Dante e la sua vita politica

Materie:Tema
Categoria:Italiano

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Testo

Tema d’Italiano
Saggio breve (argomentativo d’argomento letterario).
Dante e la sua vita politica.
Negli anni che seguirono, Dante partecipò attivamente alla turbolenta vita politica di Firenze: nel 1300, dopo essere stato in missione diplomatica a San Gimignano, fu nominato priore di Firenze, carica che ricoprì per due mesi. La rivalità tra le due fazioni dei guelfi di Firenze, i cosiddetti "neri", che consideravano il papa come un alleato contro il potere imperiale, e i "bianchi", che intendevano rimanere indipendenti sia dal papa sia dall'imperatore, diventò particolarmente intensa proprio durante il priorato di Dante; egli approvò la decisione di esiliare i capi di entrambe le fazioni, fra i quali l'amico Guido Cavalcanti, allo scopo di mantenere la pace nella città. Tuttavia, appoggiati da papa Bonifacio VIII, i capi dei neri poterono rientrare a Firenze e impadronirsi del potere mentre Dante si trovava a Roma. In seguito Dante fu accusato di baratteria e concussione e fu dapprima, condannato a pagare un'ingente ammenda e bandito da Firenze, ma non essendosi presentato per scontare la pena, venne condannato a morte e alla confisca dei beni familiari. Dante preferì l’esilio, prima insieme agli esuli di parte bianca, è anche da dire anche che da una parte si allontana dagli esuli di parte bianca, che tentano di proseguire in tentativi militari, dall’altra cessa a sua volta di impegnarsi per il ritorno in patria, maturando così una concezione politica profondamente rinnovata; Dante decise, allora, di proseguire la sua vita da esule in soolitudine, periodo durante il quale si dedica alla scrittura di una buona parte dei suoi testi: Il de Vulgari Eloquentia, il Convivio, e una parte della Commedia (L’Inferno e il Purgatorio). Con l’arrivo di Arrigo VII Dante torna brevemente ad un piccolo impegno politico, scrive alcune opere in favore dell’imperatore, e probabilmente la scrittura della Monarchia risale proprio a questo periodo. Con lo schieramento di Dante dalla parte dell’imperatore si aggrava la sua condizione di esule, per la diffusa ostilità dei signori locali all’unificazione imperiale. A Dante venne anche offerta la possibilità di fare ritorno in patria, a patto che questo pagasse una multa, ma rifiutò senza esitare.
È possibile distinguere due momenti separati dalla condanna all’esilio. Durante la sua esperienza politica, Dante difese l’autonomia del Comune dalla Chiesa, fedele alla logica particolare che caratterizza il pensiero politico comunale e molto probabilmente slegato dalle prese di controllo avanzate dalla Chiesa e dall’Impero. Dopo l’esilio il pensiero politico di Dante si evolve nel rifiuto della divisione dei comuni e rilancia un modello universale, anch’esso in crisi.
In alcune sue opere come il Convivio e la Commedia, ma in modo più elaborato nella Monarchia, il poeta afferma la legittimità completa del potere imperiale che si è formato sulla tradizione romana e voluto da Dio per rimediare alla degenerazione della storia umana; Convinto che la giustizia superiore di Dio dovesse compiersi anche nella vita terrestre, pose tutto il suo impegno di studioso e di scrittore al servizio della redenzione dell'umanità, che gli sembrava ai suoi tempi aver toccato il fondo del male. Alla contrapposizione tra Impero e Chiesa, Dante sostituisce una reciprocità nel garantire una pace terrena e soprattuto una salvezza divina per gli uomini: il Papa possedeva il potere spirituale, mentre l’Imperatore dove servirsi del potere temporale. Dante vuole così dimostrare di opporsi al trionfo del guadagno e allo spassionato spirito d’iniziativa che questa nuova civiltà portava con sé.

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