Chi non avesse mai veduto foco, Giacomo da Lentini

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Testo

Analisi poesia “Chi non avesse mai veduto foco”.

Chi non avesse mai veduto foco, Giacomo da Lentini
[C]hi non avesse mai veduto foco
no crederia che cocere potesse,
anti li sembraria solazzo e gioco
lo so isprendor[e], quando lo vedesse.
Ma s'ello lo tocasse in alcun loco,
be·lli se[m]brara che forte cocesse:
quello d'Amore m'à tocato un poco,
molto me coce - Deo, che s'aprendesse!
Che s'aprendesse in voi, [ma]donna mia,
che mi mostrate dar solazzo amando,
e voi mi date pur pen'e tormento.
Certo l'Amor[e] fa gran vilania,
che no distringe te che vai gabando,
a me che servo non dà isbaldimento.
Io m’aggio posto in core a Dio servire, Giacomo da Lentini
Io m'ag[g]io posto in core a Dio servire,
com'io potesse gire in paradiso,
al santo loco, c'ag[g]io audito dire,
o' si mantien sollazo, gioco e riso.
Sanza mia donna non vi voria gire,
quella c'à blonda testa e claro viso,
che sanza lei non poteria gaudere,
estando da la mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento,
perch'io pecato ci volesse fare;
se non veder lo suo bel portamento,
e lo bel viso e 'l morbido sguardare:
che·l mi teria in gran consolamento,
veggendo la mia donna in ghiora stare.

1. Sintetizza il contenuto del testo proposto (max 10 righe)
2. Come viene presentata la donna amata?
3. Individua lo schema metrico del componimento.
4. Spiega le suggestioni presenti nella metafora del fuoco, scelta dall’autore per indicare l’amore.
5. Individua nel sonetto i concetti e la terminologia che rinviano all’amor cortese.
6. Confronta questo testo con “Io m’agio posto in core a Dio servire” evidenziando eventuali analogie di temi e linguaggio
7. Illustra le caratteristiche principali della “Scuola Siciliana”

1. Il poeta paragona l’amore della sua amata al fuoco. Se non fosse mai stato visto, non si penserebbe che possa scottare; anzi, sembrerebbe qualcosa di allegro e giocoso. Purtroppo l’amore non contraccambiato spesso scotta e l’autore spera che esso si accenda nella sua amata, poiché ella gli dà solo pene e tormento. L’amore è villano perché, oltre a non legare i due, permette alla donna di prendersi gioco del povero innamorato e induce quest’ultimo a provare dolore.

2. La donna della poesia viene chiamata alla “madonna mia”, cioè signora, che non contraccambia l’amore dello scrittore. L’amata si burla del povero innamorato, nonostante egli sia completamente avvolto dal desiderio di conquistare questa donna. Non essendo un sentimento reciproco, l’amore reca solo pene e tormento a colui che spera che si accenda in lei la fiamma dell’amore.

3. La poesia è un sonetto e il suo schema metrico presenta nelle prime due quartine uno schema del tipo “A-B-A-B A-B-A-B” (rima alternata) mentre nelle due terzine uno del tipo “C-D-E C-D-E” (rima ripetuta).

4. Il paragone tra fuoco e amore è una metafora piuttosto ricorrente tra i temi della Scuola Siciliana. L’amore è considerato come qualcosa che appare bello e gioioso, proprio come quando si osserva il fuoco ardere nella brace di un camino, ma è altrettanto pericoloso perché se lo si tocca e dunque se si entra in contatto con esso, può portare ad una percezione sia fisica che morale del dolore. In questo caso, l’amore non contraccambiato porta ad una vera e propria scottatura dell’animo, che può tuttavia guarire se condiviso dall’amata.

5. Appunto perchè il sonetto fa parte della corrente letteraria della Scuola Siciliana, il tema dell’amore riprende i canoni dell’amor cortese. Il poeta non loda molto le qualità della donna, ma riprende l’argomento del servizio d’amore, fonte di gioie e dolori per il poeta. La donna, vista con sguardo divino, “madonna mia” (v. 9), è considerata appunto un essere sublime che deve essere trattato e visto con assoluto rispetto. Ovviamente, il nome della donna non viene affatto pronunciato e l’autore non utilizza nemmeno un senahl per salvaguardarla dalle dicerie di coloro che potrebbero parlare male.

6. Le due tematiche sono piuttosto simili, anche se viste in due modi diversi: nella prima poesia lo scrittore tratta più il tema dell’amore paragonato al fuoco, mentre nell’altra l’autore descrive l’amore celestiale verso la donna con la quale vorrebbe stare nel Paradiso. In ogni caso, il tema amoroso è sempre ricorrente e ritornano anche alcuni termini, quali “loco”, “sollazzo”, “gioco”. La donna è descritta fisicamente nel terzo sonetto: bionda, dal viso luminoso, tenero e bello.

7. La Scuola Siciliana si sviluppa tra il 1230 ed il 1250 alla corte di Federico II di Svevia, nipote del Barbarossa e imperatore più volte scomunicato del Sacro Romano Impero. Il cuore della Scuola Siciliana si trova a Palermo, sede non solo amministrativa dell’imperatore, ma anche culturale. Federico II volle creare un nuovo filone letterario che seguiva i principi e le tematiche dell’amor cortese, ma che, allo stesso tempo, andasse contro al predominio culturale ecclesiastico. A differenza dei trovatori provenzali, i poeti della Scuola Siciliana erano dei funzionari di corte appartenenti all’alta borghesia, che scrivevano testi non da affiancare a motivi musicali e con uno scopo d’intrattenimento, ma destinati alla lettura. La lingua utilizzata per i vari componimenti non era il volgare, bensì il siciliano illustre. I siciliani furono inoltre gl’inventori di un nuovo componimento: il sonetto. Quest’ultimo è costituito da due quartine e due terzine in rima, per un totale di quattordici versi tutti endecasillabi. I poeti federiciani scrivevano anche canzoni, composizioni che trattavano temi seri e costituiti da endecasillabi alternati a settenari, e canzonette, componimenti più leggeri e di contrasto all’ordinario che seguono dunque una struttura più narrativa e più dialogica rispetto a quella della canzone.

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