così il Giusti rappresenta l'Italia facendo la storia di uno stivale, e il Casti, nel suo poema Gli animali parlanti, rappresentò sotto forma di bestie i vari governanti dell'Europa. Del resto sono allegorie le favole, gli indovinelli, ecc. L'allegoria poi si distingue in pura e mista, secondo che è formata di sole parole traslate, o anche di parole usate in senso proprio; è pura l'allegoria seguente che usa il Manzoni giudicando, in una lettera, alcuni versi del De Amicis: "Ho qui nel mio giardinetto un giovane melagrano, che questa primavera ha portato molti fiori, i quali in parte sono caduti, in parte allegano; il rigoglio di tutti e il sano vigore di alcuni annunziano insieme che questo alberetto è destinato a dar frutti copiosi e netti". Parimenti è allegoria pura l'ode con cui Orazio esorta i romani alla pace dirigendosi alla Repubblica che rappresenta come una nave sbattuta dalla tempesta; sono miste invece l'allegoria della nave che rappresenta l'animo agitato del Petrarca (Son. CXXXVII: Passa la nave mia, ecc.); quella del ruscello, con cui il Testi adombra e morde l'uomo, che, da umili natali salito in grandezza, si fa orgoglioso e prepotente; e questa di Dante (Purg. I):
Per correr miglior acqua alza le vele
Ormai la navicella del mio ingegno,
Che lascia dietro a sé mar sì crudele.
[Da: Demetrio Ferrari, L'arte del dire, Hoepli, Milano, 1919, pp.54-55 (n.ed. Cisalpino-Goliardica, Milano, 1977).]
Guido Mazzoni: Allegoria.
L’allegoria fu già definita (Aristot., Poet., 21; Cicer., Orat., 94; Quintil., IX, 2, 46) una metafora continuata; e veramente, a considerarla nei termini stretti, ha una fondamentale attinenza con l'espressione metaforica di un concetto: se non che l'allegoria non è solamente parlata o scritta, è anche figurativa; e contiene assai più di una metafora continuata, in quanto suole svolgere un'azione a modo di racconto o di romanzo, o determinarne in forme plastiche o disegnate alcuni essenziali elementi, perché il lettore o l'osservatore veda, di là dal racconto reale, un senso ideale o morale. Conviene dunque considerare l'allegoria come un'espressione del pensiero e della fantasia anche fuori dei trattati retorici e del linguaggio poetico.Come meglio apparirà dalla trattazione ulteriore, si devono distinguere nell'allegoria almeno due principalissimi aspetti. Il primo si ha quando vocaboli oppure segni furono a bella posta adoperati in guisa che, dopo l'impressione e l'intelligenza del senso offerto dal racconto, dalla pittura, dalla scultura, si abbia la riflessione e la penetrazione di un'intima verità concettuale. Il secondo, quando a una verità concettuale un pensatore cercò di dare con l'arte propria una determinazione letteraria, pittorica o scultorica, così che la veste apparente sia soltanto un tramite, più o meno agevole, verso l'idea originaria. Nel primo caso, la lettera, i tratti, i colori devono avere tal valore in sé e per sé, da poter conseguire un effetto estetico anche su chi non si accorga del riposto significato o non si curi di raggiungerlo. Nel secondo, la lettera, i tratti, i colori devono fin dall'origine e costantemente subordinarsi all'intendimento morale, politico, sociale, ecc., onde ebbero la ragione vera dell'essere loro.Naturalmente l'un caso e l'altro né si contrappongono sempre in una maniera recisa, né si escludono mai compiutamente dentro una medesima opera d'arte, anzi sogliono alcun poco mescolarvisi. Un'interpretazione allegorica può, del resto,esser data anche da altri a un'opera che nelle intenzioni dell'autore non la richiedeva. Rientrano nell'allegoria, i cosiddetti Bestiari Lapidari Erbari moralizzati, e vi rientrano le parabole evangeliche, le favole esotiche e alcune caricature. D'altro lato vi rientrano perfino, in grandissima parte sia le medaglie, le monete, le insegne o imprese, sia le moderne réclames che con parole o con disegni cerchino d'attrarre l'attenzione per qualche merce o festa pubblica o convegno industriale, ecc.
[Da: Guido Mazzoni, Allegoria, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1929, vol.II, p.534.]

Ernst Curtius: Omero e l'allegoria.
Chiedendosi quale sia la funzione del poeta nel mondo, Goethe fa rispondere a Wilhelm Meister: "Nato in fondo al suo cuore, cresce il bel fiore della saggezza, e quando gli altri sognano vegliando e sono sbigottiti in tutti i loro sensi da immagini mostruose, egli vive il sogno della vita come chi è desto, e ciò che di più singolare può accadere è per lui ad un tempo passato e futuro. Così il poeta è simultaneamente maestro, profeta, amico degli dèi e degli uomini". In questo brano riecheggiano concezioni classiche. L'intera Antichità vede i poeti come sapienti, maestri, educatori. Ad Omero, tuttavia, una simile concezione è estranea. Il cantore omerico che presenta le sue composizioni alle corti principesche della Jonia lascia gli ascoltatori entusiasti e "incantati". Risuonano, in questo termine "incantati", ricordi della primitiva affinità tra poesia e magia? Come che sia, anche se diamo alla parola il significato usuale di "pieni d'ammirazione", esso esprime ugualmente l'effetto purissimo di tutta la poesia e allude ad una verità atemporale sempre valida, che sovrasta tutte le concezioni pedagogiche della poesia.
Ma era proprio l'elemento pedagogico che appariva importante agli antichi. La poesia aveva il solo compito di piacere, o anche quello di essere utile? Orazio riassunse le annose disquisizioni sul tema nella banale dottrina secondo cui la poesia deve dilettare ed essere utile insieme. Ma Omero era di una qualche utilità? Insegnava cose vere? Questi sono problemi fondamentali della teoria letteraria antica, che hanno avuto grande importanza storica per i successivi sviluppi. Esiodo fu il primo ad attaccare Omero: egli si rivolge al più basso strato sociale della Beozia, biasima la nobiltà corrotta, si professa sostenitore di una riforma morale e sociale. Mentre egli si trovava sull'Elicona a pascolare il gregge paterno, le Muse lo avevano consacrato poeta e gli avevano annunciato: "Noi sappiamo dire numerose menzogne con l'apparenza di verità; ma quando lo vogliamo, sappiamo anche proclamare il vero". Le "verità" di Esiodo riguardano origine del mondo, mitologia, ecc., ma - oltre a ciò - indicano regole sacrali:
Non orinare stando in piedi, rivolto al sole;
e dall'ora in cui il sole tramonta, - rammenta, - fino all'alba
non dovrai orinare sulla strada né uscendo dalla strada,
e neppure levarti la veste: le Notti appartengono ai Beati;
l'uomo pio si siede, o s'accosta al muro del cortile.
In Esiodo è espressa in versi tanta materia semplicemente didascalica, che non gli è rimasto alcun discorso poetico da trasmettere ai posteri. Egli credeva di proclamare il vero; ma le opinioni sul vero o sul falso mutano assai rapidamente. Il pensiero di Esiodo si fondava sul mito; ad esso si contrappose, dal VI secolo a.C., il pensiero scientifico della filosofia naturale ionica. E' meraviglioso l'impeto con cui la filosofia penetra, di gradino in gradino, nello spirito greco. Fu la rivolta del logos contro il mythos: ma anche contro la poesia. Esiodo aveva criticato l'epica nel nome della verità; ma ora anch'egli, insieme ad Omero, viene giudicato dinanzi al tribunale della filosofia. Eraclito dichiarava: "Omero dovrebbe essere escluso da ogni competizione, ed essere anche fustigato". E Senofane: "Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dèi tutto ciò che per gli uomini è colpa e vergogna: il furto, l'adulterio, il reciproco inganno". Così, la critica dei filosofi in apparenza era diretta contro la religione, di fatto contro la poesia; infatti, dal momento che i Greci non possedevano né fonti religiose, né caste sacerdotali, né "libri sacri", la loro teologia era forgiata dai poeti. Gli dèi omerici erano soggetti ad emozioni decisamente umane che nell'epica davano talvolta luogo ad episodi comici. Anche lo spodestamento di Urano da parte di Crono e poi quello di Crono da parte di Zeus - come li racconta Esiodo - offendevano il senso morale. E' per questo che il poeta è respinto dallo Stato ideale di Platone. Le critiche mosse da Platone ad Omero rappresentano il culmine di quella contesa fra filosofia e poesia che, al tempo di Platone, era considerata già "vecchia". E' una contesa che affonda le radici nella struttura stessa del mondo spirituale; perciò essa può riaccendersi in qualunque momento (lo vedremo nel Trecento italiano), ed ogni volta resterà alla filosofia l'ultima parola; la poesia infatti non le replica, possiede la sua propria saggezza.
I Greci non volevano rinunciare né ad Omero né alla scienza; cercarono dunque un compromesso: lo trovarono nell'interpretazione allegorica di Omero. L'allegoresi omerica è immediatamente successiva alle critiche mosse ad Omero dai presocratici; incomincia già nel medesimo VI secolo e si sviluppa in diverse correnti e fasi, che non occorre qui analizzare nei particolari; essa acquista poi, nella tarda Antichità, un nuovo ascendente sugli animi e viene applicata all'Antico Testamento dall'ebreo ellenizzante Filone. Da questa allegoresi biblica ebraica nasce l'allegoresi cristiana dei Padri della Chiesa. Il paganesimo ormai declinante applica anche a Virgilio l'interpretazione allegorica (Macrobio). Durante il Medio Evo l'allegoresi biblica e quella virgiliana si fusero in una sola; l'allegoria divenne perciò l'elemento assolutamente fondamentale per l'interpretazione di ogni testo; è alla base di tutto ciò che si indica come "allegorismo medievale". Esso si esprime nella "moralizzazione", mediante interpretazione allegorica, persino di Ovidio e di altri autori; ma si esprime anche nel fatto che personificazioni di entità astratte - figure gradite, come abbiamo visto, alla esperienza vitale (Erlebnis) dell'uomo tardo-antico - poterono divenire personaggi di opere poetiche: dalla Psychomachia di Prudenzio ai poemi filosofici del XII secolo, e da questi al Roman de la Rose, a Chaucer, a Spenser, agli autos sacramentales di Calderón. L'interpretazione di Omero in chiave allegorica sembrava ovvia ancora ad Erasmo e a Winckelmann: questi osservava che nei poeti preomerici la sapienza era ancora avvolta in enigmi, ma "finalmente, quando in Grecia la sapienza si accostò più vicino agli uomini per rivelarsi a molti fra loro, essa gettò via il velo esteriore che la rendeva quasi irriconoscibile; sebbene senza velo rimase però rivestita in modo tale che poteva essere riconosciuta da chi la cercasse con attenzione; e in tale forma essa ci è apparsa nei grandi poeti; Omero ne fu il massimo maestro: solo Aristarco - unico fra gli antichi - osò negargli tale superiorità. L'Iliade doveva essere un manuale di istruzione per re e governanti; l'Odissea assolse analoga funzione nella vita domestica; l'ira di Achille e le avventure di Ulisse sono semplicemente il tessuto necessario al rivestimento. Omero trasformava in rappresentazioni le speculazioni filosofiche intorno alle passioni umane e dava corpo ai concetti, animandoli con meravigliose immagini".
L'allegoresi omerica era sorta per giustificare Omero di fronte alla filosofia. In seguito fu ripresa, oltre che dalle scuole filosofiche, anche dagli storici e dai naturalisti. Essa rifletteva una caratteristica basilare del pensiero religioso greco, la convinzione cioè che gli dèi si manifestassero in forma enigmatica, come negli oracoli e nei misteri. Era compito degli "iniziati" penetrare con lo sguardo oltre i veli e i tegumenti che nascondevano il segreto agli occhi delle masse - secondo una concezione che si fa sentire ancora in Agostino...
...Teoricamente distinta dall'allegorismo, ma in pratica generalmente ad esso collegata (così anche nel brano citato di Winckelmann) è l'idea secondo cui la poesia non solo contiene, e deve contenere, una sapienza segreta, ma anche una conoscenza universale delle cose...
...Nel tardo rigoglio della cultura romana del IV secolo, Virgilio prende il posto di Omero...
[Da: Ernst Curtius, Letteratura europea e medioevo latino, La Nuova Italia, Scandicci, 1992, pp.227-230 (ed.or. Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, A.Francke Verlag, Bern, 1948).]

H. Lausberg: Tropi di dislocazione o di salto. Allegoria.
L'allegoria è la metafora continuata come tropo di pensiero e consiste nella sostituzione del pensiero che si intende per mezzo di un altro pensiero che si trova in un rapporto di somiglianza con il pensiero che si vuole intendere.
Si debbono distinguere due gradi di totalità dell'allegoria:
1) La tota allegoria, conchiusa in se medesima (cioè senza alcun elemento del pensiero che si vuol intendere).
2) La permixta apertis allegoria che, con segnali rivelatori, viene unita al pensiero che si vuol intendere. Se il pensiero vero e proprio non viene solo indicato con segnali, ma viene anche espresso apertamente, si hanno le figure della definizione allegorica e della similitudo.
- I limiti non sono netti. Così la parabola biblica viene formulata ora come allegoria, ora come similitudo, ora come definizione allegorica.
Molte allegorie (per esempio, la "navigazione" per "direzione degli affari dello stato" e per "condotta individuale in tempi particolarmente pericolosi") sono divenute patrimonio comune della consuetudo linguistica per mezzo della tradizione orale e scritta. La tradizione e la trasformazione dei "campi di immagini" è un fenomeno della Geistesgeschichte.
Un'allegoria racchiusa in se stessa, la cui idea fondamentale si possa intendere e riconoscere difficilmente (cioè soltanto conoscendo in precisi dettagli la situazione sociale e psicologica di chi parla) (obscuritas), si chiama "enigma".
Anche la metonimia mitologica e simbolica può essere trasformata in allegoria. - L'allegoria viene chiamata "simbolo" o "allegoria simbolica", quando tra l'oggetto inteso e l'allegoria, si presume una partecipazione reale resa possibile dell'allegoria medesima. Così per esempio il faggio nella novella di Annette von Droste-Hülshoff "Judenbuche" ("Il faggio del giudeo") è un simbolo. V. Pöschl attribuisce a molte allegorie di Virgilio forza di interpretazione simbolica.
Se un'allegoria è composta di elementi presi da diversi campi di immagini, ne deriva una mala affectatio, che viene chiamata inconsequentia rerum. Come i tropi in generale anche i campi di immagini possono venir meccanizzati, tanto che il loro carattere di immagine non viene più sentito nel discorso vivo anche se resta comprensibile grazie ella riflessione etimologica. E' esattamente questo stato di insensibilità che giustifica la "incoerenza delle immagini", che è addirittura un mezzo di deduzione linguistica della realtà (non legata al precetto di unitarietà delle immagini). [...]
L'allegoria può diventare anche Principio di interpretazione, quando, per esempio, si attribuisce a un discorso di ri-uso un senso nuovo, dovuto alla modificazione della situazione.
Affine all'allegoria è la tipologia biblica, che riunisce in una corrispondenza tipologica le realtà storiche: lo storico re David è cosi un typus dell'antitypus Cristo. [...]
Una variante di realizzazione dell'allegoria è la "personificazione" (fictio personae, prosopopoeia), che consiste nell'introdurre cose concrete (per esempio un fiume) e concetti astratti e collettivi (per esempio la patria) come persone che agiscono e che parlano (come nell'antico Roman de la Rose e nel teatro di Calderón). Anche la favola degli animali (fabula, fabella, apologus) può essere inclusa per analogia in questo tipo.
[Da: H. Lausberg, Elementi di retorica, Il Mulino, Bologna, 1969, pp.234-237 (ed.or. Elemente der literarischen Rhetorik, Hueber, München, 1949).]
Angelo Marchese: Allegoria.
E' una figura retorica mediante la quale un termine (denotazione) si riferisce a un significato più profondo e nascosto (connotazione). Ad esempio, il Veltro dantesco: a livello denotativo, "veltro" significa "cane da caccia"; è ben noto che questo termine allude a un "riformatore spirituale", donde la connotazione allegorica. Secondo gli autori della Rhétorique générale [Groupe [] l'allegoria è un "metalogismo", ossia un'operazione linguistica che agisce sul contenuto logico mediante la soppressione totale del significato di base, che deve essere riportato a un diverso livello di senso o isotopia comprensibile in riferimento a un codice segreto. Morier, considera l'allegoria un racconto di carattere simbolico o allusivo e l'avvicina alla favola o all'apologo di tradizione esopica. La favola-allegoria della rana e del bue metterebbe in rapporto due mondi: mondo degli animali e mondo degli uomini. [...]
Tra le allegorie tradizionali, ben note quelle della nave che attraversa un mare in tempesta, fra venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i pericoli, le discordie politiche, mentre il porto è la salvezza. Non si tratta di una " metafora continuata" come pensa Lausberg sulla scia di Quintiliano, ma piuttosto di un insieme di simboli astratti.
Il problema della comprensione delle allegorie dipende dalla loro maggiore o minore codificazione (ad esempio, una donna bendata con una spada o una bilancia è ormai un'immagine codificata della Giustizia); in molti casi, specie in poesia, la connotazione allegorica dipende da particolari sottocodici dell'autore. Occorre distinguere chiaramente l'allegorismo dall'interpretazione figurale di origine biblica, attiva soprattutto nel Medioevo e presente in Dante. Se il Veltro è un'allegoria perché un elemento sta per un altro (cane-riformatore), Beatrice è una figura perché non è soppressa la sua realtà storica, anche se nell'aldilà essa ha assunto un nuovo significato: è la guida spirituale di Dante. Dunque dietro alla figura agisce il meccanismo logico "questo e quello": ad esempio, l'Esodo degli Ebrei dall'Egitto ha una sua verità effettiva o "istoriale", ma allude anche a un significato permanente, la liberazione del cristiano dalla schiavitù del peccato.
Morier distingue vari tipi di allegoria: l'allegoria metafisica (ad esempio, il mito della caverna in Platone, dove si rapporta il mondo sensibile a quello delle idee); l'allegoria teologica (dalle composizioni mitologiche ai racconti cristiani, che hanno bisogno di una interpretazione: cfr. i quattro sensi della scrittura nel Medioevo); l'allegoria filosofica ecc.
[Da: Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, Milano, 1978, pp.15-17.]

Angelo Jacomuzzi e Gian Paolo Caprettini: Allegoria.
L'interpretazione "figurale" della Scrittura, espressa nell'opera di Paolo di Tarso, fa dell'allegoria un dispositivo di selezione del senso del testo e del suo destinatario: quello apparente lo attribuiscono i lettori sprovveduti che di esso si contentano, quello profondo lo sanno riconoscere, tramite l'allegoria, i saggi: opposizione che vede, fra questi ultimi, annoverati quei cristiani che sapranno strappare il "velo" che offusca agli occhi degli ebrei l'Antico Testamento e potranno leggerlo come anticipatore dei fatti narrati nel Nuovo e di quelli che dovranno compiersi.
L'allegoria, sosterrà S. Agostino, non si trova nelle parole, bensì negli avvenimenti storici; tanto i simboli che sono in natura, e a cui viene riconosciuto un senso ulteriore, quanto i personaggi prefigurati, i "tipi" dell'Antico Testamento, sono oggetto di interpretazione. E' così espressa l'idea di un simbolismo universale che però mai conduce a risultati ultimi ma incessantemente accresciuti dal perfezionamento della fede, e comunque sempre schermati e mediati. E' a S. Tommaso che si deve la sistemazione dell'uso del termine in questione che stava ormai a rappresentare un tropo assai generico, il dispositivo di un'espressione che significa diversamente da ciò che dice (Beda): dell'allegoria in verbis, "retorica" sono produttori gli uomini, di quella in factis, allegoria vera e propria, è produttore Dio.
Nella cultura medievale (poesia, romanzo, teatro ma anche scultura, pittura e perfino architettura) le rappresentazioni allegoriche come personificazioni di concetti astratti ("vizi" e "virtù", amore, crudeltà, morte, paura...), unitamente alle straordinarie serie di equivalenze simboliche fra i diversi elementi del reale, hanno costituito la trama di fondo dell'arte. L'esempio dei bestiari è certamente quello più diffuso, ma sono i due grandi poemi, il Roman de la Rose, prima di Guillaume de Lorris (1230 circa), poi ripreso da Jean de Meung, e la Commedia di Dante Alighieri a rappresentare il vertice dei procedimenti allegorici. Proprio la Commedia, nella quale culmina il concetto di letterarietà del Medioevo, segna anche la tappa suprema e ultima dell'allegoria come momento centrale del discorso poetico e figurativo. Il momento del passaggio, infatti, da una realtà pensata come effetto di un processo, ordinato per fasi gerarchicamente decrescenti rispetto alla fonte primaria di coerenza (Dio) - il teleologismo universale degli esseri in quanto creature -, a un sistema di dati che stanno fra di loro in una combinatoria di possibili, è da collocare verso la fine del sec. XIII.
Questo mutamento della spiritualità e del gusto già si può avvertire nel trattamento che dell'allegoria il Boccaccio fa in alcune delle sue opere minori e nei Trionfi del Petrarca, e si accentua nel corso del Quattro e del Cinquecento. Numerose figurazioni allegoriche possiamo ritrovare nell'Orlando Furioso dell'Ariosto e nella Gerusalemme Liberata del Tasso: in quest'ultima opera esse sono piegate con maggior impegno che presso altri autori a significazioni mistico-cristiane; ma il significato propriamente allegorico di queste invenzioni appare marginale rispetto alla sostanza dell'opera e spesso diventa pretesto per argute o suggestive digressioni fantastiche.
Walter Benjamin, richiamando gli studi di Giehlow, ha ribadito che il distacco vero e proprio dell'allegoria medievale si è determinato nel sec. XVI. L'allegoria dei misteri religiosi fu ridimensionata dal "letteralismo" della Riforma, per cui la Scrittura non va svelata ma vivificata. E' l'avvento di un'allegoria storico-morale e politica, la cui origine va ricercata nelle curiosità umanistiche verso la decifrazione dei geroglifici egizi e che in Italia approdò al monumentale repertorio "allegorico" di Cesare Ripa, la Iconologia (1593); ma accanto alla sistemazione, la poetica delle arti sospinge verso il moltiplicarsi degli orizzonti percettivi. Il famoso detto del Tesauro (1655): "La Metafora tutti gli obietti rinzeppa in un Vocabulo: e quasi in un miraculoso modo gli ti fa travedere l'uno dentro all'altro" ben si attaglia all'allegoria in generale e alle contemporanee espressioni pittoriche.
La definizione scolastica di questo termine è quella di 'metafora continuata', ma si tratta di una interpretazione estremamente riduttiva. In realtà, l'Allegoria consiste nell'assegnare ad un significato materiale ( o letterale, o storico, o descrittivo ) un significato astratto, o mistico, o soprannaturale che viene adombrato nello scritto in chiaro. Il termine nasce nell'età ellenistica e sostituisce l'altro termine anch'esso greco, uponoia, il quale stava a significare che dietro al senso materiale delle parole si celava un altro pensiero. La Bibbia rappresenta uno degli esempi più illustri e complessi di allegoria applicata ad argomenti religiosi. Nel campo religioso, in modo particolare, tutti gli antichi scritti vanno letti secondo quattro chiavi : letterale, allegorica, morale ed anagogica. Altra opera di grande valore allegorico è La Divina Commedia di Dante Alighieri. Tutto il Medioevo è ricco di opere allegoriche e, tanto per citare i nomi più famosi, la troviamo in larga misura nelle opere del Boccaccio, del Tasso, dell'Ariosto, ecc. Il termine deriva dal Greco allos ,altro, e agorein, rappresentare; nell'arte, è la composizione mediante la quale l'artista adopera certe figure simboliche per rappresentare idee astratte. L'allegoria dev'essere semplice ed intellegibile per tutti, altrimenti diventa un rebus che nessuno è in grado di spiegare. E quest'ultimo è spesso il caso delle allegorie esoteriche, la cui comprensione è riservata agli iniziati.

Figura retorica e procedimento stilistico che consente nel significare un contenuto altro (ideale, morale, o religioso) attraverso un'immagine da esso indipendente e autonoma, che però rinvia ad esso come a un sovrasenso presente sotto il velo del significato letterale. È centrale nella concezione medievale delle arti e nella tradizione interpretativa delle opere classiche.
1 Procedimento retorico con il quale si esprime un concetto mediante un'immagine simbolica. ~ metafora. 2 Quadro o statua che raffigura un'idea astratta. ~ rappresentazione.
• Figura retorica per mezzo della quale si parla di una cosa e s'intende significarne un'altra; il significato al di là di quello letterale è spesso astratto o ideale. Ampiamente sfruttata nell'antichità, il medioevo, in particolare, fu ricchissimo di studi, romanzi e trattati allegorici. Anche le arti figurative, specie pittura e scultura, offrono esempi di allegoria giungendo a dare forma umana a concetti ed espressioni astratte e cerebrali.
Allegoria: L'intero viaggio di Dante Alighieri nella Divina Commedia può essere un buon esempio per rappresentare una allegoria (dalla parola greca che significa parlare altrimenti). L'allegoria è una specie di metafora animata e prolungata: una storia, una azione, anche un'intera composizione in cui il significato letterale dei singoli accadimenti passa in second'ordine rispetto al significato simbolico (mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita)

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